È la sera del 24 Marzo 1976. Isabel Martinez de Péron, Presidente della nazione argentina nonché primo capo di stato donna della storia del Paese, sa che le cose stanno per cambiare. La sua divinante di fiducia, della cui pratica ha sempre riposto una fede che quasi raggiunge un fanatismo pseudo religioso, nelle carte e nei fondi delle tazzine da tè ha visto i presagi di un cambiamento nefasto.

Più concretamente, nelle scorse settimane “Isabelita” Péron ha constatato il silenzioso scontento e quieto disprezzo dei generali nei suoi confronti. Le sono arrivate voci di corridoio relative a contatti fra alcuni alti ufficiali ed esponenti delle autorità statunitensi oltre che, cosa più allarmante, della DINA, la Dirección de Inteligencia Nacional, la spietata polizia segreta cilena. La vicinanza del Cile di Augusto Pinochet è sempre stata un’ombra inquietante sulla nazione argentina, in particolar modo per la tenuta del sistema democratico e dello stato di diritto. Nonostante le relazioni fra i due Paesi si possano definire “ragionevolmente amichevoli”, specialmente in vista delle trattative riguardanti i diritti e la cartografia del Canale di Beagle.
Tali trattative erano state una vera ventata d’aria fresca dopo le turbolente relazioni e i trascorsi tra i due Paesi: nel 1958, la marina argentina aveva bombardato un faro cileno e sbarcato delle truppe sull’arida e inabitabile isolotto di Snipe, mentre il 6 novembre 1965 era accaduto l’incidente (o secondo altre fonti, la battaglia) di Laguna del Desierto, dove i carabineros cileni e la gendarmeria argentina si erano scambiati colpi d’arma da fuoco che avevano ferito un sergente dei carabineros e ucciso un ufficiale degli stessi. La guerra fu evitata per un soffio. Le trattative erano state inaugurate dall’allora Presidente del Cile Salvador Allende, ucciso nel 1973 durante il golpe di Pinochet, e anche se la Junta del Generale si era sempre mostrata più che disponibile nel continuare la trattativa (o meglio, nel ridefinirne i termini) ciò non aveva alleviato quel senso d’inquietudine.

Isabel Péron ha quindi ben ragione di preoccuparsi. Anche se è il primo Presidente donna, affettuosamente appellata dal popolo come “La Presidente”, non è il primo Presidente donna eletto dell’Argentina. Isabel Martinez de Péron non è stata eletta Presidente, ma semplicemente è succeduta al marito, Juan Péron, alla sua morte per arresto cardiaco nel 1974. Ella tuttavia manca del carisma, della passione e dell’entusiasmo femminista ed egalitario che avevano caratterizzato la precedente moglie di Péron, Eva María Ibarguren, meglio nota con il soprannome di “Evita”, una figura rivoluzionaria dell’emancipazione delle donne, prematuramente scomparsa nel 1952 ad appena 33 anni. Isabel inoltre non possiede la foga e la saldezza del marito defunto, anche se ciò in ambito internazionale forse gioca a suo favore in quanto Juan aveva causato non poche controversie quando nel 1946 aveva definito il Processo di Norimberga contro i criminali nazisti “una vergogna e una disgrazia per l’umanità”, o per come non avesse mai fatto mistero dei suoi contatti in tempo di guerra col disgraziato ministro degli esteri tedesco Joachim von Ribbentrop e il temuto capo dell’ RSHA Ernst Kaltenbrunner, entrambi giustiziati per crimini contro l’umanità al termine di quello storico processo. Nonostante queste “macchie”, più o meno giustificabili dalle ottime relazioni che Argentina e Germania avevano sempre intrattenuto anche durante la Seconda Guerra Mondiale, era stato un buon leader che aveva come unica missione di vita il progresso e il benessere del suo Paese.
Ma ora, Juan non c’è più, e questo processo di sviluppo, assieme alla carriera politica di Isabel Martinez de Péron, sta per incontrare un brusco stop. Infatti, poco dopo la mezzanotte del 24 marzo 1976, quando, una volta a bordo del suo elicottero privato alla Casa Rosada, Isabel viene bruscamente informata dai membri dell’equipaggio che non hanno alcuna intenzione di portarla alla residenza presidenziale: verrà invece condotta all’Aeroparque Metropolitano Jorge Newbery di Buenos Aires e imbarcata su un aereo militare con destinazione un campo militare nella Provincia meridionale di Nauquen. Gli ufficiali della Marina occupano la Casa Rosada, arrestando i sostenitori della Presidente, mentre le forze di terra occupano gli uffici della Confederación General de Trabajo o CGT, la potente e temuta unione sindacale del lavoro. Il capo dell’organizzazione, Lorenzo Miguel, uno dei sostenitori più convinti e incrollabili della Martinez de Péron, si arrende senza resistenza ma con un altezzoso sdegno.

Alle ore tre e dieci tutte le trasmissioni televisive e via radio vengono interrotte e rimpiazzate da una marcetta militare. Verso le cinque del mattino, il Comandante dell’Esercito Jorge Rafael Videla, affiancato dall’Ammiraglio Emilio Eduardo Massera e il Brigadiere dell’Aviazione Orlando Ramòn Agosti entrano nella Casa Rosata ed effettuano il giuramento.
Formalmente, non incontrano molta resistenza anche se nei quartieri meridionali della città si sente qualche sparo e persino un’esplosione, si tratta di incidenti isolati. La democrazia è stata sfrattata e costretta a uscire dalla porta di servizio. È l’inizio della dittatura. La mattina seguente i cittadini argentini si svegliano e continuano la loro vita di tutti i giorni come se nulla fosse accaduto. Un breve e conciso bollettino informa la popolazione del cambio di sistema. Il comunicato recita “I cittadini sono informati che da quest’oggi, il Paese è sotto il controllo operativo del Comando Militare congiunto dei corpi d’armata. Raccomandiamo a tutti i cittadini la massima e strettissima collaborazione con tutte le direttive, gli ordini e i provvedimenti emanati dalle autorità militari, della polizia e dei servizi di sicurezza; e di recare estrema attenzione e cautela nel non dare luogo, o dare l’impressione di dar luogo, ad azioni di singoli o in gruppo che possano destare il severo e tempestivo intervento operativo delle autorità. Firmato, in fede: Generale e Comandante Jorge Rafael Videla, Ammiraglio Emilio Eduardo Massera e Brigadiere Orlando Ramón Agosti.”

Tutto ha l’aria di svolgersi pacificamente, quasi serenamente e senza spargimenti di sangue. Il vero inferno arriverà in seguito, con lo scoppio della cosiddetta “Guerra sporca”. Verrà formata la tristemente nota “AAA” – Alleanza Argentina Anticomunista – che ucciderà più o meno 30 mila giovanissimi oppositori del regime, non solo comunisti.
Esponenti di sinistra, sostenitori del peronismo, persino certe schiere di conservatori sono bersagli della repressione orchestrata dal nuovo regime. Le squadracce della morte sono veloci ed efficienti, e ove vogliono porre una parvenza di legalità imitano, con un tocco di amara ironia, il modello delle “Troika” impiegato dall’NKVD, la polizia segreta sovietica, durante le Grandi Purghe di Stalin: un trio di ufficiali accusa, giudica ed esegue la sentenza dell’imputato, spesso in prigione o persino in casa stessa di quest’ultimo, il tutto nell’arco di dieci minuti. Alla reazione sconcertata ed orripilata della comunità internazionale, fa eco quella di Pinochet, il quale, pur non essendo certo amico dei comunisti, si dice disgustato da tanta ostentata brutalità e prende le distanze dagli eccidi. Da Washington arriva poi, a porte chiuse, il suggerimento del Segretario di Stato americano Henry Kissinger , il quale consiglia cinicamente alla Junta di “dare meno spettacolo” e fare un lavoro “preciso e pulito”.
Lo spietato regime militare sarebbe rimasto in sella per sette interminabili anni, sino allo scoppio della guerra delle Falkland. Durante il conflitto, il Cile di Pinochet sarà uno dei due stati, assieme alla Colombia, ad astenersi dal fornire appoggio politico all’Argentina contro la Gran Bretagna, come previsto dal Patto di Rio del 1947, portando il Generale e Presidente argentino Leopoldo Galtieri ad affermare “Il Cile deve stare molto attento, perché dopo questa arriverà il suo turno”. Il conflitto per il possesso delle Falkland, rivelatosi disastroso per l’apparato miliare di Buenos Aires, non porta alcun prestigio al regime argentino, rivelandosi anzi la sua definitiva pietra tombale.

L’anno dopo la disfatta, nel 1983, la Junta è costretta alle dimissioni e Raúl Ricardo Alfonsín Foulkes viene eletto Presidente. Egli è considerato il “padre della seconda democrazia argentina”, riprendendo seppur in termini diversi, l’opera di sviluppo del periodo peronista. Con la fine della dittatura diversi ex membri della Junta hanno subito processi a seguito dei quali sono stati condannati a lunghe pene detentive per crimini contro il popolo argentino e contro l’umanità. Il 1° agosto 2002 il Parlamento argentino ha istituito il “Día de la Memoria por la Verdad y la Justicia” (“Giorno della memoria per la verità e la giustizia”) a commemorazione delle vittime della Guerra sporca, celebrato il 24 marzo, anniversario della deposizione di Isabel Péron.