Molòn labé! – Venite a prenderle!

L’ATTACCO ALLA GRECIA DA PARTE DEL GRAN RE SERSE E LA VITTORIOSA RISPOSTA ELLENICA AI SOGNI DI CONQUISTA DEI PERSIANI

La notizia della strabiliante vittoria di Maratona di cui fu latore lo sfortunato Filippide fu accolta da grandi manifestazioni di giubilo da tutta la popolazione ateniese. Nonostante la gioia per la vittoria, però, ad Atene già pochi anni dopo il trionfo ci si cominciò a preoccupare seriamente per la possibilità di una nuova invasione: era infatti fin troppo prevedibile che il Gran Re non avrebbe potuto tollerare in alcun modo un simile smacco e che stesse preparando la rivincita.

Rilievo di Serse all’ingresso del suo palazzo a Persepoli (attuale Iran).

Dario tuttavia non fece in tempo a vendicarsi degli odiati greci: nel 486 a.C., dopo aver represso duramente una rivolta in Egitto, si spense al termine di un regno durato circa trentasei anni. Al defunto Re dei Re succedette il primogenito, Serse (dal persiano Khšāyāršā, che significa “colui che regna sugli eroi”, in greco Xérxēs), il quale appena asceso al trono represse brutalmente la ribellione in Egitto e quella scoppiata più o meno nello stesso periodo a Babilonia. Serse non si fece scrupolo a requisire e fondere il simulacro in oro raffigurante il sommo nume babilonese, Marduk, provocando una nuova sollevazione che si protrasse  dal 484 a.C. al 482 a.C.. Una volta pacificato l’impero col pugno di ferro il Gran Re poté finalmente concentrarsi nella preparazione della nuova armata che avrebbe dovuto invadere la Grecia come previsto a suo tempo da Dario.

Furono così inviati messaggeri presso tutti i satrapi (governatori) delle province affinché radunassero uomini e mezzi per la futura spedizione, che nei piani di Serse avrebbe dovuto essere ben più imponente di quella voluta dal defunto padre e predecessore. Quanti fossero i guerrieri del Gran re non lo sappiamo con certezza: Erodoto menziona la surreale cifra di 2 ,5 milioni di uomini, che però appare senza dubbio esagerata: per le strutture logistiche del tempo sarebbe stato semplicemente impossibile sostentare un numero tanto elevato di uomini, senza considerare le migliaia di muli, cavalli e altre bestie da soma a cui l’esercito avrebbe dovuto fare ricorso durante la campagna greca.

Mappa della base della penisola di Athos, con l’area del canale evidenziata nel cerchio rosso.

Calcoli più accurati ci portano a pensare che Serse avesse radunato un’armata di 200 o 250 mila unità, una cifra comunque di tutto rispetto per allora e tale da conferirgli una schiacciante superiorità numerica su qualunque esercito le poleis greche fossero riuscite a schierare. In appoggio alle forze di terra fu messa in mare una flotta che il solito Erodoto riferisce essere forte di ben mille navi.

Allo scopo di agevolare l’attacco alla Grecia Serse, non pago di questi sforzi di natura logistica e organizzativa, commissionò ai suoi ingegneri due progetti altrettanto faraonici. Il primo riguardò lo scavo di un canale attraverso l’istmo del Monte Athos, nella penisola calcidica (Grecia settentrionale) lungo circa 2,5 km e abbastanza ampio da consentire il passaggio di due triremi. L’opera, iniziata nel 483 a.C., richiese tre anni ed un numero incalcolabile di vite umane per essere completata ma una volta scavata la nuova via d’acqua avrebbe permesso il passaggio della flotta evitando l’insidioso periplo del promontorio del Monte Athos. Il secondo progetto si concentrava invece sulla costruzione di un colossale ponte di barche destinato a congiungere la sponda asiatica con quella europea dell’Ellesponto (l’attuale stretto dei Dardanelli).

La fustigazione delle acque dell’Ellesponto.

Il ponte però, malgrado le sue notevoli dimensioni, finì presto con l’essere spazzato via dalle mareggiate. Il Gran Re ordinò di giustiziare gli ingegneri per spronare i loro successori a fare di meglio e poi comandò che si frustasse il mare contro cui fece pronunciare queste parole “Il Gran Re ti infligge questa punizione perché gli arrecasti un grave danno senza aver ricevuto da lui alcun insulto. E giustamente non ti offre sacrifici, spregevole corrente torbida e salmastra”. Evidentemente il re-dio Serse non doveva apprezzare troppo che la natura osasse disobbedirgli! Una volta gettato il nuovo ponte, all’inizio della primavera del 480 a.C. cominciò il passaggio interminabile dell’immensa armata. Dal suo trono, per giorni, Serse vide passare guerrieri provenienti da tutto l’impero: medi, persiani, sciti, babilonesi, assiri, indiani, corasmi, ircani, sogdiani, egiziani, paflagoni, colchi e decine di altri. Erodoto scrisse che le città si svenarono per nutrirli mentre i fiumi si prosciugarono al loro passaggio. Secondo lo storico di Alicarnasso era come se l’Asia tutta si stesse riversando nella piccola Grecia.

Intanto nel 481 a.C. Serse aveva inviato ambasciatori presso numerose poleis elleniche invitando i greci a tributargli una simbolica donazione di “terra e acqua” in segno di sottomissione. Di fronte alla straordinaria potenza persiana alcune città preferirono sottomettersi. Atene e Sparta invece, per tutta risposta, non esitarono a trucidare gli inviati persiani. Le due storiche rivali decisero invece di unire le forze e di promuovere la creazione di una lega di città-stato per resistere all’invasione. Il consiglio panellenico che si riunì a Corinto vide l’adesione dei delegati di 32 poleis. La maggior parte degli stati cittadini greci tuttavia decise di rimanere più o meno neutrale, attendendo quale sarebbe stato l’esito dello scontro, che si prospettava difficile per lo schieramento ellenico. Tra le assenti più famose vi erano senza dubbio la beotica Tebe e la peloponnesiaca Argo, che giunse addirittura a stringere un’alleanza con i persiani in odio contro Sparta.

Gli spartani reagirono alla richiesta di sottomissione di Serse gettando gli inviati del Gran Re in un pozzo.

Gli alleati greci consultarono il venerabile oracolo apollineo di Delfi il cui responso però lasciò gli ateniesi sconcertati: secondo le parole della Pizia essi avrebbero dovuto abbandonare la loro città, che sarebbe stata devastata dai barbari, ma si sarebbero salvati se, come riferì enigmaticamente la sacerdotessa, essi avessero confidato in un muro di legno. Dal canto loro gli spartani si rifiutarono categoricamente di inviare i loro soldati fuori dal Peloponneso. Si sarebbero invece schierati all’imbocco dell’istmo di Corinto, che divide il Peloponneso dal resto dell’Ellade, e lì avrebbero stabilito una linea di resistenza. Accettarono comunque, su insistenza degli alleati, di inviare un minuscolo contingente a nord, presso il Passo delle Termopili, uno stretto passaggio tra le montagne e il mare che divide la Beozia dalla Tessaglia, nella Grecia centrale. Oggi il luogo è pressoché irriconoscibile: i sedimenti portati dai torrenti montani hanno spostato la costa avanti di circa un chilometro mentre nel frattempo è stata costruita l’autostrada che collega Atene a Salonicco. Restano però le sorgenti sulfuree che danno il nome alla località che significa appunto “le Porte Calde”.

Il mondo ellenico al tempo della seconda guerra persiana. Gli stati greci coalizzati contro l’impero persiano sono evidenziati in blu.

Sul passo si trincerarono i famosissimi 300 spartiati della guardia reale comandati da un dei due sovrani lacedemoni, il leggendario Leonida (in greco Leōnídās, ossia “figlio del leone”). In appoggio agli spartani c’erano i circa 7 mila uomini della Lega peloponnesiaca oltre a 700 opliti della piccola città beotica di Tespie. Quei circa 8 mila soldati furono protagonisti di una vicenda che per venticinque secoli ispirò la letteratura  epica dell’intero Occidente. Secondo Erodoto all’inizio della battaglia, quando gli esploratori riferirono a Leonida che i persiani erano talmente numerosi che le loro frecce avrebbero oscurato il sole, egli, per nulla intimorito, ribatté che ciò era bene perché così lui e i suoi guerrieri avrebbero potuto combattere all’ombra. Pare poi che Serse abbia cercato di blandire il re spartano offrendogli il governo dell’intera Grecia una volta che l’esercito persiano l’avesse conquistata ma Leonida rifiutò sdegnosamente la proposta. Serse a quel punto, persa la pazienza, intimò perentoriamente ai greci di sgombrare il passo, arrendendosi e consegnando le armi. Leonida, di fronte a una simile richiesta replicò beffardamente ai persiani “Molòn labè!” (in greco “μολὼν λαβέ“) (ossia “Venite a prenderle”). Una frase destinata, nei secoli successivi, a entrare nella leggenda.

Battle of Marathon, 490 BCE: Greek forces defeat the dominant Persian Empire, considered by many to be invincible. After this battle, the epicenter of civilization began to shift away from the Middle East towards Europe.
La resistenza dei greci di Leonida al Passo delle Termopili.

Per giorni e giorni i greci resistettero accanitamente agli assalti persiani, volgendo in fuga persino i leggendari Immortali, guardia del corpo del Gran Re ed élite dell’esercito persiano. La resistenza greca cedette solo per il tradimento di un certo Efialte, un greco che svelò ai persiani l’esistenza di un sentiero che avrebbe potuto aggirare le posizioni spartane. Sapendosi ormai accerchiato, Leonida rifiutò ogni offerta di evacuazione fattagli giungere Temistocle, l’ammiraglio della flotta ateniese che stazionava al largo a copertura dell’esercito greco sulla terraferma.

Poi il re spartano congedò tutti gli armati greci ad eccezione dei suoi Trecento con i quali si apprestò a resistere il più a lungo possibile per coprire la ritirata degli alleati. Tuttavia è stata avanzata anche un’altra ipotesi e cioè che agendo in questo modo Leonida avesse voluto offrire sè stesso in sacrificio in cambio la salvezza della sua città: prima di partire per la guerra, infatti, il sovrano aveva consultato l’oracolo di Apollo il quale aveva risposto profetizzando che Sparta si sarebbe salvata dalla devastazione ma che avrebbe dovuto piangere la morte “di un Re della stirpe di Eracle”, quale era effettivamente Leonida, la cui famiglia, gli Agiadi, vantava una discendenza dal grande eroe. I lacedemoni caddero così uno dopo l’altro sotto le frecce persiane e quando furono tutti morti il corpo di Leonida venne prima decapitato e poi crocefisso per ordine di Serse. Dopo il conflitto, sotto al tumulo che conteneva i resti degli eroi delle Termopili fu collocata un’iscrizione che recitava “Oh viandante vai a dire a Sparta che noi qui siamo sepolti per avere obbedito alla sua legge”.

Le linee rosse indicano l’avanzata dell’esercito persiano in Grecia dopo lo sfondamento alle Termopili.

I persiani proseguirono la loro avanzata in Grecia fino ad Atene, che venne saccheggiata. Gli ateniesi, fuggiti per tempo sulla vicina isola di Salamina, poterono scorgere da lontano le colonne di fumo levarsi dall’acropoli in fiamme. Una parte dei cittadini di Atene scelse di non abbandonare la città e si barricò sull’acropoli dopo averla fortificata con una palizzata lignea ritenendo essi di aver adempiuto alla profezia dell’oracolo delfico secondo il quale il muro di legno li avrebbe protetti. I persiani tuttavia riuscirono a scalare la collina e ad impadronirsi dell’acropoli. A quel punto gli invasori trucidarono tutti gli ateniesi che trovarono, compresi quelli che avevano cercato scampo all’interno dei templi.

Nonostante la situazione sembrasse volgere al peggio i greci potevano ancora fare affidamento sulla flotta ateniese, ancora intatta. Essa contava circa 300 triremi, agili navi da guerra che, come dice il nome, erano dotate di tre ordini di rematori. A prua la trireme era dotata di un pesante sperone di bronzo, il rostro, con il quale squarciare la chiglia della nave avversaria. A bordo oltre ai rematori erano imbarcati anche squadre di fanti di marina pronti a lanciarsi all’arrembaggio. Temistocle sapeva bene che in mare aperto la sua flotta non avrebbe avuto alcuna possibilità di vittoria, data la schiacciante superiorità numerica di quella persiana. Andò quindi a chiudersi con tutte le sue navi nello stretto braccio di mare che separa l’isola di Salamina dall’Attica.

Dal suo scranno Serse fu costretto ad assistere alla distruzione della sua flotta per mano dei greci.

Una volta che le navi persiane giunsero in prossimità dell’imbocco del canale, in prossimità del porto ateniese del Pireo, Serse mandò le squadre egiziane a chiudere anche l’accesso dalla parte opposta di Salamina, convinto di avere chiuso gli stolti greci in trappola. Anzi l’imperatore era così convinto della vittoria che si fece installare un trono sulla costa attica per godersi lo spettacolo.

Dal suo scranno, però, il borioso Serse non vide altro che le sue navi venir fatte a pezzi dalle agili triremi ateniesi, megaresi ed eginete, le quali, approfittando della lentezza delle più grosse navi persiane colpivano come lupi in mezzo a un gregge con precisione letale. Sulle navi persiane gli equipaggi fenici ed egiziani furono presto presi dal panico finendo con i loro natanti fra gli scogli mentre i marinai ioni disertarono in massa passando dalla parte dei compatrioti. Quando arrivò la sera e la battaglia cessò, il mare era pieni di relitti e di cadaveri persiani. Proprio come previsto dalla Pizia di Delfi il “muro di legno”, costituito dalle chiglie delle navi alleate, aveva salvato i greci.

Nonostante la batosta nelle acque di Salamina, Serse aveva ancora un asso nella manica rappresentato dall’esercito, che era rimasto accampato nella Grecia centrale agli ordini del generale Mardonio. L’armata persiana, dopo avere svernato a spese del territorio circostante, con la primavera sarebbe stata di nuovo pronta a riprendere l’offensiva. Gli alleati greci, in quegli stessi mesi tra il 480 e il 479 a.C. riunirono il più numeroso esercito che si fosse mai visto in Grecia, stimato da Erodoto in circa 100 mila uomini e che oggi è valutato intorno agli 80 mila. I persiani rimasti in Grecia, che Erodoto afferma fossero 300 mila, schieravano più realisticamente una forza di 120 mila guerrieri, ma in ogni caso erano senz’altro superiori di numero rispetto agli avversari ellenici.

Schema della battaglia navale di Salamina.

Tra l’agosto e il settembre del 479 a.C. l’armata alleata agli ordini dello spartano Pausania e dell’ateniese Aristide affrontò e sconfisse definitivamente Mardonio presso Platea, in Beozia. Dopo un’iniziale ritirata, nel corso della quale furono sul punto di essere sopraffatti, i greci riuscirono a contrattaccare, ingaggiando il combattimento corpo a corpo nel quale, come già dimostrato a Maratona, erano decisamente superiori ai persiani in termini di armamento e preparazione. L’armata del Gran Re venne infine circondata e lo stesso Mardonio ucciso nello scontro. Negli stessi giorni la flotta panellenica, dopo il trionfo di Salamina, vinceva di nuovo quella persiana alla battaglia di capo Micale (di fronte all’isola di Samo, lungo la costa dell’attuale Turchia). Ancora una volta i greci d’Asia disertarono passando dalla parte dei compatrioti. Dopo questa ulteriore sconfitta Serse fu costretto a rinunciare a qualunque ipotesi di rivincita.

Con le vittorie di Platea di Capo Micale si chiuse la stagione delle Guerre Persiane con le quali le poleis greche respinsero le velleità espansionistiche del loro ingombrante vicino orientale. I persiani non metteranno più in atto tentativi di invasione, preferendo invece una politica basata sul principio del “dividi et impera”, soffiando sul fuoco delle rivalità inter – cittadine, oltre a pagare mercenari greci perché combattessero nelle armate del Gran Re di Persia.

La vittoria decisiva degli alleati greci alla battaglia di Platea (agosto 479 a.C.)

Gli ateniesi, nei decenni successivi, ricostruirono la loro città ancora più splendida di prima: risalgono proprio alla metà del V secolo a.C. le imponenti rovine dell’Acropoli e del Partenone che possiamo ammirare ancora oggi. Atene uscì dalle Guerre Persiane notevolmente rafforzata: nonostante le devastazioni subite, la città guadagnò grande fama per aver saputo infliggere nell’arco di un decennio due clamorose batoste al gigante persiano, tanto per terra a Maratona quanto per mare a Salamina. La città divenne il centro di un impero marittimo che si stendeva su tutto il Mar Egeo.

L’accresciuta potenza degli ateniesi portò però inevitabilmente a nuove frizioni con Sparta, l’altra grande potenza regionale dell’Ellade. Nel 431 a.C. le due città giungeranno allo scontro in quella tragedia che sarà ricordata come “Guerra del Peloponneso”, alla fine della quale della potenza delle orgogliose poleis greche non resterà che una pallida ombra.

Bibliografia:

  • Erodoto, Le Storie
  • V. M. Manfredi, Akropolis- La grande epopea di Atene

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