¡Viva Cristo Rey!

LA GUERRA CRISTERA IN MESSICO (19126-1929)

Quello della Cristiada, o Guerra Cristera, è un capitolo della storia messicana che i più ignorano. Tra il 1926 e il 1929 nella pressoché totale indifferenza del mondo cosiddetto “civile” il Messico fu attraversato da una vera e propria guerra civile che provocò la morte di qualcosa come 250 mila persone.

Per capire appieno le cause profonde di questo dramma occorre fare un passo indietro nel tempo ripercorrendo le principali tappe della storia messicana.

Lo stendardo di padre Miguel Hidalgo, padre dell’indipendenza messicana, recante l’effigie della Vergine di Guadalupe.

Sottomesso dal conquistador spagnolo Hernan Cortes, che nel 1521 abbatté l’impero degli aztechi, a partire dal 1535 il Messico venne inglobato nel neo costituito Vicereame della Nuova Spagna, che si estendeva dalla penisola dello Yucatan ai moderni Stati Uniti sudorientali. Tanto in Spagna quanto nelle colonie americane, il sistema di governo della Corona di Castiglia si fondava sulla solida alleanza fra la la Chiesa e la monarchia. La Chiesa aveva dunque grande potere anche se era soggetta al controllo dell’autorità del monarca. Tale controllo avveniva tramite l’istituto giuridico del Real Patronato, una giurisdizione speciale sulla Chiesa, che i vicerè avevano ottenuto poco dopo la conquista, in rappresentanza della corona spagnola.

Gli equilibri iniziarono a mutare a partire dalla seconda metà del XVIII secolo. Ispirato dalle idee illuministe, il monarca Carlo III di Borbone allentò progressivamente i rapporti con la Chiesa. L’espulsione dei Gesuiti, decretata dal sovrano nel 1767, è da considerarsi tra i provvedimenti più emblematici del nuovo corso. Se da un lato gli alti prelati furono dapprincipio conquistati dalle nuove idee, dall’altro il basso clero, privato dei mezzi per il proprio sostentamento, entrò ben presto in conflitto con la monarchia. Verso la fine del secolo iniziarono a penetrare in Messico le idee della Rivoluzione Francese e gli indios vennero invitati a sollevarsi contro l’oppressore spagnolo. La causa rivoluzionaria, che in Messico assunse presto carattere indipendentista, trovò adesione anche fra i sacerdoti.

Agustin de Iturbide, autoproclamatosi imperatore del Messico indipendente nel 1821.

La rivolta esplose due anni dopo l’occupazione napoleonica della Spagna , risalente al 1808. Ad assumere la guida dell’insurrezione che avrebbe portato all’indipendenza messicana furono proprio due sacerdoti, padre Miguel Hidalgo (1753-1811) e dopo di lui don Josè Maria Morelos (1765-1815). Il 16 settembre 1810, suonando le campane della chiesa di Dolores (Guanajuato) don Hidalgo diede inizio alla Guerra d’Indipendenza (El Grito de Dolores) innalzando come vessillo lo stendardo bianco e azzurro della Vergine di Guadalupe, patrona del Messico. In poche settimane il moto insurrezionale si ingrossò con l’adesione di migliaia di contadini (peones) armati di machetes, fucili e di qualsiasi altro strumento utilizzabile come arma. Hidalgo tuttavia venne catturato dalle forze lealiste il 21 marzo 1811 e fucilato il 30 luglio successivo.

La leadership dell’insurrezione fu allora assunta da padre Morelos, che però fu a sua volta catturato e fucilato il 22 dicembre 1815. A lui succedette il suo luogotenente Vicente Guerrero, il quale combatté ancora per anni finché, assieme ad altri leader indipendentisti, non giunse ad un compromesso con l’ex generale realista Agustín de Iturbide. L’accordo si basava sulle cosiddette Tre Garanzie: monarchia costituzionale, abolizione di ogni discriminazione tra bianchi, meticci e indios e cattolicesimo religione di stato. Fu così che il 27 settembre 1821 Iturbide si proclamò Imperatore col nome di Agustín I.

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Antonio Lopez de Santa Anna, padrone del Messico tra il 1833 e il 1855.

Tuttavia Guerrero si ribellò a Iturbide a causa della politica di quest’ultimo, troppo favorevole ai grandi possidenti. Fu così che nel febbraio del 1823 venne proclamata la repubblica mentre l’anno successivo fu promulgata la prima costituzione del Paese, nella quale per la prima volta fece la sua comparsa l’anticlericalismo di stato mutuato dal pensiero liberale e illuminista. Ciò costituì un’amara novità per i cattolici messicani dato che nel corso della guerra la fedeltà alla Chiesa non fu mai messa in discussione. Hidalgo e Morelos erano sacerdoti, Guerrero e Iturbide credenti. La nuova costituzione rappresentava il trionfo degli elementi massonici e liberali, secondo i quali i preti, diffondendo irrazionalismo e superstizione, corrompevano il popolo. La Chiesa, alleata per secoli a istituzioni considerate ormai arcaiche come la monarchia e l’impero, veniva improvvisamente accusata di essere una forza reazionaria.

Seguirono decenni di instabilità nel corso dei quali si avvicendarono alla presidenza avventurieri spregiudicati e generali ambiziosi, tra i quali il più famoso fu senz’altro Antonio Lopez de Santa Anna, padrone dello stato tra il 1833 e il 1855. In quegli anni il Messico cominciò a subire sempre più massicciamente l’influenza degli Stati Uniti, i quali, al termine di una breve guerra combattuta tra il 1846 e il 1848, strapparono al più debole vicino meridionale i territori situati a nord del Rio Grande.

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Benito Juarez, presidente nei difficili anni della Guerra de Reforma e dell’occupazione francese.

Sette anni dopo la fine della guerra con gli USA una rivolta costrinse all’esilio Santa Anna. Seguirono quattro presidenti ad interim: Martín Carrera Sabat, Rómulo Díaz de la Vega, J. N. Álvarez Hurtado e Ignacio Comonfort, il cui mandato costituì la premessa per lo scoppio di una violenta guerra civile, la Guerra de Reforma, che agitò il Messico tra il 1855 e il 1858. Il 5 febbraio 1857, infatti venne promulgata una nuova costituzione contenente misure molto aggressive nei confronti della Chiesa. Comonfort disconobbe la costituzione ma si trovò allora ad affrontare la ribellione di un generale, Benito Juarez (in onore del quale il socialista romagnolo Alessandro Mussolini chiamò “Benito” il figlio primogenito, nato nel 1883), il quale ottenne pieni poteri dal congresso.

Rifugiatosi a Veracruz, Juarez diede vita ad un governo provvisorio, emanando una serie di disposizioni volte a separare la Chiesa dallo Stato. Vietò a militari e funzionari statali di assistere a cerimonie religiose, abolì gli ordini religiosi maschili e femminili, rese obbligatorio il matrimonio civile e legalizzò il divorzio. Una volta sconfitti i conservatori e i cattolici con l’appoggio statunitense, Juarez si trovò ad affrontare il problema dell’enorme debito estero messicano. Per contenerlo il presidente nazionalizzò e mise in vendita le proprietà ecclesiastiche e innalzò le imposte ma l’operazione non valse a riordinare le dissestate finanze messicane.

La fucilazione di Massimiliano del Messico, dipinto di Édouard Manet.

I principali creditori stranieri del Messico erano la Gran Bretagna, la Spagna e la Francia. Mentre con le prime due Juarez giunse ad un accordo, le frizioni con Napoleone III portarono all’intervento francese in Messico. L’Imperatore dei Francesi cercò di instaurare nel Paese latinoamericano un governo a lui docile promuovendo la creazione di una monarchia cattolica di cui offrì la corona a Massimiliano, fratello dell’Imperatore d’Austria Francesco Giuseppe.

L’avventura di Massimiliano, iniziata con il suo sbarco a Veracruz il 28 maggio 1864, era tuttavia destinata a concludersi nel peggiore dei modi. Il sogno dell’Impero messicano durò soltanto tre anni: rimasto privo dell’appoggio francese a partire dal 1866 e avversato dai repubblicani, a loro volta sostenuti dagli Stati Uniti, nel maggio del 1867 Massimiliano fu catturato dalle forze di Juarez e condannato a morte. Venne fucilato il 19 giugno 1867. Juarez continuò a ricoprire la carica di presidente sino alla propria morte, avvenuta nel 1872.

Quattro anni dopo prese il potere con l’ennesimo colpo di stato il generale Porfirio Diaz, che restò in sella per i successivi trentaquattro anni, fino al 1910. Gli anni del Porfiriato furono una stagione di grande espansione economica anche se la questione agraria rimase in gran parte insoluta.

David Alfaro Siqueiros. From the Dictatorship of Porfirio Diaz to the Revolution, The People in Arms, 1957
Porfirio Diaz (al centro con il cilindro) dittatore del Messico tra il 1876 e il 1911.

Nel corso del suo mandato il presidente cercò inoltre di trovare un modus vivendi con la Chiesa applicando in maniera blanda i provvedimenti di Juarez, pur senza modificarli. La fragile tregua tra Stato e Chiesa si ruppe a seguito della rivoluzione scoppiata nel 1910 che costrinse Diaz alle dimissioni. La fase rivoluzionaria si protrasse per un decennio, sino al 1920. Inizialmente le dimissioni di Diaz portarono all’elezione del suo principale oppositore, Francisco Madero, il quale venne assassinato nel 1913 dal generale porfirista Victoriano Huerta, che ne prese il posto. Il nuovo caudillo venne tuttavia rovesciato dalle forze coalizzate del capo rivoluzionario Pancho Villa e del generale Venustiano Carranza. Quest’ultimo divenne presidente nel 1917 dando al Paese una nuova costituzione dai tratti socialisteggianti e anti-cattolici.

La Costituzione di Queretaro infatti prevedeva misure che penalizzavano fortemente la Chiesa messicana come ad esempio l’abolizione degli ordini religiosi (art. 5), il divieto di ogni culto ad di fuori delle chiese (art. 24) dichiarando altresì all’articolo 27 la proprietà statale delle chiese e l’impossibilità per la Chiesa di possedere beni immobili. Come se non bastasse l’articolo 130 stabiliva per lo stato la facoltà di stabilire il numero di sacerdoti. Si decretava che costoro avrebbero dovuto essere messicani di nascita e avrebbero dovuto astenersi da qualunque critica alla costituzione e al governo.

La situazione per i cattolici precipitò quando, il 1° dicembre 1924, ebbe inizio la presidenza di Plutarco Elías Calles. Egli rappresentava il peggior successore di Obregón che i cattolici messicani potessero aspettarsi.

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Plutarco Elias Calles, presidente del Messico tra il 1924 e il 1928.

Uomo caratterizzato da una volontà di ferro oltre che di un’incrollabile fede nei confronti della rivoluzione, Calles odiava la Chiesa, che considerava “la causa unica dei mali che hanno oppresso il Messico dalla conquista spagnola ai nostri giorni”. Con l’avvento del nuovo presidente si assistette alla riproposizione di situazioni già viste nel corso delle rivoluzioni francese e bolscevica come ad esempio alla creazione di una “chiesa patriottica” fedele al governo, un provvedimento teso a dividere i cattolici messicani generando un clima di insicurezza e confusione. Nello stesso tempo squadre di militanti del C.R.O.M. (Conferenza Regionale Operaia Messicana), ovvero il sindacato governativo di ispirazione marxista-leninista, fecero irruzione nelle chiese per scacciarne i parroci e sostituirli con preti fedeli alla “chiesa patriottica” il che spinse i cattolici a mobilitarsi in difesa delle chiese e dell’incolumità dei propri sacerdoti.

La persecuzione antireligiosa fu infine messa nero su bianco tra il 2 e il 19 luglio 1926, quando furono diramati 33 provvedimenti, riuniti in un’unica legge applicativa divisa in sezioni che specificavano con esattezza pene e ammende previste in applicazione della Costituzione del 1917.

Cattolici messicani durante un boicottaggio volto a ottenere il ritiro della Ley Calles.

La legge, soprannominata Ley Calles, , che ricalcava quanto già previsto nella costituzione messicana del 1917, prevedeva pesanti e vessatorie restrizioni contro la Chiesa ed il clero cattolico oltre a misure altrettanto dure per coloro che vi si fossero opposti. Per fare qualche esempio fu vietato ai sacerdoti di indossare l’abito talare in pubblico mentre se un sacerdote avesse criticato il governo avrebbe rischiato fino a cinque anni di reclusione. Parimenti fu decretata l’espulsione dei religiosi stranieri dal Paese mentre in alcuni stati federali del Messico le autorità locali giunsero addirittura a obbligare i sacerdoti locali a sposarsi. Calles inoltre intimò agli impiegati pubblici di scegliere tra la rinuncia alla propria fede e la perdita del proprio posto di lavoro. A ulteriore dimostrazione della furia anticattolica dei legislatori vennero bandite anche espressioni innocue come “a Dio piacendo” o “oh mio Dio”.

I cattolici messicani risposero inizialmente con misure non violente che prevedevano il boicottaggio dei prodotti delle industrie statali e dei mezzi pubblici oltre che la raccolta di firme per presentare al governo una petizione che raccolse due milioni di firme (su quindici milioni di abitanti) per chiedere il ritiro della legge.

Cristiada e “il bisogno che qualcosa accada”.
La persecuzione contro la Chiesa si dispiegò con profanazioni di edifici di culto e la fucilazione di un gran numero di sacerdoti.

Tutto questo non servì a nulla se non a rendere più spietata la politica repressiva voluta da Calles: le manifestazioni pacifiche vennero represse con la forza dall’esercito mentre, in un clima politico sempre più teso, si verificarono numerosi omicidi di sacerdoti e aggressioni contro i fedeli all’uscita dalla Messa o durante le processioni, il tutto con l’appoggio del governo. Di fronte all’atteggiamento del governo messicano, Papa Pio XI  impose l’interdetto all’intera nazione. Così, a partire dal 1º agosto 1926, in tutto il Messico non si sarebbe più celebrata la messa né i sacramenti, se non clandestinamente.

In quello stesso 1926 ebbe inizio la lotta armata dei cattolici. Fin dall’estate di quell’anno si verificarono moti di piazza e vere e proprie rivolte contro le quali l’esercito federale, appoggiato da milizie irregolari, aveva reagito con la consueta brutalità senza tuttavia riuscire a reprimere i tumulti una volta per tutte. All’inizio di settembre erano già tredici i focolai di insurrezione armata accesi e la propagazione dell’incendio fu rapida e micidiale: nel mese di ottobre una brigata di federali venne assalita e annientata nello stato di Durango.

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Mappa rappresentante le regioni con i focolai dei cristeros. Il rosso indica le aree principali, l’arancione le aree di portata media e il giallo i focolai di minore importanza.

Non si trattò di un’insurrezione organizzata ma di moti spontanei, senza collegamenti o strategie comuni: uomini e donne, contadini e artigiani, studenti e operai, avevano imbracciato le loro rudimentali armi – fucili da caccia, coltelli o altri strumenti da lavoro – avendo deciso di dire basta alla persecuzione e all’odio dilagante. Tra novembre e dicembre tutto il Messico centrale era insorto. Nello stato di Jalisco il reggimento del generale Arenas venne sconfitto e distrutto.

Calles ritenne inizialmente di poter avere facilmente ragione dei ribelli ma dovette presto ricredersi. Nel 1927 le bande degli insorti divennero un vero e proprio esercito forte di 12 mila combattenti, che sarebbero divenuti 25 mila nel 1928 e 50 mila nel 1929. All’esercito si affiancavano le Brigate Santa Giovanna d’Arco (Brigadas Femeninas Santa Juana de Arco), formazioni paramilitari femminili che giunsero a contare 25 000 componenti. Le loro bandiere recavano il motto ¡Viva Cristo Rey! e l’effigie della Madonna di Guadalupe.

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Cristeros con la bandiera messicana su cui campeggia l’effigie della Madonna di Guadalupe.

Quotidianamente si recitava il rosario e, se possibile, si celebrava la Messa. I ribelli divennero ben presto noti con il nome di “cristeros” (da Cristos Reyes), appellativo assegnato loro con disprezzo dai federali. Dal canto loro i partecipanti alla lotta armata antigovernativa si diedero dapprima il nome di “Defensores” (analogamente al termine Schützen, che indicava i corpi di autodifesa delle vallate tirolesi resi celebri dall’insorgenza cattolica di Andreas Hofer del 1809) e successivamente quello di “Libertadores”, in quanto membri dell’Esercito Nazionale di Liberazione. L’11 gennaio 1927 fu proclamato il manifesto detto “De los Altos”, nel quale si dichiarava esplicitamente che lo scopo della lotta dei cristeros era la restaurazione delle libertà calpestate dal governo: religiosa, di insegnamento, di associazione e di stampa.

Tra il 1927 e il 1929, tutti i tentativi di schiacciare la ribellione fallirono; gli insorti anzi presero il controllo di vaste zone nel sud del paese. Nel frattempo Calles dovette abbandonare la presidenza a causa dello scadere del mandato presidenziale. Gli succedette nella carica Álvaro Obregón, che tuttavia restò ucciso durante i festeggiamenti per la vittoria elettorale in un attentato compiuto dal cristero ventisettenne Josè de Leon Toral. Calles, declinato l’invito del Congresso a succedere allo scomparso Obregón, indicò come suo successore l’avvocato Emilio Portès Gil che fu eletto presidente interinale il 1° dicembre 1928.

Con el padre Pro, a Plutarco Elías Calles “le salió el tiro por la culata”
Padre Miguel Agustin Pro pochi minuti prima di essere fucilato. Fu condannato con la falsa accusa di avere partecipato ad un fallito attentato contro Obregon. E’ stato beatificato il 25 settembre 1988 da Giovanni Paolo II

Il nuovo Capo dello Stato non modificò alcuna delle disposizioni antireligiose del predecessore il che significò la prosecuzione della guerra cristera. Tuttavia le forti tensioni all’interno della fazione al potere e le crescenti difficoltà economiche sembravano far intravedere una prossima vittoria dei cristeros. All’inizio del 1929 l’Esercito di Liberazione estese il proprio controllo su di un’area grande circa la metà del Paese. Nuove insorgenze scoppiavano di continuo, o ricominciavano là dove erano state precedentemente soffocate. Nell’inverno 1928-29 l’esercito federale scagliò un’offensiva su vasta scala che però non sortì alcun esito nonostante la grande profusione di uomini e mezzi da parte del governo.

Nel marzo 1929, a testimonianza della spaccatura nel fronte governativo, i generali federali Manzo ed Escobar passarono con le loro divisioni dalla parte dei cristeros, costringendo l’esercito ad aprire un nuovo fronte interno.

Saint José Luis Sánchez del Río
San Josè Sanchez del Rio (1913-1928), fucilato dopo la cattura dai federali per il suo rifiuto di abiurare la fede.

La situazione si fece talmente difficile che lo stesso Calles dovette assumere personalmente la guida del Ministero della Guerra. Il 3 marzo i cristeros lanciarono una possente offensiva che il 15, al termine di una serie di epici scontri, lì portò a sbaragliare 30 mila truppe federali. L’esercito cristero poté così entrare nelle città di Aguas Calientes, Tepic e Guadalajara nel tripudio incontenibile della popolazione. L’offensiva, nella quale cadde il generale cristero Enrique Gorostieta, dovette arrestarsi a causa della cronica mancanza di armi e munizioni che affliggeva i cristeros sin dagli esordi della Cristiada. Per tutta la durata del conflitto gli insorti vennero sottoposti ad un embargo durissimo tanto che nemmeno la Croce Rossa diede loro assistenza. Dal canto loro i federali invece vennero costantemente riforniti di armi e munizioni dal governo statunitense.

Ma proprio quando parve che il sogno di libertà tenacemente perseguito da migliaia di uomini e donne coraggiosi potesse realizzarsi esso svanì. La Chiesa messicana e la Santa Sede infatti, pur non condannando mai la lotta armata certamente non diedero mai il loro completo appoggio alla ribellione. Convinto della necessità di porre fine alle violenze e alle sofferenze patite negli ultimi tre anni dalla popolazione civili, l’episcopato messicano si adoperò, con il pieno accordo del Vaticano, a giungere ad una soluzione negoziata del conflitto. I termini del cessate il fuoco vennero trattati con la mediazione dell’ambasciatore statunitense a Città del Messico, Dwight W. Morrow, il quale in cambio del proprio intervento ottenne dal governo messicano la modifica dell’articolo 27 della Costituzione che consentiva così per 99 anni lo sfruttamento del sottosuolo da parte delle compagnie americane.

†Viva Cristo Rey! PHOTOS OF THE CRISTEROS – Crusaders of the Immaculate Heart
Un gruppo di cristeros in un momento di pausa dai combattimenti.

Il 21 giugno 1929 furono così firmati gli Arreglos (accordi), che prevedevano l’immediato cessate il fuoco, il disarmo degli insorti e la promessa da parte governativa dell’immunità per quanti avessero deposto le armi. La Santa Sede autorizzò quindi la ripresa del culto, che avvenne il 29 giugno successivo, in cambio della sicura garanzia da parte del governo dell’abrogazione delle leggi antireligiose. Tale abrogazione tuttavia non avvenne: la Costituzione di Queretaro rimase in vigore in tutti i suoi articoli. Portes Gil insistette sull’applicazione stretta benché “non repressiva” della legge. Di fatto il clero messicano fu costretto a piegarsi e ad accettare la costituzione. La Chiesa riebbe sì la sua libertà, ma si trattò di una libertà vigilata. Parimenti il governo non rispettò le promesse riguardanti l’amnistia per gli ex cristeros che una volta deposte le armi furono oggetto di vendette, arresti e fucilazioni sommarie.

A novant’anni dalla conclusione della guerra cristera rimane intatto l’esempio di coerenza e genuino attaccamento ai propri ideali fornitoci dai combattenti della Cristiada, uomini e donne tenaci che sacrificarono la famiglia, i beni e in migliaia di casi la vita stessa per affermare il principio sacrosanto della libertà di coscienza. Quello di Calles fu solo uno dei numerosi tentativi avvenuti nel XX secolo di piegare l’uomo alla volontà di un’ideologia utilizzando lo strumento coercitivo della legge. Noi europei in particolare dovremmo ricordarlo, poiché purtroppo è stato proprio il nostro continente il principale incubatore di queste ideologie sanguinarie.

Bibliografia:

  • Cristiada: l’epopea dei Cristeros in Messico, Mario Arturo Iannaccone
  • Viva Cristo Re! Cristeros: il maritrio del Messico 1926-1929, Paolo Gulisano (prefazione di Franco Cardini)
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