DALL’INSEDIAMENTO DEI NORMANNI NEL MEZZOGIORNO D’ITALIA ALLA NASCITA DEL REGNO DI SICILIA (1016-1130)
“Avanti mille anni da che Cristo nostro Signore prese carne nella Vergine Maria, comparvero nel mondo quaranta valenti pellegrini. Venivano dal Santo Sepolcro di Gerusalemme per adorare Gesù Cristo e giunsero a Salerno, che era assediata dai saraceni e tanto mal ridotta che voleva arrendersi […] i pellegrini di Normandia giunsero là. Non potevano sopportare l’ingiuria della signoria dei saraceni. Questi pellegrini andarono da Guaimario, serenissimo principe, il quale governava Salerno con retta giustizia, e pregarono che gli fossero dati armi e cavalli, che volevano combattere contro i saraceni; e non per prezzo di denaro, ma perché non potevano tollerare la grande superbia dei saraceni.”
Con queste parole il monaco benedettino Amato di Montecassino descrive l’arrivo dei normanni nel Mezzogiorno d’Italia. Il brano è tratto dalla Historia Normannorum (Storia dei normanni) compilata nella seconda metà dell’XI secolo, molto probabilmente tra il 1076 e il 1078. Nonostante Amato si riferisca ad avvenimenti accaduti oltre cinquant’anni prima, la moderna critica storiografica tende a considerare attendibile il suo racconto. Di pellegrini normanni scrisse anche un altro autore, Guglielmo di Puglia, nella sua opera Gesta Roberti Wiscardi, redatta tra il 1095 e il 1099. Secondo Guglielmo pellegrini normanni in visita al santuario rupestre di San Michele, sul Gargano, sarebbero entrati in contatto con il ribelle (probabilmente longobardo) Melo da Bari, che avrebbe chiesto loro aiuto contro i “greci” ovvero i bizantini.

Le fonti dunque sembrerebbero concordi nel mettere in correlazione la migrazione dei Normanni in Italia al pellegrinaggio verso i luoghi della vita e della Passione di Cristo. Migliaia di pellegrini diretti in Terrasanta attraversavano la Penisola per imbarcarsi nei porti pugliesi. Divenuto molto popolare verso l’anno 1000, il lungo e certamente non facile cammino verso Gerusalemme era sovente inframezzato dalla visita ad altri luoghi sacri come i sepolcri degli Apostoli Pietro e Paolo a Roma oppure il già citato santuario micaelico sul Gargano o anche, in seguito alla traslazione delle sue reliquie nel 1087, alla tomba di San Nicola a Bari.

Secondo Amato di Montecassino i Normanni declinarono l’invito del principe longobardo Guaimario III di fermarsi a Salerno. Essi rientrarono dunque in patria carichi di ogni sorta di doni che non mancarono di solleticare gli appetiti dei conterranei per i quali l’Italia meridionale divenne una specie di “terra promessa”. A spingere molti a lasciare la terra natia per cercare fortuna all’estero concorse inoltre la constatazione che per loro in Normandia non vi fosse più posto: l’affermazione della legge del maggiorascato, che prevedeva il passaggio in toto dell’eredità paterna al solo figlio maggiore costringeva i figli minori a costruirsi un avvenire altrove. Animati dall’ambizione e dalla sete di conquista ereditata dai loro avi vichinghi, numerosi cadetti della piccola e della media nobiltà normanna fecero allora rotta verso sud.
Il Mezzogiorno della Penisola italiana era infatti un’area afflitta da un profondo caos politico, su cui da secoli si dispiegavano le pretese egemoniche dei grandi poteri universali: da Carlo Magno in poi gli imperatori germanici avevano sognato di estendere la loro sovranità alla totalità dell’Italia, in quanto eredi degli imperatori romani d’Occidente. Naturalmente ad essi si opponevano i sovrani bizantini, che disconoscevano tali pretese avocando a sé il titolo di unici eredi di Roma. Vi erano infine i vescovi di Roma, i Papi, i quali giustificavano le loro rivendicazioni sulla base della discussa “Donazione di Costantino”. All’arrivo dei Normanni tuttavia nessuno di questi tre attori era più in grado di prevalere. All’inizio dell’XI secolo l’Italia meridionale risultava infatti divisa tra longobardi, bizantini e arabi.

I primi si erano stabiliti in Italia nella seconda metà del VI secolo, fondandovi un regno che era stato successivamente sottomesso da Carlo Magno nel 774. Il più meridionale dei ducati longobardi, quello di Benevento, era invece riuscito a conservare la propria indipendenza pur riconoscendosi vassallo dei sovrani carolingi. Il ducato, poi elevatosi a principato, raggiunse l’apogeo nel IX secolo, per poi scindersi nei principati di Benevento, Capua e Salerno. Sulla costa invece si costituirono piccole città-stato organizzate in forma di ducati (Gaeta, Napoli e Amalfi) che agivano di fatto come stati indipendenti pur riconoscendo formalmente l’autorità dell’impero bizantino. Quest’ultimo, che in Italia conservava il possesso di Puglia e Calabria, dopo avere attraversato un periodo di decadenza a seguito all’espansione musulmana, a partire dall’XI secolo, retto dalla dinamica dinastia macedone tornò a nutrire grande fiducia nel proprio futuro.

Ultimi, ma non per questo meno importanti, contendenti di questo nostro war game erano gli arabi, comparsi sulla scena a partire dal VII secolo a seguito della loro conquista della vecchia provincia romana dell’Africa proconsolare (che in seguito alla conquista islamica divenne nota col nome di Ifrīqiya). Partendo dalle proprie basi in Africa settentrionale i musulmani condussero numerose scorrerie piratesche contro i territori cristiani. Nell’827 un esercito arabo-berbero sbarcò in Sicilia, che fu strappata definitivamente ai bizantini nel 902. Prima ancora di completare la conquista dell’isola gli arabi invasero e occuparono anche varie zone dell’Italia peninsulare. Il pericolo musulmano parve sventato grazie all’alleanza tra le forze cristiane che nel giugno 915 sconfissero i saraceni alla battaglia del Garigliano. Gli arabi tuttavia erano stati vinti ma non del tutto debellati e la minaccia delle loro incursioni seguitò a rendere insicure le regioni costiere dell’Italia meridionale.

Alle divisioni politiche si sommavano e in parte si sovrapponevano quelle culturali e religiose. Mentre le genti della Campania e della Puglia settentrionale parlavano una lingua romanza e si riconoscevano nella fedeltà alla Chiesa romano-cattolica, gli abitanti della Calabria e della Puglia meridionale erano in prevalenza di lingua greca e osservavano il rito ortodosso.
Nella Sicilia occidentale e meridionale la maggioranza della popolazione era costituita da elementi arabi e berberi immigrati nonché da quegli indigeni che avevano abbracciato la fede islamica e adottato la lingua e i costumi dei conquistatori arabi. Nel nordest dell’isola invece la popolazione era rimasta in gran parte fedele al cristianesimo ortodosso. Infine, in tutta l’Italia meridionale, e soprattutto nei centri urbani, erano presenti numerose e attive comunità ebraiche.
A differenza della conquista dell’Inghilterra, l’occupazione normanna dell’Italia meridionale non fu il risultato di un’azione coerente ma avvenne per fasi. I primi Normanni, giunti nell’Italia meridionale accompagnati dalla loro fama di combattenti temibili, si inserirono in questo variegato contesto offrendo i propri servigi come mercenari ai vari signorotti longobardi, i quali del resto erano quasi del tutto privi di forze militari proprie. Dotati di grande coraggio e abilità nell’uso delle armi, caratteristiche ereditate dai loro antenati vichinghi, gli uomini del nord iniziarono ad essere reclutati in modo massiccio nelle guerre che scoppiavano continuamente tra i litigiosi principi locali che ricorsero sempre più frequentemente ai servigi delle milizie mercenarie normanne.

Fu così che il loro numero andò progressivamente ingrossandosi: al principio dell’XI vivevano nel Meridione non più di 250 cavalieri normanni ma si calcola che nel corso dei successivi cento anni ve ne siano immigrati tra i 2.000 e i 2.500. Non vi fu dunque un esodo di massa come avvenuto nel VI secolo nel caso dei longobardi.
Gli sforzi dei normanni non tardarono ad essere riconosciuti: intorno al 1030 per rendere più sicuri i confini settentrionali del proprio dominio, il duca di Napoli Sergio IV assegnò il borgo di Aversa (15 km a nord di Napoli) in feudo al normanno Rainulfo Drengot, che vi si insediò con il suo seguito di cavalieri. Per rendere più saldo il proprio legame con il condottiero normanno, Sergio gli diede in sposa la sorella, rimasta vedova. Nel 1034 tuttavia la donna morì e Rainulfo, non sentendosi più vincolato al Duca di Napoli, tradì l’ex cognato passando dalla parte del suo più acerrimo nemico, il principe Pandolfo di Capua, del quale sposò una nipote. Poi, nel 1038, l’Imperatore Corrado II guidò una spedizione nell’Italia meridionale nel corso della quale spodestò Pandolfo IV e assegnò Capua a Guaimario IV di Salerno. Con l’ennesima giravolta Rainulfo si affrettò a voltare le spalle al suo signore per giurare fedeltà al nuovo principe, mossa che gli valse la definitiva conferma del titolo comitale e del dominio su Aversa.

Intanto, in quello stesso 1038, il Basileus bizantino Michele IV il Paflagone affidò al catapano (governatore militare) d’Italia Giorgio Maniace il comando di una spedizione che avrebbe dovuto strappare la Sicilia ai musulmani. Per questo l’Imperatore domandò assistenza militare a Guaimario di Salerno, il quale acconsentì all’invio di un drappello di trecento cavalieri normanni, tra i quali figuravano due fratelli, Guglielmo, detto “Braccio di Ferro” per la sua forza, e Drogone d’Altavilla (Hauteville), i più anziani tra i dodici figli di un piccolo nobile della Bassa Normandia di nome Tancredi. Dopo un inizio promettente la spedizione naufragò e i normanni fecero ritorno sul continente al comando del longobardo Arduino, divenuto in seguito governatore bizantino (topoterete) di Melfi. Nella sua posizione, invece di reprimere le insurrezioni causate dall’eccessiva tassazione imposta da Bisanzio, Arduino si rese indipendente sottomettendo vari centri della Puglia tra cui Venosa.
Fu a partire da allora che i Normanni, dopo avere militato per decenni al soldo di sovrani stranieri, iniziarono ad agire in maniera autonoma. Nel settembre del 1042 i Normanni di Melfi acclamarono loro signore Guglielmo Braccio di Ferro, il quale giurò fedeltà a Guaimario di Salerno che in cambio gli riconobbe il titolo di Conte di Puglia e gli diede in sposa una nipote, Guida di Sorrento.
Il potente principe longobardo, che proprio in quegli anni aveva esteso il suo dominio su Capua a Gaeta, sperava di servirsi del condottiero normanno per allargare ulteriormente la propria egemonia. I suoi piani vennero scombinati dall’intervento dell’Imperatore Enrico III, il quale, sceso in Italia nel 1047, restituì Capua a Pandolfo IV, antagonista di Guaimario. L’Imperatore, desideroso di servirsi della potenza normanna contro i longobardi, confermò i titoli e i possedimenti di Conte d’Aversa a Rainulfo Drengot e di Conte di Puglia a Drogone d’Altavilla, succeduto nel 1046 al defunto fratello Guglielmo.
Forti dell’investitura feudale ricevuta dall’Imperatore, i Normanni proseguirono nella loro espansione occupando Bovino e Troia, acquisendo il controllo delle vie di comunicazione tra Benevento e la Puglia. Poi si volsero contro i bizantini, strappando loro Tricarico e aprendosi così la strada verso la Calabria. In quel periodo, tra il 1046 e il 1047, approdò nel Sud Italia il giovane Roberto d’Altavilla, fratellastro di Drogone, detto “il Guiscardo” (dal francese antico Viscart, che significa astuto). Roberto strinse un’alleanza con il signore normanno di Buonalbergo (BN), Gerardo, che gli fornì un contingente di duecento cavalieri. A suggello dell’intesa il Guiscardo sposò la zia di Gerardo, Alberada. Ottenuto il castello di Scribla dal fratello Drogone, Roberto si mosse alla conquista della Calabria, ottenendo una serie di sfolgoranti successi.

L’espansione dei Normanni mise in agitazione Papa Leone IX, asceso al soglio pontificio alla fine del 1048. Il Pontefice, nel tentativo di arginare la potenza normanna, strinse un’alleanza con i longobardi e mosse guerra agli uomini del Nord. L’esercito papalino tuttavia andò incontro ad una grave disfatta nella battaglia di Civitate, combattuta il 18 giugno 1053, a seguito della quale lo stesso Leone IX fu fatto prigioniero. La politica papale nei confronti dei Normanni, tuttavia, mutò nel giro dei pochi anni per iniziativa dei successori di Leone, Vittore II (1054-1057) e soprattutto Niccolò II (1058-1061). Per capire le ragioni di questa inversione di rotta occorre tuttavia fare un piccolo passo indietro.
La Chiesa, a partire dalla metà dell’XI secolo, diede inizio a una riforma generale dei costumi del clero, inaugurando una lotta senza quartiere contro la simonia (il commercio di cose sacre) e a favore del celibato sacerdotale. Contemporaneamente la Santa Sede iniziava a manifestare crescenti malumori verso il cosiddetto Privilegium Othonis, concesso nel 962 da Papa Giovanni XII all’Imperatore Ottone I, in conseguenza del quale ogni Pontefice avrebbe necessariamente dovuto ottenere il beneplacito imperiale per essere eletto. Tale intollerabile ingerenza nella vita della Chiesa ebbe termine nel 1059: approfittando della debolezza dell’istituzione imperiale dovuta alla morte di Enrico III ed alla minorità del suo omonimo successore, Papa Niccolò II abolì il privilegio ottoniano attraverso la bolla In nomine Domini. Dopo il taglio dei rapporti con Bisanzio a causa del Grande Scisma del 1054 il Papa, necessitando di protezione, non ebbe altra scelta che scendere a patti con Roberto il Guiscardo, divenuto capo dei Normanni dopo essere succeduto a suo fratello Umfredo nel 1057.

Nell’estate del 1059, quindi, Niccolò II si recò a Melfi e alla presenza dei normanni incoronò Roberto “Duca di Puglia e Calabria per grazia di Dio e di San Pietro e, con l’aiuto di entrambi, futuro Duca di Sicilia”. Il Guiscardo riceveva un’importante legittimazione del suo potere da parte della Santa Sede e rafforzava la sua autorità sui signori normanni del Meridione. Inoltre, l’anno prima, Roberto aveva stretto un’alleanza con Gisulfo II di Salerno, del quale sposò la sorella Sichelgaita ripudiando la precedente consorte Alberada, dalla quale aveva già avuto un figlio, Marco, in seguito ribattezzato Boemondo.
Roberto proseguì le sue campagne militari in Italia meridionale. Completata la conquista della Calabria nel 1059 con la cattura di Reggio, il Guiscardo si dedicò all’assoggettamento delle ultime roccaforti bizantine in Puglia. La disfatta finale per Bisanzio giunse il 16 aprile 1071 con la caduta di Bari, capitale del catepanato d’Italia. Negli ultimi anni, approfittando di un periodo di crisi e di rivolgimenti politici nell’impero, nel 1081 Roberto osò addirittura sbarcare sulla costa epirota, dove il 18 ottobre, a Durazzo, inflisse una dura batosta all’esercito del Basileus Alessio I Comneno. Tuttavia il Guiscardo sarà costretto a desistere dai sui sogni di conquista a causa delle rivolte fomentate contro di lui dai bizantini in Puglia. Tornato alla carica nel 1084, troverà infine la morte il 17 luglio 1085 a causa del tifo sull’isola greca di Cefalonia.

Contemporaneamente, l’occupazione di Reggio e della Calabria schiudevano a Roberto il Guiscardo e suo fratello Ruggero la possibilità di sbarcare in Sicilia, in conformità con il giuramento prestato a Papa Niccolò II. A differenza delle guerre combattute contro i bizantini, la conquista dell’isola si caricava di forti connotati simbolici in quanto l’impresa assumeva i contorni della crociata anti musulmana. A favorire l’inizio delle operazioni di conquista in Sicilia contribuì lo stato di anarchia in cui versava l’emirato, ormai frazionato in signorie indipendenti. Nello specifico i Normanni intervennero in aiuto dell’emiro di Siracusa Ibn al-Thumna contro suo cognato Ibn al-Ḥawwās, signore di Agrigento e Castrogiovanni (l’attuale Enna). Con una piccola flotta Ruggero prese terra contemporaneamente sulla costa ionica e su quella tirrenica, giunse di fronte a Messina e la costrinse alla resa (1061). Riguardo alle fasi successive della conquista disponiamo di poche notizie e comunque gli storici moderni tendono a non considerare veritieri i toni trionfalistici dei cronisti normanni, i quali ci descrivono una campagna spedita favorita dalle popolazioni locali desiderose di scrollarsi di dosso il giogo degli “infedeli”.
Una volta espugnata Messina sarebbero trascorsi trent’anni prima che i Normanni giungessero ad avere il pieno controllo dell’isola. Questo perché Ruggero, dopo le prime fasi della campagna, poté contare soltanto sulle proprie forze essendo suo fratello Roberto contemporaneamente impegnato a combattere i bizantini in Puglia. Dopo la caduta di Bari, Roberto si volse in aiuto del fratello e le operazioni in Sicilia ripresero vigore: nel 1071 Catania venne conquistata e assieme, Roberto e Ruggero misero sotto assedio Palermo, che cadde il 10 gennaio 1072. Dopo l’occupazione della città, Roberto conferì ufficialmente al fratello il dominio sull’isola con il titolo di Conte di Sicilia. Per sé il Duca tenne soltanto il territorio di Palermo, la Val Demone e metà di Messina. Negli anni seguenti Ruggero continuò la conquista della Sicilia sbaragliando le restanti roccaforti saracene di Agrigento, Siracusa e Castrogiovanni. Con la presa di Noto, ultimo baluardo musulmano, nel 1091 tutta la Sicilia con Malta furono unificate sotto lo scettro normanno. Ruggero non poté tuttavia condividere la gioia della conquista con il fratello maggiore in quanto questi era già scomparso nel 1085, all’età di settant’anni.

Dopo la morte del Guiscardo il titolo ducale di Puglia e Calabria passò nelle mani del figlio Ruggero Borsa, il quale dovette vedersela con le pretese del fratellastro Boemondo. Per questo motivo, nonostante Ruggero in teoria fosse soggetto all’omonimo nipote, di fatto questi dipese dall’aiuto militare del potente zio. In seguito, la partenza di Boemondo per la Prima Crociata avrebbe rinsaldato, almeno temporaneamente, la posizione di Ruggero Borsa. Ruggero I di Sicilia scomparve nel 1101, a Mileto, in Calabria. Giunto in Italia a vent’anni come il figlio minore di un piccolo signore normanno, era divenuto Conte di Sicilia e Calabria, nonché suocero di sovrani. Lasciava due figli minorenni affidati alla reggenza della moglie Adelaide del Vasto. Dopo la morte del primogenito Simone, avvenuta nel 1106 a soli dodici anni, la successione toccò al fratello minore, chiamato Ruggero come suo padre, il quale nel 1112 divenne maggiorenne e assunse pienamente il potere. Intanto, negli ultimi anni della sua reggenza Adelaide spostò la residenza comitale dalla Calabria a Palermo.
Ruggero II, esattamente come suo padre, si trovava soggetto al Duca di Puglia e Calabria, pur essendo di fatto più potente del proprio signore. Quando nel 1127 il Duca Guglielmo, figlio e successore di Ruggero Borsa, morì senza eredi, Ruggero II chiese al Papa di poter succedere al cugino, del quale era il parente maschio più prossimo. Papa Onorio II (1124-1130) si oppose alle pretese del conte di Sicilia, lo scomunicò e tentò di stringere un’alleanza con la nobiltà meridionale ma la potenza militare di Ruggero II costrinse i suoi avversari alla capitolazione. Fu così che il Pontefice fu costretto a riconoscere a Ruggero il titolo di Duca di Puglia, Calabria e Sicilia. Era il 1128 e per la prima volta dopo secoli l’intero Meridione d’Italia si trovava sottoposto all’autorità di un unico signore. A suggello del suo potere assoluto mancava solamente un titolo regale.

Ruggero ottenne l’agognata corona nel 1130. Nell’Urbe, dopo la morte di Onorio II, il collegio cardinalizio si divise sulla successione eleggendo come Pontefici due esponenti della nobiltà romana, Innocenzo II (Gregorio Papareschi) e Anacleto II (Pietro Pierleoni) dando vita ad uno scisma. Ruggero sostenne Anacleto ottenendo in cambio la nomina a Re di Sicilia, il 27 settembre 1130. Tuttavia il nuovo status regale di Ruggero non venne inizialmente accettato in maniera unanime. L’Imperatore Lotario scese infatti in Italia nel 1137 ma dovette ritirarsi senza avere ottenuto nulla. In seguito, morto Anacleto (1138) Ruggero cercò di venire a patti con il suo successore, Innocenzo II, che però si mostrò irremovibile. Quando poi il Papa lo attaccò, Ruggero lo sconfisse e lo fece prigioniero costringendolo a confermarlo nella sua dignità di Re di Sicilia (1139). In cambio il Pontefice si vide confermato il possesso dell’enclave di Benevento.
Una volta stabilizzatosi nella sua posizione, Ruggero diede al suo regno una struttura centralizzata, affidando a giuristi di scuola bolognese la redazione di un corpo legislativo basato sul diritto romano di recente riscoperta. Mentre la Sicilia veniva amministrata direttamente dalla corte di Palermo, nel Meridione continentale i giustizieri si occupavano di far rispettare la legge e amministrare la giustizia mentre altri funzionari, i camerari, avevano il compito di riscuotere i tributi. Alcuni conti e alcune città godevano comunque di una certa autonomia amministrativa. In politica estera Ruggero approfittò dell’instabilità politica del Maghreb, diviso tra le dinastie berbere degli Ziridi e degli Hammadidi, per occupare alcuni importanti centri costieri come Tripoli, Mahdia, Susa, Sfax e Annaba.

Al servizio dei suoi propositi espansionistici il sovrano disponeva di una flotta ben equipaggiata e di un esercito numeroso e ben armato composto da cavalieri normanni e da soldati e arcieri musulmani arruolati in Sicilia.
Ruggero morì nel 1154 e il regno sarebbe stato consolidato dai suoi successori, il figlio Guglielmo I e il nipote Guglielmo II. Quest’ultimo scomparve a soli 36 anni nel 1189. La dinastia normanna degli Altavilla tuttavia non si estinse ma andò per così dire a innestarsi nel tronco di quella sveva degli Hohestaufen attraverso il matrimonio di Costanza d’Altavilla, zia di Guglielmo e ultimogenita del grande Ruggero, con Enrico VI, a sua volta figlio ed erede di Federico Barbarossa. Dalla loro unione nacque Federico II, destinato a raccogliere l’eredità degli illustri nonni cingendo la corona imperiale e quella siciliana. Sotto di lui il regno fondato dal coraggio e dall’ambizione di un pugno di cavalieri normanni toccherà l’apogeo del proprio splendore.
Bibliografia:
- Hubert Houbern, I normanni
- Donald Matthew, I normanni in Italia
- Adele Cilento, Alessandro Vanoli, (introduzione di) Glauco Maria Cantarella, Arabi e Normanni In Sicilia e nel Sud dell’Italia
- Nicola Di Mauro, Normanni – I predoni venuti dal Nord
- Amato di Montecassino, Historia Normannorum