DALLA VITTORIA CRISTIANA DI LAS NAVAS DE TOLOSA (1212) ALLA CADUTA DI GRANADA (1492)
La battaglia di Las Navas de Tolosa aveva costituito un indiscutibile trionfo per la coalizione crociata. Tuttavia l’avanzata dei regni iberici verso Al-Andalus si interruppe già negli anni immediatamente successivi e questo non tanto a causa di una ripresa del califfato almohade quanto a causa della scomparsa di due dei principali protagonisti della campagna del 1212.

Nel 1213 infatti il sovrano aragonese Pietro II il Cattolico rimase ucciso alla battaglia di Muret, combattuta il 14 settembre contro i crociati di Simon de Montfort, sciamati nella Francia meridionale per estirpare l’eresia catara in risposta all’appello di Papa Innocenzo III.
Pietro d’Aragona, che in territorio occitano deteneva le contee di Perpignan e del Rossiglione, era intervenuto a sostegno del cognato Raimondo VI di Tolosa, probabilmente allo scopo di prevenire possibili azioni dei crociati entro i confini dei suoi possedimenti francesi. Morendo il sovrano aragonese lasciò la sua corona al figlioletto Giacomo I, che allora aveva soltanto cinque anni.
L’anno successivo invece scomparve, appena cinquantanovenne, il Re di Castiglia Alfonso VIII. La sua dipartita aprì una fase di instabilità per il regno a causa della minorità dell’erede Enrico I, appena decenne. Tuttavia anche il giovane sovrano morì dopo soli tre anni di regno nel 1217. In mancanza di altri eredi maschi diretti la corona castigliana si posò sul capo della sorella maggiore di Enrico, Berengaria (1180-1246), sposa del sovrano leonese Alfonso IX.
La regina comunque scelse di abdicare in favore del figlio Ferdinando III (1201-1252), il quale, alla morte del padre, avvenuta nel 1230, poté ascendere al trono del Regno di León, sancendone la riunificazione definitiva con la Castiglia.
Gli eventi narrati finora avevano solamente ritardato di alcuni anni l’inesorabile processo della Reconquista. La disfatta di Las Navas de Tolosa infatti, era stata nient’altro che la prima picconata assestata dai cristiani al già traballante potere almohade. Come scrisse il cronista berbero Ibn al-Khatib “i rappresentanti della dinastia persero forza e si divisero […], sicché le rivalità presero il sopravvento, scoppiò feroce la guerra civile e il popolo cadde tra le braccia degli infedeli”. In effetti, dopo la scomparsa del giovanissimo Califfo Yūsuf II al-Mustanṣir (1203-1224), figlio di Muḥammad al-Nāṣir, tra gli anni Venti e Quaranta del XIII secolo il Califfato fu oggetto di ripetute spedizioni campagne militari da parte dei regni cristiani che ebbero come risultato la totale estinzione del potere almohade nella Penisola Iberica.
Proprio a partire dal 1224 Alfonso IX di León si impadronì di una serie di piazzeforti nella regione dell’Andalusia come Quesada (1224), Priego e Loja (1225) e Baeza (1226). Nel 1230 fu la volta della caduta dei centri di Mérida e Badajoz, nell’Estremadura. Ferdinando III diede seguito alla politica paterna marciando, a partire dall’inizio di febbraio del 1236, contro l’importante città di Cordova, capitale di Al-Andalus sin dall’epoca della dinastia omayyade, che si arrese dopo quattro mesi di assedio, aprendo le sue porte ai castigliani il 29 giugno successivo.

Una volta entrato in città Ferdinando dispose la trasformazione della monumentale moschea in cattedrale cristiana. Inoltre il sovrano ordinò che le campane della cattedrale di Santiago, asportate durante il sacco di Almanzor del 997 e portate a Cordova come trofeo, venissero riportate a Compostela.
Contemporaneamente, nel 1229, per iniziativa di Giacomo I, le forze catalano-aragonesi diedero il via alla conquista dell’arcipelago delle Baleari sbarcando sull’isola di Maiorca. La sottomissione delle Baleari si concluse soltanto nel 1235 con la presa da parte aragonese delle isole di Minorca, Ibiza e Formentera. Gran parte della popolazione musulmana venne massacrata o ridotta in schiavitù e l’arcipelago venne ripopolato da coloni provenienti dalla Catalogna o dall’Aragona. Dopo essersi assicurato il possesso delle Baleari Giacomo d’Aragona rivolse la sua attenzione contro Valencia, assediata a partire dal 1236.
La città che era stata un tempo del Cid venne espugnata nel settembre del 1238 ma la conquista del territorio circostante tenne impegnato il Re d’Aragona ancora per diverso tempo. Intanto, nel 1243 l’infante di Castiglia, don Alfonso, figlio ed erede di Ferdinando III, attaccò la città di Murcia per ordine del padre, mentre l’anno successivo mosse contro Lorca e Cartagena, che preferirono arrendersi senza combattere. L’espansione verso i territori di Al-Andalus aveva generato inevitabilmente delle frizioni tra Castiglia e Aragona. Allo scopo di definire le rispettive conquiste il 26 aprile 1244 venne firmato il trattato di Almizra, accordo che fu ampliamento del precedente accordo di Cazola, stipulato nel 1179 tra Alfonso VIII di Castiglia e Alfonso II d’Aragona.

Ormai impossibilitata a compiere ulteriori conquiste nella Penisola iberica, da quel momento la Corona d’Aragona si volse con decisione verso il Mediterraneo: tra la fine del XIII e la metà del XV secolo vennero conquistate dapprima la Sicilia (1302) come risultato dell’intervento di Re Pietro III nella cosiddetta “Guerra del Vespro” oltre ai ducati crociati di Atene (1311) e Neopatria (1319) in Grecia. Tra il 1323 e il 1326 gli aragonesi diedero inizio alla conquista della Sardegna, sottomessa definitivamente nel 1420 dopo la sconfitta definitiva del Giudicato d’Arborea. Infine, nel 1442 Alfonso V conquistò Napoli e riunificando temporaneamente sotto il suo scettro l’intero Mezzogiorno d’Italia.

Dipinto di Francisco Pacheco del XVII secolo.
La guerra contro Al-Andalus era quindi ormai sostanzialmente terminata. Sulle ceneri dell’ormai defunto Califfato Almohade si affermarono dinastie locali come gli Hafsidi nel 1229 in Ifrīqiya (corrispondente alla moderna Tunisia) o i Merinidi, che a partire dal 1244 si impadronirono del Marocco. L’ultima traccia del potere islamico in terra iberica era costituita dalla dinastia dei Nasridi di Granada, i quali ad ogni modo riconobbero la sovranità castigliana accettando di sottostare al pagamento di un tributo.
L’ultimo grande obbiettivo per i cristiani era costituito dalla città di Siviglia. Dopo una lunga preparazione l’assedio poté avere inizio nell’estate del 1247. La città tuttavia non venne conquistata grazie ad un assalto quanto piuttosto dopo averla isolata tagliando i suoi collegamenti fluviali, condizione che si verificò nell’autunno dell’anno successivo quando le unità navali castigliane dell’ammiraglio Ramón Bonifaz ebbero risalito il Guadalquivir. Ormai privi di qualunque possibilità di ricevere rinforzi dall’esterno i difensori si arresero e finalmente, il 23 novembre 1248, Ferdinando III poté entrare a Siviglia.

La cattura della città portò, negli anni immediatamente successivi, alla caduta dei centri di Medina-Sidonia, Arcos, Cadice, Sanlucar e di tutte le altre città della Bassa Andalusia. Vittorioso su tutta la linea, Ferdinando iniziò a progettare una ulteriore spedizione in Nord Africa per spezzare ogni possibile controffensiva islamica ma il progetto non ebbe seguito a causa della scomparsa del Re nel 1252.
Gli succedette il figlio primogenito, Alfonso X, detto “el Sabio“, cioè “il Sapiente”, destinato a restare sul trono per oltre trent’anni, dal 1252 al 1284. Durante questo lungo periodo si assistette ad un rafforzamento del potere regio ed allo svilupparsi di nuovi strumenti amministrativi e giuridici nei quali si possono scorgere le fondamenta dello stato moderno. L’azione di governo di Alfonso X fu quindi analoga a quella intrapresa da altri due grandi monarchi europei del XIII secolo, Luigi IX di Francia (1226-1270) e l’Imperatore e Re di Sicilia Federico II di Svevia (1198-1250), con i quali Alfonso di Castiglia vantava anche legami di parentela. Accanto ai mutamenti politici negli stessi anni si assistette nella Penisola Iberica al sorgere di nuove forme di religiosità: la novità principale della prima metà del Duecento è senza dubbio la fondazione dei cosiddetti “ordini mendicanti” domenicano e francescano. I primi frati di San Francesco giunsero in Spagna intorno al 1225, preceduti di poco dai Domenicani, nati negli stessi anni per iniziativa proprio di un religioso iberico, Domenico di Guzman.
I frati si prodigarono in una vigorosa attività di predicazione volta a ottenere la conversione di ebrei e musulmani nei nuovi territori conquistati, come ad esempio il Regno di Valencia, il che fece guadagnare loro la riconoscenza e il sostegno del monarca aragonese Giacomo I. Accanto all’attività missionaria gli ordini mendicanti si inserirono altresì nel solco della plurisecolare l’opera di studio e traduzione dei testi della tradizione ebraica e musulmana.

Tale tradizione risaliva alla prima metà del XII secolo quando l’abate di Cluny Pietro il Venerabile aveva commissionato la prima traduzione del Corano dall’arabo al latino. Quest’operazione intellettuale, anche se certamente fu sostenuta dalla sete di conoscenza degli eruditi cristiani, non venne comunque portata avanti per una sorta di benevolenza verso la cultura ebraica o islamica. Piuttosto essa andrebbe letta come un processo di appropriazione nel quadro di un più vasto conflitto. In altre parole la conoscenza dell’Islam come dell’Ebraismo venne percepita come una condizione imprescindibile per il trionfo della fede cristiana. Prima ancora che sul campo di battaglia gli infedeli andavano quindi sconfitti sul piano intellettuale.
Intanto ad Alfonso X, spentosi nel 1284, succedettero dapprima il figlio Sancho IV (1284-1295) e poi il nipote Ferdinando IV (1295-1312). Entrambi questi sovrani proseguirono la lotta contro l’Emirato nasride di Granada, che però resistette alla conquista cristiana protetto tanto dalle sue fortificazioni quanto dalla stessa natura montagnosa del suo territorio. Nonostante ciò Ferdinando IV riuscì ad espugnare la rocca di Gibilterra e a cingere d’assedio la città di Algeciras (1309). Il sovrano l’avrebbe probabilmente conquistata se la morte non l’avesse prematuramente colto a soli ventisette anni in circostanze non del tutto chiarite.

Gli succedette il figlio neonato, il futuro Alfonso XI, posto sotto la tutela della nonna materna Maria di Molina.
Nel 1319 il principe reggente di Castiglia Pietro, zio e tutore dell’ancora minorenne Alfonso XI, guidò un attacco contro Granada che si concluse con la sua sconfitta e la sua uccisione per mano dell’esercito del sultano nasride Ismāʿīl I (1314-1325) in quello che venne ricordato come il “disastro della Vega de Granada”.
Successivamente, nel 1333, Muḥammad IV (1325-1333) di Granada strinse un patto di alleanza con il sultano marocchino Abū al-Ḥasan ʿAlī ibn ʿUthmān (1331-1348), della dinastia merinide, in funzione anticristiana. Quest’ultimo sbarcò nella Penisola Iberica riuscendo a riconquistare Gibilterra all’Islam ma a quel punto il pericolo rappresentato dall’invasione marocchina dell’Andalusia indusse l’ormai ventenne Alfonso XI a mettere da parte i propri dissidi politico-territoriali con l’omonimo suocero Alfonso IV del Portogallo (1325-1357), che grazie all’intercessione della figlia Maria, accettò di riconciliarsi con il genero e di unire le proprie forze a quelle castigliane. Le truppe cristiane unite colsero così un’importante vittoria alla battaglia del Rio Salado, combattuta il 4 aprile 1340. Mentre l’esercito merinide ripiegava in Marocco, il sultano granadino Yūsuf I, succeduto nel 1333 al fratello Muḥammad IV, fu costretto a firmare una tregua decennale con i cristiani.

A questa ne sarebbero succedute altre che consentirono al sultanato di sopravvivere fra alti e bassi per ancora un secolo e mezzo pur dovendo riconoscersi tributario della Corona di Castiglia. Nonostante ciò dal punto di vista artistico questo periodo fu per Granada fra i più felici della sua storia, testimoniato dagli splendidi monumenti dell’Alhambra.
Siamo così arrivati in questo nostro racconto alla prima metà del XIV secolo e probabilmente qualcuno ricorderà come il Trecento sia stato soprannominato nei manuali scolastici di storia come il “secolo della crisi” che coinvolse tutto il continente europeo. La Spagna non fece purtroppo eccezione: a partire dalla seconda decade del secolo iniziarono a palesarsi gli effetti dei violenti cambiamenti climatici che posero fine al cosiddetto “Optimum climatico medievale” iniziato nel IX secolo. La società medievale dovette fare i conti con annate sempre più frequenti di cattivi raccolti e con le conseguenti carestie: uomini e animali morirono a migliaia mentre i superstiti, affetti da denutrizione, si trovarono maggiormente esposti al contagio di malattie infettive. Fu allora che intorno al febbraio 1348 fece la sua comparsa in Spagna la peste, sbarcata sulle coste catalane assieme agli inconsapevoli marinai provenienti da oriente. Tra il 1348 e il 1349 il flagello si diffuse nell’intera Penisola Iberica provocando migliaia di vittime tra cui lo stesso sovrano castigliano Alfonso XI, deceduto il 26 marzo 1350 durante l’assedio di Gibilterra.

L’elevatissima mortalità e l’incapacità della medicina medievale nel trovare una cura al morbo, spinse la popolazione, terrorizzata, a ritenere che la peste fosse stata mandata in conseguenza dei peccati di ebrei e musulmani. In Aragona, tra le regioni più colpite dall’epidemia, proprio in quel periodo a Huesca e Saragozza scomparvero quasi del tutto i quartieri ebraici e moreschi.
La situazione purtroppo era soltanto destinata a peggiorare: nei difficili anni ’80 del XIV secolo la grave crisi economica che colpì la Penisola Iberica esacerbò le tensioni sociali e con esse il crescente sentimento di odio antiebraico e antimusulmano, alimentato dai sermoni incendiari di religiosi come l’arcidiacono di Ecija Ferrant Martinez, che a Siviglia predicò con una violenza e un seguito crescenti per la distruzione delle sinagoghe e la cacciata degli ebrei. Le stragi e i pogrom che colpirono a più riprese ebrei e musulmani, come avvenuto per esempio nel 1321, nel 1348 nei possedimenti aragonesi e poi ancora nel 1391 tanto in Aragona quanto in Castiglia, si spiegano quindi attraverso la lunga storia di definizione di stereotipi e di ideologie di persecuzione.

Infine, a conferma del vecchio proverbio secondo il quale “guerra, peste e carestia, vanno sempre in compagnia” la Spagna, nella seconda metà del XIV secolo fu attraversata da una serie di conflitti che coinvolsero i sovrani cristiani. Primo fra tutti fu quello scoppiato nel 1356 tra Castiglia e Aragona e noto in lingua spagnola come la “Guerra de los Pedros” a causa dell’omonimia tra i Re in essa coinvolti, ossia il castigliano Pietro I il Crudele (1350-1369) e l’aragonese Pietro IV il Cerimonioso (1336-1387). A questa guerra, conclusasi sostanzialmente senza vincitori né vinti, si sovrappose quella interna alla Castiglia che vide Pietro il Crudele contrapporsi al fratellastro Enrico Conte di Trastamara (1334-1379), nato dalla relazione fra Alfonso XI e la sua amante Eleonora di Guzman. Lo scontro fratricida si chiuse nel 1369 con la sconfitta e l’uccisione di Pietro da parte di Enrico, che si autoproclamò sovrano di Castiglia e León con il nome di Enrico II. L’assassinio di Pietro, morto senza lasciare eredi maschi, comportò l’estinzione del ramo principale della dinastia di Borgogna dopo oltre due secoli. Di contro, con Enrico si affermò la nuova casa regnante di Trastamara. Il nuovo Re passò i restanti dieci anni della sua vita nel tentativo di consolidare la propria posizione su un trono che aveva conquistato spargendo il sangue del proprio congiunto e impegnandosi nella ricostruzione di un reame devastato dalla guerra civile.
A Enrico succedette il primogenito Giovanni I (1379-1390). Questi, dopo aver sposato la principessa Beatrice del Portogallo, nel 1383 alla morte senza eredi maschi del suocero Ferdinando I (1367-1383) in nome della moglie, si autoproclamò Re del Portogallo. Giovanni tuttavia non era gradito alla nobiltà lusitana che vedeva in lui un sovrano straniero: nell’aprile del 1385 le Cortes portoghesi riunite a Coimbra deliberarono di assegnare la corona a Giovanni d’Aviz, fratellastro del defunto Re Ferdinando e zio di Beatrice.

Dobbiamo tuttavia menzionare un altro, decisivo, intreccio dinastico destinato ad avere importanti conseguenze questa volta per il futuro della Corona d’Aragona ma non solo. Tutto ebbe origine dal primo matrimonio che Re Giovanni di Castiglia contrasse con Eleonora d’Aragona, figlia di Pietro IV il Cerimonioso. Nel 1410 infatti calò nella tomba senza eredi legittimi Re Martino I d’Aragona (1396-1410), fratello di Eleonora. Con lui calava per sempre il sipario sulla dinastia dei Conti-Re originatasi dall’unione di Ramon Berenguer di Barcellona e Petronilla d’Aragona. I pretendenti a vario titolo delle Corone di Aragona e Sicilia erano cinque, fra i quali figuravano Federico conte di Luna, figlio illegittimo dello scomparso Re Martino, e l’infante di Castiglia Ferdinando d’Antequera figlio di Eleonora d’Aragona e Giovanni di Castiglia e quindi nipote del defunto Re.

Le Cortes di Catalogna, Valencia e Aragona stabilirono che la questione successoria sarebbe stata dipanata da una commissione di nove rappresentanti fra vescovi, abati e giuristi che si sarebbero riuniti a Caspe (Aragona). La votazione del futuro sovrano ebbe luogo il 24 giugno 1412. Grazie al decisivo sostegno di del futuro santo Vincent Ferrer, Ferdinando di Castiglia risultò eletto Re d’Aragona e di Sicilia col nome di Ferdinando I. A seguito del Compromesso di Caspe quindi la Casa di Trastamara divenne titolare di due fra i più importanti regni iberici, segnando un primo e decisivo passo verso l’unificazione di quello spazio politico che diventerà la Spagna.
Il passo decisivo verso l’unione delle corone iberiche venne infine compiuto nel 1469 con il matrimonio tra l’infanta di Castiglia Isabella (1451-1504) e l’erede al trono d’Aragona Ferdinando (1452-1516). Nel 1479 Isabella fu riconosciuta ufficialmente regina dopo il suo trionfo nella guerra di successione castigliana (1474-1479) che la vide contrapposta alla nipote Giovanna “la Beltraneja”, regina consorte del Portogallo. L’esito di questa guerra ebbe effetti determinanti sul futuro politico della Spagna: se avesse vinto Giovanna le fortune della Castiglia si sarebbero congiunte a quelle del Portogallo e gli interessi castigliani si sarebbero spostati verso l’Atlantico. Con la vittoria di Isabella e Ferdinando invece il termine “Spagna” venne a indicare l’unione di Castiglia e Aragona. Per finire, in quello stesso 1479, con la morte di Giovanni II d’Aragona, suo figlio Ferdinando II ne raccoglieva la successione. Ora Isabella e Ferdinando erano finalmente e congiuntamente regina di Castiglia e Re d’Aragona. Occorre tuttavia intendersi su un punto: l’unione dei due regni fu meramente dinastica. Non si trattò della fusione di due popoli ma di due famiglie reali.

Le due entità statuali, Castiglia e Aragona, mantennero inalterate le proprie strutture di governo anche se a partire dal matrimonio di Ferdinando e Isabella i due regni non furono più rivali ma consonanti. I nuovi sovrani procedettero da subito per rafforzare il ruolo della monarchia nei confronti della nobiltà e del clero ma soprattutto si adoperarono per dare maggiore coesione ai propri regni attraverso la promozione della religione cristiana cattolica, individuata come vero elemento coagulante all’interno del variegato mondo iberico, da sempre contraddistintosi per la presenza di comunità tra loro differenti per storia, lingua e cultura.
Pur essendo cristiani devoti, i “Re Cattolici” erano nel contempo dei politici abilissimi (Ferdinando in modo particolare) che concepivano il cattolicesimo come un vero e proprio instrumentum regni che avrebbe garantito loro un migliore controllo dei sudditi. A tale scopo fu promossa la creazione di un apposito organismo preposto all’individuazione e al castigo dell’eresia. Nel novembre 1478 un riluttante Sisto IV concesse il suo assenso a Ferdinando e Isabella per la creazione dell’Inquisizione spagnola, tribunale modellato su quello introdotto nel XII secolo dai Papi per combattere la diffusione dell’eresia catara.

A differenza della vecchia Inquisizione medievale, quella spagnola avrebbe operato come un vero e proprio organo statale rispondendo del suo operato esclusivamente alla Corona, a cui infatti spettava il diritto di nomina dell’Inquisitore Generale. Il primo “Grande inquisitore” fu il famigerato frate domenicano Tomás de Torquemada, confessore e uomo di fiducia di Ferdinando e Isabella.
Contemporaneamente i “Re Cattolici” ripresero con vigore la guerra per la conquista del regno musulmano di Granada. Per la verità le incursioni contro il sultanato nasride non erano mai cessate del tutto, essendo proseguite durante i regni dei successori di Giovanni I di Castiglia, ossia Enrico III (1390-1406) e Giovanni II (1406-1454). Addirittura nel 1415 i portoghesi, guidati dal principe Enrico d’Aviz (1394-1460) sbarcarono in territorio africano conquistando la città marocchina di Ceuta. Stretto fra l’Atlantico e la Castiglia e dunque impossibilitato ad espandersi nella Penisola Iberica, il piccolo Portogallo fin dall’inizio della propria storia si trovò costretto a imboccare la via dell’espansione oltreoceano. Enrico, meglio conosciuto col soprannome di Navigatore, si farà promotore di una serie di ardite spedizioni navali che dopo Ceuta porteranno alla conquista lusitana di Madera (1418), delle Azzorre (1427) e di Capo Verde (1462), primo nucleo di quello che diventerà l’impero coloniale portoghese.
La mutata situazione internazionale del resto contribuì a creare un clima favorevole verso la decisione di Ferdinando e Isabella di cancellare definitivamente l’ultimo baluardo islamico in terra iberica: nel 1453, dall’altra parte del Mediterraneo i turchi ottomani del sultano Mehmet II entrarono a Costantinopoli. La caduta del millenario bastione orientale della cristianità contribuì ad alimentare nuovamente l’entusiasmo verso l’idea di crociata contro i musulmani in tutta Europa e in particolare in Spagna mentre la stessa attività dell’Inquisizione non faceva che aumentare il sentimento di intolleranza nei confronti dell’Islam. Tra il 1455 e il 1457 vennero lanciate contro il Regno di Granada ben sei spedizioni condotte con forze poderose senza però ottenere risultati rilevanti. La mancata conquista di Granada non impedì ad ogni modo la definitiva riconquista cristiana di Gibilterra (1462) né valse a spegnere il fin troppo acceso ardore crociato se si considera che nel 1464 si dovette dissuadere i guerrieri castigliani dal lasciare in massa il loro Paese per prendere parte alla crociata promossa da Papa Pio II contro i turchi.

Il casus belli venne fornito ai Re Cattolici dallo stesso sultano nasride Abū l-Hasan ‘Alī, detto anche “Muley Hacen”. Costui, dopo avere disconosciuto il vassallaggio a cui il suo regno era legato alla Castiglia, il 27 dicembre 1481 attaccò la fortezza di Zahara, in mano ai cristiani fin dal 1407, massacrandone la guarnigione. Il primo anno di guerra fu sfavorevole ai cristiani, che vennero sconfitti mentre lo stesso Ferdinando II venne sorpreso da un’imboscata sulla strada verso la capitale nemica. Fortunatamente per i castigliani il sultanato granadino era travagliato da una profonda crisi dinastica tanto che nel 1482 un colpo di stato portò alla deposizione di Abū l-Hasan ‘Alī e alla sua sostituzione con il figlio Muhammad XII, detto Boabdil (storpiatura del nome arabo Abu ‘Abd Allāh). Tuttavia il regno del nuovo sultano durò appena un anno: nel 1483 Boabil, sconfitto all’assedio di Lucena, venne fatto prigioniero. Lo spodestato Muley Hacen poté così tornare sul trono ma la sua posizione fu insidiata dal fratello conosciuto col soprannome di al-Zaghal “il Coraggioso”, il quale, quando il fratello morì nel 1485, ne prese il posto proclamandosi sultano con il nome di Muhammad XIII.

Dal canto loro i Re Cattolici proseguirono implacabili nella loro strategia che consisteva nell’isolare Granada mediante l’occupazione dei capisaldi avversari. Nel maggio 1485 Ronda venne occupata e l’anno seguente stessa sorte toccò ai centri di Alora, Cartama, Coin e Marbella, che divenne la base operativa della flotta castigliana. Nel 1487 Ferdinando e Isabella decisero di liberare Boabdil, il quale pur di riconquistare il trono perduto accettò di giurare vassallaggio perpetuo ai sovrani cristiani. La guerra civile granadina riprese, questa volta tra zio e nipote. Ferdinando intanto passò nuovamente all’offensiva conquistando Loja e Velez-Malaga. A questo punto, circondata Malaga da terra e dal mare, ebbe inizio l’assedio al principio di maggio del 1487 e si concluse nell’agosto successivo, quando la città, bombardata lungamente dall’artiglieria castigliana, decise di arrendersi. Furioso per la resistenza degli abitanti Ferdinando II ordinò che fossero tutti venduti come schiavi, a parte i rinnegati cristiani e gli ebrei, che furono invece passati per le armi.
Con l’arrivo dell’inverno Ferdinando si ritirò a Cordoba mentre ad Al-Zaghal rimasero soltanto Guadez, Baza e Almeria. Quest’ultima fu assediata dai cristiani a partire da giugno 1488 ma il pronto intervento di al-Zaghal impedì ai cristiani di impossessarsene. L’anno seguente dunque Ferdinando si concentrò sull’attacco contro Baza, assediata da giugno 1489 sino alla sua capitolazione nel dicembre dello stesso anno. La resa di Baza portò rapidamente alla resa di Almería e Guadix. Al-Zaghal fece atto di sottomissione e vassallaggio ai Re Cattolici ma poco dopo, nel 1491 vendette i suoi possedimenti iberici ritirandosi presso la corte del sultano di Fez, il quale, con ogni probabilità su suggerimento di Boabdil, lo fece imprigionare e accecare.

Con la caduta dei principali centri del sultanato e con Al-Zaghal definitivamente fuori gioco Granada era rimasta sola. Ferdinando diede inizio al blocco nella primavera del 1490 ordinando di fare terra bruciata intorno alla città distruggendo villaggi, tagliando vigne e alberi da frutto e rastrellando tutto il grano maturo per affamare il nemico. Al termine della consueta pausa invernale, l’esercito cristiano si presentò davanti alle mura di Granada alla fine di aprile del 1491: l’assedio della capitale nasride poteva così avere inizio. Nel luglio di quell’anno tuttavia a causa di un incidente l’accampamento degli assedianti andò in fumo a causa di un incendio. Per dare ricovero ai suoi 10 mila cavalieri e 80 mila fanti, oltre che alle migliaia di bestie da soma a servizio delle truppe, Ferdinando d’Aragona ordinò la costruzione di una vera e propria cittadina in muratura, battezzata Santa Fe, a testimonianza della ferma volontà del Re di proseguire l’assedio anche nella cattiva stagione. La presenza al campo della regina Isabella fu di ispirazione ai soldati tanto che i lavori vennero ultimati con eccezionale rapidità già in settembre.

Boabdil si rese conto che le possibilità di resistere a lungo per la città erano assai scarse: a Granada i viveri scarseggiavano e la situazione era peggiorata dall’afflusso in città di migliaia di profughi fuggiti di fronte all’avanzata cristiana. Inoltre il sultano temeva una possibile rivolta della popolazione o un colpo di stato da parte dei fautori della resistenza ad oltranza. Già in ottobre quindi scelse di intavolare trattative segrete tramite il proprio visir. Il 25 novembre 1491 si giunse ad un accordo: Muhammad XII avrebbe consegnato Granada, unitamente alle artiglierie e alle fortezze ancora nelle sue mani a Ferdinando e Isabella, i quali si impegnavano a rispettare i diritti della popolazione musulmana, che sarebbe stata libera di trasferirsi in Africa o di restare continuando a osservare la propria fede e i propri costumi e mantenendo le sue proprietà.

La resa della città tuttavia avvenne prima del previsto già il 2 gennaio 1492: spaventato dai tumulti scoppiati non appena l’accordo era stato reso pubblico Boabdil preferì consegnare Granada ai Re Cattolici, i quali entrarono in città in pompa magna mentre veniva risuonavano le note del Te Deum. Dal canto suo Boabdil scelse di riparare in Marocco sotto la protezione della dinastia merinide. La leggenda narra che quando il corteo regale partì per l’esilio, esso raggiunse uno sperone emergente dal quale si vedeva il panorama della città di Granada. Muhammad XII trattenne la sua cavalcatura e rivolgendo l’ultimo sguardo all’Alhambra scoppiò in pianto. La madre che lo accompagnava allora gli rivolse queste parole “Non piangere come una donna ciò che non hai saputo difendere come un uomo”. Per Ferdinando e Isabella invece la conquista di Granada rappresentò l’inizio di un’epopea che avrebbe portato la Spagna, finalmente unita, grazie alle scoperte americane e alla sua felice posizione geografica tra Atlantico e Mediterraneo, a conseguire un ruolo di primo piano sul panorama internazionale, emergendo come il primo grande impero dell’Età Moderna.
Bibliografia:
- A. Vanoli, La Reconquista
- A. Frediani, Le grandi battaglie del Medioevo