È il 20 giugno 451, ab Urbe condita 1204. In una brulla pianura della Gallia settentrionale, nei pressi dell’attuale città francese di Châlons-en-Champagne, il magister militum Flavio Ezio, si prepara ad affrontare Attila, che alla testa dell’orda composta dai suoi Unni e dagli alleati germanici come gli Ostrogoti e i Gepidi, ha invaso l’Impero d’Occidente.

Attila conosce bene Ezio e le sue abilità come stratega e diplomatico – nel 433 aveva ufficialmente siglato un’alleanza proprio coi suoi Unni, che tanto gli erano stati utili nel consolidare il proprio potere nel 425 e nel 432-433. Il sovrano barbarico inoltre sa benissimo come il suo rivale abbia sconfitto il suo alter ego, il potente comes (generale) Bonifacio. Costui era rimasto fino al 432 suo pari nella gerarchia del potere, ma quando Bonifacio aggiunse alle sue cariche di generale e governatore della diocesi d’Africa quella di supremo del magistero militare e del patriziato, lo scontro divenne inevitabile. In una sorprendente sortita del destino, fu Bonifacio a vincere la battaglia in campo aperto presso Ravenna, mentre Ezio sconfitto riparò proprio presso i fidi alleati Unni, ma quando giunse notizia della morte di Bonifacio a seguito delle ferite riportate, Ezio colse la palla balzo e tornò in Italia. Qui costrinse l’imperatrice Galla Placidia a reintegrarlo in tutte le sue posizioni di potere, a passargli quelle del rivale e a esiliarne il genero Sebastiano. Dopodiché sposo la vedova di Bonifacio, Pelagia, e in questo modo s’impadronì dei suoi possedimenti ed eserciti privati.

Proprio in luce di tutto ciò, e per il fatto che Attila non sottostimava mai i suoi nemici, quando diede inizio alla sua campagna contro l’Impero d’Occidente tentò invano di far assassinare Ezio. Nonostante questo fallimento, Attila riteneva la sua vittoria piuttosto scontata. Il potere e l’autorità romane in Gallia erano in effetti ormai in declino da diverso tempo mentre il possesso del territorio era ormai solo una formalità de jure. Diversi popoli di stirpe germanica si erano ormai insediati nei territori romani con il benestare dell’imperatore, che li aveva ufficialmente riconosciuti come suoi foederati.

Così nella Gallia settentrionale si erano insediati i Franchi, i Burgundi si erano attestati nei territori prossimi alle Alpi, nella regione che ancora oggi porta il loro nome, mentre i Visigoti si erano stanziati in Aquitania. Questa mescolanza di popoli con lealtà piuttosto volubili nei confronti dei Romani unite alle risorse del territorio presentavano un piatto molto ricco e succulento per Attila.
Ma questo era solo uno dei tanti fattori considerati dal condottiero. L’Impero Romano aveva da tempo diverse e svariate difficoltà nel mantenere la coesione tra il centro imperiale e le province fin dai tempi della cosiddetta “Crisi del Terzo Secolo” (235-284), ossia un periodo di circa cinquant’anni segnato da rivolte, disordini e guerre civili, e lotte di potere intestine – simili a quella osservata poc’anzi tra Ezio e Bonifacio- sino alla vera e propria secessione dallo Stato romano di entità come l’Impero delle Gallie (260-273) a Occidente e il Regno di Palmira (268-272) a Oriente, entrambi riassorbiti all’interno dell’Impero grazie all’energica azione dell’Imperatore Aureliano.
La Crisi del Terzo Secolo venne arginata dalle riforme promosse da Gaio Valerio Diocleziano, giunto al potere nel 284. Resosi conto di come l’Impero fosse ormai troppo vasto per essere governato da una persona sola Diocleziano lo divise in quattro parti, con quattro capitali e quattro imperatori (due Augusti e due Cesari). Il sistema di potere inaugurato da Diocleziano degenerò tuttavia abbastanza presto nel sangue delle lotte per il potere scatenate dagli stessi tetrarchi sino all’ascesa del potere di Costantino, che regnò come unico imperatore tra il 324 e il 337.

Fino al 378, l’Impero riuscì a barcamenarsi tra divisioni e riunificazioni ma dopo la battaglia di Adrianopoli del 9 Agosto 378, nella quale le forze dei Visigoti guidati da Fritigerno riuscirono a sbaragliare e ad annientare le forze romane, i problemi militari e politici di Roma si andarono ad acuire.
I Visigoti erano penetrati nei territori romani sotto la pressione di altre genti, a loro volta spinte a migrare verso Occidente a causa della comparsa di una nuova popolazione: gli Unni. Questi ultimi, verso la fine del quarto secolo, erano stati scacciati dalla loro terra d’origine, nelle steppe del Kazakistan, e il loro stile di vita si adeguò in quello di una forza vagabonda e devastatrice, dedita a saccheggi e scorrerie. Già nel 370 avevano sottomesso gli Alani, nel 376 avevano scacciato e messo in rotta i Visigoti di Frigiterno, spingendoli nei territori romani, ed entro il 379 avevano respinto, assimilato o sterminato quasi tutti i loro rivali.

Gli Unni furono inarrestabili nella loro vorace e veloce invasione della regione e come scrive lo storico Herwig Wolfram, citando le fonti di Ambrosio, furono tempi di caos e confusione “… e gli Unni caddero sugli Alani, e gli Alani caddero sui Goti, e i Goti caddero sulle tribù dei Taifali e dei Sarmati”. Molte di queste tribù, assieme ai Goti e tanti altri gruppi più piccoli, si rifugiarono in territorio romano. Osservando tali sviluppi e movimenti, risulta abbastanza ovvio come l’autorità e la supremazia militare romana si trovarono ancor di più in crisi.
Gli Unni invasori mostrarono di non avere nessuna intenzione se non di rubare, stuprare, sterminare e saccheggiare, mettendo a ferro e fuoco tutto ciò che incontravano, e i Romani non riuscivano a figurarsi come fermare una forza quasi sovrannaturale che compariva, distruggeva e sterminava e scompariva con una tale velocità. Gli attacchi degli Unni infatti duravano poco più di mezza giornata. Nel 408 uno dei signori della guerra degli Unni, Uldino, mise completamente a ferro e fuoco l’intera Tracia. Roma non poteva raggranellare le truppe e studiare i piani necessari per un’azione militare, così tentarono di trattare la pace con un tributo. Uldino, avido e assetato di sangue, chiese forse di proposito un tributo troppo alto che i Romani non avrebbero mai pagato – e di fatto i Romani non pagarono, preferendo corrompere i suoi sottoposti, molto meno avidi e più disposti a collaborare.

Questo metodo di trattare con gli Unni si rivelò particolarmente efficace e divenne il modo principale con cui i Romani usarono i servigi degli Unni – come abbiamo già visto nello scontro tra Ezio e Bonifacio. Comunque, nonostante la loro natura imprevedibile e la costante minaccia posta ai Romani, gli Unni non diventarono una vera e propria forza militare fino all’arrivo di Attila, che li avrebbe condotti in campagne di successo, di gloria e sangue.
Attila fu un uomo talmente spietato da essere soprannominato “il flagello di Dio”. Verso il 434, succedette a suo zio Rua come Re degli Unni. Dapprima governò assieme al fratello Bleda ma poi intorno al 445 lo fece assassinare. Attila sottomise numerose popolazioni barbariche e costituì una potenza militare tale da sfidare i Romani e ad imporre tributi agli Imperi d’Oriente e d’Occidente. Infine, nel 451 il sovrano unno mosse guerra all’Impero d’Occidente. La motivazione di questa scelta risaliva ad un messaggio inviato al capo barbaro da Onoria, sorella dell’Imperatore Valentiniano III. Ella, costretta dal fratello a sposare un senatore per sottrarsi a questo matrimonio inviò ad Attila una richiesta di aiuto , insieme al proprio anello: non si trattava di una proposta di matrimonio ma Attila interpretò il messaggio in questo senso, ed accettò pretendendo in dote metà dell’Impero d’Occidente.

Quando Valentiniano scoprì l’intrigo esiliò la scellerata sorella e inviò una missiva ad Attila nella quale disconosceva qualunque legittimità della proposta di Onoria. Il Re degli Unni non se ne diede per inteso e rispose che si sarebbe preso ciò che considerava suo di diritto con la forza.
Attila alla testa dei suoi Unni e dei vari popoli federati invase le Gallie prendendo e devastando numerose grandi città tra cui Reims, Strasburgo, Treviri, Colonia. A quel punto assediò Orleans. Tuttavia, proprio quando anche quest’ultima città era sul punto di capitolare, fece la comparsa all’orizzonte l’esercito romano guidato da Ezio. Questo fatto convinse Attila della necessità di interrompere la conquista della città e di iniziare una precipitosa ritirata verso nord-est, per evitare il rischio di passare da assediante ad assediato, e nella speranza di trovare un terreno più favorevole allo scontro.

E ora, quindi, torniamo a quel fatidico 20 giugno. Attila, dopo avere posto il suo campo vicino al fiume Marna, aveva a disposizione un’enorme pianura in cui schierare i suoi uomini verso nord, verso il suo quartier generale e verso le retrovie. Posizionò le forze ostrogote a sinistra, ciò che è rimasto delle truppe Gepidi a destra, mentre i suoi Unni tenevano il centro. Ezio arrivò sul campo quando ormai Attila ebbe schierato il suo esercito. Dopo una veloce ricognizione, assegnò a Teodorico, Re dei visigoti, il compito di fronteggiare i “cugini” Visigoti alleati di Attila. Non fidandosi troppo del suo alleato, il generale romano assegnò a quel settore dello schieramento due contubernia di supporto. Sangibano e il suo esercito di Alani alleati vennero invece assegnati sia al centro, sia a fronteggiare eventuali incursioni dei Gepidi. Le forze “romane” costituivano invece una minoranza nello schieramento imperiale. Inoltre dobbiamo considerare che lo stesso esercito romano a partire dal IV secolo era andato progressivamente “imbarbarendosi” accogliendo al suo interno un numero crescente di reclute germaniche con il risultato che i soldati imperiali erano molto diversi sia per le armi impiegate sia per le tattiche dispiegate rispetto ai legionari dei primi secoli dell’Impero.

La posizione di Attila, poco più in basso rispetto alle forze romane, gli avrebbe fornito vantaggio nel disporre la propria cavalleria e affrontare quella romana, ma dato che nonostante tutti gli studi e le teorie formulate il luogo esatto della battaglia non è mai stato concordato tra gli studiosi, la scelta di Attila rimane un mistero. Le forze Romane si attestarono in alto, e sono separati dagli Unni da un rilievo montuoso che avrebbe avvantaggiato chiunque vi si sarebbe attestato per primo. Secondo la gran parte delle fonti, è generalmente concordato che Attila aveva deciso di sferrare la prima azione verso le due e mezza di pomeriggio, di modo che se la battaglia avesse preso una brutta piega, sarebbe rimasta la possibilità di una ritirata rapida con il calare delle tenebre.
Gli Unni si lanciarono ad occupare il rilievo quasi subito, addirittura nella mattinata e quindi molto prima rispetto all’effettivo inizio della battaglia, ma da subito ebbero a che vedere con seri problemi. Nonostante i loro dubbi sul loro valore, condivisi persino dai Romani, I Visigoti guidati dal figlio di Alarico Torrismondo li respinsero e si attestano sulla posizione. I Visigoti dominavano il rilievo quando gli Unni decidono di lanciare l’attacco principale nel pomeriggio. Sangibano e gli Alani si batterono valorosamente contro gli Unni al centro mentre i Visigoti osano e si lanciarono contro gli Ostrogoti di Attila, stupendo Ezio per il loro coraggio e la loro iniziativa. Teodorico perse la vita nello scontro, forse travolto dai suoi stessi uomini, ma a differenza di quanto gli Unni avrebbero potuto aspettarsi ciò non demoralizzò minimamente i Visigoti che anzi si batterono con rinnovata foga e ardore per vendicare la morte del Re.

Raffaello (1513, Stanza di Eliodoro, Vaticano).
La carica dei Romano-Goti era ormai sul punto di travolgere le difese del campo di Attila, quando sopravvenne il tramonto. Il giorno seguente, non mostrando gli Unni alcuna intenzione di avventurarsi fuori dal loro campo, i Romani ed i loro alleati si considerarono vincitori. A quel punto però Ezio rinunciò ad assestare la zampata finale contro Attila, che poté ritirarsi dalla Gallia indisturbato. Secondo lo storico goto Giordane, vissuto nel VI secolo, Ezio temeva che, se gli Unni fossero stati annientati, i Visigoti avrebbero potuto rompere l’alleanza con l’Impero e diventare per Roma una minaccia ancora più grave. La vittoria romana ottenuta ai Campi Catalaunici non fu quindi decisiva: Ezio non volle sfruttarla appieno, rinunciando a inseguire le forze unne in ritirata, nel timore che il loro annientamento avrebbe accresciuto troppo la forza degli alleati più potenti dei Romani, i Visigoti. Frustrato nei suoi piani di saccheggio in Gallia, l’anno successivo Attila rivolse il suo esercito contro l’Italia. La sua invasione venne arrestata sul Mincio grazie alla mediazione di Papa Leone Magno. Molto probabilmente dietro versamento di un consistente tributo Attila venne convinto a tornare in Pannonia. Morì, pare di epistassi causata dal troppo bere, il 16 marzo 453 durante la prima notte di nozze con l’ultima delle sue mogli, Ildico.

Ezio dal canto suo non sopravvisse a lungo al rivale. Fu infatti brutalmente ucciso dal suo signore Valentiniano III in un improvviso attacco d’ira nel 454. Anche l’Impero da lui validamente difeso non sarebbe durato ancora a lungo. Nel 476, l’Impero d’Occidente scomparve definitivamente a seguito della deposizione dell’ultimo dei Cesari, un ragazzino di nome Romolo, soprannominato Augustolo e per giunta di origini barbariche. L’Impero d’Oriente sarebbe invece sopravvissuto per altri mille anni, sino alla caduta di Costantinopoli sotto i colpi dei turchi ottomani nel 1453.