Carlo V, l’ultimo cavaliere

Nell’anno che stiamo attraversando si ricorda una data fondamentale per il nostro continente. Nel 2020 infatti cade il quinto centenario dall’ascesa al trono di uno dei più importanti sovrani della storia europea, vale a dire Carlo di Gand, che a seguito della sua elezione alla dignità imperiale da parte dei principi tedeschi, avvenuta nel gennaio dell’anno prima, il 23 ottobre 1520 venne ufficialmente incoronato Re dei Romani dall’arcivescovo di Colonia. La cerimonia si tenne nella cattedrale di Aquisgrana, autentico edificio simbolo del potere imperiale.

Carlo V nel 1519, anno della sua elezione a Imperatore.

L’elezione del ventenne Carlo, che fin dal 1516 sedeva sul trono spagnolo,  era stata foriera del carattere dell’epoca, in quanto il nuovo Imperatore aveva ottenuto ciò non solo attraverso la grande influenza che la famiglia paterna si era creata all’interno dell’Impero, ma anche attraverso l’ingente aiuto finanziario che a lui era arrivato dalla potente consorteria finanziaria dei Fugger di Norimberga, che gli aveva permesso di prevalere su candidati più adulti e blasonati, come Francesco I di Francia e Enrico VIII d’Inghilterra.

La figura di Carlo è una personalità centrale del suo tempo, che ne vive tutte le sfumature. L’Imperatore infatti, seguendo una linea già tracciata da suo nonno Massimiliano, suo diretto predecessore, dimostrò un carattere e un’azione multiforme, capace di dialogare sia con il passato medioevale sia di rendere manifesti una serie di tratti di modernità che, sedimentati, sono alla base della Spagna e del mondo tedesco ancora oggi. Elementi apparentemente poco conciliabili, che si rendono ancora più evidenti pensando che sotto l’autorità di Carlo, si trovano realtà statuali diverse, dall’Impero al Regno di Spagna.

Interessante è la concezione che l’imperatore ha della sua carica. Egli infatti eredita il carattere sacrale che l’Impero aveva assunto sin da Carlo Magno, che descriveva l’imperatore come delegato da Dio a governare il mondo e a mantenerne la pace. A questo elemento più laico corrisponde come corollario l’idea di imperatore cristiano, cui è demandata la difesa della Cristianità e la sua unità. Tale senso e i valori che da esso derivano erano ben chiari al giovane Carlo, grazie soprattutto agli scritti che, durante la sua crescita, erano composti da Erasmo da Rotterdam riguardo l’educazione e il governo del principe cristiano. In questo senso l’azione di Carlo rispetto, ad esempio, all’osservanza dei patti stipulati, appare più arcaica rispetto al suo più spregiudicato rivale, il Re di Francia Francesco I.  Carlo però non guarda solo alle sue spalle. La sua figura lascia una traccia incancellabile nella modernità, tanto da segnarla almeno fino all’Ottocento. In campo diplomatico l’Imperatore agì secondo una linea già tracciata dai suoi predecessori, facendo ricorso alla vecchia politica delle di unioni dinastiche in uso da secoli, applicata sia allo scopo di tenere unite le membra del suo grande e multiforme impero sia per allargare quest’ultimo stringendo rapporti con le potenze vicine e con il frammentato panorama italiano.

Carlo V e sua moglie, l’imperatrice Isabella del Portogallo

Ad esempio lo stesso Carlo, nel 1526, prese in moglie Isabella d’Aviz, figlia del Re Manuele I del Portogallo. Quando nel 1580 la dinastia regnante lusitana si estinguerà, Filippo II di Spagna, figlio di Carlo e Isabella, poté quindi rivendicare la corona portoghese. Importanti furono anche i matrimoni dei figli, in parte legati sempre alla corona di Lisbona, ma che guardarono anche oltre. Significativi furono sia il matrimonio di Maria, andata sposa al cugino Massimiliano II inaugurando una prassi fondamentale per l’unità dell’Impero asburgico, sia i matrimoni della figlia illegittima Margherita, donna di altissima caratura e utile per stringere i legami con i principati italiani, prima con il duca di Firenze Alessandro de’Medici e poi con il duca di Parma Ottavio Farnese. Eredità moderna di Carlo fu inoltre la creazione del suo stesso impero, tanto vasto al punto che su di esso “il Sole non tramontava mai”. Se dal nonno paterno Massimiliano Carlo aveva ereditato i possedimenti austriaci della famiglia Asburgo e la corona imperiale, dalla nonna paterna Maria egli ricevette gli antichi possedimenti borgognoni che erano stati del suo omonimo bisnonno Carlo il Temerario. A questa già cospicua eredità occorre aggiungere quella portatagli in dote dai nonni materni, i “Re Cattolici” Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona, costituita dalle corone iberiche di Castiglia e Aragona oltre a quelle di Napoli, Sicilia e Sardegna.

Egli riuscì tuttavia non solo a conservarlo, ma, come abbiamo detto, anche ad accrescerlo, diventando il vero cuore della politica europea e uno dei giganti del Mediterraneo. Sotto Carlo infatti, vede la luce il grande impero spagnolo d’oltremare, risultato della conquista del Messico e di buona parte del Sud America. Sotto le sue insegne infatti, nonostante le ombre che ad esso si legano, si creò quel contesto politico e culturale ispanico che, mescolando elementi europei e nativi, sussiste ancora oggi tra gli stati odierni. Le risorse economiche garantite dai possedimenti americani permisero alla Spagna di diventare una delle grandi potenze anche in ambito mediterraneo, attraverso il sostegno ai Cavalieri Ospedalieri a Malta e le guerre contro la pirateria barbaresca e gli interventi marittimi del mondo ottomano.

I domini di Carlo V in virtù delle eredità acquisite.

Altrettanto importante è il suo ruolo in Europa. Le lunghe guerre da lui combattute soprattutto contro il suo più acerrimo rivale, il re di Francia, in Europa centrale e soprattutto in Italia, e che si conclusero dopo la sua morte nel 1559 con la pace di Cateau-Cambresis portarono infatti l’imperatore a diventare il deus ex machina della politica continentale, capace di governare vasti e ricchi territori, ma anche di controllare indirettamente una parte del mondo tedesco e del mondo italiano, trasformando soprattutto i signori italiani, per convinzione o per convenienza, non solo in vassalli ma in veri e propri uomini di corte, non riuniti in un solo luogo, ma dispersi sul territorio. Tali caratteristiche, iniziate da Carlo, saranno tanto stabili da essere ereditate dal ramo spagnolo della famiglia, divenendo un dato fondativo della storia d’Europa fino all’inizio del Settecento, quando fu soppiantato dalle nuove egemonie prima francese, poi asburgica del ramo austriaco.

Ultimo aspetto di modernità di Carlo V d’Asburgo fu la sua volontà di trasformare i suoi domini in stati nazionali assoluti, prendendo a modello i nascenti regni di Francia e Inghilterra. I monarchi medioevali infatti aveva poteri limitati, legati alle loro dirette dipendenze di famiglia. Negli altri casi, specie in natura economica e militare, essi dipendevano da corpi intermedi, aristocrazia, clero e comunità urbane. I sovrani cercarono quindi, sin dal Basso Medioevo, di rendersi indipendenti da questi corpi, acquisendo i loro poteri e amministrandoli tramite propri funzionari. Tale processo, che ebbe origine già durante il medioevo, ebbe un momento fondamentale proprio in contemporanea con le vicende biografiche di Carlo. A differenza del caso francese, gli sviluppi del potere di Carlo sono molto variegate, legati anche alle differenti corone di cui egli fu titolare.

Lutero espone le proprie dottrine di fronte a Carlo e ai principi tedeschi alla Dieta di Worms

In Spagna ad esempio, egli riuscì ad avere un controllo intenso sulla Castiglia, specie dopo la vittoria sulla rivolta dei “comuneros” tra il 1520 e il 1522, mentre conseguì risultati più altalenanti in Aragona e in Catalogna, dove sia lui che i suoi successori dovettero adeguarsi alle istituzioni locali. In Germania invece il processo di rafforzamento dell’autorità regia si arenò completamente anche a causa di un avvenimento cardine della storia europea, vale a dire l’inizio della Riforma protestante. Diversi principi tedeschi infatti sostennero le idee di Martin Lutero non soltanto per convinzione, ma anche, e soprattutto, come grimaldello politico a garanzia e suggello della loro autonomia rispetto al potere sovranazionale dell’Imperatore. Il fallimento del tentativo di Carlo di fare dell’Impero un organismo politicamente e confessionalmente compatto fu sanzionato dalla pace di Augusta del 1555, con la quale l’Imperatore fu costretto a riconoscere la spaccatura religiosa interna al mondo germanico attraverso l’accettazione del principio del cuius regio eius religio (“Di chi è la regione, di lui si segua la religione”).

L’ambiguità caratteristica di Carlo si vede anche nelle arti da lui promosse. A differenza del nonno Massimiliano, dove il tardogotico conviveva e dialogava con il nuovo Rinascimento tedesco, nel caso di Carlo la sua corte itinerante per l’Europa fu caratterizzata dalla convivenza tra le diverse scuole artistiche. Attorno all’Imperatore si trovarono infatti artisti provenienti dall’area tedesca e danubiana, come Albert Altdorfer, Jakob Seisenegger e l’incisore Nicola Hogenberg da Monaco, pittori fiamminghi e olandesi, come Antoon More, Luca di Leida e Jan Gossaert, ma anche artisti mediterranei. Tra di essi pittori, scultori e architetti spagnoli, che mescolano manierismo e stile plateresco e influenzati dal rinascimento italiano, come Diego de Siloe, Bartolomè Ordonez, Alfonso Berrughete e Pedro Machuca, architetto del palazzo di Carlo V nell’Alhambra di Granada. Un ruolo importante l’ha proprio il mondo artistico italiano. In questo caso il panorama è molto ricco, capace di influire sia in modo indiretto, dettando il nuovo stile, ma anche più direttamente con i bronzisti Leone e Pompeo Leoni o nomi più altisonanti, come quello di Tiziano Vecellio.

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Il maestro Tiziano Vecellio (1488/1490 – 1576) da Pieve di Cadore

Proprio il rapporto con il pittore veneto si dimostra estremamente ricco. Il contatto con la corte imperiale si deve alle strutture della politica europea che Carlo aveva creato nella penisola italiana. Proprio i legami che il maestro di Pieve di Cadore aveva intessuto prima con la corte urbinate dei Della Rovere, poi con quella mantovana di Federico II Gonzaga favorirono la sua conoscenza con l’Imperatore, già a partire dai primi anni’30 del XVI secolo. Il rapporto tra il grande artista e l’Imperatore iniziò infatti con un primo ritratto in armi del 1530, realizzato durante il soggiorno bolognese dell’Imperatore, che si trovava nel capoluogo bolognese per accordarsi con Papa Clemente VII a proposito della situazione italiana e della sua incoronazione imperiale da parte del Pontefice. 

Le opere da lui realizzate per Carlo, che si estesero negli anni successivi al principe ereditario Filippo (Venere con l’organista) e ai suoi più stretti collaboratori, come il governatore di Milano Alfonso d’Avalos (Allocuzione alle truppe) portarono un grande apprezzamento da parte dell’Imperatore, tanto da ricevere la nomina a Conte del Palazzo Lateranense, membro del Consiglio Aulico e del Concistoro, Conte palatino e cavaliere dello Speron d’Oro nel 1533, un titolo tanto caro da essere riportato in un ultimo autoritratto in vecchiaia. La collaborazione tra i due, che permise al pittore di ampliare la sua fama oltre i territori della Serenissima, dove era già pittore ufficiale, e oltre i potentati italiani, si protrasse per tutto il ventennio successivo. Dopo i primi contatti italiani dei primi anni ’30 infatti, il pittore ebbe nuovo slancio alla metà del decennio successivo, quando fu Tiziano stesso a trasferirsi per un periodo ad Augusta, presso la corte, durante quel grande evento che fu la Dieta di Augusta, evento che cercherà di portare pace nell’Impero.

Diverse opere fiorirono dal sodalizio tra Tiziano e il suo augusto mecenate. Si tratta prevalentemente di ritratti, interessanti soprattutto per la capacità del pittore di trasmettere, in modi diversi e variegati, le mille sfaccettature che la figura di Carlo seppe esprimere, oltre che il suo carattere. Tra di essi ve ne è uno che è diventato quasi un simbolo, immagine iconica del pensiero e del ruolo che l’imperatore voleva dare di sé. Si tratta del Ritratto di Carlo V a cavallo, realizzato da Tiziano nel 1548 durante il suo soggiorno tedesco e oggi conservato al Museo del Prado di Madrid. Il dipinto venne commissionato dalla sorella dell’Imperatore Maria, governatrice delle Fiandre nonché vedova del sovrano Luigi II d’Ungheria, morto alla battaglia di Mohacs.

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Ritratto di Carlo V a cavallo, commissionata da Maria d’Ungheria, sorella di Carlo V, per celebrare la vittoria dell’esercito del fratello sui protestanti della Lega di Smalcalda a Mühlberg (24 aprile 1547)

L’opera fa riferimento ad un evento specifico, strettamente collegato all’assise imperiale che si stava svolgendo ad Augusta. L’anno precedente infatti l’imperatore, coadiuvato da Maurizio di Sassonia, aveva sconfitto a Muhlberg l’esercito protestante della Lega di Smalcalda, guidato dal principe elettore Giovanni Federico di Sassonia. L’imperatore viene quindi rappresentato completamente armato, su di cavallo nero altrettanto bardato e rappresentato di tre quarti, quasi impennato. La corazza dell’imperatore non è però inventata, ma realizzata intorno al 1545 da Desiderius Helmschmid, membro eminente di una ricca bottega di armaioli di Augusta e oggi conservata nell’Armeria Reale di Madrid. L’interesse del Cadorino si rivolge qui a più aspetti tecnici e compositivi. In linea con il colorismo veneto derivato da Giorgione, Tiziano crea un dipinto privo di disegno preparatorio, con ampie campiture di colore, con una grande prevalenza sul protagonista del nero del cavallo e del rosso del manto, della fascia dell’imperatore e sui pennacchi. Proprio in queste parti l’artista introduce poi un elemento caro alla sua pittura nei decenni successivi, ossia quella di porre il colore in modo meno materico e con poche rapide pennellate, in maniera quasi impressionistica, che permettono di riconoscere i singoli elementi anche se abbozzati e sfumati se visti da vicino. Un processo totalmente diverso sembra invece riguardare l’armatura, l’elmo e le protezioni metalliche sulla testa del cavallo. In questo caso Tiziano rappresenta in modo lenticolare tutti i particolari in acciaio e in bronzo dorato, oltre al collare del Toson d’Oro che l’imperatore porta al collo. Nel caso della corazza inoltre, su di essa l’artista sperimenta l’effetto della luce, proveniente da destra, sia quella diretta che abbaglia sia quella riflessa che disegna tagliente i dettagli metallici. Un elemento questo che il Vecellio aveva già sperimentato nel ritratto di Francesco Maria della Rovere, duca di Urbino.

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Ritratto di Carlo V seduto, realizzato da Tiziano durante il suo soggiorno alla corte imperiale di Augusta.

A questi aspetti pittorici, Tiziano unisce attenzione alla composizione. Da una parte egli si concentra sul volto del suo protagonista, riprendendo così la sua tradizione di ritrattista, che aveva già avuto anche con Carlo grande successo. In questo caso però, a differenza di altre opere, come quella di Carlo seduto, realizzata l’anno successivo, l’artista non cerca un’introspezione psicologica del protagonista, che è rappresentato con sguardo fiero e autorevole, mentre guarda un punto lontano al di fuori della tela, senza rapportarsi con l’osservatore. Altro punto interessante è il rapporto con il contesto, con il paesaggio. A differenza di altri casi, soprattutto successivi, qui il cavaliere non è accompagnato da archi trionfali o architetture all’antica. Riprendendo l’importanza della natura per la tradizione veneta, Carlo è immerso in un’ampia radura al limitare di un fitto bosco, più delineato in primo piano e più sfumato sul fondo. Un paesaggio reso meno tranquillo dalla resa del cielo, pieno di nuvole bianche screziate da altre nere e incombenti. Nuvole che rendono livida la luce del sole, basso sullo sfondo, in fondo alla prospettiva scorciata che caratterizza la tela.

Tutti questi elementi, seppur legati alle ricerche naturalistiche e atmosferiche del Cadorino, si devono anche alle direttive della corte imperiale. Innanzitutto la scelta del tema del sovrano a cavallo, tema relativamente presente in scultura ma, all’ora, poco frequente in pittura. Tale scelta si deve sia a una volontà artistica sia un’ideologica, legata strettamente al senso dell’ Impero e degli Asburgo. I riferimenti più antichi sono alla tradizione dei monumenti scultorei lapidei e bronzei, già esistenti in età gotica in tutta Europa, ma che si erano rivalutati con il Rinascimento, con il Gattamelata di Donatello e il Colleoni del Verrocchio. Tali esempi non erano rimasti solo in ambito italiano ma, seguendo l’espansione della Rinascenza in Europa, erano arrivati anche nei territori asburgici.  Significativa in tal senso è l’incisione del Cavaliere e della Morte di Albrecht Durer. L’immagine aulica del sovrano guerriero vincitore a cavallo era stata a questo punto fatta propria dal nonno di Carlo, Massimiliano, che aveva commissionato proprio ad Augusta un monumento equestre in legno al pittore Hans Burgkmair il Vecchio, cui venne richiesto anche un progetto per una scultura analoga in bronzo, in collaborazione con la stessa bottega  Helmschmid. Questo interessa passa al nipote Carlo, come dimostrano i rilievi marmorei di Hans Daucher, o le stampe colorate di Hans Liefrinck il Vecchio, realizzate ad Anversa in quegli anni. Un legame che si estende proprio alla battaglia di Mulhberg, quando Carlo richiese, su modello del monumento massimilaneo, un analogo monumento equestre a ricordo della vittoria, commissionato allo scultore tosco lombardo Leone Leoni, progetto poi non andato in porto. Il progetto di Tiziano è quindi ben inserito nel contesto di Augusta, volendo essere forse una trasfigurazione più viva e più dinamica del modello del Leoni, più rigida e ufficiale. La scelta dell’imperatore a cavallo, chiaro rimando all’antichità, era anche un’immagine celebrativa, che doveva celare anche il fatto che Carlo aveva vissuto la battaglia in lettiga, poiché colpito dalla gotta.

Ritratto di Filippo II di Spagna, figlio ed erede di Carlo V, realizzato da Tiziano.

La scelta del tema e del ambiente non sono solo connessi alla necessità del legame con il passato dinastico. Essa invece sottolineava invece molteplici significati, i quali presentavano i valori e gli obblighi che l’imperatore voleva mostrare. In particolare nel Carlo V a cavallo convivono sia un senso laico e politico sia un significato religioso. L’elemento religioso può in tal senso sembrare preponderante dato il contesto, nel quale Carlo voleva glorificare la vittoria contro la Lega protestante. Tale elemento può essere visibile in diversi aspetti. Da una parte, visivamente, nel grande decoro della corazza, sul cui pettorale troneggia l’immagine della Vergine con il Bambino. A questa immagine segue quella traslata che fa riferimento all’iconografia dei santi guerrieri, molto frequenti nel nord Europa, e in special modo a San Longino, con la sua lancia, e a San Giorgio, che combatte contro il drago simbolo del male. Tale sovrapposizione era sicuramente connessa all’immagine di Carlo come ottimo miles christianus, cavaliere cristiano destinato a ottemperare una serie di principi e di cura dell’ortodossia, ben delineati non a caso nell’omonima opera di Erasmo da Rotterdam, sul quale l’imperatore si era formato. Questo primo significato però non sembra quello centrale. Guardando l’opera infatti non vi sono dei diretti riferimenti al protestantesimo e alle lotte in atto in Germania per combatterlo. Nonostante l’occasione potesse essere in tal senso propizia, né l’imperatore né l’artista decisero ad esempio di porre i nemici sconfitti schiacciati dal cavallo, un’iconografia tradizionale in queste situazioni. Una simbologia non ignota allo stesso Carlo, che commissionerà alcuni anni dopo una sua statua bronzea in armatura mentre tiene alla catena la Furia allo scultore Leone Leoni e al figlio Pompeo. Un’immagine a cui lo stesso Tiziano aveva pensato su consiglio di un suo caro e influente amico, il poeta Pietro Aretino.

La scelta si deve invece al senso profondo alla base del progetto. L’immagine voleva essere riferimento al potere imperiale e a quel ruolo e quelle responsabilità che Carlo sentiva dovessero caratterizzare la sua figura. L’imperatore doveva essere quindi una figura eminente e autorevole, simboleggiata dalla lancia che porta nella destra, e che deve essere pronto ad intervenire, anche militarmente, per difendere i più deboli, ma soprattutto per far riconoscere il suo ruolo di custode del governo del mondo e della sua armonia contro coloro che lo mettevano in discussione. I principi tedeschi divenivano quindi, più che eretici religiosi, ribelli politici che sfidavano lo status quo. Un’interpretazione più generale che è confermata dalla spiegazione che ne veniva data nel 1558 nella collezione della sorella, definendo l’opera come l’immagine di come Carlo avesse sconfitto i ribelli.

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Rappresentazione dell’abdicazione di Carlo V, avvenuta nel 1556, con la conseguente divisione dei suoi domini fra il figlio Filippo e il fratello Ferdinando.

Questo taglio politico spiega anche le particolarità dell’opera. L’imperatore, dopo aver sconfitto la Lega, stava proprio cercando ad Augusta una pacificazione e un accordo politico religioso con i principi e aveva quindi la volontà di non umiliarli o mostrarsi arrogante. L’idea era invece di ricordare loro il suo ruolo e il suo compito e ricondurli all’ordine. La scelta di non esasperare l’elemento religioso era in questo senso voluta, proprio per favorire questo processo. Si doveva tuttavia anche alle condizioni stesse della guerra, più complicate di quanto si creda. Carlo infatti aveva vinto la battaglia con Maurizio di Sassonia, duca di Sassonia e secondo cugino di Giovanni Federico, il principe sconfitto, oltre che genero di Filippo d’Assia, altro capo della Lega, ed era anche un fervente luterano. La sua presenza si deve soprattutto ad una scelta politica, che lo vedeva in contrasto con il ramo ernestino del cugino, cosa che gli garantì dopo la battaglia la nomina a Principe Elettore. In aggiunta a ciò le truppe mercenarie di Carlo, guidate da Maurizio, erano lanzichenecchi tedeschi, che in parte professavano la fede riformata.

Le vicende materiali dell’opera non si concludono però con il lavoro di Tiziano. Sin dall’inizio l’opera presentò diversi problemi conservativi. Un primo intervento si colloca subito dopo la sua realizzazione quando, a seguito di una caduta dell’opera durante la sua asciugatura, la parte posteriore del cavallo fu ridipinta da un artista tedesco, Christoph Amberger, noto ritrattista, testimonianza della vicinanza tra autori di tradizioni diverse. Un danno più grave occorse nel 1734 quando la tela fu coinvolta nel grande incendio dell’Alcazar di Madrid, che portò alla perdita di diverse opere di Velasquez e alla totale ricostruzione dell’edificio. Il dipinto mostra in particolare tracce di bruciatura nella parte inferiore. Passò poi dalle collezioni reali al Museo del Prado nel 1827, dove vive tutt’ora.

Una figura complessa, quella di Carlo. Erede di un grande passato, riferimento di valori sempre più rari al suo tempo, ma anche pietra angolare della sua epoca e di una parte della storia moderna, le cui strutture resisteranno per un secolo e mezzo, e che in un modo o nell’altro hanno forgiato il mondo di oggi.  Un uomo che ha vissuto le contraddizioni religiose del suo tempo, tra diverse spinte alla riforma e al rinnovamento. Un sovrano capace di far entrare in contatto, tanto da influenzarsi, le diverse anime dell’arte europea di buona parte del ‘500. Artisti che contribuirono con lui a creare il suo vero grande monumento: il suo impero.

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