Il 29 maggio 1453 una notizia terribile iniziò a viaggiare dai Balcani raggiungendo presto tutta l’Europa: i Turchi erano entrati a Costantinopoli! La notizia generò sconcerto e preoccupazione in tutto l’Occidente nonostante i rapporti i fedeli della Chiesa Cattolica e quelli della Chiesa Greco-Ortodossa non fossero sempre stati idilliaci.

La caduta di Costantinopoli costituisce un vero e proprio spartiacque storico al punto che taluni studiosi pongono questa data come punto di passaggio tra l’Età medievale e quella Moderna. Tale evento sanziona infatti la definitiva liquidazione delle ultime vestigia del millenario Impero Romano d’Oriente, che in un secolo e mezzo viene progressivamente ridimensionato ed infine cancellato dall’ascesa inarrestabile di una nuova, grande potenza musulmana, il sultanato ottomano, che a partire dalla metà Quattrocento e per per i secoli successivi si rivelerà un temibile avversario per gli stati cristiani europei dell’area balcanica e danubiana, sino a quando la sconfitta nella Grande Guerra non ne segnerà il capolinea. Torniamo però all’inizio di questa storia, cercando di capire l’origine della compagine ottomana, le sue origini e le ragioni del suo rapido successo.
L’ascesa della nuova potenza turca era cominciata alla fine del XIII secolo: risale infatti a quel periodo la definitiva dissoluzione del Sultanato Selgiuchide di Rum, fiaccato dalle lotte interne e sconvolto dall’invasione mongola che alla metà del Duecento aveva messo a soqquadro l’intera regione mediorientale. Di questa situazione caotica seppe approfittare un intraprendente e risoluto condottiero, Osman o Othman Ghazi, che possiamo considerare il capostipite della dinastia ottomana (che significa appunto la “stirpe di Othman”). Dapprima semplice vassallo dei sultani Selgiuchidi di Rum, a partire dal 1299 egli se ne rese del tutto indipendente e una volta riaffermata la sua leadership sul suo piccolo regno nel nord-ovest dell’Anatolia, a partire dai primi anni del XIV secolo intraprese un’ambiziosa politica di espansione ai danni dell’ormai fatiscente impero bizantino.

Dopo il saccheggio di Costantinopoli ad opera dei Crociati nel 1204 l’Impero Romano d’Oriente era stato diviso dai conquistatori occidentali in varie signorie feudali finché nel 1261 l’autorità imperiale venne restaurata dalla nuova dinastia dei Paleologi. Nonostante la ritrovata unità, l’impero non si sarebbe però più riavuto dal trauma dell’aggressione crociata. Guidati da Othman, i turchi ottomani cominciarono la propria avanzata puntando sui principali capisaldi anatolici di Bisanzio come Nicea, Nicomedia e Bursa, sotto le cui mura il sultano trovò la morte nel 1326. La sua azione di conquista fu portata avanti da suo figlio Orhan (1284-1359) e da suo nipote Murad I (1326-1389), il quale portò le sue truppe a sbarcare sulla costa europea fino a conquistare Adrianopoli (l’odierna Edirne) che fu eletta nuova capitale del sultanato. Murad è tradizionalmente considerato il fondatore del corpo militare dei Giannizzeri, punta di diamante delle armate del sultano e sua guardia pretoriana.
La parola “giannizzeri” deriva dal turco “Yeni Çeri” che significa letteralmente “nuova milizia”. I membri del corpo erano reclutati con il sistema del “Devshirme” o “Leva dei bambini”: in pratica le popolazioni cristiane dei Balcani soggette ai Turchi erano obbligate a consegnare un certo numero di ragazzini (selezionati in base alla robustezza fisica) destinati poi al servizio militare come Giannizzeri dopo anni di duro addestramento militare ed essersi convertiti alla religione islamica. Addestrati all’uso di ogni tipo di arma, la loro dotazione era composta innanzitutto dalla scimitarra a cui si accompagnavano lancia, arco e frecce che con la definitiva affermazione delle armi da fuoco verranno sostituite dall’archibugio. Elemento peculiare della loro uniforme era un alto copricapo bianco decorato di piume d’airone.

L’ottimo addestramento unito alla grande disciplina del corpo, testimoniata fra l’altro dall’obbligo del celibato, rendeva i giannizzeri un osso estremamente duro per i loro avversari cristiani: a Nicopoli nel 1396 così come a Varna nel 1444 essi affrontarono e sconfissero gli eserciti crociati franco-ungheresi accorsi nei Balcani a sostegno di Bisanzio sempre più stretta nella morsa musulmana: all’inizio del XV secolo l’imperatore di Bisanzio era infatti ridotto poco più che a “sindaco” della sua capitale essendo la sua sovranità ormai limitata a Costantinopoli, al Peloponneso e a qualche isoletta nel Mar Egeo.
Quando la sorte di Costantinopoli e del suo Basileus Manuele II sembrava oramai segnata intervenne in loro “soccorso” la devastante invasione dei tartari del Gran Khan Tamerlano che invasero la penisola anatolica e massacrarono l’esercito ottomano nella battaglia di Ankara del 1402 prendendo prigioniero il sultano Bayezid I che fu condotto prigioniero nella lontana Samarcanda dove avrebbe trovato la morte. Tuttavia questo disastro non scongiurò la fine dell’impero bizantino, che fu solamente rimandata di circa mezzo secolo: a dare il colpo di grazia all’impero romano d’oriente ci pensò il pronipote del defunto Bayezid, Mehmet Celebi, salito al trono nel 1451 all’età di ventun anni con il nome di Mehmet II.

Il nuovo sultano era ossessionato dall’idea di conquistare Costantinopoli, la Seconda Roma, e non ne faceva mistero. Innanzitutto fortificò la zona del Bosforo facendo erigere la fortezza di Rumeli Hisar, che, insieme alla gemella Anadolu Hisar, sull’altra riva, bloccava i rifornimenti diretti verso la capitale bizantina. A questo punto, nella primavera del 1453 mosse contro la città con un esercito imponente stimato in circa centoventi mila uomini, tra cui i diecimila giannizzeri e ventimila irregolari, i cosiddetti Basci-buzuk (letteralmente “teste matte”), unità utilizzabili nei primi assalti per saggiare le difese del nemico. Appoggiava l’esercito un’imponente flotta di circa centoventi galee. Ma il vero fiore all’occhiello dell’armata di Mehmet erano le decine di pezzi di artiglieria a sua disposizione che si riveleranno di fondamentale importanza per avere ragione delle mura di Costantinopoli: in particolare l’arma segreta del sultano era una gigantesca bombarda dal calibro di 800 millimetri, capace di sparare colpi da oltre mezza tonnellata detta non a caso il “Mostro di Urban”, dal nome del fonditore di artiglierie a cui era stata commissionata, un ungherese cristiano chiamato appunto Urban, passato al servizio degli ottomani.

Di fronte all’immenso dispiegamento delle forze turche a Costantinopoli fu subito chiaro che la situazione era a dir poco disperata. Il Basileus Costantino XI, figlio di Manuele II, decise di resistere in ogni caso rifiutando sdegnosamente l’offerta di resa di Mehmet e si preparò con i suoi a combattere con coraggio suicida: per impedire alla flotta turca di penetrarvi, una pesante catena fu posta a sbarrare l’accesso al Corno d’oro, il braccio di mare che divide Costantinopoli dal quartiere di Galata. Vennero inoltre lanciati accorati appelli a tutto il mondo cristiano perché accorresse in aiuto della città minacciata ma nel complesso i Latini non si mossero, a parte la misera eccezione di qualche centinaio di armigeri inviati da Papa Niccolò V che cercò inoltre di persuadere l’Imperatore Federico III d’Asburgo a muovere in aiuto dei greci. Nemmeno Francia e Inghilterra si mossero, entrambe impelagate nella Guerra dei Cent’anni. Fu fatto appello anche agli stranieri residenti in città affinché imbracciassero le armi a fianco dei soldati di Costantino: alla chiamata risposero seicento veneziani e settecento genovesi, guidati dal comandante Giovanni Giustiniani, famoso per la sua abilità nel difendere città assediate. Veneziani e genovesi inoltre rafforzarono con sedici navi la misera flotta imperiale di dieci galee. In totale quindi Costantino difendeva la città avendo ai suoi ordini circa ottomila soldati, compresi i duemila stranieri, con uno spaventoso rapporto di quindici contro uno a favore dei Turchi!

Giunto davanti alla città all’inizio di aprile, Mehmet diede ordine all’artiglieria di iniziare a bombardare le millenarie Mura Teodosiane, che per mille anni avevano salvato Costantinopoli da qualunque invasore. Le difese bizantine vennero sottoposte al fuoco turco dal 7 al 18 aprile dopodiché cominciarono gli assalti furiosi dei Basci-buzuk e della fanteria turca, tutti respinti dai cristiani, meglio armati e determinati a resistere vendendo cara la pelle. Intanto il sultano dava ordine che la flotta, giunta il 22 in zona d’operazioni, fosse fatta passare via terra nel Corno d’Oro per aggirare l’ostacolo costituito dalla catena: migliaia di uomini trascinarono i vascelli su una passerella di legno su per la collina di Galata per poi rimettere in mare le navi dall’altra parte consentendo alla flotta turca di minacciare direttamente il porto di Costantinopoli.

Intanto nuovi assalti si susseguirono il 7 e il 12 maggio ad opera delle fanterie scelte turche ma vennero entrambi respinti dai difensori anche se appariva chiaro che costoro non sarebbero potuti resistere ancora a lungo, sempre più a corto di viveri e munizioni. L’assalto decisivo si consumò martedì 29 maggio 1453 quando i giannizzeri ebbero infine ragione della resistenza dei difensori che vennero sopraffatti negli scontri a Porta San Romano, durante i quali cadde anche il Basileus Costantino XI, la cui morte in combattimento contribuì ad attribuirgli la fama di santo e martire presso i cristiani ortodossi greci. Gli ottomani sciamarono nella città abbandonandosi a stupri e saccheggi senza risparmiare chiese e conventi. La furia fu tale che Mehmet decise di porre fine allo scempio il giorno successivo facendo il suo ingresso trionfale nella città, contrariamente alla consuetudine dell’epoca di concedere tre giorni di saccheggio della città conquistata alle proprie truppe.
Costantinopoli da allora divenne Istanbul,capitale del nuovo impero turco il cui sultano assunse da quel momento il titolo di “Qaysar-ı Rum” ossia “Cesare dei Romei”. Mehmet, da quel momento conosciuto come “Fātiḥ”, cioè “il Conquistatore”, si recò in visita alla cattedrale di Santa Sofia nella quale pronunciò una preghiera di ringraziamento per la grande vittoria ordinando poi che la basilica fosse trasformata in una moschea. Comunque il sultano consentì ai cristiani di continuare a professare la propria fede, nominando come Patriarca un uomo di sua fiducia, il teologo Gennadio.

La conquista di Costantinopoli e la successiva ulteriore avanzata ottomana nei Balcani, generò vari contraccolpi di carattere geopolitico in tutta Europa: con la presa della città i Turchi scrivevano la parola fine alla millenaria storia dell’Impero Romano d’Oriente. Con questa vittoria essi si installavano nel cuore dell’Europa andando a minacciare da vicino gli stati cristiani dell’area danubiana che da quel momento e per i successivi duecentocinquanta anni dovranno far fronte ai tentativi turchi di invasione, come testimoniato dai due assedi di Vienna nel 1529 e nel 1683. Nel nostro Paese la nascita dell’Impero turco portò Venezia a espandersi verso il Veneto e il Friuli per potersi assicurare quei rifornimenti di grano prima assicurati dal commercio con il Levante. Sempre in Italia, l’avanzata turca comportò poi la fuga di esuli, come nel caso di gruppi di albanesi, che si stabilirono nel Mezzogiorno della nostra Penisola, dando origine alla minoranza etnico – religiosa degli Arbërësche. Un altro tipo di emigrazione che avvenne in quel periodo fu quella di alcuni importanti filosofi e letterati bizantini che contribuirono alla diffusione in Occidente della lingua greca e quindi agevolarono la riscoperta delle opera degli antichi filosofi dell’Antichità Classica gettando i semi di quel fenomeno, italiano certo, ma anche europeo, noto in seguito come Rinascimento.
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