La guerra bianca

La montagna è per definizione un ambiente duro e difficile, a tratti ostile, con i suoi sentieri impervi e il suo clima mutevole e insidioso per l’uomo. La vita alle quote più alte non è mai stata facile e solo un ottimo adattamento ha consentito alle comunità locali di sopravvivere in un simile ambiente.

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Le Tre Cime di Lavaredo. Durante la Grande Guerra furono teatro di scontri tra l’esercito italiano e quello austroungarico.

L’uomo però, nel corso della sua storia, si è trovato anche a dover combattere sui monti, con tutte le difficoltà che presenta la montagna per gli spostamenti che si fanno più lenti, rallentando l’afflusso dei rifornimenti e i collegamenti tra le varie unità dislocate in questo teatro operativo. Nonostante i disagi, però, il controllo delle catene montuose, che spesso costituiscono la frontiera fra due stati, garantisce a qualunque esercito un importante vantaggio strategico nella conduzione delle operazioni militari: l’asprezza dell’ambiente montano rallenta l’esercito attaccante, favorendo quindi l’azione dei difensori, che possono sfruttare a loro vantaggio il territorio per azioni a sorpresa, colpi di mano e azioni di guerriglia.

Per questi motivi la montagna è stata fin dall’Antichità un campo di battaglia, a volte facendo da sfondo a imprese che hanno assunto una dimensione epica grazie alla letteratura. È questo il caso della famosa ritirata dei Diecimila, un esercito di mercenari greci protagonisti di una vera odissea tra i monti dell’Armenia raccontata nella sua “Anabasi” dall’ateniese Senofonte che fu tra i protagonisti di quella marcia. Grande fama assunsero, alcuni decenni dopo, le campagne condotte da Alessandro Magno negli attuali Afghanistan e Pakistan, che portarono il condottiero macedone fino ai confini con l’India.

Tuttavia solo tra seconda metà del XIX e l’inizio del XX secolo si assiste alla creazione di truppe da montagna vere e proprie, concepite per operare in quel particolare teatro. La particolarità dell’impiego richiedeva un equipaggiamento e un addestramento specifici per i soldati di questi reparti che erano inoltre generalmente reclutati tra gli abitanti delle zone montane in virtù dell’abitudine alla vita in quota.

Militari austroungarici difendono una posizione facendo fuoco con una mitragliatrice Schwarzlose.

Così, seguendo questi criteri, nel 1872 basandosi su un’dea del capitano di stato maggiore Giuseppe Perrucchetti, il Regio Esercito istituì gli Alpini, primo corpo di truppe pensate per essere impiegate nel difficile ambiente montano. Seguendo l’esempio italiano, nei decenni successivi anche altre potenze dotate di frontiere montane addestrarono truppe da montagna. I primi furono i francesi, nel 1878, che crearono il corpo degli “Chasseurs Alpins”, i Cacciatori Alpini. Tali reparti nascevano allo scopo di contrastare le forze alpine italiane in un periodo in cui i rapporti tra noi e i nostri vicini d’Oltralpe non erano particolarmente cordiali. Poi, nel 1906, anche nel Tirolo austriaco vennero create vere e proprie truppe da montagna dotando di specifico equipaggiamento i locali reggimenti di Landwehr (la milizia territoriale) e di Lanschützen. Tra le grandi potenze, l’ultima a dotarsi di truppe da montagna fu la Germania che nel fatale 1914 istituì gli Alpenjäger.

Con lo scoppio della Grande Guerra le truppe da montagna furono chiamate a mettere a frutto sui campi di battaglia quanto appreso nel corso dei duri addestramenti del periodo di pace. Gli Alpini italiani furono risparmiati fino al 24 maggio 1915, quando il Governo italiano, rotti gli indugi, decise di buttarsi nella sanguinosa mischia aprendo un nuovo fronte con l’Austria – Ungheria, sua alleata fino all’anno precedente.

Italian Alpini
Il trasporto dei materiali e dell’artiglieria in quota richiese enormi sacrifici agli uomini di entrambi gli schieramenti.

L’ingresso in guerra dell’Italia significò l’apertura di un nuovo fronte della lunghezza complessiva di 655 km che andava dal Passo dello Stelvio alla pianura dell’Isonzo, passando per l’Altopiano di Asiago, le Dolomiti e il terribile altopiano carsico. Anche  se magari è ignota ai più, la storia della “Guerra Bianca”, ossia dello scontro tra le truppe da montagna italiane e austriache  per il controllo delle cime alpine, è costellata di episodi di eroismo e di tenacia dell’uomo nella lotta contro gli elementi di una natura impervia ed ostile.

Tanto i soldati italiani quanto quelli austriaci si trovarono infatti a combattere su uno dei fronti più duri dal punto di vista ambientale, caratterizzato da  condizioni climatiche al limite del proibitivo. Le avversità del clima e dell’ambiente montano si rivelarono in effetti degli avversari ancor più spietati e crudeli di quanto non lo fosse il nemico in divisa: slavine, valanghe, frane e tempeste di neve costituivano una minaccia costante e continua al punto che la maggior parte dei caduti di questa guerra per le cime sono da attribuirsi a cause naturali più che ai proiettili o alle bombe.

Il problema maggiore per i militari di entrambi gli schieramenti fu il trasporto di tutti i materiali necessari alla guerra in quota, dai viveri al combustibile per riscaldarsi, dalle munizioni fino ai pesanti pezzi di artiglieria utilizzati per martellare le postazioni nemiche. Per far sì che giungessero in quota fu necessario smontarli e poi assemblarli nuovamente una volta giunti in quota. Il loro trasporto fu possibile solo grazie all’abnegazione di uomini e muli che, a spalla, compirono questa missione a prezzo di sudore e di sangue: Spesso infatti le lunghe carovane furono prese di mira dai colpi dell’artiglieria avversaria senza contare le insidie costituite da burroni e crepacci.

Sepolto sotto la neve - La Grande GuerraCani da soccorso alpino dell'esercito italiano (Archivio Corbis)
Cani da soccorso alpino dell’esercito italiano. Il loro aiuto si rivelò prezioso ai “commilitoni” umani.

Accanto ai muli, per il trasposto di vettovaglie e materiale più leggero, si fece ricorso anche ai cani, più piccoli e veloci.

Per poter compiere attacchi in un paesaggio innevato era ovviamente assurdo pensare di utilizzare le divise grigioverdi normalmente in dotazione all’esercito italiano. Fecero allora la loro comparsa nuove uniformi completamente bianche, che  aiutavano gli uomini a mimetizzarsi nel paesaggio innevato. Sulle divise, che facevano sembrare gli Alpini un esercito di fantasmi, si abbatté la tragica ironia delle truppe tra le quali circolava una filastrocca “Il General Cadorna le inventa tutte quante/ ci manderà all’assalto/ in camicia ed in mutande”. Accanto al vestiario, per potersi spostare agilmente, furono forniti ai soldati, oltre alle tradizionali racchette da neve (le “ciaspole”), anche i nuovissimi sci (allora chiamati “ski”). Lo sport dello sci era noto alle popolazioni scandinave già nel Medioevo ma solo sul finire del XIX secolo si diffuse nel resto del continente. Inizialmente però, come spesso accade per le novità, i nostri comandi non intuirono l’utilità di questi strumenti che vennero snobbati. Le cose cambiarono solo con lo scoppio della guerra quando furono rivalutati e si decise di organizzare dei “battaglioni sciatori” composti esclusivamente di volontari. Fu così che, sci ai piedi, gli Alpini ebbero la mobilità e la velocità necessaria per colpire anche in quota o sui ghiacciai.

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Alpini skiatori in marcia sulle piste innevate.

A oltre cento anni di distanza dai fatti la memoria della Guerra Bianca viene mantenuta viva nei luoghi in cui essa fu combattuta. Sulle Dolomiti sono stati aperti percorsi per gli escursionisti e musei, come per esempio sulla Marmolada, nei quei sono custoditi i cimeli dell’epoca, che nei decenni sono stati restituiti dalla montagna, ed in particolare negli ultimi anni, nei quali è stato evidente il ritiro dei ghiacciai. Sono emersi dal ghiaccio persino resti umani e carcasse di mulo. Occorre comunque tenere presente che un’escursione va compiuta con cautela in quanto sui territori che furono teatro degli scontri è stata riscontrata la presenza di ordigni inesplosi.

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