L’aquila e il giaguaro

La conquista spagnola delle Americhe prese avvio rapidamente sin dagli anni immediatamente successivi ai viaggi del navigatore genovese Cristoforo Colombo. Sempre più numerosi, gli europei giunsero nelle isole dei Caraibi alla spasmodica ricerca dell’oro. I nativi, così come già avevano fatto con Colombo e i suoi uomini, inizialmente accolsero con benevolenza i nuovi venuti.

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Lo sbarco di Colombo a San Salvador il 12 ottobre 1492.

In capo a pochissimi anni tuttavia gli indigeni vennero definitivamente ridotti in stato di servitù dagli spagnoli, che li costrinsero al lavoro coatto nelle piantagioni e alla ricerca di pagliuzze aurifere nei torrenti. Il trattamento inumano, unito al diffondersi di malattie a loro sconosciute, come morbillo o vaiolo, contro le quali essi erano privi di difese immunitarie, decimarono gli indios in poche decine di anni al punto che oggi si stima che tra l’80% ed il 95% della popolazione indigena delle Americhe perì nell’arco di tempo che va dal 1492 al 1550 per effetto delle malattie menzionate. In altri termini circa un decimo dell’intera popolazione mondiale di allora (500 milioni circa) fu decimato. Tuttavia occorre precisare che risulta pressochè impossibile stabilire alcuna cifra certa, data l’incertezza delle fonti a disposizione.

Protagonisti di questa prima ondata colonizzatrice furono soprattutto avventurieri senza scrupoli animati dalla brama di ricchezza, provenienti da quel ceto di cavalieri e gentiluomini di campagna noti come “hidalgos”. Da sempre dedita alla guerra al servizio della Corona di Castiglia, questa piccola nobiltà si trovò di colpo disoccupata dopo la resa del sultanato di Granada nel 1492, che pose fine una volta per tutte al secolare processo di espansione dei regni iberici verso i territori musulmani noto come Reconquista.

Hernán Cortés was a Spanish conquistador and the man who won Mexico for Spain. Learn about his expeditions on Biography.com.
Il conquistador Hernan Cortes (1485-1547).

Fu così che gli hidalgos si “riciclarono” nella conquista di nuove terre in quel misterioso Nuovo Mondo di fresca scoperta. Tra questi bravacci che presero la via delle Americhe si trovava un giovanotto ambizioso e spregiudicato, chiamato Hernan Cortes. Nato nel 1485 a Medellin, in Estremadura, nel 1504 il diciannovenne Hernan si imbarcò alla volta dell’isola di Hispaniola. Qui strinse amicizia con un altro conquistador, Diego Velasquez de Cuellar, col quale combatté per la conquista dell’isola di Cuba tra il 1511 e il 1515.

A seguito della vittoriosa campagna Velasquez fu nominato governatore della nuova colonia e ricompensò generosamente Cortes con una grande tenuta e la nomina a giudice nella città di Santiago. Tuttavia l’avventuriero di Medellin non era uomo che si accontentasse facilmente: bramoso di altra gloria e ricchezza cominciò a pianificare una grande spedizione verso le coste del continente americano. Basandosi sui resoconti di esploratori che si erano avventurati in quei territori Cortes aveva infatti appreso dell’esistenza di immense ricchezze oltre che della presenza di nativi che praticavano sacrifici umani!

Scontro tra conquistadores e nativi americani. La superiorità militare europea era schiacciante.

Per nulla intimorito dalle informazioni ricevute, il futuro conquistador salpò da Cuba l’11 febbraio del 1519 al comando di una flottiglia di 11 navi con a bordo 700 soldati. La spedizione fece dapprima tappa a Cozumel, un’isola antistante la penisola dello Yucatan. Qui ebbe un primo e non esattamente amichevole contatto con la locale popolazione di stirpe maya.

Fin da quel primo scontro, gli spagnoli dimostrarono tutta la loro superiorità in termini di armamento sulle popolazioni del Nuovo Mondo: essi infatti disponevano di corazze e ed elmi metallici che garantivano un’ottima protezione contro le frecce e i proiettili di fionda degli indigeni. Le loro spade d’acciaio facevano a pezzi gli scudi di legno e i corsetti protettivi imbottiti degli amerindi, i quali a loro volta si trovarono impreparati contro i micidiali verrettoni sparati dalle balestre europee. Oltre alle armi bianche i conquistadores avevano in dotazione archibugi e piccoli pezzi di artiglieria, detti falconetti.

I cavalli, importati dagli spagnoli nel Nuovo Mondo spaventarono gli indigeni americani che non avevano mai visto questi animali.

Anche se bisogna ricordare che le armi da fuoco del XVI secolo erano lente da ricaricare e poco precise, il boato generato dallo scoppio della polvere da sparo atterriva gli indigeni americani, che non avevano mai avuto a che fare con tali ordigni. Gli amerindi furono ugualmente terrorizzati dalla vista dei cavalli: Cortes ne portò con sé solo una dozzina ma sul campo fecero la differenza: gli indios non li avevano mai visti e inizialmente credettero che il cavaliere e il suo destriero formassero un’unica creatura demoniaca. Spaventati a morte, essi erano incapaci di opporre qualunque resistenza alle cariche della cavalleria.

Canis Pugnax, il cane Romano - Cane Corso
Selezionati per la caccia grossa, i mastini spagnoli vennero addestrati ad attaccare gli indios come se fossero stati selvaggina!

Gli atterriti indios che avessero provato a darsi alla fuga sarebbero però a quel punto diventati una facile preda per una delle “armi” più spaventose dei conquistadores: originariamente selezionati per la caccia grossa o la custodia delle greggi contro i grandi predatori, i cani da guerra degli spagnoli vennero addestrati a scovare i fuggiaschi nel folto della boscaglia, là dove uomini e cavalli erano impossibilitati a operare. Antenati del moderno mastino spagnolo, queste belve, spesso equipaggiate con speciali corazze, erano solitamente lasciate appositamente senza nutrimento, perché fossero invogliate a cercarlo assalendo il nemico sul campo di battaglia.

Sconfitti i maya, Cortes fu informato che presso quelle genti si trovava in schiavitù un europeo, Jeronimo de Aguillar, un frate francescano naufragato alcuni anni prima su quelle coste con una spedizione della quale era l’unico superstite: molti dei suoi compagni di sventura infatti erano morti annegati mentre coloro che erano riusciti a trovare scampo sulla costa erano stati uccisi e mangiati dai nativi della zona! Cortes intuì subito l’utilità di fra Jeronimo come traduttore dato che aveva appreso la lingua dei suoi carcerieri durante la prigionia.

Cortes nomina Donna Marina sua interprete.

Padre Aguillar dal canto suo accettò per gratitudine di aggregarsi come interprete alla spedizione, che fece vela verso occidente, circumnavigando la penisola dello Yucatan. Cortes a quel punto giunse sulle coste dell’attuale stato messicano di Tabasco, dove si scontrò di nuovo con i maya della città di Potonchan. Costoro, dopo essere stati sconfitti, fecero dono a Cortes e ai suoi uomini di venti donne che avrebbero potuto soddisfare i soldati europei come schiave sessuali. Fra queste donne Cortes ne scelse una, a noi nota con il nome cristiano di Donna Marina, la quale si rivelò utilissima al conquistador grazie alle sue conoscenze linguistiche.

Furono proprio gli abitanti di Potonchan, probabilmente allo scopo di liberarsi di lui e dei suoi masnadieri, a confermare a Cortes quanto egli aveva appreso a Cuba dai membri delle precedenti spedizioni sulla costa messicana, ossia l’esistenza di un grande regno a Occidente, in un paese chiamato Mexico. Si trattava dell’impero degli Aztechi, una bellicosa popolazione stabilitasi in quei territori circa due secoli addietro e che nel corso dei decenni aveva costruito un vasto regno sottomettendo le città-stato e le tribù confinanti, assoggettando i vinti al pagamento di pesanti tributi. Cortes ordinò dunque di fare rotta verso ovest finché nell’aprile del 1519 lui e i suoi uomini giunsero ove oggi sorge la città di Vera Cruz. Fu proprio Cortes a fondare l’insediamento di cui si autonominò governatore per smarcarsi dalla dipendenza di Velasquez il quale restava pur sempre un suo superiore in quanto rappresentante del sovrano Carlo d’Asburgo.

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La progressiva espansione dell’Impero azteco

Dopodiché il conquistador prese un’altra decisione ben più drammatica, incendiando le navi con cui era giunto sin lì per impedire ai suoi uomini di fare rientro a Cuba. Senza più le navi essi sarebbero stati obbligati a proseguire verso l’interno, aprendosi la strada combattendo. Proprio sulla costa gli spagnoli ebbero i primi contatti con gli inviati del tlatoani (letteralmente “grande oratore” tradotto anche con il termine “imperatore”) degli Aztechi Montezuma II. Il sovrano governava il suo impero con il terrore ed era adorato dai sudditi alla stregua di una divinità. Notando l’interesse degli spagnoli per l’oro egli ne inviò a Cortes come dono a condizione che non marciasse verso l’interno della regione.

Guerrieri aztechi nei loro variopinti costumi bellici

Tuttavia lo spagnolo non se ne diede per inteso e intraprese la sua marcia verso la mitica capitale azteca, Tenochtitlan, desideroso, a suo dire, di rendere omaggio al grande sovrano. In teoria per Montezuma sarebbe stato facile sbarazzarsi degli invasori: gli spagnoli erano appena 500 mentre egli disponeva di decine di migliaia di guerrieri. Nonostante ciò l’imperatore adottò una strategia attendista, consentendo a Cortes di penetrare nei suoi domini. L’esitazione del monarca era dettata dalle particolari circostanze in cui era avvenuto lo sbarco spagnolo. Cortes, infatti, era giunto proprio in coincidenza di una data nella quale, secondo il calendario azteco, il dio barbuto Quetzalcoatl sarebbe dovuto tornare in questo mondo, proveniente da Oriente. il sovrano azteco si convinse così che quegli strani forestieri, anch’essi barbuti e sbarcati proprio a est, potessero essere emissari del dio.

Il Tlatoani (Imperatore) degli Aztechi governava il suo popolo con il terrore ed era adorato dai sudditi alla stregua di una divinità

Oltre a questa coincidenza, a rafforzare in Montezuma la convinzione che gli spagnoli fossero degli esseri semi divini, si erano verificati, poco prima dello sbarco di Cortes, alcuni eventi che erano stati letti dai sacerdoti aztechi come cupi segni premonitori di una prossima, tremenda disgrazia: una cometa (forse la Coda di Halley) era apparsa nel cielo, il tempio del dio della guerra Huitzilopochtli venne distrutto dalle fiamme mentre un fulmine colpì un altro edificio sacro della capitale. Questi avvenimenti, che a noi appaiono causali e senza alcun nesso fra loro, in una società premoderna come quella azteca furono invece interpretati come presagi nefasti inviati dagli dei.

La faticosa marcia dei conquistadores attraverso la giungla tropicale.

Mentre a Tenochtitlan si discuteva su quale fosse l’atteggiamento migliore da adottare nei suoi confronti, Cortes avanzò sulla città di Cempoala. Qui ricevette una calorosa accoglienza da parte del governatore locale, soprannominato dagli europei “Cacique Gordo”, il “Capo Grasso”, per via della sua corporatura robusta. Costui lamentava l’eccessivo peso dei tributi imposti dagli aztechi al suo popolo e vide in Cortes un possibile alleato per scrollarsi di dosso il loro giogo. Come segno di buona volontà il Capo Grasso fornì ai conquistadores un’unità di portatori, indispensabili agli europei, già gravati dal peso di armi e armature, per poter marciare speditamente attraverso la giungla tropicale.

La tappa successiva di Cortes fu la città di Tlaxcala, capitale del popolo dei Tlaxcaltechi, i più acerrimi nemici degli Aztechi. Costoro erano in guerra con i loro potenti vicini da sempre ma grazie al loro valore e al loro coraggio erano sempre riusciti a preservare la propria indipendenza. Ad alimentare l’odio fra i due popoli contribuiva l’usanza azteca delle cosiddette “Guerre dei fiori”: ogni anno i guerrieri di Tenochtitlan compivano spedizioni all’interno dei territori confinanti con lo scopo di catturare quanti più nemici possibili allo scopo di sacrificarli alle loro truculente divinità.

Il macabro rituale del sacrificio umano.

L’usanza del sacrificio umano nasceva dalla credenza azteca secondo la quale gli uomini si trovavano profondamente in debito verso gli dei, i quali avevano sacrificato sé stessi per dare vita al mondo ed al genere umano. Dunque solo offrendo quanto di più prezioso, ossia la loro stessa vita, gli uomini avrebbero potuto ripagare le divinità. Il prelievo di prigionieri dai popoli confinanti si configurava inoltre come un mezzo attraverso il quale gli aztechi tenevano sotto controllo la crescita demografica delle popolazioni vicine, le quali avrebbero sempre potuto costituire una minaccia per il loro impero.

Popolo bellicoso, i tlaxcaltechi attaccarono anche i conquistadores, venendo tuttavia respinti dalle armi da fuoco e dalla cavalleria degli spagnoli. Presa coscienza della potenza degli invasori, i tlaxcaltechi scelsero allora saggiamente di intavolare trattative con Cortes, il quale dopo avere informato i suoi interlocutori delle sue intenzioni di marciare sulla capitale azteca, propose loro di unirsi alla sua spedizione. I tlaxcaltechi non chiedevano niente di meglio e accettarono con entusiasmo l’offerta del comandante spagnolo.

Mappa che illustra la posizione di Tenochtitlan al centro del lago Texcoco ai tempi dell’arrivo degli spagnoli di Cortes.

Forte dell’appoggio dei suoi nuovi alleati indigeni, Cortes giunse infine all’agognata meta l’8 novembre 1519. Quel giorno ai conquistadores spagnoli si spalancò davanti agli occhi una visione da togliere il fiato: di fronte a loro si stendeva la valle del Messico con al centro le limpide acque del lago Texcoco, in mezzo al quale si ergeva fiera la mitica città di Tenochtitlan. La città era al culmine del suo splendore e contava una popolazione di 250 mila abitanti, più di qualsiasi città europea dello stesso periodo. Superba dimostrazione delle conoscenze ingegneristiche azteche, l’insediamento era sorto su di un gruppo di isole al centro del lago salato, caratteristica che rendeva Tenochtitlan simile ad una sorta di Venezia mesoamericana.

L’ingresso dei conquistadores nella capitale azteca fu trionfale. Essi furono accolti con tutti gli onori da Montezuma e dai suoi nobili per poi venire alloggiati in un sontuoso palazzo nel centro cittadino. Una volta entrati a Tenochtitlan però gli spagnoli iniziarono presto a comportarsi come se fossero stati loro i padroni, e non dei semplici ospiti.

Lo strico incontro tra Cortes e Montezuma nel centro di Tenochtitlan l’8 novembre del 1519.

Cortes mise di fatto agli arresti Montezuma, dopo averlo costretto a fare atto di sottomissione a Carlo V. Il comandante spagnolo intervenne poi in campo religioso, ordinando l’immediata cessazione di qualunque sacrificio umano, considerato dagli spagnoli alla stregua di un omicidio e pertanto giudicato una pratica barbara e ripugnante. I conquistadores quindi ripulirono gli altari dal sangue e distrussero le statue degli idoli pagani sostituendole con raffigurazioni di Cristo e della Vergine Maria. Tutto questo poté avvenire senza incidenti grazie all’avallo di Montezuma, ormai ridotto da Cortes ad un debole e remissivo re fantoccio. Mentre procedeva spedito nella sua opera di sottomissione e conversione più o meno forzata degli aztechi, il conquistador di Medellin fu raggiunto da una notizia estremamente grave. Guidato dal conquistador Panfilo de Narvaez, un corpo di spedizione proveniente da Cuba era sbarcato sulla costa di Vera Cruz.

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In questo dipinto del XIX secolo Cortes interviene per fermare un sacrificio umano.

Quegli uomini erano stati inviati sul continente da Velasquez con l’ordine di arrestare Cortes perché fosse rispedito in Spagna dove sarebbe stato processato per alto tradimento. Cortes era infatti partito da Cuba senza avere ricevuto alcuna formale autorizzazione dal parte del governatore. Il conquistatore di Tenochtitlan sapeva benissimo che, data la gravità del capo di imputazione, in caso di cattura sarebbe finito dritto sulla forca. Doveva quindi agire rapidamente per rintuzzare questo pericolo mortale che minacciava di vanificare quanto ottenuto sino a quel momento. Partì allora dalla capitale azteca dirigendosi verso la costa a marce forzate con la maggior parte dei propri uomini, lasciando in città soltanto un piccolo contingente di presidio agli ordini del suo luogotenente Pedro de Alvarado.

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Montezuma fu linciato dal suo stesso popolo rivoltatiglisi contro a causa della sua eccessiva arrendevolezza nei confronti degli spagnoli.

Giunto non lontano da Cempoala, Cortes incontrò gli uomini di Narvaez. Ma invece che usare la forza, preferì far ricorso alle più sottili armi della diplomazia: conoscendo la psicologia di quegli avventurieri, mostrò loro le ricchezze che aveva appositamente portato con sé, solleticando la loro avidità con la promessa di ulteriori, e ben più consistenti, bottini che avrebbero ottenuto qualora avessero accettato di combattere per lui. Come previsto da Cortes, quei rozzi soldatacci si lasciarono convincere dal luccichio dell’oro e accettarono la sua generosa offerta.

Narvaez fu così messo agli arresti mentre le sue truppe passarono dalla parte di Cortes, il quale con i suoi nuovi compagni si diresse verso Tenochtitlan, dove però nel corso della sua assenza la situazione era precipitata: il 10 maggio 1520 Alvarado notando un numero crescente di aztechi assieparsi nella piazza principale della città per celebrare una importante festa religiosa iniziò a preoccuparsi. Non capendo cosa stesse succedendo e temendo una rivolta degli indigeni, il luogotenente di Cortes interruppe la cerimonia assalendo il corteo e provocando un bagno di sangue.

Il popolo insorse costringendo Alvarado a barricarsi all’interno del palazzo imperiale con Montezuma prigioniero. Una volta rientrato in città Cortes intuì subito la gravità della situazione per cui ordinò a Montezuma di calmare gli animi facendo valere la sua autorità di sovrano semi-divino. Tuttavia l’apparizione dell’imperatore non sortì l’effetto sperato, bensì provocò una violenta reazione da parte dei sudditi che presero a bersagliare con pietre e frecce l’ormai screditato imperatore. Colpito alla testa, Montezuma spirò poco dopo, il 20 giugno 1520.

In seguito alla ribellione degli Aztechi Cortes e i suoi soldati fuggirono da Tenochtitlan all’alba del 1° luglio 1520.

Gli aztechi elessero nuovo Tlatoani Cuitlahuac, fratello minore del defunto. Il neo imperatore a differenza del predecessore considerava gli spagnoli null’altro che dei tracotanti e insaziabili predoni ed era fermamente deciso a combatterli senza quartiere. Dato il rapido peggioramento della situazione gli spagnoli decisero di evacuare la città nella notte del 1° luglio ma vennero sorpresi da un gruppo di donne che diedero l’allarme. Raggiunti allora dai guerrieri di Cuitlahuac, i conquistadores dovettero aprirsi la strada combattendo disperatamente mentre gli aztechi li assalivano da ogni lato, ferocemente decisi a vendicare mesi di furti, umiliazioni e prepotenze. Alla fine di quella tremenda battaglia gli uomini di Cortes riuscirono a fuggire ma lasciarono ugualmente sul terreno un gran numero di caduti. Si calcola che nella ritirata caddero circa 4 mila ausiliari nativi e ben 450 spagnoli, uccisi dagli aztechi o annegati nel lago Texcoco a causa del peso delle loro corazze. Quella notte sanguinosa fu in seguito ricordata dagli spagnoli come la “Noche triste”.

Tenochtitlan 1519–21 is the incredible story of the collapse of the Aztec Empire at the hands of Spain. This piece of artwork here brings the engagement that brought down the empire to life. The scene here depicts Spanish brigantines engaging Mexica canoes at Lake Texcoco on 1st June 1521.
Con la loro piccola flotta piccola flotta gli spagnoli colarono a picco migliaia di canoe da guerra azteche prendendo il controllo delle acque del lago Texcoco e isolando Tenochtitlan in maniera completa.

Nonostante la rotta, Cortes non era uomo da arrendersi facilmente alle difficoltà: dopo essersi ritirato presso i propri alleati indigeni cominciò subito a preparare la sua rivincita. Intanto, nei mesi che trascorsero tra l’estate del 1520 e la primavera del 1521 giunsero a Vera Cruz altri 200 avventurieri ansiosi di unirsi alle forze del comandante spagnolo che il 26 maggio 1521 Cortes fu di nuovo davanti a Tenochtitlan al comando di 700 spagnoli e 50 mila alleati indigeni, deciso a regolare una volta per tutte i suoi conti con gli aztechi.

Questi ultimi negli stessi mesi cominciarono ad essere colpiti da una devastante epidemia di vaiolo, inconsapevolmente portato in America dagli europei e contro il quale essi non disponevano di difese immunitarie tanto che gli indigeni iniziarono a morire come mosche, a cominciare da Cuitlahuac, che dopo appena ottanta giorni di regno fu sostituito dal cugino Cuauhtèmoc. Nel preparare l’assedio alla capitale nemica, Cortes fece costruire 13 piccoli brigantini dotandoli di un equipaggio di 25 balestrieri e archibugieri ciascuno, oltre che di un cannoncino montato a prua.

L’ultima, disperata, difesa azteca di Tenochtitlan presso il Templo Mayor.

Sfruttando la sua superiore potenza di fuoco, questa pur piccola flotta riuscì così a colare a picco migliaia di canoe da guerra azteche prendendo il controllo delle acque del lago Texcoco e isolando Tenochtitlan in maniera completa. L’implacabile assedio della città andò avanti per oltre due mesi e mezzo, fra assalti degli attaccanti e sortite dei sempre più disperati difensori nella vana speranza di forzare il blocco posto dai conquistadores. La resistenza azteca ebbe termine il 13 agosto 1521, quando gli spagnoli, assieme agli alleati tlaxcaltechi, penetrarono nella città facendo strage degli ultimi difensori, ormai fiaccati da fame e vaiolo. Cuauhtèmoc fu catturato e torturato per ordine di Cortes, che lo fece infine impiccare.

La colonizzazione spagnola delle Americhe.

Con la distruzione di Tenochtitlan e la morte di Cuauhtèmoc l’impero azteco cessava di esistere, lasciando il posto a quello che nel 1535 diventerà il Vicereame della Nuovo Spagna. Tenochtitlan fu rasa al suolo, il lago su cui sorgeva progressivamente prosciugato e sulle rovine della capitale azteca iniziò l’edificazione dell’odierna Città del Messico. Di pari passo prese avvio l’evangelizzazione dei nativi: il Templo Mayor fu smantellato e sostituito dalla grande cattedrale dedicata all’Assunzione di Maria Vergine. Giunsero in America un gran numero di religiosi, in particolare frati francescani e domenicani, con il compito di convertire al Cristianesimo le popolazioni locali. Questi eroici religiosi inoltre furono spesso i soli a preoccuparsi del destino delle genti americane, rimaste completamente in balia delle soperchierie dei conquistadores. Tra i maggiori difensori degli indios bisogna ricordare Padre Bartolomeo de Las Casas, che si batté contro lo sfruttamento schiavistico dei nativi, denunciando presso Carlo V la cupidigia e la malvagità dei propri compatrioti.

Tuttavia non bisogna dimenticare gli altissimi costi umani che la conquista del Messico comportò: alle migliaia di vittime degli scontri tra conquistadores e nativi si devono sommare i milioni di morti provocati da tutte quelle malattie (vaiolo, morbillo, scarlattina o banalmente l’influenza) che inconsapevolmente gli europei portarono con sé nelle Americhe e contro le quali gli indigeni erano privi di qualunque difesa immunitaria. Si calcola che nell’arco di una generazione gli abitanti del Messico passarono da circa 25 a 6 milioni! Si tratta indubbiamente di cifre che oggi spingono molti a parlare di genocidio anche se certo esso non fu programmato, in un’epoca nella quale i nostri antenati ignoravano completamente l’esistenza dei virus e dei batteri. Obbiettivo dei conquistatori spagnoli non era lo sterminio quanto piuttosto l’assoggettamento e la cristianizzazione dei nativi americani.

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La cattedrale di Santa Maria Assunta a Città del Messico, potente simbolo della nuova religione cristiana importata dagli europei.

La perdita di un numero tanto elevato di vite in effetti comportò per gli spagnoli la perdita di milioni di braccia da destinare al lavoro forzato nelle miniere e nelle piantagioni, rimpiazzate nei decenni successivi alla conquista dell’America centro-meridionale attraverso la deportazione sempre più massiccia di schiavi africani nel Nuovo Mondo. Tuttavia non si può non osservare come la morte di milioni di indios facilitò la conquista da parte degli europei che inaspettatamente si trovarono a dover fronteggiare una resistenza decisamente meno accanita del previsto.

L’impresa di Cortes, pur segnata da episodi di inaudita crudeltà, è da ritenersi tra le più straordinarie campagne militari della storia umana, tale da farne uno dei più grandi condottieri di sempre. La conquista del Messico assicurò alla Spagna il controllo su di un territorio vastissimo e ricchissimo per i successivi trecento anni. L’oro e l’argento della Nuova Spagna contribuiranno nel corso del XVI secolo a fare del regno iberico la potenza egemone del Vecchio Continente. Ancora una volta è tuttavia impossibile ignorare le conseguenze della conquista sui popoli americani sottomessi: oltre ai saccheggi e alle distruzioni i popoli americani subirono un inesorabile processo di distruzione della loro cultura originaria, a seguito dell’affermazione della lingua e della religione dei conquistatori. Nel bene e nel male però, fu proprio a partire dall’incontro fra questi due mondi tanto distanti, ebbe origine la storia del Messico moderno.