Laggiù nella Piana dei Merli

I Balcani, si sa, sono un territorio complicato, segnato da un grande miscuglio etnico e religioso, per secoli dominata da grandi imperi che si sono contesi il controllo di queste contrade. Qualcuno li definisce il “buco nero” d’Europa. Non a caso fu proprio in questa terra, teatro solo un quarto di secolo fa una guerra dalla ferocia a cui in Europa non si era più abituati, che si accese la miccia che fece esplodere uno dei conflitti più devastanti della storia umana, la prima guerra mondiale.

Mappa del Kosovo.

In questa regione tormentata c’è una terra in particolare dal passato ancora più travagliato: parliamo del Kosovo. Si tratta di un territorio dall’estensione paragonabile all’Abruzzo, incastonato tra l’Albania e il Montenegro a ovest, la Serbia a nord ed a est e la Macedonia a sud. Il 17 febbraio 2008 il Kosovo ha proclamato la sua indipendenza dalla repubblica serba la quale, a dispetto del quasi unanime riconoscimento dell’indipendenza kosovara, ritiene tuttora illegittimo quest’atto, considerando il Kosovo come una propria provincia autonoma. Perché i serbi non intendono privarsi di questo territorio poverissimo ed in gran parte montagnoso? Cerchiamo di scoprirlo insieme in questo articolo.

Il Kosovo è oggi abitato in maggioranza da una popolazione di etnia albanese e di religione musulmana, accanto alla quale vive una minoranza serba di religione cristiana ortodossa.

Stefano Prvovenčani, primo Re di Serbia a partire dal 1217

Ancora oggi la regione pullula di monasteri a testimonianza della devozione del popolo serbo. Fu proprio in queste terre, a cavallo tra il Kosovo e la regione serba di Rascia, che nel 1217 ebbe origine il Regno di Serbia. In quell’anno Stefano Nemanjić fu incoronato primo Re dei serbi. Per questo il sovrano fu in seguito ricordato come “Prvovenčani”, che in serbo significa appunto “primo incoronato”. Il piccolo ma agguerrito regno balcanico aveva i suoi centri politici tra Prizren (nel Kosovo meridionale) e Skopje (oggi capitale della Repubblica di Macedonia),  città sedi della corte reale.

Dapprima vassalli dell’impero bizantino, con il progressivo declino del potere di quest’ultimo, i sovrani serbi della dinastia dei Nemanjić si resero sempre più indipendenti dal potere imperiale, sempre più in crisi specie dopo l’aggressione crociata del 1204. L’accresciuta potenza serba venne confermata nel 1346 da due importanti eventi: per prima cosa Stefano Uroš IV Dušan di Serbia patrocinò la convocazione di un concilio al quale presero parte tutti i vescovi delle diocesi del regno insieme al Patriarca di Bulgaria.

Stefan Uroš IV viene incoronato imperatore dei serbi e greci.

I prelati proclamarono l’elevazione dell’Arcivescovado di Serbia a Patriarcato. A questo punto Re Stefano si fece incoronare Imperatore ed Autocrate dei serbi e dei romani dal neo patriarca Joanakije. Con questa mossa il sovrano serbo si proclamava parigrado del Basileus di Costantinopoli manifestando in pieno l’ambizione di sostituire l’impero bizantino come potenza egemone dell’area balcanica attraverso la creazione di un grande stato ortodosso che riunisse al suo interno tutti gli slavi della regione.

Stefano morì nel 1355 lasciando il trono all’omonimo figlio Stefano Uroš V, il quale però morì nel 1371 senza lasciare eredi facendo precipitare l’impero nella guerra civile in seguito alla quale lo stato serbo venne smembrato e il sogno dell’impero slavo – ortodosso definitivamente accantonato. Le discordie dinastiche non potevano sorgere in un momento peggiore: proprio in quegli anni i turchi ottomani, guidati dall’ambizioso sultano Murad I iniziavano a dare l’assalto alle regioni balcaniche dopo avere definitivamente espulso i bizantini dall’Anatolia.

Estensione dell’Impero Serbo sotto Stefano Uros IV Dušan (1331-1355).

Nel tentativo di arrestare la marea turca si formò una coalizione fra il principato di Serbia ed il Regno di Bosnia, il cui sovrano, Stefano Tvrtko I Kotromanić, era imparentato con i sovrani serbi per parte di madre. l’alleanza, a cui va detto aderirono molti principati minori dell’area, faceva capo al principe serbo Stefano Lazzaro Hrebeljanović. Il 28 giugno 1389 gli alleati, forti di circa 25 mila uomini, affrontarono un esercito turco di 50 mila guerrieri guidati dallo stesso sultano Murad I  nella piana di Kosovo Polje, altrimenti conosciuta come la “Piana dei Merli”. Lo scontro fu feroce e causò gravi perdite da ambo le parti. Caddero sul campo anche i comandanti supremi dei due schieramenti, Stefano Lazzaro e il sultano Murad. Nonostante la perdita del loro sovrano però i turchi ebbero alla fine ragione del nemico. Per la Serbia la battaglia costituì un durissimo colpo essendo costata la vita al sovrano e a buona parte della classe dirigente.

Battaglia della Piana dei Merli, di Adam Stefanović, olio su tela, 1870.

Dopo la battaglia della Piana dei Merli il regno serbo riuscì comunque a preservare la propria indipendenza ma dovette accettare la condizione di stato vassallo dell’impero ottomano. Tale condizione di subordinazione si protrasse per settantanni sino alla definitiva annessione del regno ai domini ottomani ad opera del sultano Mehmet II, il vittorioso conquistatore di Costantinopoli. I turchi, in accordo con la tradizione islamica, consentirono  ai serbi di conservare la propria fede e rispettarono l’autonomia del Patriarcato e del clero ortodossi, che sotto l’occupazione ottomana divennero i custodi delle tradizioni, della cultura e della lingua serbe.  Fermo restando un atteggiamento di sostanziale tolleranza religiosa, i turchi pretesero dai nuovi sudditi una serie di obblighi, tra i quali, per esempio, la consegna periodica agli inviati della Sublime Porta di un certo numero di ragazzini, destinati all’addestramento militare nel corpo dei giannizzeri, pratica conosciuta col nome di “Devshirme” o “leva dei bambini”. Oltre a ciò il carico fiscale era maggiore per i sudditi non musulmani rispetto a coloro che avessero abbracciato l’Islam.

Belgrado durante la dominazione ottomana della Serbia (1459-1815)

Nel corso dei secoli, la dominazione ottomana cambiò in modo radicale la componente etnico religiosa della popolazione, in particolare proprio nel Kosovo: da un lato un certo numero di sudditi aderì alla religione musulmana, dall’altro, specie a partire dal XVII secolo vi fu una forte immigrazione di popolazione albanese di religione musulmana favorita dalle stesse autorità turche che portò i serbi del Kosovo a diventare una minoranza nella regione. Il potere ottomano perdurò in Serbia per cinque lunghissimi secoli. Agli esordi del XIX secolo il vento del nazionalismo cominciò a soffiare impetuoso anche sui Balcani ancora soggetti al decrepito impero turco. Gli ideali di indipendenza nazionale divennero realtà nel 1817 con la nascita del principato di Serbia, elevato a regno nel 1882. In quegli anni dalla fine dell’Ottocento allo scoppio della Grande Guerra si sviluppò in Serbia un’idea nazionalista che prevedeva la creazione di un grande stato che riunisse tutti gli slavi del sud in un unico regno, la “Jugoslavia”, nata nel 1918 alla fine della Grande Guerra dall’unione delle province meridionali del vecchio impero asburgico con il regno di Serbia.

Il monumento eretto a Gazimestan nel 1953 a ricordo della battaglia di Kosovo.

Negli anni convulsi tra le due guerre e in seguito durante il secondo conflitto mondiale si consumò il reciproco sbranamento tra comunità etniche, in particolare fra serbi e croati che, alla fine della guerra, lasciò la Jugoslavia ridotta ad una immensa fossa comune. Dopo il 1945 il maresciallo Tito, nuovo padrone del Paese, “anestetizzò” i vari nazionalismi in nome dell’ideologia socialista, potendo contare su un enorme prestigio personale derivante dall’avere guidato la vittoriosa lotta partigiana contro gli occupanti tedeschi e italiani durante la guerra.

Tito morì nel 1980. Dopo alcuni anni di pace gli antichi odi e rancori sopiti riemersero fatalmente. In particolare riprese slancio il nazionalismo serbo alimentato dal presidente della repubblica serba Slobodan Milosevic. Egli, il 28 giugno 1989, in occasione della commemorazione del seicentesimo anniversario della battaglia di Kosovo pronunciò un infiammato discorso a Gazimestan, dove sorge tuttora un monumento eretto nel 1953 per celebrare la battaglia.
Davanti a migliaia di sostenitori lì convenuti il leader serbo esaltò l’identità nazionale del proprio popolo, celebrando il proprio Paese come baluardo della cristianità contro l’avanzata musulmana. Come tutte le visioni propagandistiche, anche quest’ultima ha interpretato la storia in base alle proprie necessità esaltando l’episodio della battaglia della Piana dei Merli come un evento capitale della storia nazionale e il Kosovo stesso come la culla del popolo serbo.

Slobodan Milosevic tiene il suo discorso davanti ai sostenitori a Gazimestan, 28 giugno 1989.

Tra le acclamazioni dei sostenitori, Milosevic pronunciò alcune frasi che destarono particolare preoccupazione fra i rappresentati croati e sloveni presenti a Gazimestan per le celebrazioni: “Sei secoli dopo, adesso, noi veniamo nuovamente impegnati in battaglie e dobbiamo affrontare battaglie. Non sono battaglie armate benché queste non si possano ancora escludere”. Il discorso pronunciato da Milosevic, ed in particolare il passaggio citato, è stato ritenuto da alcuni commentatori una sorta di preludio delle guerre balcaniche che sarebbero scoppiate di lì a un paio d’anni. Si consumò allora nel sangue la definitiva liquidazione dell’eredità del vecchio maresciallo ben rappresentata dalla filastrocca “Sei nazioni, cinque stati, quattro lingue, tre religioni, due alfabeti, un solo Tito”.

Un pensiero riguardo “Laggiù nella Piana dei Merli

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...