La guerra è da sempre parte integrante della vita dell’uomo. A partire dalla scoperta dell’agricoltura e dalla conseguente nascita dei primi insediamenti permanenti ha inizio una vera e propria rivoluzione che portò alcuni insediamenti, situati in particolare in quell’area nota come “Mezzaluna Fertile” situata tra la Mesopotamia nell’odierno Iraq e le sponde del fiume Nilo, in Egitto, a crescere sino a diventare vere e proprie città, dotate di organismi politici complessi, vera e propria premessa alla nascita dei primi imperi della storia umana. Queste prime comunità sedentarie ebbero fin da subito la necessità di difendersi dalle incursioni delle popolazioni nomadi di cacciatori-raccoglitori, motivo per il quale gli insediamenti cominciarono ad essere protetti da grandi fortificazioni provviste di torri.

Accanto alla costruzione di opere difensive, con la divisione e la specializzazione del lavoro tipiche delle società sedentarie più progredite, iniziò ad emergere la figura del guerriero professionista, dedito esclusivamente alla difesa delle comunità. Armi come lance, archi o asce, che per millenni erano state impiegate per cacciare la selvaggina o macellare il bestiame, vennero perfezionate, diventando micidiali strumenti di morte da impiegare contro i propri simili. Verso il 3000 a.C il metallo si affermò sostituendo la selce nella fabbricazione di punte di freccia e di lancia mentre l’arco, inizialmente ricavato da un semplice ramo d’albero, divenne composito, con l’impiego di parti di corno e tendini animali, che contribuiscono a migliorarne la gittata. Nello stesso periodo in Asia le popolazioni della steppa portano a termine l’addomesticamento del cavallo, introdotto nel Vicino Oriente dagli Ittiti, popolazione indoeuropea stanziatasi in Anatolia che intorno al 2300 a.C. diede vita ad un regno forte e temuto, esteso fino alla Siria. Grazie all’impiego del cavallo e del carro da battaglia gli Ittiti riuscirono ad avere ragione delle ricche città stato mesopotamiche giungendo persino a occupare temporaneamente la potente Babilonia sotto la guida del sovrano Mursili I (1620-1590).
Sempre in concomitanza con l’inizio del III millennio a.C. L’Alto e il Basso Egitto vennero unificati sotto lo scettro del primo faraone a noi noto, il semi leggendario Menes, noto anche con il nome di Narmer.

Gli egizi, inferiori in campo militare sia dal punto di vista dell’organizzazione sia dell’armamento rispetto alle altre potenze vicino orientali, colmarono il loro gap tecnologico in seguito alla cacciata degli Hyksos, popolazioni semitiche di incerta origine che a partire dal 1650 a.C. circa si erano impadronite dell’area del Delta del Nilo. Gli invasori asiatici importarono in Egitto le tecniche di lavorazione del bronzo, diffondendo l’uso del carro da guerra. A loro volta gli egizi fecero proprie tali innovazioni che consentirono loro di scacciare gli stranieri dalla loro terra: intorno al 1580 a.C. il sovrano di Tebe Ahmose I, capostipite della XVIII dinastia, scacciò definitivamente gli Hyksos dall’Egitto, restaurando in tutto il Paese l’autorità faraonica e inaugurando una nuova fase della storia egizia, il Nuovo Regno (1580-1069 a.C.).
Nel corso dei secoli successivi il regno del Nilo divenne un grande impero militare: in Africa i faraoni estesero il loro controllo sulla Nubia (corrispondente al moderno Sudan settentrionale), mentre in Asia il faraone Thutmosi III, detto non a caso il “Napoleone egizio”, condusse i suoi uomini sino alle sponde del fiume Eufrate, che segnò l’estremo limite settentrionale dell’espansione egizia.

Per garantirsi il controllo di territori tanto distanti dall’Egitto, i faraoni adottarono un’accorta politica nei confronti dei rissosi principi siriani, ai quali imposero la consegna come ostaggi dei loro eredi, i quali, una volta condotti in Egitto avrebbero ricevuto un’educazione tale da farne dei futuri docili vassalli del faraone. La presenza egizia nell’area siro-palestinese tuttavia si indebolì durante i regni degli ultimi sovrani della XVIII Dinastia, come Amenofi IV (1353-1336 a.C.), conosciuto anche con il nome di Akhenaton, promotore di un culto monoteistico della divinità solare Aton, e poi del sovrano fanciullo Tutankhamon (ca. 1333-1323 a.C.), con ogni probabilità figlio dello stesso Akhenaton e di Nefertiti, sua sorella e sposa. L’Egitto uscì da questo periodo di grave crisi politica grazie all’avvento del nuovo faraone Ramses I (1305-1303 a.C.), fondatore della XIX Dinastia mentre suo figlio, Sethi I (1303-1289 a.C.) riportò sotto controllo egizio la Siria meridionale, in precedenza occupata dagli Ittiti.

La politica di contenimento della potenza ittita inaugurata da Sethi fu ereditata al suo successore Ramses II, che senza dubbio è il faraone più famoso della storia egizia. Per contrastare efficacemente i guerrieri anatolici, Ramses procedette al potenziamento delle forze armate: accanto alle tre divisioni già esistenti, intitolate rispettivamente agli dei Amon, Ra e Ptah, il faraone ne aggiunse una quarta, posta sotto la protezione del dio Seth. Nel combattimento corpo a corpo i soldati egizi impiegavano tipicamente lance, spade (come il famoso kepesh, a lama ricurva) ed asce a mezzaluna, oppure archi e frecce per colpire il nemico a distanza. Per proteggersi i guerrieri del faraone facevano invece ricorso principalmente a scudi di legno, mentre armature ed elmi erano poco utilizzati. Il reclutamento delle truppe avveniva su base distrettuale per ordine dei governatori locali, i “nomarchi”. Il comando spettava naturalmente al faraone, il quale aveva ai suoi ordini una casta di ufficiali di carriera di nobili natali. Costoro erano ricompensati per i loro servigi attraverso la concessione di terre.

Nell’esercito egizio militavano poi numerosi mercenari stranieri, solitamente ex prigionieri di guerra deportati in Egitto oppure genti provenienti da territori posti sotto l’influenza egizia come libici, nubiani e cananei o ancora razziatori sconfitti e poi inquadrati nelle armate faraoniche, come nel caso degli shardana. Di questi ultimi abbiamo poche notizie: gli studiosi hanno ipotizzato che potessero provenire addirittura dalla Sardegna, identificandoli quindi con le popolazioni nuragiche dell’isola. E’ probabile che pirati shardana fecero parte di una coalizione di genti, note in seguito come “Popoli del Mare”, che tentarono un’invasione navale dell’Egitto, venendo però sconfitti da Ramses, il quale, impressionato dalla ferocia e dall’abilità con le armi dimostrate da quegli stranieri, invece di sterminarli preferì come si è detto inquadrarli nelle fila della sua armata.
La vera punta di diamante dell’esercito egizio erano tuttavia i carri da guerra. A Qadesh Ramses giunse a schierarne ben 2 mila. Gli egizi avevano appreso l’uso del carro dagli Hyksos, alleggerendone tuttavia la struttura consentendo al mezzo di trasportare solamente due soldati, un auriga e un arciere, guadagnando in termini di velocità e manovrabilità rispetto ai più pesanti modelli in dotazione all’esercito ittita, il cui equipaggio era composto invece dal conducente e da due guerrieri. Il carro egizio non era infatti concepito come mezzo di sfondamento delle linee avversarie bensì come una sorta di piattaforma mobile dalla quale gli arcieri avrebbero potuto bersagliare il nemico per poi ritirarsi.

Preoccupato dalle manovre del sovrano ittita Muwattali II ai propri confini settentrionali, nella primavera del suo quarto anno di regno Ramses decise di “tastare il terreno” conducendo una campagna esplorativa per saggiare le forze avversarie. L’esercito egizio risalì la Palestina e il Libano fino ai confini con la Siria. Nel corso della medesima spedizione Ramses sottomise il regno di Amurru, situato tra gli odierni Libano e Siria, costringendo il locale sovrano a fare nuovamente atto di vassallaggio nei suoi confronti. Gli ittiti, dal canto loro, non stettero con le mani in mano. Ben consapevole che ormai i venti di guerra con il vicino meridionale soffiavano impetuosi, Muwattali II procedette alla mobilitazione generale di tutte le forze a sua disposizione, tessendo nel contempo una vasta coalizione comprendente circa venti tra principati e città-stato dell’area anatolica. Piccola curiosità: nelle iscrizioni ittite in cui si elencano i numerosi partner dell’alleanza si fa accenno anche a guerrieri provenienti da Wilusa, che gli studiosi hanno identificato come la Ilio omerica. Le forze messe in campo dal sovrano ittita ammontavano così a circa 40 mila soldati a piedi appoggiati da qualcosa come 3 mila carri da combattimento.

I guerrieri ittiti avevano una ben meritata fama di ferocia belluina a cui si aggiungeva un’aura di invincibilità, ad essi conferita dalle loro armi di ferro, decisamente più resistente ai colpi del bronzo egizio e di cui i fabbri ittiti conservavano gelosamente le tecniche di lavorazione, alla stregua di un segreto militare.
Deciso a fare fronte alla minaccia anatolica, l’anno successivo alla sua prima campagna oltre che il quinto dalla sua ascesa al trono, il faraone mosse dalle proprie basi verso nordest. L’esercito egizio, schierato al gran completo, ammontava a circa 20 mila fanti e 2 mila carri da combattimento, pari quindi alla metà delle forze avversarie. Lo scontro decisivo tra le due superpotenze si sarebbe verificato verso la fine del maggio del 1284 a.C. nei pressi della cittadella fortificata di Qadesh, edificata sulle rive del fiume Oronte, a circa 24 km sud-ovest della moderna città di Homs, nell’attuale Siria occidentale. La battaglia di Qadesh ebbe luogo fra l’ottavo ed il decimo giorno del terzo mese di shemu, la stagione egizia corrispondente all’estate. Il primo giorno Ramses giunse di fronte alla fortezza accompagnato solamente dalla sua guardia personale composta dai mercenari shardana e dalla divisione di Amon, mentre le altre tre seguivano in retroguardia. Il giorno successivo il faraone e il suo esercito iniziarono a guadare il fiume Oronte ed fu allora che scattò la trappola architettata da Muwattali: gli egizi fecero prigionieri due beduini, i quali, nel corso dell’interrogatorio, risposero che l’esercito ittita era ancora lontano da Qadesh e che quindi il faraone avrebbe potuto investire la piazzaforte senza rischi. In realtà quei due loschi figuri erano spie al soldo degli ittiti. Ramses, del tutto ignaro di questo dettaglio, si mosse del tutto ignaro che in realtà l’esercito anatolico fosse a soli 3 km da lui.

Il terzo giorno mentre la divisione di Ra si era già messa in marcia per raggiungere il faraone, le sentinelle egizie intercettarono due esploratori ittiti, i quali a quel punto rivelarono come i loro commilitoni fossero vicinissimi e ormai pronti a colpire. Ramses, colto alla sprovvista, si vide costretto a diramare una serie di ordini alle divisioni rimase in retroguardia affinché si sbrigassero a raggiungerlo in una disperata corsa contro il tempo. Intanto però l’attacco ittita era già cominciato con la carica di 2.550 carri contro il fianco della divisione Ra, che, colta di sorpresa, venne praticamente massacrata. I superstiti si diedero alla fuga disordinata verso il campo del faraone, che si salvò dal completo accerchiamento grazie ad un provvidenziale errore del sovrano ittita, che preferì tenere di riserva le forze non ancora gettate della mischia. Approfittando del fatto che gli equipaggi dei carri ittiti avevano interrotto l’attacco per saccheggiare il campo egizio, Ramses contrattaccò con successo mandando all’assalto i guerrieri shardana e i resti ancora in grado di battersi della divisione di Amon, supportati dal provvidenziale arrivo sul campo delle divisioni di Ptah e Seth, oltre che dei riorganizzati fuggiaschi della Ra. Al tramonto il faraone restò così padrone del campo anche se ben consapevole di come la fanteria ittita fosse ancora intatta dentro le mura di Qadesh, le cui mura, date le perdite subite dalle forze egizie, erano pressoché inespugnabili.

La resa dei conti fra le due più grandi potenze dell’Età del Bronzo si chiuse quindi con un sostanziale nulla di fatto anche se entrambe le parti si attribuirono la vittoria. Ramses, in particolare, fece eternare, facendole scolpire sulle pareti di tutti i templi d’Egitto, le grandi gesta di guerriero e condottiero “invincibile” di cui si era reso protagonista a Qadesh. Alcuni anni dopo il faraone firmò con l’imperatore ittita Hattusil III, successore del defunto Muwattali II, un accordo di pace con il quale entrambi i sovrani riconoscevano i rispettivi confini e definivano le sfere di influenza di ciascuno, stabilendo inoltre un’alleanza difensiva contro il montante pericolo rappresentato dall’espansione degli assiri. A suggello di quell’intesa l’ormai quasi sessantenne Ramses sposò una figlia di Hattusil, a noi nota con il nome egizio di Maat-Hor-Neferura. Il trattato tra Egitto e impero ittita rappresenta il primo accordo internazionale di cui ci siano noti gli attori che lo stipularono e le clausole in esso contenute, il che lo rende il precursore di tutti gli accordi diplomatici che lo seguirono nel corso dei secoli. A riprova della sua importanza, una copia del trattato di pace è oggi esposta nella sede delle Nazioni Unite a New York.