La travagliata storia del continente europeo è stata scandita dal succedersi quasi ininterrotto di conflitti grandi e piccoli. Tra queste guerre ve ne sono stati alcune la cui portata in termini di numero degli attori coinvolti e di conseguenze immediate e remote è stata tale che i teorici delle relazioni internazionali si riferiscono a questi conflitti con il termine di “guerre costituenti” dello stesso sistema internazionale. Nel novero di questi conflitti rientra senza ombra di dubbio la Guerra dei Trent’anni, che per una generazione intera, dal 1618 al 1648, insanguinò l’Europa ed in modo particolare la Germania.
Le cause della guerra sono da ricercarsi all’interno del Sacro Romano Impero, lacerato al suo interno dal pluridecennale braccio di ferro tra cattolici e protestanti risalenti all’inizio della Riforma luterana. Il sostanziale fallimento dell’Imperatore Carlo V d’Asburgo di ricondurre all’obbedienza i principi tedeschi sostenitori della Riforma portò il 25 settembre 1555 alla firma della Pace di Augusta che sanciva ufficialmente la divisione religiosa della Germania secondo il principio “cuius regio eius religio” (Di chi la regione, di lui la religione). In altre parole ogni principe sarebbe stato libero di aderire al credo cattolico o riformato mentre i sudditi avrebbero dovuto adeguarsi oppure emigrare altrove.

Dal canto suo, con la fine del Concilio di Trento (1545-1563), la Chiesa Cattolica dava il via ad una vasta opera missionaria in Germania con l’obbiettivo di riconquistare le anime di quei milioni di tedeschi che avevano abbracciato il credo riformato. Protagonisti di questa campagna di riconversione furono i chierici della Compagnia di Gesù, ordine fondato da Sant’Ignazio di Loyola nel 1540, i quali si preoccuparono in particolare dell’educazione e dell’assistenza spirituale dei rampolli dell’aristocrazia germanica.
In quegli stessi anni si assisteva all’insorgere di nuove tensioni nei regni di Boemia e Ungheria, possedimenti della dinastia cattolica degli Asburgo, causate dal diffondersi della dottrina calvinista, un credo protestante non contemplato dalla Pace di Augusta del 1555. Il successore di Carlo V, Ferdinando I (1556-1564), asceso al trono imperiale dopo l’abdicazione del fratello maggiore, aveva onorato gli accordi con i protestanti e così avevano fatto anche i suoi discendenti, Massimiliano II (1564-1576) e Rodolfo II (1576-1612). Quest’ultimo nel 1609 emanò le Lettere di Maestà con cui concesse piena libertà di culto ai sudditi boemi di religione protestante, i quali ormai costituivano la maggioranza della popolazione di quel regno. La mossa di Rodolfo, tesa a smorzare i toni dello scontro tra cattolici e protestanti, non aveva comunque impedito la formazione all’interno dell’Impero di leghe fra principi e città accomunate dalla medesima confessione religiosa. I protestanti si allearono dunque nell’Unione Evangelica, con a capo il principe calvinista del Palatinato Federico IV, a cui si contrapponeva la Lega Cattolica guidata dal Duca di Baviera Massimiliano di Wittelsbach.
Nel 1612, alla morte di Rodolfo II, la situazione cominciò a peggiorare con l’ascesa al trono di Mattia, fratello minore del defunto sovrano, il quale revocò le concessioni fatte da Rodolfo. Altro motivo di preoccupazione per i protestanti boemi era costituito dal fatto che un giorno non lontano a Mattia, ormai anziano e privo di eredi diretti, sarebbe succeduto il cugino Ferdinando, un cattolico zelante educato dai Gesuiti. Fu così che quando Mattia ordinò la repressione del culto calvinista la rivolta esplose in tutta la Boemia.

Il 23 maggio 1618 i protestanti praghesi assalirono il castello reale di Praga gettando dalla finestre i rappresentanti del governo asburgico. L’anno successivo Mattia morì e i magnati boemi rifiutarono di riconoscerne il successore Ferdinando II come loro nuovo Re, offrendo invece la corona al calvinista Federico V del Palatinato. I fatti che seguirono la Defenestrazione di Praga vengono tradizionalmente considerati come causa immediata dello scoppio della Guerra dei Trent’anni.
Ferdinando II reagì all’affronto arrecatogli dai boemi reclutando un esercito. L’armata catto-imperiale, al comando dell’esperto generale Johann Tserclaes, conte di Tilly, rafforzata dai tercios, i temuti reggimenti di fanteria spagnoli, affrontò le forze boeme ribelli l’8 novembre 1620 infliggendo loro una dolorosa sconfitta alla battaglia della Montagna Bianca. La Boemia tornò così sotto lo scettro degli Asburgo, che ne sarebbero rimasti padroni sino al 1918, venendo nel contempo sottoposta ad una zelante azione di riconversione della sua popolazione al cattolicesimo romano. Ferdinando ordinò poi l’occupazione del Palatinato, costringendo all’esilio Federico V.

Le vittorie imperiali misero in allarme le nazioni protestanti come la Danimarca e le Province Unite, queste ultime da oltre cinquant’anni in lotta con la Spagna per la propria indipendenza. Il sovrano danese Cristiano IV nel 1625 scese ufficialmente in campo invadendo con il suo esercito la Germania del Nord per dar man forte ai protestanti tedeschi. Le ambizioni del sovrano danese, che sperava di annettere al suo regno le città di Brema e Amburgo, furono frustrate dal Conte di Tilly e dal generale boemo Albrecht von Wallenstein, che inflissero a Cristiano IV una serie di rovinose disfatte fino a costringere la Danimarca a ritirarsi dalla guerra sottoscrivendo la Pace di Lubecca, siglata 22 maggio 1629. nello stesso anno, forte dei successi conseguiti sul campo, Ferdinando emanava l’Editto di Restituzione, con il quale intimava ai principi protestanti la restituzione dei beni ecclesiastici secolarizzati prima del 1552. Si trattava di un atto emanato senza il consenso della Dieta imperiale che calpestava i diritti dei protestanti garantiti dalla stessa pace di Augusta del 1555. Tuttavia la partita fu riaperta di lì a poco dall’intervento dell’esercito svedese, che nel luglio del 1630 sbarcò sulle coste della Pomerania al comando del suo Re Gustavo II Adolfo.
Gustavo Adolfo va senza dubbio annoverato tra i maggiori comandanti militari della Storia, del quale due secoli dopo tesserà le lodi anche Napoleone Bonaparte.
dipinto di J. Walter , 1632.
Il sovrano riorganizzò profondamente l’esercito, trasformandolo in una formidabile macchina da guerra che consentirà alla Svezia di conseguire in quegli anni l’assoluta egemonia sull’area baltica. In un’epoca in cui gli eserciti erano ancora in gran parte composti da mercenari stranieri, sovente violenti e indisciplinati, Re Gustavo introdusse in Svezia un sistema di reclutamento basato sulla coscrizione obbligatoria dando vita ad un esercito professionale. I soldati svedesi si contraddistinguevano per la notevole disciplina a cui erano sottoposti e per la grande capacità di manovra, risultato di un addestramento intensivo.
Gustavo Adolfo innovò profondamente le tattiche militari, diminuendo il numero dei picchieri e aumentando nel contempo quello dei moschettieri che furono equipaggiati di armi più leggere e facili da ricaricare, aumentando così la potenza di fuoco delle brigate di fanteria svedesi.

Nello stesso tempo il sovrano ridusse a tre il numero di calibri per l’artiglieria, per fruire con maggior facilità di munizioni, e disponendo così di bocche da fuoco d’assedio, con proiettili a palla, da campagna e reggimentali, che sparavano a mitraglia o a grappolo. Infine il condottiero scandinavo abbandonò la tattica del “caracollo”, addestrando la sua cavalleria a caricare al galoppo gli avversari facendo uso della sciabola durante la carica e poi delle pistole durante la mischia.
Una volta congiuntisi agli alleati sassoni, il 17 settembre 1631 gli svedesi sconfissero a Breitenfeld le armate imperiali comandate dal Conte di Tilly, aprendosi la strada verso il cuore della Germania. Costantemente all’offensiva, gli svedesi trionfarono ancora nella battaglia di Lützen (16 novembre 1632) ma nel corso dello scontro Gustavo Adolfo, che era solito battersi alla testa delle proprie truppe, venne disarcionato e ucciso nel pieno della mischia. La guida dello Stato fu assunta al potente Cancelliere Axel Oxenstierna, il quale assunse la reggenza per conto dell’erede minorenne del defunto sovrano, la principessa Cristina. Nel frattempo però l’armata svedese, privata del suo capace e carismatico condottiero, venne sconfitta a Nördlingen (6 settembre 1634), segnando l’uscita di scena della Svezia dal conflitto.

Ferdinando II, forte dei successi sul campo, poté così imporre ai principi protestanti la firma della Pace di Praga del 30 maggio 1635, la quale mirava a chiudere finalmente una fase di lotte politiche e religiose interne alla compagine imperiale che duravano ben diciassette anni. L’accordo fu tuttavia aspramente criticato dai cattolici a causa della mancata restituzione dei beni ecclesiastici secolarizzati dai protestanti. Questi ultimi dal canto loro lamentarono la mancata libertà religiosa concessa agli stati sotto il controllo asburgico. Nel frattempo la Lega Cattolica aveva perso i suoi migliori comandanti: il Conte di Tilly era spirato il 30 aprile 1632, colpito da una palla di cannone mentre nel 1634 Wallenstein restava vittima di una congiura il cui mandante era probabilmente lo stesso Imperatore, col quale il generale era da tempo entrato in rotta di collisione.
Dopo la pace di Praga a risollevare le sorti della causa protestante ci pensò l’intervento nel conflitto della Francia, allora guidata dal potentissimo Cardinale Richelieu, Primo Ministro di Luigi XIII. L’entrata in guerra del regno d’Oltralpe, potenza tradizionalmente cattolica, mostrava come a quel punto del conflitto le motivazioni squisitamente religiose erano ormai state affiancate se non del tutto sostituite da ben più concrete ambizioni di dominio delle principali potenze europee.
Richelieu, il quale sul fronte interno aveva condotto una spietata persecuzione dei protestanti francesi, gli ugonotti, convinse il suo sovrano a schierarsi a fianco delle potenze riformate come Svezia e principati tedeschi dimostrando tutta la sua sagacia politica e diplomatica. Per la Francia era infatti di vitale importanza evitare il ripetersi di una situazione simile a quella verificatasi ai tempi di Carlo V, contrastando a qualunque costo l’affermazione dell’egemonia degli Asburgo austriaci e spagnoli, che avrebbe finito per chiudere il regno transalpino in una morsa.

L’intervento francese contro la coalizione ispano-imperiale mutò gli equilibri bellici, che iniziarono a rivelarsi sfavorevoli per gli Asburgo. Il 19 maggio 1643 I 27 mila soldati del governatore spagnolo delle Fiandre Francisco de Melo subirono una sconfitta decisiva a Rocroi, nelle Ardenne, ad opera dei 24 mila francesi comandati da Luigi II di Borbone-Enghien, Principe di Condè e Maresciallo di Francia.
La sconfitta della coalizione ispano-imperiale, unita alla generale stanchezza dei belligeranti per un conflitto che si trascinava ormai interrottamente da tre decenni convinsero l’Imperatore Ferdinando III a intavolare trattative di pace. L’Europa usciva dal conflitto letteralmente devastata. Particolarmente gravi erano le condizioni della Germania, che, ridotta a campo di battaglia tra gli eserciti contrapposti, subì un vero e proprio tracollo demografico: si calcola che a causa delle violenze perpetrate dagli eserciti, delle carestie e delle epidemie, nel corso del conflitto perì circa un terzo della popolazione urbana e addirittura la metà di quella delle campagne!

La Guerra dei Trent’Anni terminò ufficialmente nel 1648 con la firma dei trattati di Münster e di Osnabrück, noti collettivamente come Pace di Vestfalia. A coronamento di ottant’anni di lotte, le Province Unite videro riconosciuta una volta per tutte la propria indipendenza dalla Spagna. Libera dal dominio straniero, la piccola Repubblica si avviò a diventare la maggiore potenza economica e commerciale d’Europa. Altra vincitrice del conflitto fu la Svezia, che annettè i territori costieri della Pomerania, vedendosi inoltre riconosciuta l’egemonia sulla regione baltica, che conserverà sino all’affermazione della potenza russa all’inizio del XVIII secolo.
Il conflitto tra Francia e Spagna si prolungherà invece per un altro decennio. La Spagna avrebbe ceduto soltanto nel 1660, anno in cui Filippo IV d’Asburgo acconsentì alla firma della Pace dei Pirenei. Questo trattato sanciva il definitivo tramonto dell’egemonia spagnola in Europa a favore di quella francese. In quell’occasione fu inoltre stabilita l’unione delle due Corone attraverso il matrimonio della principessa spagnola Maria Teresa con il giovane sovrano di Francia Luigi XIV, il futuro Re Sole.
Per quanto riguarda l’area germanica, la sconfitta degli Asburgo sanzionò in modo irrevocabile il loro fallimento tanto di dare alla compagine imperiale una qualche coesione quanto di ricondurre al cattolicesimo le regioni tedesche che avevano abbracciato la Riforma. Più in generale con la Guerra dei Trent’anni si chiuse definitivamente la sanguinosa stagione delle guerre di religione in Europa. Da questo momento i due blocchi, cattolico e protestante, rinunciarono definitivamente l’uno a convertire o a riconvertire l’altro.

Infine, la pace di Vestfalia affermò il principio, tuttora valido, secondo il quale ogni stato si proclama indipendente e sovrano e non riconosce alcuna fonte di autorità al di sopra di sé. L’Impero, pur continuando ad esistere, si ridusse così ad una finzione giuridica. Questo principio della convivenza internazionale è tuttora alla base dell’attuale sistema degli Stati, al punto che ancora ai giorni nostri lo si definisce “sistema internazionale vestfaliano”.