La guerra di Corea

Oggigiorno la penisola coreana è al centro dell’attenzione internazionale a causa delle “intemperanze” nucleari del dittatore nordcoreano Kim Jong-un, il quale in passato ha più volte minacciato di colpire gli Stati Uniti con un attacco missilistico. Da parte sua l’amministrazione americana considera la Corea del nord uno “stato canaglia” e ha varato a più riprese sanzioni volte ad impedirle l’acquisizione di un arsenale atomico.

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La situazione attuale della penisola coreana.

Come si può ben intuire questa situazione rende il confine tra la Corea del Nord e la Corea del Sud una delle frontiere più calde della Terra. La Corea risulta infatti divisa da settant’anni in due stati gemelli fra loro rivali, uno comunista a nord e uno capitalista a sud, ciascuno dei quali rivendica la sovranità sull’intera penisola. La situazione va avanti dal 1953, anno in cui si concluse una sanguinosissima guerra durata tre anni che vide le Nazioni Unite, Usa in testa, impegnate nel tentativo di impedire al regime nordcoreano di Kim Il-sung, nonno dell’attuale leader, di unificare con le armi la penisola sotto il proprio controllo.

Questo stato di cose è il risultato delle vicende drammatiche che hanno travagliato l’esistenza del popolo coreano nei passati decenni. Regno indipendente che per secoli aveva tenuto testa all’imperialismo cinese, nel 1905 la Corea fu inglobata nella sfera di influenza nipponica dopo che l’Impero del Sol Levante uscì vincitore dal conflitto contro la Russia zarista del 1904-05. Alcuni anni dopo, nel 1910, il governo di Tokyo annesse definitivamente la penisola coreana, di cui avrebbe conservato il controllo per i successivi trentacinque anni. Nell’agosto del 1945, mentre l’agonizzante Giappone era ormai sull’orlo di una catastrofica sconfitta, le truppe sovietiche dilagarono in Corea, attestandosi sulla linea del 38° parallelo, lasciando che le forze americane occupassero il territorio a sud di questo. Tale divisione risaliva agli accordi di Yalta, in base ai quali le potenze alleate avrebbero dovuto istituire un’amministrazione fiduciaria che preparasse l’indipendenza di una Corea unita.

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Alla conferenza di Yalta si stabilì la creazione di un’amministrazione fiduciaria che avrebbe preparato l’indipendenza di una Corea unita.

Dopo la resa del Giappone, il 2 settembre 1945, nel sud si costituì un governo militare americano guidato dal generale John Hodge. Pochi mesi dopo, nel corso di un incontro tenutosi a Mosca, i Ministri degli Esteri alleati concordarono per la creazione di una commissione sovietico-statunitense che avrebbe gettato le basi per l’istituzione di un’amministrazione fiduciaria quinquennale alla scadenza della quale sarebbero state convocate elezioni generali per permettere all’intero popolo coreano di scegliere il proprio governo.

I negoziati della commissione congiunta si impantanarono tuttavia già nei primi mesi del 1946. Il progetto dell’amministrazione fiduciaria per la Corea raccolse il consenso del solo partito comunista locale, mentre i gruppi di destra chiedevano l’immediata indipendenza del proprio Paese. Forte di questa situazione, la delegazione sovietica sostenne che solo quei partiti che sostenevano il progetto di amministrazione potessero essere ammessi alle elezioni, incontrando l’ovvio rifiuto statunitense in quanto l’accettazione di una simile proposta avrebbe implicato che solo i comunisti avrebbero potuto essere eleggibili.

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Kim Il-sung (a destra) leader della Repubblica Democratica Popolare di Corea.

Mentre i lavori della Commissione languivano, finendo per essere aggiornati sine die l’8 maggio 1946, le autorità militari sovietiche iniziarono a trasferire il potere ai comunisti coreani, guidati dal trentatreenne veterano dell’Armata Rossa Kim Il-sung. Contemporaneamente Truman sottopose il problema coreano alle Nazioni Unite che deliberarono a favore della convocazione di elezioni per la creazione di un governo per l’intera penisola. Il Cremlino si oppose al progetto e così pure Kim Il-sung, il quale impedì che le elezioni avessero luogo a nord del 38° parallelo. Le consultazioni, fissate per il 10 maggio 1948, poterono dunque tenersi soltanto nel Sud dove furono ad ogni modo boicottate dai comunisti locali, il che determinò la vittoria schiacciante del leader di centro-destra Syngman Ree, il quale il 15 agosto proclamò la nascita della Repubblica di Corea. Kim Il-sung non fu da meno e il 9 settembre successivo annunciò la fondazione della Repubblica Democratica Popolare di Corea. Si consumava così la divisione della Corea in due regimi tra loro antagonisti e ferocemente determinati a perseguire l’obbiettivo della riunificazione anche attraverso l’uso della forza.

Soldati delle forze di sicurezza sudcoreane esibiscono un macabro trofeo: la testa mozzata di un guerrigliero comunista.

Dopo la definitiva divisione della Corea le forze americane e quelle sovietiche iniziarono a sgomberare la penisola. In particolare l’Armata Rossa ritirandosi si lasciò alle spalle enormi depositi di materiale militare, aerei, carri armati e artiglieria destinati a sostenere le forze nordcoreane. L’instabilità crebbe rapidamente a causa delle tensioni tra i governi coreani, i quali non facevano mistero della propria volontà di riunificare l’intera penisola.

Pyongyang godeva di un’indiscussa superiorità militare mentre il regime di Seul dopo il ritiro delle forze americane si trovava in una situazione di palese isolamento diplomatico e di profonda debolezza militare. Il regime di Syngman Ree era inoltre scosso dalla violenta guerriglia messa in atto dalle migliaia di partigiani comunisti infiltrati dal nord.

Convinto di poter avere ragione del proprio rivale meridionale, Kim tra la fine del 1949 e l’inizio del 1950 si recò a Mosca per discutere con Stalin del suo piano di attacco al sud, ottenendo l’assenso del leader del Cremlino. Successivamente il leader nordcoreano prese contatti anche con il presidente della Repubblica Popolare Cinese Mao Zedong, che a sua volta avallò i propositi bellicosi del dittatore coreano, il quale, con la benedizione dei due maggiori leader del comunismo mondiale si preparò all’invasione.

Thoughts of Hyungjk
Soldati nordcoreani nel corso delle prime fasi dell’offensiva iniziata il 25 giugno 1950.

Fu così che alle 4 del mattino del 25 giugno 1950 l’Armata Popolare della Corea del Nord dava inizio alle ostilità invadendo la Corea del Sud. Soltanto alle 11 del mattino del 25 giugno, sette ore dopo l’inizio delle ostilità, giunse la formale dichiarazione di guerra nordcoreana, prendendo a pretesto un presunto sconfinamento degli avversari nel settore di Henju, una città nordcoreana situata presso il confine.

In poche ore circa 90 mila soldati di fanteria, appoggiati da 150 carri armati e da oltre 100 aerei da combattimento oltrepassarono il confine in undici punti diversi dilagando verso meridione. L’attacco colse completamente alla sprovvista i sudcoreani. Mentre il presidente sudcoreano Syngman Rhee rivolgeva a Washington pressanti richieste di aiuto, il suo esercito si ritirava precipitosamente in disordine di fronte agli invasori. Le truppe sudcoreane erano del resto inferiori di numero rispetto al nemico ed impossibilitate a reagire adeguatamente all’aggressione in quanto equipaggiate soltanto con armamento leggero.

L-File, Wars & Events, Korea. “Destination Korea”AD “Skyraiders” and F4U “Corsairs” of USS Antietam’s air group fly in close formation as they proceed to their assigned targets in Korea. F9F Jet “Panthers”, flying high above the bombers, form a protective cover from enemy fighters. The group will split up into smaller striking units once over the target area, and begin their attack on the communist key points, photographed circa 1952. US Navy photograph in the collection of Naval History
Ancora prima dell’intervento delle forze terrestri, bombardieri americani iniziarono a martellare gli obbiettivi nordcoreani.

Truman infatti si era rifiutato di fornire a Rhee armi pesanti come carri armati, pezzi d’artiglieria o aerei da guerra nel timore che il proprio partner coreano intendesse utilizzarli per un’invasione armata del vicino settentrionale.

Dopo che i nordcoreani ebbero ignorato una prima  risoluzione delle Nazioni Unite che intimava loro il ritiro e il ripristino dello status quo, il giorno successivo Harry Truman convocò d’urgenza una sessione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU allo scopo di affrontare la crisi in corso. Sfruttando l’assenza del delegato sovietico Jakov Malik, che stava boicottando gli incontri da gennaio per protesta contro l’esclusione della Cina comunista dall’organizzazione, il Consiglio di Sicurezza approvò una nuova risoluzione fortemente sponsorizzata dagli Stati Uniti con la quale si invitavano tutti i Paesi dell’ONU a fare fronte comune per assistere la Corea del Sud per respingere l’attacco in corso.

Il 28 giugno, mentre Seul capitolava di fronte all’assalto nemico, il presidente americano, inizialmente titubante sull’invio di forze americane in Corea, cedette alle pressioni del generale Douglas MacArthur, “proconsole” statunitense che dal 1945 governava il Giappone occupato dagli Alleati. Fu così che dal vicino arcipelago nipponico i B-29 americani iniziarono a levarsi in volo per colpire obbiettivi nordcoreani. Tuttavia nelle prime settimane di guerra le forze statunitensi si dimostrarono incapaci di arginare efficacemente l’avanzata nordcoreana.

한국전쟁(Korean War) 컬러 기록사진 모음 No.7 : 네이버 블로그
Cannoni semoventi M40 da 155 mm forniscono supporto d’artiglieria alle forze ONU nelle prime fasi della guerra di Corea.

Intanto Truman iniziò a esercitare pressioni a livello diplomatico sui Paesi membri delle Nazioni Unite affinché si unissero allo sforzo americano nella lotta anticomunista. Il risultato sarà che nel giro di pochi mesi una ventina di Stati si unì a USA e Corea del Sud. Di questi i contingenti più numerosi furono messi in campo da Regno Unito, Canada e Australia. Seppur in misura minore, inviarono uomini e mezzi anche Francia, Etiopia, Turchia, Filippine, Belgio, Lussemburgo, Grecia, Paesi Bassi, Sudafrica, Nuova Zelanda, Colombia e Thailandia. Il Giappone fornì supporto navale mentre l’India e i Paesi scandinavi pur non inviando truppe combattenti fornirono aiuti sanitari e personale medico. Persino l’Italia, pur non essendo membro dell’ONU (entrerà nel 1955) mise a disposizione un ospedale da campo.

In considerazione del fatto che gli Stati Uniti ebbero fornito il contingente più numeroso (la metà delle forze di terra oltre all’86% di quelle navali e il 93% di quelle aeree), il presidente americano Truman ebbe facoltà di nominare il comandante in capo delle truppe ONU.

A close up of General MacArthur allowing a better view of his specially designed and heavily decorated military cap.
Douglas MacArthur (1880-1964) Governatore del Giappone e comandante supremo delle forze ONU in Corea.

La scelta, per la verità abbastanza scontata, ricadde sul generale MacArthur, il quale il 7 luglio fu investito del comando della missione dopo aver coordinato fin dall’inizio la risposta americana all’attacco comunista.

Nel frattempo gli Alleati si trincerarono nel “perimetro di Pusan”, un quadrilatero lungo 140 chilometri e largo 90 nell’estremo sud della penisola coreana, dove riuscirono a contenere l’urto delle forze comuniste, la cui offensiva venne arrestata definitivamente il 25 settembre. L’avanzata dell’esercito nordcoreano si era intanto rallentata a causa sia dell’eccessivo allungamento delle sue linee di rifornimento sia per il fatto che nella loro ritirata le truppe ONU avevano sistematicamente fatto brillare tutti i ponti stradali e ferroviari.

MacArthur dal canto suo, con l’arrivo di settembre iniziò a pianificare la risposta alleata all’esercito nordcoreano. Il 15 settembre, al comando maggior generale americano Edward M. Almond le forze delle Nazioni Unite, forti di 269 imbarcazioni con a bordo 70 mila soldati, sbarcarono a Inchon, non lontano da Seul, sulla costa occidentale della Corea. Si trattò di un’operazione anfibia spettacolare, sullo stile dei grandi sbarchi alleati della seconda guerra mondiale avvenuti in Sicilia ed in Normandia.

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Truppe americane si preparano a sbarcare a Inchon, in una delle operazioni più importanti della Guerra di Corea.

Gli Alleati presero terra 200 chilometri a nord del quadrilatero di Pusan, tagliando le linee di rifornimento dell’armata nemica, che fu colta completamente di sorpresa. Il primo e più importante risultato dello sbarco di Inchon fu la liberazione di Seul, avvenuta il 17 settembre. Meno di dieci giorni dopo, il 25, MacArthur scatenava il contrattacco alleato che spazzò via le truppe comuniste costrette a loro volta ad una precipitosa ritirata verso nord. In meno di due settimane le forze ONU liberarono l’intera Corea del Sud e il 7 ottobre diedero il via all’invasione del territorio nordcoreano: il 10 ottobre presero Wonsan mentre il 19 gli Alleati conquistarono addirittura Pyongyang, capitale del regime di Kim Il-sung.

In un clima di comprensibile euforia, il 26 ottobre 1950 gli Alleati arrivarono al fiume Yalu, che segna il confine tra la Corea del Nord e la Repubblica Popolare Cinese. Pareva che la guerra fosse finita proprio come nei piani degli strateghi alleati, che prevedevano “di concludere la campagna bellica entro Natale con l’occupazione dell’intera nazione coreana ed a riportare a casa le truppe entro il Capodanno”. Tuttavia il comando ONU non aveva fatto i conti con la “valanga umana” cinese.

Già dall’inizio di agosto Mao Zedong aveva fatto schierare al confine sino-coreano ben 250 mila soldati dell’Armata di Liberazione Popolare cinese con l’ordine di prepararsi ad intervenire nella penisola coreana.

Korean War - HD-SN-99-03081 by Morning Calm News, via Flickr  United Nations troops fighting in the streets of Seoul, Korea. September 20, 1950. Lt. Robert L. Strickland and Cpl. John Romanowski. (Army)  NARA FILE #: 111-SC-351392  WAR & CONFLICT BOOK #: 1422
Marines americani per le vie di Seul, liberata dall’occupazione comunista il 17 settembre 1950.

Il “Grande Timoniere” aveva avallato il piano di Kim Il-sung per l’attacco a sud ma presupponendo che il dittatore nordcoreano avrebbe riportato una rapida vittoria che avrebbe messo la comunità internazionale davanti al fatto compiuto. L’intervento statunitense aveva invece messo Pechino di fronte all’inquietante prospettiva di ritrovarsi alla propria frontiera una Corea unificata sotto un regime ferocemente anticomunista. Un altro fattore che impensieriva ulteriormente Mao era dato dal possibile intervento diretto nella guerra da parte del suo vecchio rivale Chiang Kai-shek, presidente del governo nazionalista cinese di Taiwan, il quale offrì al generale MacArthur di inviare in Corea 30 mila soldati a supporto della causa anticomunista. In risposta al Generalissimo cinese, MacArthur si era recato a Taiwan dove aveva dichiarato che gli USA erano pronti a difendere l’isola contro una possibile aggressione della Cina Comunista. Truman in privato rimproverò seccamente il proprio comandante ma la popolarità di MacArthur era tale che il presidente non se la sentì di sconfessarne pubblicamente l’operato, dando alla dirigenza cinese ogni motivo per credere che MacArthur avesse agito con il pieno sostegno del governo americano.

Il 30 settembre il ministro degli esteri cinese Zhou Enlai dichiarò che il suo Paese non avrebbe tollerato l’invasione della Corea del Nord da parte “degli imperialisti”.

Il 7 ottobre le truppe ONU  attraversarono il 38° parallelo dando il via all’invasione del territorio nordcoreano.

Qualche giorno dopo fu fatto pervenire a Washington tramite l’ambasciata indiana un messaggio da parte del governo di Pechino che minacciava un intervento armato qualora gli Alleati si fossero spinti oltre il 38° parallelo. L’avvertimento venne ignorato da MacArthur che lo considerò un bluff. La risposta cinese giunse a partire dal 19 ottobre quando reparti di “volontari” iniziarono a oltrepassare il fiume Yalu penetrando in Corea integrando i regolari nordcoreani. I soldati cinesi si riparavano in cunicoli sotterranei, da dove uscivano nel cuore della notte per attaccare col favore delle tenebre.

Le 150 mila truppe delle Nazioni Unite furono così travolte dai soldati dell’Armata Popolare di Liberazione (300 mila unità) affiancatisi agli 80 mila reduci nordcoreani. Nonostante i pesanti bombardamenti ordinati dal comando alleato contro le installazioni militari e le colonne cinesi, l’avanzata delle truppe maoiste fu inarrestabile. Con una tattica “a tridente”, i cinesi sfondarono al centro, ricacciando i sudcoreani da Chosan e impegnando gli statunitensi ad est della città (contro il X corpo dei Marines) e ad ovest (contro l’VIII armata). A partire dal novembre 1950 MacArthur si ritrovò costretto a ordinare la ritirata dal territorio nordcoreano, che si protrasse sino a dicembre: 100 mila soldati alleati e 17 500 veicoli vennero evacuati da 109 navi e da un numero imprecisato di elicotteri. Intanto il 5 dicembre le forze comuniste si riappropriavano di Pyongyang mentre a capodanno nordcoreani e cinesi si attestano nuovamente sul 38° parallelo. Il 4 gennaio 1951 Seul fu occupata per la seconda volta dall’esercito comunista.

Nov 26, 1950: Chinese counterattacks in Korea change nature of war In some of the fiercest fighting of the Korean War, thousands of communist Chinese troops launch massive counterattacks against U.S. and Republic of Korea (ROK) troops, driving the Allied forces before them and putting an end to any thoughts for a quick or conclusive U.S. victory. When the counterattacks had been stemmed, U.S. and ROK forces had been driven from North Korea and the war settled into a grinding and frustrating stal
Soldati cinesi inviati da Mao Zedong in appoggio a Kim Il-sung.

L’offensiva sino-nordcoreana era stata condotta con il supporto aereo sovietico. Dopo molte esitazioni, nel novembre 1950 Stalin acconsentì all’invio di due divisioni aeree in Corea. I piloti sovietici volavano su apparecchi camuffati con insegne nordcoreane e indossando uniformi cinesi. Inoltre, erano soliti portare con sé una tabella con frasi in coreano da pronunciare durante le comunicazioni radio per non destare sospetti nel nemico circa la loro presenza qualora fossero stati intercettati. I vertici militari di Mosca tuttavia proibirono l’impiego dei loro piloti in missioni sul suolo controllato dal nemico. Stalin non intendeva infatti rischiare che gli aviatori fossero abbattuti e identificati, il che avrebbe potuto avere conseguenze imprevedibili.

All’inizio del 1951 Truman iniziò a manifestare una certa stanchezza verso il conflitto e diede avvio ai primi tentativi di negoziato incontrando tuttavia il fermo rifiuto dei cinesi. Il presidente era parimenti pressato dagli alleati europei, i quali erano fermamente contrari ad un allargamento del conflitto in quando esso avrebbe potuto trasformarsi in una guerra mondiale a causa dell’alleanza tra Cina comunista e Unione Sovietica. Nel frattempo MacArthur, le cui truppe erano in ritirata, richiese al presidente di poter estendere il raggio dei bombardieri americani al territorio della Cina comunista oltre che di poter organizzare uno sbarco di truppe nazionaliste sul continente.

Allarmato dalla prospettiva di un’ulteriore escalation, Truman scelse di destituire MacArthur per sostituirlo, l’11 aprile 1951, con il più malleabile Matthew Ridgway, comandante dell’VIII Armata. Intanto nella primavera dello stesso anno le forze alleate si riorganizzarono lanciando una nuova controffensiva che portò infine alla definitiva liberazione di Seul il 14 marzo.

With her brother on her back a war weary Korean girl tiredly trudges by a stalled M-26 tank, at Haengju, Korea HD-SN-99-03144.jpg
Una delle foto simbolo della guerra di Corea: una ragazza sudcoreana fugge con in braccio il fratellino.

Nell’estate del 1951 il fronte si attestò lungo una linea che correva grosso modo lungo il 38° parallelo. Da quel momento si assistette ad una guerra di logoramento fatta di attacchi e contrattacchi, similmente a quanto già visto nel corso della prima guerra mondiale.

Intanto, a partire dal 10 luglio, i delegati cinesi, nordcoreani e americani si incontrarono a Kaesong, dove iniziarono a discutere i termini di un cessate il fuoco. Le trattative conobbero un’interruzione in agosto per poi riprendere ad ottobre. Per novembre le parti avevano trovato un accordo per la definizione della linea armistiziale tuttavia i negoziati andarono avanti per altri due anni a causa della spinosa questione relativa alla richiesta da parte comunista della restituzione dei 170 mila prigionieri di guerra nordcoreani e cinesi sotto custodia delle forze ONU. Circa 50 mila di essi rifiutarono infatti di tornare in patria presentando domanda di asilo politico. Gli americani quindi chiedevano che ogni soldato avesse il diritto di esprimersi circa la possibilità di rientrare o meno in patria. Tale atteggiamento era dovuto al ricordo di quanto accaduto ai prigionieri di guerra sovietici liberati dai lager nazisti dopo la seconda guerra mondiale: una volta rimpatriati Stalin ne aveva infatti ordinato la fucilazione o la deportazione in massa nei gulag siberiani. I cinesi erano ad ogni modo disposti a concedere ai nordcoreani di rimanere al Sud ma esigevano la consegna integrale dei loro soldati.

North Korean and Chinese Communist prisoners assembled at the United Nations' prisoner-of-war camp at Pusan during the Korean War in 1951
Prigionieri cinesi e nordcoreani. Molti rifiutarono il rimpatrio presentando domanda di asilo politico.

I negoziati uscirono dall’impasse grazie al decisivo intervento del neo presidente statunitense Dwight D. Eisenhower, il quale nel corso della campagna elettorale aveva dichiarato che qualora fosse stato eletto avrebbe fatto il possibile per far cessare in modo onorevole il conflitto in corso. Nello stesso tempo era chiaro che nemmeno la Cina e la Corea del Nord avevano da guadagnare da un’eventuale prosecuzione del conflitto. I costi umani e materiali iniziavano infatti a rivelarsi insostenibili per le due potenze comuniste.

A sbloccare ulteriormente la situazione contribuì anche la morte di Stalin, avvenuta il 5 marzo 1953. La nuova compagine di governo installatasi al Cremlino, desiderosa di mettere fine alla guerra una volta per tutte, indusse i partner cinesi ad accettare la proposta americana. Il 28 marzo 1953 Zhou Enlai annunciò che Pechino accettava il principio del rimpatrio volontario dei prigionieri rimuovendo il principale ostacolo ad una conclusione positiva del processo di pace. Si stabilì quindi che i prigionieri che avessero rifiutato il ritorno in patria fossero intervistati da una commissione militare indiana (e quindi neutrale) che avrebbe accertato che essi stessero agendo secondo la propria libera volontà.

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La zona demilitarizzata che tuttora divide le due Coree.

L’armistizio che pose fine alla Guerra di Corea fu infine firmato il 27 luglio 1953 nel villaggio di confine di Panmunjeom dai delegati di Cina, Corea del Nord e Nazioni Unite. Esso sanciva la divisione della penisola coreana in due stati che permane tuttora. Il confine venne fissato lungo la linea del fronte al momento della fine delle ostilità, che corrispondeva grosso modo alla frontiera prebellica. gli accordi di pace stabilivano inoltre la creazione,  in corrispondenza del confine, di una “zona demilitarizzata” della profondità di 4 chilometri, oltre all’istituzione di una Commissione militare congiunta per l’armistizio, composta da rappresentanti dell’ONU e comunisti.

Le perdite militari e civili della Guerra di Corea ammontarono complessivamente a più di 2 milioni. In particolare gli Usa persero oltre 54 mila soldati mentre morirono oltre 500 mila cinesi. L’esercito sudcoreano patì 415 mila morti e 429 mila feriti mentre i morti militari nordcoreani furono probabilmente tra i 200 e i 400 mila. L’armistizio di Panmunjeom ha sospeso le ostilità tuttavia esso non è stato seguito da un trattato di pace, motivo per cui le due Coree sono tuttora in conflitto l’una con l’altra.  Da allora, gli statunitensi mantengono 40 mila soldati oltre ad arsenali nucleari in Corea del Sud. Ad oggi la situazione rimane tesa. Nonostante gli ultimi recenti segnali di distensione, come il vertice inter coreano del 27 aprile 2018, a cui ha fatto seguito lo storico incontro fra Kim Jong-un e il presidente americano Donald Trump il 12 giugno successivo a Singapore, è difficile pronosticare una soluzione della crisi coreana perlomeno nel medio periodo.

Il presidente americano Donald Trump e il leader nordcoreano Kim Jong-un durante il vertice di Singapore del 12 giugno 2018.

L’ostacolo principale è costituito dal fatto che lo stato nordcoreano si regge su due ideologie denominate “Juche” (Autarchia) e “Songun” (Prima l’esercito), come indicato nella stessa costituzione. In base a questi principi il governo della Corea del Nord persegue uno sviluppo del programma nucleare parallelo a quello dell’economia statale. Modificare la postura minacciosa nei confronti delle potenze straniere significherebbe abbandonare il perseguimento del sogno nucleare e quindi lo stesso sviluppo del Paese, vista la stretta interconnessione tra questi due aspetti.

Altra peculiarità della Corea del Nord che rende difficile una possibile pacificazione è l’esasperato militarismo mutuato dalla dottrina del Songun. Questo implica che le forze armate non solo hanno la precedenza nell’allocazione delle risorse disponibili, ma anche che all’interno dell’establishment nordcoreano i militari godono di  grande influenza nell’indirizzare le scelte politiche della nazione. La classe militare ovviamente legittima il proprio potere e la sua stessa esistenza grazie all’elevato livello di ostilità e dunque appare assai difficile che essa possa accettare una qualsivoglia riduzione del proprio potere in virtù di qualche patto con potenze esterne individuate come nemici ideologici.

Bibliografia:

  • William R. Keylor, Un mondo di nazioni, L’ordine internazionale dopo il 1945
  • G. Sabbatucci & V. Vidotto, Il mondo contemporaneo. Dal 1848 ad oggi
  • Aurelio lepre, Guerra e pace nel XX secolo

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