LA RIVOLTA MAHDISTA E LA RICONQUISTA BRITANNICA DEL SUDAN (1881-1899)
Il 26 gennaio 1885 i dervisci mahdisti riuscirono a penetrare all’interno della città di Khartoum, in Sudan, da loro assediata a partire alla metà del marzo 1884.

A quel punto la marea urlante dei ribelli si diresse verso il palazzo del governatore. Si parò allora loro dinanzi il generale inglese Charles George Gordon, il quale chiese loro di poter parlare con il loro capo, il Mahdi. Per tutta risposta i ribelli lo massacrarono a colpi di lancia, lo decapitarono e portarono la sua testa come macabro trofeo al loro campo, dove rimase esposta su una picca di fronte alla tenda del loro leader, Muhammad Ahmad, meglio conosciuto come il Mahdi.
Ma chi era costui? “l’Eletto di Dio”, come lo definivano i suoi seguaci, era nato nel 1844 nell’antica regione della Nubia, oggi collocata tra Egitto e Sudan. Figlio di un cammelliere di Dongola, fin da giovanissimo fu indirizzato allo studio del Corano sull’Isola di Abba, a pochi giorni di navigazione da Khartoum. Verso la fine degli Anni ’70 dell’Ottocento, quando era già considerato dai suoi discepoli come un santo vivente, prese a percorrere il Sudan in lungo e in largo predicando un ritorno alla purezza dell’Islam delle origini e annunciando ai poveri l’inizio di una nuova era. Egli raccolse intorno a sé un numero ragguardevole di seguaci finché nel 1881 si autoproclamò “Mahdi”, figura che la tradizione musulmana vuole debba comparire verso la fine dei tempi per ripristinare il primitivo puro Islam.

In quel periodo il Sudan era sottoposto all’amministrazione egiziana. Nel 1819 infatti Mehmet Ali Pascià, governatore (Khedivè) dell’Egitto ottomano, aveva ordinato l’invasione della parte settentrionale del territorio sudanese. Gli egiziani imposero un pesante regime fiscale cercando nel contempo di limitare il traffico di avorio e di schiavi, suscitando il generale malcontento della popolazione, che accolse con favore la predicazione del Mahdi. Il fermento suscitato dall’attività di Muhammad Ahmad finì ben presto per attirare l’attenzione del governatore egiziano del Sudan, Raoūf Pascià, il quale inviò un messaggero sull’isola di Abba, dove il Mahdi si trovava, con un messaggio in cui intimava al religioso di interrompere la suo opera di proselitismo e di presentarsi a Khartoum per giustificare il proprio comportamento e spiegare le proprie intenzioni. Il Mahdi accolse benevolmente il latore della missiva ma quando questi gli comunicò gli ordini del governatore andò su tutte le furie.

Muhammad Ahmad rispose che mai avrebbe obbedito e, dopo essersi consultato con il suo luogotenente, il fidato Abd Allah al-Ta’aysh, decise di sfidare apertamente il governo. Fu così che il Mahdi proclamò il Jihad contro gli stranieri “nemici di Dio e flagello dell’umanità” inviando ovunque messaggi alle tribù sudanesi perché si unissero alla ribellione. Raoūf Pascià reagì nell’agosto 1881 inviando due compagnie di fanteria ad Abba con l’ordine di arrestare quel fanatico agitatore. I soldati sbarcarono sull’isola la sera del 12 agosto del 1881 dividendosi in due gruppi che, col favore delle tenebre, avanzarono verso il villaggio in cui si trovava il Mahdi giungendovi contemporaneamente. La manovra tuttavia fallì poiché, a causa di un banale equivoco, le formazioni finirono per spararsi addosso l’una contro l’altra. Il Mahdi ne approfittò per assalire i nemici e con i suoi trecento seguaci male armati lì massacrò.
Nonostante il successo la situazione del Mahdi rimaneva precaria. Data la vicinanza di Abba con Khartoum, Muhammad Ahmad era perfettamente consapevole che altre truppe sarebbero state inviate contro di lui. Per questo si ritirò con i suoi seguaci nella regione del Kordofan, non lontano dalla città di Fashoda, su di un monte chiamato Jebel Masa. Il governatore locale, Rishid Bey, mosse contro i mahdisti ritenendo di poter cogliere una facile vittoria contro questi ribelli male armati.

Non avendo preso le dovute preoccupazioni cadde infine in un’imboscata il 9 dicembre 1881 finendo massacrato insieme a tutti i suoi 1.400 uomini. Il governo egiziano a quel punto iniziò a prendere sul serio la faccenda organizzando un’imponente spedizione di 4 mila soldati al comando di Yusuf Pascià, un ufficiale che godeva di grande prestigio. Anche questa volta però gli egiziani sottovalutarono il nemico, leggerezza che si rivelò loro fatale. Fu così che alle prime luci dell’alba l’esercito di Yusuf Pascià, che non aveva nemmeno fatto appostare sentinelle di guardia, venne sorpreso nel proprio campo e fatto a pezzi. La vittoria consegnò al Mahdi il controllo del Kordofan. Caddero nelle sue mani interi depositi di armi e munizioni mentre, a frotte, la popolazione locale accorreva sotto le sue bandiere, salutandolo come l’Inviato di Dio. Gli amministratori egiziani, gli esattori delle tasse e i soldati governativi dispersi nelle guarnigioni periferiche vennero attaccati e massacrati. Il governo egiziano conservò il controllo solo sui centri maggiori che restarono comunque isolati fra loro senza possibilità di comunicare.

A seguito della sconfitta di Yusuf Pascià le autorità britanniche decisero di agire in prima persona. Per capire l’origine della presenza britannica in Egitto occorre risalire al 1869, quando, al termine di dieci anni di lavori, venne inaugurato il canale artificiale che, tagliando l’istmo di Suez metteva in comunicazione il Mediterraneo con il Mar Rosso, abbreviando di parecchie settimane i collegamenti marittimi tra Europa ed Asia. L’opera, realizzata con l’apporto di capitali anglo-francesi e manodopera egiziana, era gestito da una società per azioni, la Compagnia del Canale di Suez, nella quale la maggioranza (51%) era detenuta dai francesi anche se l’Egitto manteneva una sua significativa presenza. Nel corso dei primi anni Settanta l’Egitto si era lanciato in un ambizioso programma di modernizzazione che però, a causa della scarsità di risorse proprie e dell’inefficienza di funzionari corrotti, aveva finito per causare il dissesto finanziario del Paese, costringendo il governo ad aumentare la pressione fiscale e a ricorrere sistematicamente all’indebitamento con le banche straniere sino a raggiungere livelli insostenibili per la tenuta dei conti egiziani. La situazione era tale che nel 1875 il Khedivè Ismail Pascià si trovò costretto a cedere le proprie quote azionarie della Compagnia del Canale alla Gran Bretagna ma ciò non valse a impedire che gli inglesi, assieme ai francesi i principali creditori dell’Egitto, ne approfittassero per ingerirsi negli affari interni del Paese nordafricano con il pretesto di scongiurarne la bancarotta. Pertanto nel 1879 Ismail venne costretto a nominare due esperti europei, l’inglese Sir Charles Rivers Wilson e il francese Ernest-Gabriel de Blignières, rispettivamente ministro delle finanze e dei lavori pubblici.

Tali avvenimenti, inevitabilmente, finirono per portare alla nascita di un forte movimento nazionalista, il cui leader era un ufficiale delle forze armate egiziane, il colonnello Ahmad Orabi, conosciuto anche con il nome di Urabi Pascià. Temendo che l’Egitto fosse sul punto di disconoscere il debito nei confronti del suo Paese, nella primavera del 1882 il Primo Ministro britannico Gladstone inviò una flotta inglese nelle acque di fronte ad Alessandria, ufficialmente con il pretesto di calmare le turbolenze che agitavano il Khedivato. La presenza della flotta straniera, unita al timore di un’invasione, esacerbarono gli animi dei nazionalisti egiziani contro i numerosi stranieri residenti nella cosmopolita città di Alessandria. Il 12 giugno 1882 scoppiò una rissa a seguito della quale la popolazione egiziana assaltò le case e i negozi degli stranieri incendiandoli e devastandoli. Il pogrom costò la vita a duecento persone mentre altre migliaia rimasero ferite. Le autorità britanniche reagirono ordinando il bombardamento delle difese costiere egiziane di Alessandria e l’allestimento di un corpo di spedizione di 25 mila soldati che sbarcarono nella zona del canale di Suez il 13 settembre 1882. Di lì a poco le forze di Sua Maestà britannica sgominarono quelle di Urabi Pascià alla battaglia di Tell al-Kebir (13-14 settembre 1882) imponendo di fatto il protettorato inglese sull’Egitto. Deposto Ismail Pascià, che aveva appoggiato la rivolta di Urabi nel tentativo di scrollarsi di dosso il giogo straniero, la carica di Khedivè andò a suo figlio Tawfīq Pascià. Tuttavia da quel momento il Khedivè e i suoi ministri furono soltanto docili esecutori degli ordini del Console Generale britannico, il quale divenne il vero padrone del Paese. Contemporaneamente i britannici riorganizzarono completamente le forze armate locali secondo il modello europeo. Le truppe egiziane vennero comandate da ufficiali britannici mentre il comando supremo fu assegnato ad un generale inglese, Sir Henry Evelyn Wood che assunse la carica di Sirdar (titolo di derivazione persiana usato per designare il comandante in capo britannico dell’esercito egiziano).

Torniamo ora ad occuparci del Sudan, nel quale controllo anglo-egiziano andava ormai deteriorandosi. Nel tentativo di schiacciare il Mahdi, nell’estate del 1883 gli inglesi decisero come accennato di inviare un corpo di spedizione verso sud, affidandone il comando al generale in pensione William Hicks (detto Hicks Pascià) coadiuvato dal colonnello egiziano Farquhar in qualità di capo di stato maggiore. Il 9 settembre Hicks lasciò Omdurman alla testa di un esercito di 7 mila fanti, 400 bashi-bazouk (truppe irregolari turche a cavallo), 500 cavalieri, 100 circassi, 10 fucilieri a cavallo, 4 cannoni Krupp e 6 mitragliatrici Nordenfeldt. La spedizione iniziò male ed era destinata ad avere un esito tragico. Le raccogliticce truppe di Hicks erano poco motivate e prive di disciplina oltre che carenti di ufficiali capaci. Inoltre, El Obeid, capoluogo del Kordofan, era già caduto in mano mahdista prima ancora della partenza delle truppe anglo-egiziane. Nonostante ciò il fatto che il Darfur fosse ancora saldamente controllato da Slatin Bey (ossia Rudolf Carl Freiherr von Slatin, un ufficiale austriaco al servizio degli egiziani) costituiva un buon punto di riferimento.

All’arrivo delle truppe governative il Mahdi lasciò El Obeid e si accampò in aperta campagna. Egli poteva ormai contare su di un esercito forte di ben 40 mila uomini armati non più soltanto di spade e lance ma di diverse migliaia di fucili e alcuni cannoni. L’esito della battaglia era scontato ancora prima di combattere. Lo scontro avvenne il 3 novembre 1883 e si risolse in una carneficina per le forze di Hicks, il quale trovò la morte sul campo. Com’era consuetudine dei ribelli, la sua testa fu spiccata dal corpo e portata al Mahdi come trofeo. Solamente 500 egiziani scamparono a malapena alla morte. Muhammad Ahmad celebrò la vittoria con una salva di cento cannoni. Ormai il Sudan gli apparteneva.

La disfatta di Hicks convinse il governo britannico della necessità di abbandonare il Sudan e fece pertanto pressioni in tal senso al Khedivè, il quale fu costretto a piegarsi all’ordine. Ma se da un lato fu facile accettare l’ordine di evacuazione, dall’altro fu pressochè impossibile eseguirlo. Alcune guarnigioni infatti erano già cadute sotto i colpi dei ribelli come nel caso di Darfur ed El Obeid mentre quelle di Sennar, Tokar e Sinkat si trovavano sotto assedio. Infine, quelle stanziate nella provincia di Equatoria erano tagliate essendo ormai il Sudan settentrionale in mano agli insorti.
Per dirigere l’evacuazione degli occidentali e degli egiziani presenti in Sudan fu scelto Charles George Gordon, un ufficiale esperto e di provate qualità militari, veterano della guerra di Crimea (1853-1856) e della seconda guerra dell’oppio combattuta in Cina tra il 1856 e il 1860. A quel punto si era spostato in Egitto, dove nel 1873 aveva ricevuto dal Khedivè la nomina a governatore del Sudan, dove condusse una lotta senza quartiere contro la schiavitù che ancora imperversava nella regione. Nel 1880 infine Gordon si era dimesso dall’esercito egiziano per rientrare in quello britannico dove fu insignito del grado di generale. Proprio in virtù del suo passato da governatore della regione sudanese e della sua grande popolarità Gordon fu scelto per questo delicato incarico. Egli tuttavia aveva idee diametralmente rispetto al Primo Ministro britannico William Gladstone riguardo il comportamento che la Gran Bretagna avrebbe dovuto tenere in Sudan. La ribellione del Mahdi andava repressa al più presto in quanto altrimenti, secondo Gordon, i mahdisti, una volta impadronitisi del Sudan, avrebbero potuto facilmente gettarsi sull’Egitto, vista anche la facilità con cui avevano sconfitto a più riprese le truppe del Khedivè.

Ad ogni modo Gordon lasciò l’Inghilterra il 18 gennaio 1884 con un credito di 100 mila sterline e la promessa che autorità britanniche ed egiziane gli avrebbero assicurato “tutto il sostegno e la cooperazione in loro potere”. L’inviato di Sua Maestà giunse a Khartoum il 22 febbraio successivo, accolto festosamente dalla popolazione, convinta che dietro all’inviato vi fosse la potenza di un impero. Ben presto la missione di Gordon si fece impossibile a causa della ribellione delle tribù arabe insediate a nord di Khartoum: nel marzo del 1884 esse aderirono alla guerra santa proclamata dal Mahdi e tagliarono i fili del telegrafo che assicuravano le comunicazioni tra la capitale del Sudan e il Cairo. Gordon, ormai isolato, si concentrò sul rafforzamento delle difese cittadine. Forte della promessa fattagli al momento della partenza, il generale richiese dapprima l’invio di un contingente turco (l’Egitto era infatti nominalmente vassallo dell’Impero Ottomano) poi di un reggimento musulmano dall’India britannica e infine di duecento soldati britannici per rafforzare la difesa di Khartoum ma nessuna di queste richieste fu accolta.

Intanto il Mahdi decise di attaccare Khartoum muovendo contro la città con un esercito di 15-20 mila guerrieri. L’assedio ebbe inizio il 15 marzo 1884. L’11 Gordon telegrafò per l’ultima volta “I ribelli si trovano sul Nilo Azzurro a una distanza di quattro ore”. La guarnigione di Khartoum, forte di appena 7 mila soldati egiziani, resistette per ben dieci mesi contro le preponderanti forze mahdiste, che giunsero a contare ben 50 mila guerrieri. La situazione di Gordon e dei suoi suscitò una viva preoccupazione in Gran Bretagna al punto che anche la Regina Vittoria si espresse in favore dell’invio di una missione di salvataggio. Il comando della spedizione fu assegnato al generale pluridecorato Garnet Wolseley. Mentre una flotta di battelli a vapore avrebbe risalito il Nilo, il Camel Corps avrebbe raggiunto Khartoum via terra marciando attraverso il deserto. I reggimenti cammellati si scontrarono con i mahdisti ad Abu Klea il 17 gennaio 1885 uscendone vittoriosi ma fu tutto inutile: Khartoum, ormai allo stremo, cadde il 26 gennaio successivo e, come abbiamo raccontato in apertura, i ribelli si lasciarono andare ad un massacro indiscriminato che coinvolse la guarnigione e migliaia di civili, oltre allo stesso Gordon, trucidato e decapitato. Dopo la caduta di Khartoum i britannici abbandonarono definitivamente il Sudan mantenendo solamente il controllo dei porto di Suakin, sul Mar Rosso, e del caposaldo di Wadi Halfa, lungo il Nilo.

Divenuto padrone assoluto del Paese, Muhammad Ahmad diede vita ad uno stato islamico fondato su una rigida interpretazione della Sharia, la Legge coranica. Il Sudan venne diviso in varie province assegnate ai “califfi”, i luogotenenti del Mahdi, mentre quest’ultimo pose la sua residenza ad Omdurman, abbandonando la precedente capitale, “l’infedele” Khartoum. L’immenso e fedele esercito costituiva il braccio armato attraverso cui il Mahdi poté imporre il suo potere ad una popolazione ridotta in miseria. Il regno dell’Eletto di Dio durò comunque pochi mesi, sino al giugno del 1885, quando Muhammad Ahmad morì a causa del tifo. Fu designato a succedergli Abd Allah al-Ta’aysh, detto appunto “il Khalifa”. Seguace del Mahdi sin dalla prima ora, Abd Allah era allora quarantenne. Fu avviato sin dalla giovinezza agli studi religiosi islamici e all’apprendimento del Corano pur restando semi analfabeta. Nonostante ciò era un uomo intelligente oltre che dotato di grandi ambizioni: tentò dapprima di conquistare il porto di Suakin, ancora in mano agli anglo-egiziani, nel tentativo di guadagnare uno sbocco sul mare, ma fu respinto. Successivamente cercò di rifarsi attaccando l’Impero d’Abissinia, la cui popolazione era in maggioranza cristiana copta e quindi “infedele”. Lo scontro decisivo avvenne il 9 marzo 1889 a Metemma, nell’Etiopia nord-orientale. Gli abissini prevalsero ma nello scontro perì il Negus (Imperatore) Yohannes IV, la cui testa decapitata e impalata su una picca venne fatta esporre a Omdurman come macabro trofeo.

La riconquista del Sudan non fu presa in considerazione sino alla metà degli anni ’90 del XIX secolo. L’opinione pubblica inglese iniziò a interessarsi nuovamente del problema sudanese a partire dal 1891 quando Giuseppe Ohrwalder pubblicò un resoconto della sua prigionia presso i mahdisti intitolato I miei dieci anni di prigionia. Padre Ohrwalder era un sacerdote cattolico missionario originario dell’Alto Adige che aveva collaborato con il vescovo Daniele Comboni. Catturato dai fanatici del Mahdi, il 29 ottobre 1890 era riuscito a fuggire da Omdurman con due suore e una ragazza giungendo sano e salvo in territorio egiziano l’8 dicembre successivo. Ancor più preziosa per lo stato maggiore britannico si rivelò la testimonianza dell’ex governatore del Darfur Slatin Bey, fuggito dalle prigioni sudanesi nel 1895. Fatto schiavo e costretto ad abbracciare l’Islam, Slatin era divenuto il fedele servitore e il confidente di Abd Allah, tanto da venire ammesso alla sua mensa e da partecipare a tutte le riunioni del califfo. L’ufficiale austriaco era quindi un uomo prezioso in quanto rappresentava colui che meglio conosceva l’impero mahdista, il suo capo e i suoi emiri. Il suo resoconto Spada e fuoco in Sudan. Le mie lotte con i dervisci, la mia prigionia e la mia fuga 1879-1895 suscitò la rabbia e l’orrore degli inglesi contro le crudeltà perpetrate dal califfo al punto che l’opinione pubblica britannica iniziò a considerare sempre più seriamente l’idea di riconquistare il Sudan.

La Gran Bretagna avviò dunque la riconquista del Sudan a partire dal 1896, preoccupata soprattutto dall’interesse che la Francia stava dimostrando verso quella regione. Parigi intendeva infatti realizzare un dominio africano che si estendesse senza soluzione di continuità dall’Atlantico al Mar Rosso, il che cozzava contro le ambizioni coloniali del Regno Unito, intento a costruire un impero africano esteso “dal Capo al Cairo”. Proprio nel settembre del 1898, durante la spedizione sudanese, l’esercito di Lord Kitchener si imbatté in una colonna francese guidata dal capitano Marchand, intenzionata ad occupare la cittadina di Fashoda. Francesi e britannici si fronteggiarono minacciosamente fino al 7 novembre, quando i francesi si ritirarono. La cosiddetta “crisi di Fashoda” rappresentò uno dei momenti di tensione peggiore fra Gran Bretagna e Francia nella “corsa per l’Africa” e rischiò di trascinare entrambe le nazioni in una guerra.

L’esercito di Sua Maestà mosse dunque alla conquista dell’impero mahdista a partire dal 18 marzo 1896 sotto la guida del maresciallo di campo Horatio Herbert Kitchener. Il corpo di spedizione anglo egiziano, forte di 25 mila uomini (8 mila inglesi e 17 mila egiziani), avanzò verso sud lungo il Nilo e via terra servendosi di una ferrovia costruita per l’occasione. Al principio di settembre l’esercito si schierò davanti a Omdurman con la fanteria al centro e la cavalleria e i reggimenti cammellati sulle ali mentre a valle e a monte del Nilo stazionavano due flottiglie di navi a vapore. La battaglia ebbe inizio verso le 6 del mattino del 2 settembre 1898 Abd Allah diede ordine di attaccare ai suoi 50 mila guerrieri che si lanciarono sugli anglo egiziani con coraggio suicida armati di lance, spade e solo in parte di fucili. I mahdisti furono tuttavia arrestati dalla zeriba (un recinto protettivo approntato con materiali di recupero, tra cui cespugli spinosi) e poi falciati senza pietà dal fuoco dei cannoni campali e navali oltre che dalle mitragliatrici Maxim, capaci di sparare oltre 500 colpi al minuto. La battaglia terminò verso le 11.30: circa 12.000 mahdisti furono uccisi, 13 mila feriti e 5 mila furono presi prigionieri. Di contro le forze di Kitchener persero 47 uomini e 382 furono feriti. Il califfo Abd Allah fu costretto a ripiegare abbandonando la sua capitale all’occupazione nemica.

Una volta entrato a Omdurman, Kitchener diede ordine di distruggere il mausoleo in cui erano conservate le ceneri del Mahdi e di disperderne i resti. La guerra terminò il 24 novembre successivo con la vittoria inglese nella battaglia di Umm Diwaykarat. Il Califfo Abd Allah fu sconfitto e ucciso e i suoi ultimi seguaci dispersi una volta per tutte. Il Sudan, rioccupato entro il 1900, sarebbe rimasto sotto controllo britannico fino al 1956.
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