Il canale di Panama, il progresso conteso

È il sette settembre 1977. Omar Torrijos passeggia nervosamente nel corridoio, imbustato in un serio completo grigio chiaro, e non smette di mettere mano alla cravatta, che non è abituato a indossare e quasi lo soffoca. È un bell’uomo sulla cinquantina, statuario e abbronzato, dai capelli grigi che tuttavia conservano qualche ciocca nera della giovinezza. Senza il suo sigaro, il suo cappello e i suoi stivali, si sente un po’ come un pesce fuor d’acqua, vestito come uno dei banchieri e dei faccendieri che egli disprezza tanto. Ma ora non è il momento per questi pensieri.

Omar Torrijos Biography - Childhood, Life Achievements & Timeline
Omar Efraín Torrijos Herrera (1929-1981) generale panamense a capo della Giunta Militare rivoluzionaria tra il 1968 e il 1981.

Torrijos è teso, e non senza motivo. Sta per incontrare il presidente degli Stati Uniti d’America Jimmy Carter per siglare l’accordo che nel corso di quasi ventidue anni, dovrà garantire la restituzione del canale di Panama al suo Paese. È stata la sua lotta personale per quasi nove anni, da quando ha assunto la posizione di líder máximo della nazione. Ammira l’indipendenza e la fulgidità di personaggi come Tito, che si è completamente scrollato di dosso l’Unione Sovietica ed riuscito persino a intimidire Stalin; e del Presidente egiziano Nasser, che si opposto agli americani e agli inglesi nazionalizzando il Canale di Suez nel 1956.
Tanti si sono opposti alla sua risoluzione, e non solo nel Congresso degli Stati Uniti, ma anche nei vicini paesi di Costa Rica e Nicaragua, dove quelli che ora lo fischiano andranno a costituire, finanziati dal governo americano, il movimento Contra nella guerra civile nicaraguegna.

“Non siamo mai stati, non siamo, e mai saremo uno Stato associato, colonia o protettorato, e non abbiamo alcuna intenzione di diventare un’altra stella nella bandiera USA!” aveva gridato agitando il pugno. “Il canale lo abbiamo costruito noi coi nostri soldi e quindi ce lo teniamo” aveva rimbeccato Washington per tutta risposta.
I toni si erano scaldati sempre più – gli USA avevano cominciato a mostrare i muscoli con le loro basi militari e Torrijos aveva minacciato di far riempire di botte i lavoratori americani nel paese “E il primo cazzotto lo faccio volare io personalmente” aveva precisato. Ma dal 1973, anno in cui aveva rivolto il suo appello alle Nazioni Unite e attirato l’interesse internazionale sulla questione, le urla e le minacce avevano lasciato il posto al dialogo.

Mappa che mostra il Canale di Panama.

Forse temendo uno smacco come quello subito dagli inglesi a Suez, o non volendo ulteriormente dare al mondo motivo di mettere in discussione la sua politica estera, specialmente nel momento in cui la disastrosa guerra del Vietnam stava giungendo al termine, assieme al suo ancor più disastroso intervento militare, gli americani ammorbidirono la loro retorica e si dissero disponibili a trattare.

E così, tutto si concludeva in quel giorno di settembre. La lotta era finita. L’accordo siglato garantiva la graduale restituzione a Panama delle risorse e delle infrastrutture del canale, da concludersi il 31 dicembre 1999, con Panama che al volgere del nuovo millennio avrebbe completamente avuto il canale sotto la sua giurisdizione.

Torrijos non è soddisfatto. Per garantire la restituzione, ha dovuto accondiscendere alle condizioni degli americani – e cioè che le loro basi militari sul territorio panamense non solo siano legalmente riconosciute ma anche protette dal governo di Panama!
È essenzialmente una vittoria di Pirro, e l’orgoglioso Torrijos, abituato a vittorie complete e gratificanti, non lo può sopportare. Alla cerimonia di ratificazione del trattato nella base americana di Fort Clayton, appare evidentemente a disagio e non si fa problemi a vuotare la bottiglia. Quando viene il momento del suo discorso, è costretto ad aggrapparsi al podio per non perdere l’equilibrio e biascica senza vergogna. Quasi sviene.

Jimmy Carter and Omar Torrijos at the signing of the Panama Canal Treaty. - NARA - 179925.tif
Omar Torrijos e il presidente americano Jimmy Carter firmano a Washington il trattato che sancisce il passaggio del canale sotto sovranità panamense a partire dal 1° gennaio 2000.

L’ufficiale panamense che defilato dalla fotocamera dei giornalisti, che sta disciplinatamente e in silenzio nella penombra e lo riaccompagna alla macchina a fine cerimonia, è un tipo del tutto diverso da Torrijos. È basso, ha untuosi capelli neri e il viso butterato gli è valso il soprannome di “Cara de Piña” che in spagnolo significa “faccia d’ananas”. È il capo del servizio di Intelligence e controspionaggio panamense, il colonnello Manuel Antonio Noriega.
Egli è il protetto di Torrijos, sin dai tempi in cui quest’ultimo era stato il suo ufficiale superiore. Quel ragazzo con il viso sfregiato e l’attitudine seria, quasi intellettuale gli ha sempre fatto una buona impressione e ispirato una naturale simpatia. Noriega è un gran lavoratore, si sobbarca una gran quantità di compiti che svolge con zelo e assiduità. Ha solo un difetto, è giovane e molto capace, quindi di conseguenza un po’ arrogante.
Questa arroganza si traduce in scherzi crudeli ai compagni, in “bravate” come il dar fuoco alla baracca di un senzatetto mestizo nel 1961, o il pestaggio e lo stupro di una prostituta nel 1962. Torrijos non era contento di tale comportamento e anche se lo salvò dalla prigione, lo punì facendolo pestare dai suoi sottoposti e confinandolo nelle sue camerate per un mese.

After promoting himself to the rank of military general, Manuel Antonio Noriega served as the leader of Panama from 1983 to 1989.
Manuel Antonio Noriega (1934-2017) capo dello Stato e dittatore di Panama tra il 1983 e il 1989.

Quando nel 1966 il sottotenente Noriega si produsse in un altro episodio di violenza, violentando una tredicenne e pestandone a sangue il fratello intervenuto a fermarlo, Torrijos lo salvò dal linciaggio mandandolo in esilio sul confine con il Costa Rica per qualche mese, prima di stazionarlo nella provincia di Chiriquì. Qui Noriega cominciò a frequentare la scuola militare dell’America, gestita dagli USA, e ne uscì un uomo cambiato.
Sparite erano l’arroganza e la violenza improvvisa, sparita la sua tendenza al bere smodatamente. In quella scuola, il sottotenente Manuel Noriega si era trasformato nell’uomo disciplinato e ordinato che incontriamo oggi, il colonnello Noriega.

Questo suo essere silenzioso e disciplinato porta Noriega a non commentare sulla situazione del canale, o sulla politica in generale. Certo, nel 1968 a supportato la presa del potere di Torrijos. Come capo dell’intelligence, ha esiliato circa 1300 cittadini panamensi. Ne ha fatti picchiare circa 3000. Di questi 3000, qualcuno è morto in seguito ai pestaggi. A un oppositore politico fuggito negli USA era arrivato un pacco bomba.
Nonostante ciò, Noriega non è interessato molto interessato alla politica, né a litigare con gli americani. A lui piacciono gli “yankee”. È andato a scuola da loro, e parla un perfetto inglese. Non solo – la CIA già da tempo l’ha reclutato come “collaboratore” part-time, prima con pagamenti e incentivi per caso, infine con un regolare stipendio. Nel 1971, Noriega ricevette il suo primo salario regolare da parte della CIA.
Stranamente, Torrijos pare tollerare queste relazioni extrapatriottiche del suo protetto. Forse le ritiene un beneficio alla sua causa del canale, forse non è a conoscenza di quanto esse siano profonde. Ma di fatto, le tollera.

Il mausoleo di Torrijos, scomparso nel 1981 in seguito ad un incidente aereo.

Nel 1981, mentre è nel mezzo delle sue riforme per liberalizzare il Paese, Torrijos precipita con il suo aereo privato. Non sopravvive. Per Noriega è arrivata l’occasione di prendere il comando, ma egli appare genuinamente turbato. Inizierà il suo elogio funebre al “papi” della Nazione con le parole “Ci ha lasciati la persona più cara…”

Florencio Flores Aguilar prende il posto di Torrijos, con Noriega, Diaz Herrera e Ruben Dario Paredes come suoi deputati. Nel 1982 Aguilar viene deposto dai tre e poco meno di un anno dopo la stessa sorte toccherà a Paredes, non appena egli avrà promosso Noriega al grado di Generale. Diaz Herrera prende il posto di Noriega a capo dell’intelligence e per qualche anno è il suo secondo, ma sarà arrestato, degradato e riempito di botte nel 1987, dopo aver criticato il regime.
Torrijos vedeva la liberazione del canale di Panama come il requisito fondamentale per garantire “pace, commercio, onesto lavoro e prosperità” al popolo panamense. Noriega utilizzò gli assetti governativi del canale per trafficare droga, armi e qualche volta esseri umani.Egli dava la caccia ai trafficanti della droga così da potersi accaparrare il loro mercato. Vendeva armi per conto della CIA ma allo stesso tempo scambiava informazioni e dossier con Cuba.

U.S. Forces invaded Panama to take down its dictator, Manuel Noriega.
Soldati statunitensi a Panama nel 1989 impegnati nell’operazione che porterà alla deposizione e all’arresto di Noriega.

Nel 1989, dopo che la CIA si era oramai stancata dei suoi servigi, ormai più scomodi e imbarazzanti che proficui, e la nazione panamense si trovava ormai sull’orlo della guerra civile, gli USA invasero Panama il 20 dicembre per deporre ed arrestare il dittatore. Tale intento riuscì a smantellare la dittatura militare e riavviare Panama sulla strada della democrazia. Dieci anni dopo, il canale passò finalmente e definitivamente sotto il controllo delle autorità panamensi. Nel 2004, il figlio di Torrijos, Martin, fu eletto presidente di Panama.

Noriega fu portato negli Stati Uniti dove venne processato  con otto capi d’imputazione, tra cui traffico di droga, estorsione e riciclaggio di denaro sporco nell’aprile del 1992. Condannato a quarant’anni di prigione (poi ridotti a trenta e infine a diciassette), nell’agosto del 2007 venne estradato in Francia, dove era stato condannato in contumacia nel 1999 per riciclaggio. Nel dicembre 2011 il settantasettenne ex dittatore poté tornare in patria dove ad attenderlo c’era un’altra condanna a vent’anni per le violazioni dei diritti umani commesse negli anni del suo regime. Ammalatosi di tumore al cervello l’anno successivo, è morto in prigionia a ottantatré anni il 29 maggio 2017.

 

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