La penisola italiana, nella seconda metà del Quattrocento, attraversò un periodo di straordinaria fioritura artistica e culturale, conosciuta comunemente con il nome di Rinascimento. Tuttavia, contrariamente a quanto noi pensiamo comunemente, quella rinascimentale fu tutt’altro che un’epoca pacifica, ma fu invece un periodo d’oro per signori della guerra senza scrupoli, i “capitani di ventura” veri e propri imprenditori della guerra, assoldati di volta in volta dai vari stati italiani nei frequenti casi di guerra contro i vicini.

A volte però, per colpire al cuore il governo del principato nemico, era preferibile ricorrere ad altri sistemi, magari meno onorevoli dello scontro armato, ma senz’altro più efficaci: sbarazzarsi di un rivale, per esempio attraverso una cospirazione, era certo estremamente rischioso ma lasciare il principato nemico senza una guida avrebbe potuto più facilmente destabilizzarlo e renderlo inoffensivo. Nel Medioevo la politica era un gioco senza esclusione di colpi nel quale non ci si faceva scrupolo a eliminare fisicamente un avversario. Tra le famiglie patrizie le rivalità potevano arrivare ad essere tanto forti e dure a morire da trascinarsi attraverso le generazioni. Ma non c’erano solo gli odi personali o gli interessi particolari ad armare la mano dei congiurati: ci furono casi in cui il movente di un complotto fu l’idealismo repubblicano e l’avversione a principi percepiti come “tiranni”, come accadde nel 1476 per Galeazzo Maria Sforza e nel 1537 ad Alessandro de Medici. Per questo motivo i principi rinascimentali erano sempre all’erta per non cadere vittima di un pugnale o di una coppa di veleno.

Uno dei complotti più famosi del Rinascimento fu senz’altro la congiura de Pazzi, di cui racconteremo di seguito. Il complotto prende il nome dalla famiglia rivale dei Medici che tentò con quell’azione di rovesciarne il regime. Nella seconda metà del XV secolo a Firenze il regime repubblicano fu di fatto esautorato dalla famiglia dei Medici che, a partire dal 1434, con Cosimo il Vecchio, arrivarono a controllare le leve del potere attraverso la nomina di uomini di fiducia della famiglia Medici nei posti chiave del governo comunale, mentre Cosimo continuava a restare dietro le quinte vivendo come un privato cittadino. Tale regime è chiamato, non a caso “cripto signoria”, cioè signoria dissimulata, nascosta.

Il regime inaugurato da Cosimo proseguì a partire dal 1469 sotto la guida dei nipoti, il ventenne Lorenzo e il sedicenne Giuliano. I due ragazzi dovettero fare i conti fin da subito con l’ostilità del nuovo pontefice, Sisto IV Della Rovere, eletto nel 1471. Questo Papa, ambizioso e nepotista, mirava a impadronirsi dei ricchi territori toscani, che avrebbe voluto assegnare al proprio nipote, il nobile Girolamo Riario, senza contare che non vedeva di buon occhio le mire dei Medici verso la Romagna, in particolare nei confronti della città di Imola. Ormai in rotta di collisione con i giovani leader fiorentini, Sisto tolse loro l’amministrazione delle finanze pontificie, affidandole alla famiglia dei Pazzi, grandi rivali dei medici nonostante le due casate si fossero di recente imparentate attraverso il matrimonio di Bianca, sorella di Lorenzo de Medici, con Guglielmo de Pazzi. La mossa del Papa fu un duro colpo per i Medici, dati gli enormi profitti derivanti dalle commissioni riscosse sulle operazioni finanziare e sui ricavi derivanti dalle miniere di allume dei monti della Tolfa, vicino Civitavecchia. L’allume era un prodotto prezioso nell’industria tessile, in cui era adoperato come fissante dei colori per i tessuti.

Ma i piani del Papa non si fermarono qui. Fu infatti verso il 1477 che nacque a Roma l’idea di togliere di mezzo Lorenzo e Giuliano. Al complotto presero parte, oltre al Papa, i banchieri fiorentini Francesco e Jacopo de Pazzi. Coinvolto nella macchinazione era anche Francesco Salviati, l’arcivescovo di Pisa, che non aveva perdonato a Lorenzo il Magnifico di avergli impedito di ottenere la cattedra vescovile di Firenze, andata invece a monsignor Rinaldo Orsini, parente dei Medici. Una volta tolti di mezzo i fratelli Medici il Papa progettava di investire il nipote Riario della signoria di Firenze.
Il primo piano elaborato dai congiurati prevedeva di avvelenare Lorenzo e Giuliano nel corso di un banchetto che si sarebbe dovuto svolgere il 25 aprile 1478 a Villa Medici in Fiesole: Girolamo Riario e Jacopo de pazzi avrebbero dovuto avvelenare le coppe delle loro vittime ma l’operazione abortì a causa dell’assenza di Giuliano, che era malato. Il piano prevedeva infatti l’eliminazione simultanea di entrambi i Medici. Si decise allora di tentare di nuovo la sorte il giorno successivo durante la messa che si sarebbe celebrata a Santa Maria del Fiore.

Il compito di accoltellare mortalmente Lorenzo e Giuliano venne affidato a Giovanni Battista da Montesecco, uomo d’arme e capitano delle guardie del Palazzo Apostolico, a cui in cambio fu promessa la signoria sul feudo di Sassoferrato. Montesecco tuttavia, in nome del proprio onore di cavaliere, rifiutò di pugnalare a tradimento i due giovani Medici, un atto tanto vile quanto sacrilego in quanto l’aggressione avrebbe dovuto compiersi in una chiesa durante una funzione religiosa. Furono pertanto ingaggiati al suo posto Stefano da Bagnone e Antonio Maffei da Volterra, due preti non avvezzi a maneggiare le armi, circostanza che avrebbe pesato in modo determinante sull’esito del complotto.
Intanto, quello stesso giorno, alcune centinaia di truppe fedeli agli ordini del Duca di Urbino Federico da Montefeltro si accamparono nei dintorni di Firenze, pronte a intervenire in aiuto dei congiurati. Nel frattempo, in città, prima della funzione, decisi a fare in modo che anche Giuliano fosse presente, Bernardo Bandini e Francesco de Pazzi si recarono a Palazzo medici per accompagnare il giovane al Duomo. Nel corso del tragitto i due si comportarono in modo affabile con la vittima, abbracciando spesso il ragazzo per sincerarsi che sotto l’elegante veste non portasse la cotta di maglia come era solito fare.

Il piano scattò alle 13.30 al momento dell’elevazione: i congiurati si avventarono su Giuliano che non ebbe scampo: il venticinquenne Medici cadde crivellato di colpi in un lago di sangue. Suo fratello Lorenzo, invece, scortato dai suoi uomini, tra i quali il fedele Angelo Poliziano, riuscì a salvarsi riparando nella Sagrestia, sbarrando la porta alle sue spalle. Jacopo de Pazzi, intanto, sopraggiunse a cavallo nella piazza del Duomo incitando il popolo alla rivolta al grido di “Libertà!” ma la folla gli fece eco a gran voce rispondendo “Palle! Palle!”, dallo stemma araldico mediceo, che raffigurava appunto sei sfere rosse in campo dorato.
I partigiani dei Medici si abbandonarono a una spietata caccia all’uomo, linciando senza pietà i congiurati o sospetti tali, che furono impiccati alle finestre di Palazzo vecchio. Soltanto al Montesecco, scovato in un convento benedettino dai soldati fiorentini, fu risparmiata questa umiliazione: dopo essere stato torturato venne infatti decapitato il 4 maggio nel Palazzo del Bargello e la sua testa fu collocata a monito sul portone dell’edificio.

Lorenzo, lasciò che la vendetta popolare si consumasse, probabilmente ben contento di non doversi nemmeno sporcare personalmente le mani del sangue dei traditori. Gli esponenti della famiglia Pazzi scampati al macello furono esiliati e il loro nome fu cancellato da tutti gli atti ufficiali. Bernardo Bandini riparò a Costantinopoli ma fu individuato ed arrestato su espressa richiesta di Lorenzo al Sultano Mehmet II. Estradato a Firenze, finì anche lui sulla forca.
Siccome tra gli uccisi risultava esservi anche l’arcivescovo Salviati, Papa Sisto ne approfittò per scomunicare Lorenzo e porre l’interdetto sulla città di Firenze. Intanto le truppe del Re di Napoli, Don Ferrante d’Aragona, alleato del pontefice, invasero la Toscana nel giugno 1478. L’esercito napoletano dilagò nei territori della repubblica fiorentina occupando le fortezza di Poggibonsi e di Colle val d’Elsa, a poche decine di chilometri da Firenze. Lorenzo, forte dell’appoggio dei propri concittadini e ben consapevole che in gioco c’era la sopravvivenza del potere mediceo, prese una decisione estremamente coraggiosa: lasciata Firenze, partì per Napoli il 18 dicembre 1479, deciso a trattare personalmente con Re Ferdinando, il quale, dopo avere incontrato il Magnifico, si rese conto che la popolazione di Firenze era compattamente schierata con il proprio signore, il che lo indusse a desistere dal proseguire l’invasione.
In nome della vecchia alleanza che legava la sua famiglia ai Medici, anche la duchessa di Calabria Ippolita Maria Sforza intercedette presso il suocero a favore di Lorenzo. Quando finalmente, il 13 marzo 1480 Lorenzo rientrò nella sua città fu portato in trionfo dai fiorentini che lo acclamarono come salvatore della patria. A porre fine una volta per tutte alla guerra ci pensò lo sbarco dei turchi a Otranto, avvenuto nell’estate del 1480, che costrinse Ferdinando d’Aragona a concentrare le proprie forze in Puglia, mentre Papa Sisto, spiazzato dal cambio di schieramento di Ferdinando d’Aragona e preoccupato per l’invasione musulmana, offrì la pace a Lorenzo, revocandogli la scomunica il 3 dicembre 1480.

In seguito al fallimento della congiura e al trionfo diplomatico nella guerra successiva, Lorenzo rafforzò il controllo sulla città di Firenze, al punto che il suo regime divenne pressoché inattaccabile. A livello internazionale il Magnifico si confermò l’ago della bilancia della politica italiana, rilanciando il progetto della Lega Italica, già elaborato da nonno Cosimo. Grazie ad essa l’Italia godrà di stabilità e pace, rimanendo immune da minacce esterne fino al 1492, anno della morte del Magnifico. A quel punto, data l’incapacità dei governanti italiani di gestire il sistema messo in piedi da Lorenzo, la nostra Penisola ripiomberà nel caos a partire dal 1494, con la calata del re francese Carlo VIII.
Bibliografia:
- Franco Cardini, La congiura. Potere e vendetta nella Firenze dei Medici
- Marcello Simonetta, L’enigma Montefeltro
- Miles J. Unger, Lorenzo il Magnifico. La vita geniale e travolgente di Lorenzo de’ Medici