Quando Roma si inchinò ai barbari

Nel VI secolo, a circa cento anni dal crollo dell’Impero Romano d’Occidente, lo storico bizantino di origine gota Giordane raccontò la leggendaria origine del popolo degli unni, che decenni prima sotto la guida del loro famigerato re Attila avevano terrorizzato l’Europa intera: egli narra di come tra i suoi antenati che stavano migrando dalla natia Scandinavia alla Crimea vi fossero alcune che streghe che il loro re ordinò di abbandonare nella steppa. Queste sciagurate si congiunsero allora ai demoni di quella terra desolata originando una stirpe di individui solo all’apparenza umani: gli Unni.

AD 0375 - Central Eastern Europe to Ural - EN.png
L’arrivo degli Unni nell’Europa Orientale provocò lo spostamento di varie tribù barbare verso Occidente. Tra i popoli in fuga dai guerrieri della steppa vi erano i Visigoti.

Al di là delle leggende più o meno fantasiose è un fatto certo che questo popolo bellicoso e feroce proveniente dalle steppe dell’Asia Centrale provocò grossi contraccolpi geopolitici quando fece la sua comparsa tra le attuali Bielorussia e Ucraina all’inizio degli anni Settanta del IV secolo. Terrorizzati, i popoli stanziati nell’Europa orientale cominciarono una disperata marcia verso Occidente andando inevitabilmente a cozzare contro il limes dell’Impero Romano. Fu così che nell’anno 376 d.C. migliaia di persone, uomini, donne, bambini e anziani si presentarono lungo il Danubio chiedendo asilo ai Romani entro i confini dell’Impero. Si trattava del popolo dei Visigoti (che noi da qui chiameremo semplicemente Goti) che si erano spostati dalle loro terre nell’attuale Moldavia per non essere annientati dagli Unni come già era  già accaduto ai loro “cugini” Ostrogoti e agli Alani.

L’Imperatore d’Oriente, Flavio Giulio Valente, decise di consentire l’ingresso entro i confini a quell’immensa massa di persone. Quella dell’Imperatore non fu una decisione insolita: da secoli infatti era normale per l’Impero accogliere al suo interno un gran numero di barbari provenienti da oltre confine. Lo stato romano aveva continuamente fame di uomini: guerre ed epidemie arrivavano a spopolare intere province sfoltendo drammaticamente i ranghi dell’esercito e riducendo drasticamente il numero dei lavoratori agricoli alle dipendenze dei ricchi latifondisti. Ecco dunque che l’impero era disponibile ad accogliere interi gruppi tribali quando necessario per poi ridistribuirli ove ce ne fosse stato bisogno. I nuovi arrivati non entravano nell’Impero ridotti in schiavitù come accadeva nei secoli precedenti bensì ricevevano lo status di coloni, ossia di liberi lavoratori agricoli alle dipendenze del proprietario del fondo su cui si sarebbero stabiliti. Tale concessione da parte delle autorità non era tanto da attribuirsi ad un accresciuto senso di umanità dovuto al diffondersi del Cristianesimo quanto piuttosto ad una considerazione molto pratica: in quanto uomini liberi, i nuovi venuti avrebbero potuto essere arruolati nell’esercito e ciò era di fondamentale importanza in un periodo in cui nell’Impero Romano sempre meno uomini erano disposti a fare il soldato.

Goth migration. The Gothic relationship with the Roman Empire was complex. After severe provocation, the Gothic people, led by Fritigern, inflicted the catastrophic defeat of Adrianople on the Romans and devastated the East in the succeeding Gothic Wars. However, after accepting land in Aquitaine under Atahaulf , the Goths became strong allies of the empire, driving the Vandals from Spain and combining with imperial forces to halt Attila’s invasion of Gaul.
I Goti, sotto la pressione degli Unni, varcarono la frontiera del Danubio entrando nell’Impero Romano.

Valente accordò così asilo politico ai Goti entro le frontiere a patto che essi si impegnassero a coltivare la terra e a fornire un certo numero di reclute per l’esercito con la prospettiva a lungo termine di farne dei cittadini romani. Nella decisione del governo imperiale giocò inoltre a favore dei Goti il fatto che essi fossero se non tutti almeno in buona parte cristiani, anche se di fede ariana, ovvero seguaci della dottrina del prete Ario di Alessandria, il quale negava la natura divina di Gesù.

Nel caso dei Goti, però, il sistema di accoglienza che aveva funzionato così bene precedentemente, si rivelò un colabrodo: tanto per cominciare i funzionari e i militari addetti a questo compito si trovarono subito in difficoltà in quanto la massa degli immigrati si rivelò enorme anche perché quando si sparse la voce che i romani avevano aperto la frontiera a migliaia di accalcarono lungo le rive del Danubio cercando di passare sull’altra riva. Tutto ciò avvenne in maniera caotica e, come è facile immaginare, molti annegarono o persero i contatti con i famigliari. Coloro che arrivarono nell’Impero vennero ammassati in grandi “campi profughi” creati per l’occasione dall’esercito romano (che svolgeva anche compiti di polizia e “protezione civile”).

Il governo stanziò fondi per sfamare i Germani accampati nella Mesia ma ben presto la sete di guadagno si impadronì degli ufficiali addetti alla distribuzione delle razioni: costoro intascarono i soldi e costrinsero i Goti a pagare per ricevere il proprio vitto: molti fra i barbari iniziarono allora a vendere tutti i propri averi e infine persino i loro stessi figli, attirando così nella zona un numero enorme di mercanti di schiavi che avevano fiutato l’affare.

L’Imperatore romano Flavio Giulio Valente (328-378) ritratto su una moneta.

La situazione, come è facile immaginare, si fece incandescente fino al punto che esplose la rivolta fra i Goti, stufi delle vessazioni dei Romani. L’insurrezione fu possibile proprio grazie a quegli ufficiali corrotti, i quali, fatto inaudito, in cambio di una mancia avevano consentito ai guerrieri barbari di portare con sè entro i confini le proprie armi! Ora quindi Roma si trovava a dover fare i conti non con una massa di rifugiati ma con migliaia di guerrieri inferociti e desiderosi di vendetta e questo mentre la maggior parte delle truppe dell’Impero d’Oriente era concentrata a 2.000 km da lì, in Siria, dove si trovava lo stesso Imperatore Valente, che con il suo stato maggiore stava pianificando una nuova guerra contro la Persia.

Dopo avere sconfitto le raccogliticce forze romane alla battaglia di Marcianopoli, i Goti imperversarono per la Tracia e la Mesia, ormai alla loro mercé, mettendole a sacco. Fu allora che moltissimi schiavi di origine gotica fuggirono dalle tenute dov’erano in cattività per unirsi ai loro connazionali, magari guidandoli poi alle ville dei padroni romani, dove il bottino era abbondante e sicuro. Dalle mura di Costantinopoli si poteva  osservare il tremendo spettacolo della campagna della Tracia devastata e puntellata qua e là di incendi.
Valente dovette rinunciare a malincuore ai suoi propositi bellicosi verso l’Impero sassanide per concentrarsi sulla minaccia gota. A marce forzate l’esercito imperiale raggiunse la Tracia nell’estate del 378. Valente, che seguitava a sottovalutare i goti, era deciso ad annientarli in una battaglia campale, nonostante i suoi generali, come il magister militum Sebastiano, propendessero per logorare i Germani con azioni di guerriglia. Bramoso di gloria, Valente scelse inoltre di scendere in campo senza aspettare l’arrivo dei rinforzi mandati da Occidente dal collega Imperatore Graziano.

Il 9 agosto 378 l’esercito romano diede così battaglia ai Goti pur essendo in inferiorità numerica (40 mila romani contro 50 mila barbari). Se avessimo potuto osservare da vicino i soldati di Valente avremmo potuto notare come le armate romane fossero molto cambiato rispetto ai primi secoli dell’impero.

Zvonimir Grbasic. Soldiers of the late Roman army. #romanempire #roman #empire #notes
Soldati romani di epoca tardo-imperiale. L’armamento e le tattiche si erano progressivamente “imbarbarite”

Scordiamoci dunque il legionario romano, piccolo e moro, armato di gladio (la spada corta) e di pilum (il giavellotto), con la sua tipica corazza a piastre e il grande scudo rettangolare che abbiamo visto in tanti film ambientati nell’Antica Roma. Anche la composizione etnica dell’esercito era mutata: a partire dal III secolo, infatti, sempre meno cittadini  erano ormai disposti ad arruolarsi il che aveva spinto Roma ad estendere massicciamente il reclutamento fra i germani, gente bellicosa che allo scopo era accolta nell’impero come avvenne nel caso in questione per i goti. L’esercito andò così “imbarbarendosi”: le reclute germaniche mal si adattavano alla disciplina e alle tecniche di combattimento delle legioni, preferendo l’uso delle proprie armi. Fu allora che il  gladio fu sostituito dalla più lunga spatha, il pilum fu accantonato e fecero la loro comparsa grandi scudi ovali che rimpiazzarono quelli rettangolari. Anche le tattiche si fecero sempre più “barbare”: mentre prima le legioni erano addestrate a compiere complesse manovre tattiche sul campo di battaglia, da quel periodo iniziò a prevalere l’utilizzo dell’attacco in massa, facendo sempre più affidamento sul valore del singolo combattente e sulla forza d’urto. Si trattava quindi indubbiamente di un esercito meno solido di quello dei secoli precedenti e meno motivato, il che già potrebbe spiegare in parte la disfatta a cui andò incontro ad Adrianopoli.

Dal canto loro i goti, al sopraggiungere dell’esercito romano si rifugiarono nel loro accampamento fortificato, il “laager”. La battaglia cominciò quasi per caso, quando, nel corso di una trattative, gli uomini di scorta all’ambasciatore di Valente aggredirono i goti, provocandone la sortita.

THE BATTLE OF ADRIANOPLE 378 AD
Schema della battaglia di Adrianopoli, combattuta il 9 agosto 378.

Nonostante inizialmente i romani sembrarono in grado di contenere l’urto della fanteria gota, l’intervento della cavalleria germanica si rivelò fatale: i barbari sfondarono il fianco destro dello schieramento imperiale, annientando la fanteria romana dopo averla circondata. Le forze di Valente andarono così incontro a una sconfitta catastrofica: caddero 25 mila soldati imperiali mentre l’esercito venne praticamente azzerato nei suoi vertici: persero la vita anche due generali, trentacinque tribuni oltre alla maggior parte dei comandanti di coorte. Lo stesso Valente, ferito nello scontro, cercò scampo in un casolare ma, raggiunto dai goti, perì ingloriosamente nell’incendio appiccato dai barbari all’edificio.

Morto Valente fu chiamato a succedergli un generale spagnolo che in quel momento si trovava nella sua tenuta essendo stato posto in prepensionamento dopo che il padre era caduto in disgrazia: Flavio Teodosio.

Con metodi draconiani il nuovo imperatore reclutò un nuovo esercito con il quale riuscì infine ad avere ragione dei goti nel 382. I barbari furono a quel punto stanziati lungo il Danubio, con l’accordo di fornire contingenti per la difesa del confine contro le incursioni di altre popolazioni barbare.

Guerrieri goti alla battaglia di Adrianopoli. 

Nonostante il successo di Teodosio, Adrianopoli mostrò come il sistema di accoglienza e integrazione dei barbari all’interno dell’impero fosse ormai divenuto inefficiente: dopo di allora le autorità imperiali cominciarono a tessere accordi sempre più accomodanti con le popolazioni che premevano per entrare nell’impero, che non furono più accolte come “dediticii”, ossia soggetti che volontariamente si sottomettevano all’autorità imperiale, bensì come “foederati”, ovvero come alleati, ricevendo terre in cui insediarsi in cambio della garanzia di fornire supporto militare all’impero. Inutile dire che lo status di foederati era molto più favorevole di quello di dediticii. Nel corso degli ultimi decenni dell’Impero l’esercito divenne sempre più dipendente dai mercenari barbari tra i quali si affermarono generali che, forti dell’appoggio di truppe maggiormente fedeli a loro che all’imperatore, poterono ricattare il governo, indebolendone l’autorità. Tuttavia, mentre la parte orientale dell’impero, più ricca e organizzata, riuscì ad arrestare questo processo anche deviando le nuove invasioni verso ovest, la parte occidentale dell’Impero ne fu travolta: cento anni dopo Adrianopoli, nel 476, il barbaro Odoacre deponeva l’imperatore bambino Romolo Augustolo, ponendo ufficialmente fine al potere romano in Occidente.

Bibliografia

  • Alessandro Barbero, 9 agosto 378. Il giorno dei barbari
  • Alessandro Barbero, Barbari. Immigrati, profughi, deportati nell’impero romano

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