Le maladette parti

Noi Italiani, si sa, siamo un popolo di faziosi, sempre pronti a dividerci su tutto. Indro Montanelli ricordava che lo scrittore inglese Rudyard Kipling, autore de “il Libro della Giungla”, descrivendo in maniera tragicomica i popoli europei ebbe a commentare che, se un italiano da solo era un bel tipo, due italiani facevano un litigio, mentre tre italiani facevano tre partiti politici. Di seguito scopriremo che già tra i nostri antenati sorgevano accese divisioni politiche caratterizzate da una violenza nei confronti degli avversari che oggi facciamo fatica a immaginare.

Battaglia del XIV secolo tra le fazioni dei guelfi e dei ghibellini di Bologna, dalle Cronache di Giovanni Sercambi di Lucca

Le “parti” di cui si parla nel titolo sono quelle dei Guelfi e dei Ghibellini le cui rivalità segnarono lo scenario politico italiano durante il Medioevo. A definirle “maledette” fu, nella sua Cronaca, il mercante fiorentino Dino Compagni, contemporaneo di Dante, testimone delle profonde divisioni che caratterizzavano Firenze, ma non solo, tra il XIII e il XIV secolo.

L’origine dei nomi di “guelfi” e “ghibellini” è da ricercare non in Italia ma in Germania nel quadro della lotta per la supremazia tra due importanti casate nobiliari, i Welfen di Baviera e gli Hohenstaufen di Svevia durante il XII secolo. I primi, appoggiati dalla Chiesa, erano identificati come guelfi da Welfen, o Guelfo , duca di Baviera e loro capostipite. I secondi chiamavano se stessi ghibellini, da Weiblingen, la località dove sorgeva il castello di famiglia.

Nel 1152 le due casate arrivarono ad un compromesso con l’elezione a imperatore di Federico I Barbarossa, giovane e ambizioso sovrano che mirava a riaffermare l’autorità della corona imperiale, osteggiato in questo dall’altro potere universale dell’Europa medievale, il Papato. In quegli anni i nomi di guelfo e ghibellino passarono così le Alpi e giunsero in terra italiana, definendo due partiti distinti, uno anti e uno filo imperiale.

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Federico I di Hohenstaufen, la cui elezione mise pace tra le fazione dei Welfen (guelfi) e Weiblingen (ghibellini).

Erano anti-imperiali le città più ricche e potenti, come Milano, mentre erano filo-imperiali i centri minori come Como, Lodi o Pavia, che dalle città maggiori non volevano essere fagocitate e vedevano nell’Imperatore il garante della loro indipendenza.

La prima attestazione dell’esistenza in terra italiana di guelfi e ghibellini risale al 1246 a Firenze all’interno di un documento in cui si menziona l’esistenza di una parte guelfa organizzata con propri capitani. Le cronache medievali invece fanno risalire la divisione tra guelfi e ghibellini a una violenta faida famigliare risalente al 1215 che contrappose il casato degli Amidei a quello dei Buondelmonti, scatenata dal rifiuto di Buondelmonte de’ Buondelmonti di sposare una giovane della famiglia degli Amidei. Come scrisse l’Anonimo fiorentino “In quello giorno si cominciò la struzione di Firenze, che imprimamente si levò nuovo vocabile, cioè parte guelfa e parte ghibellina”.

Come si può capire dall’episodio semi leggendario riportato dall’Anonimo fiorentino, la distinzione tra le parti non era dovuto a nette contrapposizioni ma semplicemente si andava a sovrapporre e a confondere con le preesistenti divisioni presenti all’interno della città, lacerazioni che avevano ben poco a che fare con il confronto tra trono e tiara.

Le contrapposizioni politiche erano segnate dalle faide e dalle rivalità tra gruppi di potere facenti capi alle grandi famiglie aristocratiche, le consorterie.

Le nozze di Buondelmonte de’ Buondelmonti, che secondo le cronache fu alla base della divisione tra guelfi e ghibellini in Firenze.

Tra le città, poi, la scelta di campo era il più delle volte dettata non tanto da un particolare legame dei comuni verso Impero o Papato quanto piuttosto dalle rivalità fra i comuni stessi, determinando uno schieramento per così dire “a scacchiera”: se una città era schierata con una parte, la sua rivale vicina si sarebbe fatalmente schierata con la fazione opposta.

Ad esempio Pisa e Siena erano orgogliosamente ghibelline in opposizione all’acerrima nemica Firenze, naturalmente guelfa. Le città comunali, riunite in leghe formate sulla base dei medesimi orientamenti politici, si trovarono coinvolte nello scontro fra le grandi potenze dell’Europa medievale, cioè l’Impero, il Papato o, dal 1266, il Regno di Sicilia degli Angiò. Dagli alleati maggiori i Comuni ricevevano a loro volta appoggi di vario tipo: politico, militare oppure commerciale ed economico. Per esempio sia i guelfi fiorentini che i ghibellini senesi furono appoggiati militarmente nelle guerre che videro contrapposte le due maggiori città toscane e le città minori loro alleate: la cavalleria imperiale fornì un decisivo contributo alla lega ghibellina nella battaglia di Montaperti nel 1260 dove Firenze e i suoi alleati subirono una dolorosa sconfitta. A loro volta i guelfi vinsero la battaglia di Colle Val d’Elsa nel 1269 appoggiati dalle truppe francesi di Carlo d’Angiò, re di Sicilia. Inoltre l’Imperatore, il Papa o il Re di Sicilia avevano il potere di concedere alle città loro amiche concessioni esentasse e monopoli commerciali nei loro territori consentendo ai mercanti provenienti da quei comuni la possibilità di ottimi affari con grandi vantaggi rispetto ai concorrenti.

La battaglia di Montaperti, uno degli episodi più importanti (e sanguinosi) del secolare confronto tra guelfi e ghibellini.

Quali che fossero le ragioni di divisione e scontro, comunque, la politica comunale era caratterizzata da una conflittualità che noi facciamo fatica a immaginare. Questo rifletteva del resto l’altissimo tasso di violenza tipico della società medievale, una società dove tutti erano soliti girare armati, tanto i nobili quanto i popolani, gli uni di spada gli altri di pugnale, e nessuno che portasse con sé un’arma si faceva scrupolo a sfoderarla, soprattutto gli aristocratici, gente a cui saltava spesso la mosca al naso.

La posta in palio dello scontro era il controllo del governo cittadino e la lotta era senza esclusione di colpi, e non solo metaforicamente. Gli appartenenti alla parte soccombente dovevano fare i conti con processi farsa, che comportavano condanne a morte o all’esilio e alla confisca dei beni. Della durezza che caratterizzava le vendette politiche ne sapeva qualcosa il Sommo Poeta Dante Alighieri, che pagò la sua militanza politica tra i Guelfi bianchi con l’esilio dall’amata Firenze, dalla quale fu cacciato nel 1302 dopo il colpo di stato perpetrato dai Guelfi neri.

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Dante cerca di persuadere Scarpetta Ordelaffi, signore di Forlì a muovere contro i Guelfi Neri. Il Poeta fu esiliato a causa della sua militanza politica tra i Guelfi Bianchi.

Fortunatamente per gli sconfitti c’era sempre la possibilità di trovare asilo nelle città amiche, dove il potere era ancora in mano ai “compagni di partito”, con la speranza magari di trovare appoggi per rientrare in patria armi in pugno e riprendere il controllo della situazione con ovviamente nuove vendette e sanguinosi regolamenti di conti.

Alla fine fu proprio la faziosità e le conseguenti lotte intestine all’interno dei Comuni a generare nella maggioranza dei cittadini una certo desiderio per “l’uomo forte”: la borghesia imprenditoriale e mercantile desiderosa di stabilità, necessaria per poter condurre gli affari con profitto finì con l’appoggiare le ambizioni signorili di un uomo, spesso e volentieri un nobile residente in città o in campagna, nel suo tentativo di scalata al potere cittadino. Il processo di trasformazione dei regimi comunali in Signorie ebbe inizio nel Trecento quando uomini risoluti, come ad esempio Matteo Visconti a Milano, Ludovico Gonzaga a Mantova o Azzo d’Este a Ferrara riuscirono a guadagnare il consenso del popolo stanco di vivere in un clima da guerra civile permanente presentandosi come arbitri e pacificatori della vita cittadina.

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La cacciata dei Bonacolsi da Mantova, che segnò la definitiva ascesa al potere dei rivali Gonzaga.

A lungo andare, quindi le divisioni all’interno delle città comportarono il progressivo svuotamento e la scomparsa a poco a poco di quelle forme di partecipazione popolare, più o meno estese, alla gestione del potere che erano nate all’interno delle città comunali. Oltre alla scomparsa della pur limitata democrazia causata dal sorgere delle signorie, la divisione fra centri guelfi e ghibellini esasperò le rivalità di campanile che segnano ancora oggi l’Italia come forse nessun altro Paese europeo. Anche se oggi noi Italiani siamo forse meno faziosi dei nostri avi, questo nostro campanilismo ci rende ancora difficile sentirci un unico popolo nonostante gli ormai oltre centocinquanta anni di storia unitaria.

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