La corte degli uomini neri

Nel 2019 oltre all’anniversario della morte di Leonardo da Vinci, decorre un’altra ricorrenza, altrettanto importante ma forse meno ricordata e sponsorizzata, almeno in Italia, che invece trova cittadinanza in molti paesi, soprattutto legati al panorama mitteleuropeo. Questo evento, avvenuto anch’esso 500 anni fa, è la morte di Massimiliano d’Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero Germanico tra il 1493 e il 1519.  Nel gennaio del 1519, infatti, il vecchio imperatore moriva a Wels, vicino a Linz, dopo che, alla fine dell’anno precedente, le autorità cittadine della sua “capitale” e città prediletta, Innsbruck, non lo avevano accolto, forse per il peso finanziario sulla città che le casse vuote del sovrano e il mantenimento della sua ampia corte avrebbe avuto.

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Massimiliano I in un ritratto di Albrecht Dürer

Il ruolo di Massimiliano nella storia dell’Austria, paese che normalmente accostiamo alla dinastia asburgica, oltre che in quella dell’Europa centrale e balcanica viene spesso dimenticato o sottovalutato anche se il suo agire ebbe un ruolo capitale, che ha posto le basi dell’assetto geopolitico dell’Europa, perpetuatosi fino alla Grande Guerra. Massimiliano rappresenta, infatti, nella sua persona, come e forse più di altri suoi importanti contemporanei, il nodo di congiunzione tra il Medioevo e l’età moderna.

Infatti, da una parte l’imperatore si mostra come emblema, alla fine del XV secolo, del Medioevo o, ancora meglio, dell’Autunno di quell’era. Massimiliano fa propria, come poi il nipote Carlo, la carica imperiale, ereditandone in particolare la valenza sacrale e simbolica, come inviato di Dio per governare il mondo e come suo rappresentante, con caratteri e valori ben definiti. Egli assorbe ed eredita, per via personale e familiare, insieme al suo seguito, anche i valori di quella cultura cortese e cavalleresca che trovano la loro materializzazione nelle corti sfarzose e quasi fiabesche del Tardo Medioevo, a cominciare da quella di Borgogna , che ne rappresenta il modello più esemplificativo ed iconico.

L’Impero agli inizio del XV secolo. Da notare l’intricata frammentazione politico-istituzionale che attanagliava la compagine imperiale.

Massimiliano però è anche un uomo della Modernità. Questo è pienamente visibile nella sua azione di governo e nell’organizzazione data ai suoi possedimenti, ereditati e acquisiti. Vanno visti in quest’ottica di accentramento dei poteri l’istituzione di una Camera e di un Consiglio (Hofrat), istituiti per il governo dei possedimenti diretti asburgici. Per quanto la compagine imperiale, l’Asburgo cercherà, riprendendo l’antico sogno dei suoi predecessori, di trasformare l’Impero in un vero e proprio stato nazionale, sul modello delle monarchie sorte a partire dai secoli centrali del Medioevo in Francia e in Inghilterra, nel quale la Corona potesse disporre di un controllo effettivo su tutto il territorio attraverso un’amministrazione centralizzata, in particolare riguardo alle questioni finanziarie. Tuttavia i progetti di Massimiliano si scontreranno con la volontà dei principi tedeschi riuniti nella Dieta di Worms del 1495, al termine della quale il sovrano, pur riuscendo ad ottenere la creazione di un Tribunale Imperiale e di un’assemblea consultiva, vedrà frustrate le proprie ambizioni di fare dell’Impero un vero e proprio stato nazionale tedesco.

Vero successo di Massimiliano, che ebbe conseguenze durature, fu il consolidamento dei possedimenti della casa d’Austria e delle sue zone d’influenza, ma anche la loro espansione, sia per via militare, sia soprattutto per via diplomatica. L’imperatore riuscì infatti a stabilizzare la presenza asburgica alla guida del Sacro Romano Impero: dopo la sua scomparsa, infatti, la Corona imperiale resterà monopolio della famiglia fino al definitivo scioglimento dell’Impero a seguito della Dieta di Presburgo (l’odierna Bratislava, in Slovacchia) nel 1806.

Massimiliano con la moglie Maria. In mezzo a loro il figlio Filippo. I tre giovani sono i nipoti Carlo, Ferdinando e Luigi.

Seguendo la linea già tracciata da suo padre Federico III, Massimiliano consolidò la presenza della Casa d’Asburgo nell’Europa centrale e balcanica, in particolare dei regni di Boemia (attuale Repubblica Ceca) e di Ungheria. Attraverso il fidanzamento della nipote Maria, figlia di suo figlio Filippo il Bello, con l’erede al trono ungherese e boemo Luigi Jagellone, Massimiliano porrà infatti le premesse per il passaggio dei due regni centro europeo sotto lo scettro degli Asburgo. Ciò si verificherà sette anni dopo la scomparsa dell’Imperatore a seguito della morte di Luigi, divenuto nel frattempo Re, sul campo di battaglia di Mohacs contro le truppe del sultano Solimano il Magnifico.

Massimiliano e gli Asburgo non trascurò tuttavia i rapporti con le monarchie dell’Europa occidentale, rivolgendo la sua attenzione in particolare alle ricche terre del Ducato di Borgogna e a quelle delle monarchie iberiche, da poco unificate con il matrimonio di Ferdinando d’Aragona e Isabella di Castiglia (sponsor di Cristoforo Colombo). Anche in questo Massimiliano fece un uso estremamente brillante delle alleanze matrimoniali allo scopo di estendere l’influenza asburgica al di là dell’area balcanico – danubiana. Il ricorso costante ad alleanze matrimoniali divenne una sorta di “marchio di fabbrica” degli Asburgo, riassunto efficacemente dall’epigramma latino “Bella gerant alii, tu felix Austria nube”, ossia “Gli altri facciano le guerre, tu Austria felice sposati”.

Fondamentale in questo senso si rivelò la sua unione con Maria di Borgogna, attraverso il quale potè assorbire le Fiandre e la Franca Contea dopo la morte in battaglia del suocero Carlo il Temerario nel 1477. Il capolavoro di Massimiliano furono le nozze di suo figlio Filippo con Giovanna, figlia dei “Re Cattolici” Ferdinando e  Isabella, dal quale nacque suo nipote, il futuro Carlo V, che grazie alla ragnatela tessuta da suo nonno poté trovarsi al vertice di un Impero “su cui non tramonta mai il Sole”.

L’Imperatrice Maria di Borgogna, prima moglie di Massimiliano tra il 1477 e il 1482.

Ultimo ma non secondario elemento di modernità fu la politica militare, con la quale Massimiliano cercò di esprimere le medesime volontà di espansione in parallelo sviluppate per via nuziale. In questo caso tuttavia, nonostante le trasformazioni in senso assolutista avessero dato a lui maggiori possibilità finanziarie, le azioni militari diedero scarsi risultati. Significativa è l’iniziativa rivolta alle Guerre d’Italia, che lo coinvolsero sul crinale del secolo. Massimiliano ospitò il Moro e la sua corte dopo la prima cacciata nel 1499 e ne aiutò il rientro l’anno successivo, sia per legami familiari, dovuti alle sue seconde nozze con Bianca Maria Sforza, nipote dello stesso Ludovico, sia per contrastare l’azione del Re di Francia Luigi XII. In seguito l’imperatore entrò a far parte della lega anti veneziana di Cambrai del 1508, con l’intento di ampliare il suo regno in Italia, soprattutto nell’area del Friuli e della pianura veneta. Anche quest’intervento si concluse però con un nulla di fatto.

La grandezza e la duplicità di Massimiliano si mostra anche nella sua corte e nel grande crogiuolo artistico che intorno a lui si formò. La corte asburgica si caratterizzò soprattutto per il suo carattere tardogotico, stile con una forte tradizione nell’Europa centrale sin dal ‘300 ed estremamente radicato in un’area molto tradizionalista. Emblematici di tale tradizione sono diverse opere commissionate proprio da Massimiliano, soprattutto in architettura, che si estendono in tutti i possedimenti imperiali ma che si concentrano ad Innsbruck, capitale del Tirolo e città amata dall’imperatore, da lui ereditata nel 1490 dal cugino Sigismondo.

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Il Tettuccio d’oro, simbolo della città di Innsbruck.

Interventi importanti furono ad esempio l’edificazione della Hofburg di Innsbruck, trasformata da Maria Teresa ma che conosciamo nelle forme primigenie dai taccuini di Albrecht Dürer, e il rinnovamento del palazzo dei conti di Tirolo, al quale l’imperatore fece aggiungere nel 1500 dall’architetto Niklas Türing il Goldenes Dachl, il Tettuccio d’Oro, elemento simbolo di Innsbruck. A questo gotico finale influirono sicuramente anche gli artisti provenienti dalla Borgogna e dalle Fiandre, legati al seguito di Maria e che rappresentano ciò che è noto come “arte fiamminga”.

La corte dell’Asburgo mostrò però anche un’apertura alla modernità, aprendosi allo studio dell’antichità e all’umanesimo e all’influenza dell’arte italiana. Se l’umanesimo letterario diede origine a importanti studiosi, rinomati soprattutto per la loro influenza sulla giovane industria della stampa e per le riscoperte di antichi testi, le arti figurative ebbero qui la crescita e l’affermazione di importanti esponenti di ciò che è noto come Rinascimento tedesco, nati nell’ambito renano e della Germania meridionale quali Albrecht Altdofer, Lucas Cranach il Vecchio, Hans Burgkmair e soprattutto Albrecht Durer o l’orafo Peter Vischer il Vecchio. Grandi artisti, purtroppo poco noti, che influenzarono l’arte italiana, specie attraverso le xilografie, ma che ne furono anche influenzati, specialmente dalla pittura veneta e padana. Essi stessi e i loro più diretti discendenti contribuirono così a trasferire il Rinascimento e il Manierismo anche in terra tedesca.

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La “Festa del Rosario”, capolavoro di Albrecht Dürer nel quale Massimiliano è ritratto mentre è incoronato dalla Vergine Maria.

Molte opere d’arte, come si è visto, sono state composte all’epoca di Massimiliano e molte sono state commissionate da lui stesso, tuttavia vi è un’opera che, seppur non realizzata in toto secondo il suo disegno e completata solo nel corso del regno del nipote Ferdinando, rende materialmente tutte le caratteristiche dell’uomo, i suoi valori, i suoi progetti e i caratteri dell’arte del suo tempo, manifestando soprattutto le sue duplicità. Parliamo del suo cenotafio, che si trova all’interno della Hofkirche di Innsbruck, monumento che rimane ad esso strettamente legato.

La tomba monumentale venne progettata dallo stesso Massimiliano, coadiuvato dagli umanisti della corte, tra i quali Konrad Peutinger, noto forse come proprietario della Tabula Peutigeriana, il grande stradario romano che da lui prende il nome. L’imperatore avrebbe voluto creare un grande sarcofago in pietra rossa, che avrebbe richiamato il porfido imperiale, sul quale avrebbe troneggiato la sua figura, inginocchiata in preghiera, e accompagnata agli angoli dalle personificazioni delle Virtù cardinali: Fortezza, Temperanza, Giustizia e Prudenza. Sui lati del monumento una serie di bassorilievi in marmo bianco. Su di essi vengono ricordati i successi e le azioni di Massimiliano, sia diplomatici, dal suo matrimonio con Maria di Borgogna celebrato nel 1477 a quello del figlio Filippo con Giovanna la Pazza (1496), che militari come la vittoria sui turchi in Ungheria del 1508 o la firma, nello stesso anno, della Lega di Cambrai. A questo sepolcro tradizionale faceva però seguito un altro elemento, che lo caratterizza e che mette in chiaro quanto l’opera fosse soprattutto un messaggio politico e culturale.

Rilievo per la tomba di Massimiliano eseguito da Alexander Colyn su disegno di Albrecht Dürer.

Massimiliano pensò  infatti di far accompagnare il proprio feretro da un vero e proprio seguito, richiamandosi al modello classico ma soprattutto a quello dei sfarzosi cortei che caratterizzavano le corti tardo medioevali. La tomba del sovrano era infatti accompagnata da busti d’imperatori romani e da cento santi protettori a dimensione naturale. La linea politica alla base di questo elemento sta quindi nella scelta dei rappresentati: Massimiliano scelse infatti di connettere la sua persona innanzitutto alle figure dei Cesari, a simboleggiare la continuità tra l’Impero Romano e il Sacro Romano Impero rinnovato. La scelta della serie dei santi, tipica della sepoltura di un sovrano cristiano, dava ulteriormente il senso del ruolo sacrale cui Massimiliano voleva riportare l’Impero.

Linea analoga è ancora leggibile anche nelle sculture maggiori. La tomba avrebbe dovuto essere accompagnata anche da una serie di 40 statue bronzee, alte circa 2-2,5 m, in corteo. A rimarcare quanto questo fosse la pietrificazione della vera processione funebre, seppur simbolica, vi è il fatto che ogni effigiato porti nella destra un candeliere a tre braccia, effettivamente utilizzabile. Esse rappresentano infatti le effigi della famiglia imperiale allargata. Tale scelta, oltre che sottolineare i legami di parentela tra gli effigiati e l’imperatore,  poneva l’accento sia sulla rete politico diplomatica da lui costruita sia sui legami legittimanti che l’origine o il ruolo dei personaggi stessi avrebbero potuto dare a Massimiliano. I singoli personaggi sono rappresentati in parte in modo quasi realistico, in parte immaginario, aspetto legato in questo caso alla lontananza temporale dell’effigiato. Per identificarli è posta un’iscrizione ai loro piedi e un grande scudo istoriato, riconoscibile tramite l’araldica.

Innanzitutto vi erano inseriti i membri più stretti della famiglia imperiale, quali le due mogli, Maria di Borgogna e Bianca Maria Sforza, cui si aggiungono i figli Filippo e Margherita d’Asburgo. Ad essi vengono uniti altri parenti più lontani, con i quali si manifesta chiaramente il senso politico del monumento. Vi si trovano innanzitutto i parenti acquisiti  alla casa d’Austria, utili per sottolineare gli alti legami della famiglia in Europa, come il suocero Carlo il Temerario, duca di Borgogna e padre di Maria, insieme con il padre Filippo III il Buono, così come Giovanna d’Aragona, sposa di Filippo d’Asburgo, insieme al padre di lei Ferdinando II d’Aragona. A questo gruppo si aggiunge anche la figura di Ferdinando del Portogallo, bisnonno materno dell’imperatore.

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La Hofkirche in una foto di inizio ‘900-

Altro nucleo fondamentale riguarda invece le statue dei membri della dinastia e di alcune consorti. Tale scelta, oltre a rimarcare le origini di Massimiliano, puntualizza alcuni obiettivi politici e geopolitici portati avanti da lui. Si riconoscono in particolare Rodolfo I, primo Asburgo a diventare imperatore nel 1273, o suo figlio Alberto I, anch’egli imperatore, fortemente criticato in vita da Dante, insieme alla moglie Elisabetta di Tirolo – Gorizia, cui si aggiungono i loro stretti parenti, tra cui il Conte Alberto IV d’Austria, padre di Rodolfo, il figlio di Alberto I, Alberto II lo Sciancato, e suo figlio Leopoldo III (bisnonno di Massimiliano). La scelta aveva quindi come scopo quello di segnalare il centenario legame tra gli Asburgo e l’Impero, giunto sino  a Massimiliano attraverso le generazioni passando attraverso i nonni paterni Ernesto il Ferreo e Cimburga di Masovia per poi proseguire con il padre di Massimiliano Federico III e sua zia Cunegonda d’Asburgo, sposa di Alberto IV di Baviera.

Già nella linea avita è quindi dato un grande peso alle donne, soprattutto per l’apertura verso alcune aree dell’Europa centrale. Concludono il nucleo i rappresentanti dei rami secondari della famiglia. Tra gli altri Federico IV il Taschevuote, fratello di Ernesto, e il figlio Sigismondo il Danaroso. La scelta in questo caso fa riferimento al ramo erede della signoria del Tirolo, la cui estinzione con Sigismondo come si è detto porterà proprio a Massimiliano quella terra e la sua capitale. Analoga logica politica si ritrova invece nella coppia Alberto II (1397-1439) ed Elisabetta di Lussemburgo. Se Alberto si lega alla famiglia imperiale quale secondo cugino di Federico III, la sua importanza e quella della moglie era per l’imperatore duplice. Da una parte egli era stato il primo imperatore asburgico dopo due secoli, segnando quindi ancora la continuità imperiale della famiglia. Dall’altra il suo matrimonio con Elisabetta, figlia dell’imperatore Sigismondo di Lussemburgo, aveva di fatto portato i suoi eredi ad acquisire il pieno controllo della Boemia e dell’Ungheria, confluite poi, nel ‘500, al ramo principale.

Da sinistra le statue di Alberto II, Federico III e Leopoldo di Babanberg.

Un’ultima parte delle statue rappresentano infine personaggi che sembrerebbero strani in tale contesto. Tale gruppo comprende Clodoveo, re dei Franchi, Goffredo di Buglione, Leopoldo III di Babenberg e addirittura il leggendario Re Artù. Nel caso di Leopoldo, la scelta dovette essere dettata dal fatto che questi, santificato, era ed è tuttora uno dei protettori dell’Austria, e quindi anche protettore della casa regnante. Per ciò che concerne gli altri tre, la volontà di rappresentarli intorno alla propria tomba può essere ricondotta sia alla materializzazione di quei modelli e dei romanzi cavallereschi che impregnavano la cultura tardogotica di corte, sia come ricerca di nobilitazione della casata attraverso antenati mitici o legati alle epopee guerresche. Si può però pensare anche ad una motivazione più profonda. Clodoveo rappresenterebbe l’avo sia dell’Impero sia dei Re di Francia, con i quali Massimiliano aveva da poco chiuso un contenzioso per la Borgogna, così come Goffredo rappresenta ai suoi occhi il modello crociato, cui l’imperatore si rifà nei suoi progetti militari antiturchi nei Balcani.

Un progetto tanto magniloquente coinvolse i grandi artisti che ruotavano intorno alla corte asburgica, mostrando ancora una volta la trasformazione in atto nell’arte europea dell’epoca. Tale differenza è accentuata anche dal fatto che queste siano state realizzate in un periodo molto lungo, che arriva fino al 1550, che è reso evidente dalla diversa resa del vestiario e dei gioielli. Ad esso parteciparono importanti scultori, orafi e pittori tedeschi o fiamminghi, sia fattivamente sia tramite disegni o incisioni, tra i quali gli scultori e bronzisti Alexander Colyn, Veit Stoß, Hans Leinberger, Leonhart Magt, Peter Vischer, cui si deve la fusione dell’Artù, Peter Löffler e pittori come Jörg Kölderer, Gilg Sesselschreiber o Christian Amberger e soprattutto Albrecht Dürer. All’artista di Norimberga si deve il disegno di alcuni membri del corteo, tra cui l’Artù, oltre che delle immagini della vita di Massimiliano, scolpite poi dal fiammingo Colyn.

Tale maestoso monumento avrebbe dovuto essere collocato nel luogo prescelto dall’imperatore per la sua sepoltura, ossia la cappella dedicata a San Giorgio, inserita nel castello di Wiener Neustadt, località vicino a Vienna dove Massimiliano era nato. Tale progetto non venne però portato a termine. Ciò avvenne sia per la sua incompatibilità statica rispetto alla cappella sia perché, alla morte dell’imperatore, il programma era realizzato solo in parte. Tale condizione portò quindi a seppellire Massimiliano nella cappella, mentre il mausoleo rimase ad Innsbruck. Il monumento non venne però abbandonato e la fusione delle statue proseguì sotto il nipote Ferdinando, prima come Arciduca d’Austria e poi come Imperatore, fino almeno alla metà del XVI secolo.

Lo stesso nipote si occupò negli stessi anni della costruzione di quello che, di fatto, divenne il reliquiario del cenotafio, ossia la Hofkirche. Ferdinando sviluppa qui una disposizione diversa delle figure realizzate, mantenendo però il loro significato originario, creando un luogo che fosse l’apoteosi di suo nonno. La realizzazione finale tuttavia non seguì i pronostici. Se il nucleo centrale venne rispettato, con l’aggiunta, negli anni ’70, di una cancellata in bronzo dorato con gli stemmi della Casa, il corteo venne però fortemente ridimensionato. Sono scomparsi i Cesari, di cui alcuni esempi trovano dimora nel castello di Ambras, mentre dei santi ne vennero realizzati solo 23, collocati al colmo del tramezzo della chiesa. Delle statue monumentali invece ne vennero realizzate solo 28, di cui 11 prima della morte del sovrano, e collocate ai lati del cenotafio, creando un effetto di veglia attorno a Massimiliano.

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Il cenotafio imperiale nella Hofkirche di InnsBruck.

Per ospitare quest’opera monumentale Ferdinando d’Asburgo creò la Hofkirche. Questo fu lo scopo principale della costruzione, tanto forte che la chiesa divenne nota come Schwarz-Mander-Kirche, ossia la chiesa degli uomini neri, in ricordo proprio delle statue di bronzo, anche se non tutti uomini. Tale specifica funzione sembra suggerita anche dal fatto che la struttura riprenda, anche se rimodernata, quella della cappella di Wiener Neustadt. A tale primitiva funzione seguì quindi sia quella di Cappella palatina, da cui il nome attuale, sia quella di sede dei francescani in città, cui fu affidata e presso cui costruirono il loro convento. L’edificio mantiene però la stessa ambivalenza tracciata dal cenotafio. Essa, costruita nelle vicinanze della nuova Hofburg asburgico, racchiude infatti sia il tardo medioevo sia la nuova cultura rinascimentale. Il progetto viene tradizionalmente dato ad Andrea Crivelli, già ottimo sopraintendente alle opere commissionate e realizzate a Trento dal vescovo Bernardo di Cles, come il castello del Buonconsiglio. Il fatto che non venga mai nominato nei documenti come architetto, fa pensare che gli autori siano invece Alessio Longhi, architetto ticinese e Nicholaus Thuring il Giovane, nipote del costruttore del Tettuccio d’oro, mentre il Crivelli ebbe quindi ruolo di soprintendenza al cantiere.  Essa infatti si compone come una hallenkirche o chiesa a sala, con le navate tutte della stessa altezza, cui si aggiunge un profondo coro, racchiuso da una cancellata e da un tramezzo, su cui troneggiano i santi del mausoleo. Un modello tradizionalmente gotico e tipico dell’architettura tedesca che racchiude in sé  però elementi del nuovo vento antiquario italiano. Da una parte il piccolo protiro d’ingresso alla chiesa su leggere colonne corinzie e sorreggenti archi a tutto sesto, e che sovrasta un elegante arco d’accesso decorato da paraste e trabeazione classica con tondi marmorei, su cui troneggia un timpano curvo a conchiglia.

Ritratto di Massimiliano I in armatura, dipinto immaginario di Rubens.

Dall’altra i sostegni della chiesa che sostituiscono i pilastri e i capitelli gotici con slanciate ma robuste colonne in marmo rosso, rimando ulteriore alla porpora, e che terminano con capitelli compositi all’antica.

Tale progetto verrà poi rimodernato dai successori di Massimiliano e Ferdinando, a simboleggiare sia la continuità con loro sia il legame profondo con la cappella del palazzo sia con la città che la ospita. Ne sono esemplari la Cappella d’Argento, realizzata per Ferdinando II d’Asburgo Tirolo, il Principe del castello di Ambras, per sè e per la prima moglie Philippa Welser, o i grandi interventi voluti qui da Maria Teresa d’Austria, nel ‘700, che crearono i ricchi stucchi bianchi sulle volte sia il nuovo ricco altare con una Crocefissione di Johann Carl Auerbach. Un’opera quindi ambivalente, che parla due lingue diverse ma coesistenti, come nel cenotafio, e che, come quest’ultimo, rende materiale l’anima del suo ideatore e ispiratore, l’Ultimo Cavaliere, come lo chiamano i tedeschi, uomo tardomedioevale e politico moderno, a cavallo di due secoli e di due epoche intrinsecamente connesse, Massimiliano d’Asburgo.

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