San Petronio, la meraviglia incompiuta

Spesso, quando ci reca in una città, uno dei primi edifici ad essere visitati è la cattedrale, la chiesa più importante. Lo si fa anche perché questo luogo viene percepito come il cuore geografico della città. Questo vale in modo particolare per una città italiana. Sopratutto nel centro-nord del nostro Paese infatti, con la nascita dei Comuni le cattedrali assunsero un ruolo civico, sia per la loro identità sia come vero e proprio spazio di comunità. Anche per questo motivo le autorità comunali si interessarono del loro ampliamento, rinnovo o decorazione, pur non essendo queste preoccupazioni strettamente di loro competenza.

Fortunino Matania (Italian, 1881-1963)      The Building of a Gothic Cathedral
Ricostruzione del cantiere di una chiesa cattedrale. L’edificazione di tali edifici comportava la mobilitazione dell’intera comunità cittadina.

Un’attenzione che aveva la funzione di esaltazione della comunità nel momento della sua acme o, viceversa, quella di essere un segno evidente della voce della città quando essa era insidiata da nuovi poteri, come le signorie. Ne sono emblema le cattedrali di Siena e Firenze, così come quella di Milano e Como, dove addirittura l’edificio andò ad occupare parte dello spazio requisito in precedenza dal nuovo governo visconteo.

Questo aspetto tuttavia non è sempre vero. Altrettanto spesso, in Italia quanto in Europa, le comunità decisero di non mettere al centro la cattedrale. Tale atteggiamento fu dettato comunemente dalla volontà di segnare un divario tra sé e il potere vescovile che, pur avendo in origine aiutato nella gestazione delle loro strutture, era percepito come un vicino scomodo e ingombrante. In molti casi quindi tali comunità decisero di edificare un nuovo luogo sacro, in stretto rapporto con gli altri edifici civili, dove la comunità potesse ritrovarsi e nel quale questa potesse mostrare se stessa anche in concorrenza con il potere religioso. Queste nuove realizzazioni ebbero esiti e forme diverse, dettati anche dalle mutazioni che le comunità si trovarono a sviluppare nella loro lunga storia. Esempi ve ne possono essere tanti, dalla Marienkirche della città anseatica di Lubecca alla stessa Basilica di San Marco a Venezia, cappella del governo della Serenissima fino alla sua caduta ad opera di Napoleone. Vi è però un caso altrettanto emblematico, tanto forte da confondere i turisti di oggi che vanno a visitarla, scambiandola proprio con la sede vescovile, che pur si trova a pochi metri di distanza. Una confusione dovuta dalla sua posizione rispetto alla struttura della città, sia alle sue dimensioni, che la fanno troneggiare sullo skyline. L’edificio in questione è la grande Basilica di San Petronio, affacciata su Piazza Maggiore a Bologna.

Il grandioso edificio, tanto imponente da essere tra le chiese più grandi e con le volte più alte d’Italia e d’Europa, è pienamente inserito nel contesto nel quale è nato, la Piazza Pubblica di Bologna, e nella cui lenta progettazione è pienamente incastonato.

DSC01285-01-01.jpg
Piazza Maggiore, cuore della vita politica della Bologna medievale.

La sua esistenza è intrinsecamente connessa con la piazza e con gli edifici che la compongono, simboli in modi diversi della communitas di Bologna e della percezione che la stessa aveva di sé. Piazza Maggiore, infatti, era nata all’inizio del ’200 dalla volontà della città e delle sue istituzioni di creare uno spazio aperto, luogo di incontro e dialogo per la ricca e progredita comunità bolognese, cresciuta demograficamente ed economicamente nel periodo precedente, tanto da portare alla costruzione di una nuova cinta muraria. L’importanza della piazza nasceva anche dalla mancanza di altri luoghi aperti all’interno delle mura, se non piccoli o medi slarghi. La decisione fu quindi di requisire gli edifici, tra cui chiese e botteghe, di un intero isolato antico e di demolirlo, mantenendo però su ogni lato le antiche strade del reticolato. Il valore politico del luogo, oltre a quello sociale, dove potessero avvenire le assemblee cittadine aperte a tutta la comunità, è ben messo in evidenza dalle dimensioni stesse della piazza, nella quale possono stare circa 50.000 persone, ossia il corpo civico che viveva all’epoca all’interno della nuova cerchia delle mura.

Enzo di Hohenstaufen, figlio di Federico II, catturato dai bolognesi a Fossalta sul Panaro nel 1249.

L’espressione dell’importanza e del ruolo che il Comune sentiva di avere e di voler rappresentare a sé e fuori di sé si allargò poi agli edifici di governo e a quelli delle corporazioni, che al governo comunale facevano riferimento. Nacque innanzitutto il palazzo del Comune, oggi noto come quello del Podestà, sede delle magistrature cittadine, e di cui oggi rimane ancora la torre civica dell’Arengo. Lo sviluppo cittadino portò però ad un rapido evolvere del tessuto urbano, con la costruzione intorno al 1240 di un nuovo palazzo, alle spalle del primo e affacciato sull’odierna piazza del Nettuno. Un edificio che oggi porta il nome di Re Enzo, in quanto prigione e residenza di Enzo di Svevia, re di Sardegna e figlio di Federico II, catturato dai bolognesi guelfi nella battaglia di Fossalta nel 1249 e rimasto a Bologna “ospite” in questo palazzo fino alla morte nel 1272.  Il palazzo odierno si deve però in parte ad una fase successiva, simbolica però delle trasformazioni politiche della città, ma anche della continuità nell’orgoglio costruttivo della comunità. Esso infatti nacque nella seconda metà del ‘400 con l’idea di unificare i due palazzi civici in un unico edificio. Tale progetto, sviluppato in forme monumentali e rinascimentali dall’architetto Aristotele Fioravanti, che lo disegnò ma che non ne seguì la parziale costruzione, nacque dalla forte volontà di Giovanni II Bentivoglio, nobile bolognese e, in quel momento, signore di fatto della città.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è 640px-PalazzoReEnzo.JPG
Il Palazzo del Podestà di Bologna (costruito nel 1201) sorge in Piazza Maggiore, dalla parte opposta rispetto alla Basilica di San Petronio.

Con la fine del secolo il Comune ampliò le sue proprietà edilizie acquistando una serie di case sul fronte orientale della piazza. Su quel lato fu costruito un nuovo palazzo pubblico, detto delle Biade, in quanto sede dei magazzini pubblici di riserva delle granaglie. Il nuovo edificio nasceva inglobando diverse case private precedenti e una torre, oggi dell’orologio, originariamente parte del palazzo degli Albertazzi, famiglia bolognese ghibellina esiliata dalla città. Il nuovo palazzo divenne poi noto come Palazzo d’Accursio, in quanto alcune delle case originarie erano proprietà di Accursio, importante ed eminente giurista e glossatore, attivo come docente nell’Università cittadina. Il palazzo delle Biade divenne presto il luogo più importante della piazza, da quando, intorno agli anni ’60 del XIV secolo, il governo decise di trasferirvisi, considerandolo più comodo e moderno, portando così a diversi suoi ampliamenti, sia in età ancora comunale sia durante il governo diretto della Santa Sede, quando fu alloggio per i cardinali legati.

La spinta edilizia duecentesca si estese anche al periodo successivo, con ricadute anche durature. Accanto ai palazzi del potere, si decise di realizzare anche altri edifici, ossia le sedi di alcune corporazioni. Nacquero infatti due palazzi sul fronte meridionale, inizialmente distinti e poi riuniti con un voltone in un unico edificio.

Il Palazzo dei Notai, costruito tra il 1384 e il 1422  su progetto di Antonio di Vincenzo.

Essi, nati anch’essi su case private, alcune delle quali di Accursio, divennero la sede della potente corporazione dei notai, fondamentale per la redazione dei documenti ufficiali e commerciali, al di sotto della quale si trovava quella dei cambiavalute, altrettanto ricca per il ruolo centrale nella florida economia cittadina. Alla realizzazione di tali costruzioni lavorarono importanti architetti locali, quali Antonio di Vincenzo e Fieravante Fioravanti, la cui diversa mano si nota nel diverso decoro delle finestre. Un interesse, quello per le costruzioni del potere economico cittadino, che verrà ripreso poi, con il supporto della Santa Sede, nella quinta lapidea che, al pari di Palladio a Vicenza, il Vignola realizzerà negli anni ’60 del XVI secolo per unificare in un unico edificio le case dei Banchi, sul lato orientale della piazza.

Proprio alla fase del palazzo dei Notai si deve l’edificio più imponente della piazza, vero simbolo di ciò che Bologna voleva rappresentare di se stessa. Un progetto che, nella sua grandezza, voleva avere un doppio significato. Da una parte indicare la ricchezza e l’importanza che la città si era costruita, sia attraverso la canalizzazione delle acque e lo sviluppo dell’industria, specialmente di quella serica, oltre che tramite lo stimolo internazionale dell’Università, dall’altra dare un segno della sua emancipazione verso le nuove signorie esterne ma soprattutto verso il potere che della città si considerava ed era l’autorità eminente, ossia il potere pontificio.

San Petronio
San Petronio, vescovo di Bologna nel V secolo e patrono cittadino.

Tali obiettivi diedero quindi origine al grande cantiere di San Petronio, un progetto che riuscì a stare alla pari di quelli delle cattedrali a lui contemporanei, sia per dimensioni sia per durata. Un primo segnale identitario fu innanzitutto proprio la scelta del patrono. Tra i santi locali tale ruolo fu assunto da Petronio, vescovo di Bologna nel corso del V secolo. Tale scelta non era però casuale. Il santo vescovo era rimasto una figura di rilevanza limitata per molto tempo, al pari di molte altre figure della curia vescovile, accresciuta nel corso del tempo da un insieme di vicende di carattere leggendario. Fu proprio sulla spinta delle nuove istituzioni comunali che nel 1100 le reliquie di Petronio furono rinvenute all’interno del grande complesso gerosolimitano di Santo Stefano, portando in seguito alla scrittura di una Vita del santo in volgare. Tale scelta si doveva al riconoscimento di Petronio come figura strettamente legata alla città, per la quale, dopo essere stato mandato da Teodosio II a Roma ed essere stato nominato vescovo dal papa, si era prodigato sia favorendo lo sviluppo spirituale del popolo sia impegnandosi politicamente, intervenendo in programmi edilizi e favorendo gli interessi della comunità nel difficile frangente del Tardo Impero Romano. La nuova titolazione aveva quindi un forte significato politico, sottolineato dalla sostituzione del santo alla guida della città a San Pietro, titolare della cattedrale e diretto riferimento al ruolo papale in città. Un legame manifestato nella basilica anche dalle quattro croci che, originariamente poste proprio da Petronio alle quattro porte romane della città, furono raccolte poi nella chiesa, in corrispondenza dei punti cardinali originali.

Il progetto della nuova chiesa civica nacque in realtà già all’inizio del ‘300, in linea con il cantiere fiorentino, ma le difficoltà economiche e politiche, dettate dal ruolo preminente degli ultimi papi teocratici e poi per la presenza di legati papali, come Bertrando del Poggetto, impedirono che se ne desse esecuzione.

Bologna Italy San Petronio from Asinelli.jpg
L’imponente struttura della Basilica di San Petronio inquadrata dall’alto della Torre degli Asinelli.

Il cantiere ebbe inizio invece alla fine del secolo, aiutato sia dalla ripresa economica successiva alla crisi di metà secolo sia alla nuova posizione in cui si venivano a trovare i papi, prima ad Avignone e poi impelagati nello Scisma d’Occidente, costretti a costituire dei capitolati con i diversi poteri locali per tenere unito lo Stato Pontificio. In questo quadro le autorità del Comune di Bologna decisero, alla fine del 1388, di dare avvio al cantiere, elaborando gli statuti della Fabbriceria e le dinamiche di finanziamento. La posa della prima pietra si pone invece all’inizio del 1390, sotto la direzione di un architetto locale, ma già famoso e apprezzato, Antonio di Vincenzo. Le due date sono, in tal senso, interessanti, perché pongono San Petronio sulla scia dell’autunno delle cattedrali che caratterizzava il Tardo Medioevo italiano ed europeo, in linea con le grandi cattedrali di Milano e Como, iniziate pochi anni prima.

L’autore, come si è detto, del progetto era Antonio di Vincenzo, un architetto molto apprezzato nell’Italia del tempo, forse figlio d’arte.  Una grande personalità formatasi nei grandi cantieri della sua epoca, in particolare in quello della Certosa che il duca di Milano Gian Galeazzo Visconti stava facendo costruire alle porte di Pavia. Nella stessa Bologna egli aveva già realizzato grandi progetti di risonanza pubblica, come il palazzo dei Notai e la Loggia dei Mercanti, luogo di ritrovo per la potente corporazione. La sua importanza continuerà anche durante il cantiere petroniano, quando verrà chiamato a progettare e realizzare il campanile del grande convento di San Francesco.

Interior de San Petronio, Bolonia, Italia, 2019 01.jpg
La navata centrale della Basilica.

Il progetto da lui ideato era monumentale, anche se i disegni e il modello ligneo costruito e conservato nel cortile di Palazzo Pepoli andarono distrutti già nella prima metà del ‘400. L’architetto progetto infatti una chiesa basata sul modello ad quadratum, molto in voga a Milano e a Pavia, che ipotizzava un edificio proporzionato basato su due quadrati affiancati. La navata principale e le due navate laterali sarebbero state di 10 campate, le ultime 3 destinate all’altare, coperto a tiburio, al coro e al deambulatorio con cappelle radiali. Ad incrociarla sarebbe stato costruito il transetto, di 7 campate per lato. Ogni campata, sia sul transetto sia sulle navate laterali, si sarebbe aperta su due cappelle laterali. Esse sarebbero state concesse, ancora in linea con il legame con la città, alle famiglie eminenti di Bologna e alle principali corporazioni e uffici del Comune. Le cappelle angolari, aperte su entrambi i bracci, avrebbero sorretto quattro campanili, uno per angolo. A coprire questa struttura maestosa, lunga circa 190 metri, ci sarebbero state delle alte volte, che oggi si ipotizza basarsi sul modulo ad triangulum, ossia di altezza pari a quella di un triangolo equilatero con base pari alla larghezza della facciata, portando quindi a coperture a oltre 50 metri, che sarebbero state ancora oggi le più alte del mondo.

La prima fase procedette abbastanza celermente, con la costruzione delle prime due campate e le otto cappelle corrispondenti. Antonio di Vincenzo ideò una chiesa in stile gotico, interpretato però in chiave italiana. Diversamente dal modello milanese, debitore dei suoi modelli renani e transalpini, San Petronio sviluppa un modello regolare e non a sviluppo verticale, con un interno sobrio e asciutto, caratterizzato da pilastri polistili in cotto con capitelli in pietra, che si trasformano in lesene al livello superiore. L’uso del mattone, oltre che nei pilastri, borda anche le piccole finestre circolari oltre che le ghiere degli archi e i costoloni delle volte laterali. La scelta di queste due cromie assume qui un doppio significato.

Le volte della navata centrale e delle navatelle. Anche qui si nota quella bicromia bianco-rossa che richiama i colori araldici di Bologna.

Da una parte rispondere alla penuria di pietra che caratterizzava la città, che la costringeva ad importarla da varie aree, in particolare da Verona attraverso i fiumi Adige e Reno. Dall’altra però testimoniare ancora il legame con la città, richiamando i colori araldici del Comune. Un elemento, questo, che caratterizza altri aspetti del cantiere. In questa prima fase in particolare fu realizzato, utilizzando la bicromia bianca e rossa (marmo di Verona), lo zoccolo della facciata, rappresentante in tondi i santi patroni, realizzati dalla bottega veneziana di Jacobello e Pierpaolo Delle Masegne, maestri del tardogotico lagunare. Tale bicromia verrà mantenuta anche in seguito nel prosieguo della facciata, seppur con cromie meno accese.Il legame con la comunità di Bologna era però già evidente nel progetto, poiché lo spazio ideato sarebbe stato capace di contenere, al pari della piazza, i cittadini della cinta muraria duecentesca, se non quelli della nuova cerchia disegnata alla fine dello stesso secolo. La Basilica sarebbe quindi diventata una gigantesca loggia coperta adatta sia alla preghiera, ma soprattutto alla vita sociale e assembleare di Bologna.

Il peso politico e il suo significato furono quindi ben chiari fin da principio, non solo alla comunità felsinea. Questo aspetto fu ben evidente al momento del primo rallentamento del cantiere, nel primo decennio del XV secolo. Se il progetto fu inizialmente rallentato dalla morte del suo autore e dalla dispersione dei suoi progetti e disegni, un’ulteriore difficoltà venne proprio dall’intervento dell’autorità pontificia, che di Bologna si sentiva signora. In particolare nel 1403 Baldassarre Cossa, futuro antipapa Giovanni XXIII e allora legato papale a Bologna, decise di opporsi al cantiere vendendo le pietre, il legname e tutto il materiale edile atto alla continuazione dell’edificazione della chiesa già acquisiti dalla Fabbrica. Tale atto fu considerato tanto riprovevole da essere inserito tra i capi d’accusa al processo che portò alla deposizione di Papa Giovanni nel 1415.

Bologna Basilica di San Petronio-DSCF7154.JPG
L’altare maggiore e il ciborio del Vignola.

Questa prima fase complicata rallentò molto il cantiere, che riuscì però a riprendersi. Alle prime parti realizzate, concluse però sulla navata centrale da capriate a vista, si susseguirono con la costruzione di altre 3 campate e relative cappelle entro il 1469, quando l’altare e il coro sono già collocati tra la quarta e la quinta della navata centrale ed il pavimento in fase di posa. Importanti in questo lungo periodo fu invece lo sviluppo della facciata, soprattutto attraverso l’opera di un grande scultore senese del primo Rinascimento, Jacopo della Quercia. L’artista toscano era all’epoca già noto per diversi capolavori, come il sepolcro di Ilaria del Carretto a Lucca ed altri a Siena, tra cui alcuni rilievi nel Battistero e la realizzazione della Fonte Gaia all’interno di Piazza del Campo. Egli rappresentava alla sua epoca uno degli artisti cinghia di trasmissione tra tardo gotico e primo Rinascimento, al pari di Ghiberti o Michelozzo, portandosi però con l’avanzare della carriera a comprendere ed attuare più a fondo il nuovo stile nato a Firenze. Giunto a Bologna nel 1425 con la commissione di realizzare il portale maggiore della basilica, vi rimase fino alla morte nel 1438. L’artista ideò un portale monumentale. Nella strombatura dell’ingresso pensò ad una serie di storie dalla Genesi, legate in particolare alle scene della Creazione, accompagnate sull’architrave da scene cristologiche, tutte legate all’infanzia di Gesù, e da serie di profeti nella strombatura dell’arco. Centro del programma della porta, detta Magna, sono le statue nel timpano. In esso si trovano al centro la figura della Vergine, accompagnata da un lato San Petronio, dall’altra la figura di Sant’Ambrogio.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è Lorenzo_Costa_-_Madonna_and_Saints_-_WGA05422.jpg
L’altare della Madonna in trono di Leonardo Costa, 1492

La presenza del santo milanese, che può sembrare strana, è legata al profondo contatto di Ambrogio con la città di Bologna. Il santo, arcivescovo di cui la diocesi era suffraganea, era stato un grande esempio di azione per Petronio ed era stato responsabile dell’edificazione di alcune chiese, come quella di Santo Stefano. Proprio il ciclo bolognese, concluso da aiuti dopo la sua morte, mostra una sempre maggiore attenzione all’antico e alla monumentalità, molto apprezzata dai posteri. Attento a quest’opera fu soprattutto il giovane Michelangelo, a Bologna alla fine del secolo per completare l’Arca di San Domenico. L’artista, oltre a considerare la Madonna una delle più belle del Rinascimento, prese a modello alcuni rilievi della Creazione, riproposti poi in modo molto fedele sulla volta della Sistina.

L’inizio del nuovo secolo e il suo svilupparsi ebbero quindi grande risonanza per la Basilica, soprattutto perché la videro protagonista della Grande Storia italiana ed europea. Nel primo Cinquecento fu infatti ancora la facciata la protagonista. Significativo fu in particolare proprio l’intervento di Michelangelo, in città per riconciliarsi con papa Giulio II, che l’aveva strappata ai Bentivoglio nel 1508. In tale occasione, riconoscendo il valore profondo per Bologna della sua chiesa e volendo con questo rilevare il cambio di regime e il nuovo controllo papale, il pontefice Della Rovere chiese all’artista toscano di realizzare una grande statua del papa seduto in bronzo, con una gestualità ambigua, tra il benedicente e il minacciante la comunità.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è 800px-Bologna%2C_Basilica_di_San_Petronio_03.jpg
La Porta Magna di San Petronio, capolavoro dello scultore senese Jacopo della Quercia realizzato nel 1425.

Tale capolavoro fu poi collocato in un grande nicchione, oggi murato, al di sopra della Porta Magna. Questo sigillo del potere romano, ripreso nelle forme e nel significato alla fine del secolo da Gregorio XIII per la sua statua bronzea sopra l’ingresso del Comune, visse però solo quattro anni. Alla fine del 1511 i Bentivoglio, rientrati in città con l’appoggio francese, fecero abbattere la statua dal suo posto e vendettero i pezzi al duca di Ferrara Alfonso I, che ne rifuse una colubrina, denominato per questo motivo “Giulia”.

Il rinnovamento tipico dell’inizio del Cinquecento riavviò la fabbrica nel suo complesso, anche in forme che possono sembrare inconsuete per il periodo. Il cantiere venne guidato infatti da due importanti personalità. Da una parte Domenico Aimo da Varignana, scultore bolognese della scuola di Andrea Sansovino, che si occupò della continuazione della facciata, realizzando la parte superiore della copertura marmorea compiuta. Essa si caratterizza per forme ancora tardogotiche, con ampie nicchie che avrebbero dovuto ospitare statue. Tale scelta, che conserva un segno di continuità nella fabbrica, se ne discosta alternandone i colori. Rispetto al basamento trecentesco infatti le parti strutturali sono compiute in bianca pietra d’Istria, intervallati da specchiature in marmo rosa di Verona.

Nell’ambito della facciata, il da Varignana si occupò anche della costruzione dei portali laterali, collaborando con un’altra figura cardine, quella di Arduino degli Ardiguzzi. L’Ardiguzzi assunse presto la direzione dell’intero cantiere, spingendo per la sua continuazione strutturale, specie per la realizzazione del corpo liturgico meridionale.

The Basilica of San Petronio is a minor basilica and church of the Archdiocese of Bologna located in Bologna | Construction began in 1390 and its main facade has remained unfinished since. The building was transferred from the city to the diocese in 1929; the basilica was finally consecrated in 1954
La facciata incompiuta della Basilica di San Petronio.

Spinto forse dalla nuova idea di sé che la città voleva mostrare, il nuovo progetto, ancora conservato, ingigantiva ulteriormente le già consistenti dimensioni dell’edificio, che avrebbe raggiunto i 224 metri di lunghezza e i 150 nel transetto. Rispetto al progetto di Antonio di Vincenzo i campanili sarebbero stati spostati ai lati delle facciate del transetto e la campata di congiunzione tra i due bracci sarebbe stata coperta da una cupola su pilastri, per la cui realizzazione l’architetto fu mandato a studiare il precedente brunelleschiano a Firenze. Del progetto ciclopico restano realizzate solo una campata sulla navata e alcuni settori cui si sarebbe agganciato il transetto. Più fortuna ebbero i portali che trovarono la loro realizzazione nel primo trentennio del secolo, attraverso l’apporto di grandi artisti del pieno Rinascimento, come Alfonso Lombardo, noto per alcuni suoi Compianti, che realizzò la Resurrezione nel timpano sinistro, e Amico Aspertini, pittore di scuola bolognese, che realizzò, insieme al Tribolo e ad altri, la Deposizione in quello destro. Il resto della facciata rimase incompiuta, seppur per tutto il resto del secolo e oltre diversi architetti, locali e internazionali, avessero proposto progetti di completamento, più o meno in accordo con lo stile originale o con quello del loro tempo, da Baldassarre Peruzzi al Vignola, da Giulio Romano a Palladio, da Gerolamo Rainaldi fino al progetto vincitore dell’ultimo concorso del 1933.

1530.Entrance of Charles V into Bologna for his Coronation.1660.Museo de Santa Cruz,Toledo, Spain. Juan de la Corte (1590-1662) Charles V, Holy Roman Emperor.
Il 24 febbraio 1530 San Petronio fece da scenario all’incoronazione di Carlo V da parte di Papa Clemente VII.

La vita del cantiere alla metà del secolo seguì più a rilento, divenendo però di nuovo protagonista della storia europea. Il 24 febbraio 1530 infatti Carlo V fu incoronato ufficialmente re d’Italia e Imperatore da papa Clemente VII all’interno della chiesa, appositamente addobbata in stile manierista. L’evento, che sarebbe dovuto avvenire a Roma, fu qui spostato a causa delle conseguenze del Sacco di tre anni prima sulla popolazione dell’Urbe. Analogamente tornò protagonista nel 1547 quando papa Paolo III, a seguito di tensioni con l’imperatore e consapevole della difficoltà di riapertura alla partecipazione protestante al Concilio, trasferì in questa chiesa alcune sessioni dell’assise tridentina, tornata alla sua sede originaria poco tempo dopo.

La seconda metà del secolo pose le basi per la conclusione del cantiere, aperto ormai da due secoli. Tale aspetto, che portò nei fatti ad una costruzione incompiuta e parziale, nacque da diversi fattori. Da una parte la Fabbriceria venne colpita da diverse difficoltà economiche, tipiche della fine di quel secolo, che non permisero più alla comunità di continuare il cantiere, soprattutto in vista della realizzazione della parte più complessa e più costosa della costruzione, ossia il presbiterio.

La Cappella Bolognini all’interno della Basilica.

Dall’altra tale decisione fu il frutto dell’intervento dell’autorità che più aveva da sempre osteggiato e poco voluto la costruzione, ossia la nuova e moderna autorità papale. Pio IV infatti, coadiuvato dal legato cittadino Carlo Borromeo e dal suo vice, Pierdonato Cesi, finanziatore della fontana del Nettuno, decise di porre un freno al cantiere sovvenzionando e costruendo il palazzo dell’Archiginnasio, a fianco di quello dei Banchi e in corrispondenza del luogo in cui doveva sorgere il transetto sinistro. Tale palazzo, nato per dare una sede unitaria all’ateneo bolognese che ne era privo e che ne permetteva un maggior controllo, andò quindi ad ostruire lo spazio di cantiere, portando infine a murare la parte già realizzata, come visibile su quel lato dalla finestra spezzata ad angolo. Tale scelta, che si attribuisce alla volontà di non far superare alla chiesa le dimensioni della nuova San Pietro in Vaticano, nacque invece con un chiaro senso politico, ossia quello di sminuire il ruolo del Comune e riportarlo all’interno dei ranghi.

Un ulteriore intervento, che portò alla conclusione vera e propria della Fabbrica, fu la costruzione delle volte, ancora mancanti, sulla navata centrale. Dopo una lunga discussione teorica e pratica tra Francesco Morandi, detto il Terribilia, che voleva volte di una quarantina di metri, più classiche e compatte, e che ne realizzò un esempio sulla quinta campata, e Carlo Carrazzi, detto il Cremona, che voleva attenersi all’avveniristico progetto originale, papa Clemente VIII decise di chiudere il cantiere e vendere il materiale da costruzione. Il progetto per le coperture fu risolto però solo negli anni’20 del 1600, attraverso l’opera di un famoso e importante architetto barocco, Gerolamo Rainaldi, operante a palazzo Panphili e in Sant’Agnese in Agone in piazza Navona. Egli ipotizzò e realizzò un compromesso, con volte altre circa 44 metri, eliminando anche quella già realizzata dal Terribilia. L’intervento del Rainaldi fu seguito poi, tra gli anni ’50 e i primi anni ’60 con la chiusura delle navate laterali e di quella centrale, quest’ultima con un grande abside.

Lo splendido Giudizio Universale dipinto da Giovanni da Modena all’interno della Cappella Bolognini.

Questo grande edificio quindi si concluse in modo particolare, in un’età barocca capace però di parlare ancora il linguaggio gotico. Ciò che rimasero però fondamentale fu il profondo legame con il Comune e con la cittadinanza bolognese, tanto che la chiesa, retta da canonici, fu di proprietà comunale fino al 1929, anno in cui passò sotto la giurisdizione della diocesi. Un elemento di cui si risente anche all’interno dell’edificio. Oltre agli elementi già descritti, emblematici sono il grande ciborio manierista disegnato dal Vignola con storie di San Petronio, ma soprattutto il grande coro quattrocentesco. Esso aveva il compito di ospitare non tanto i canonici, quanto le cariche e le istituzioni comunali, compreso il sindaco, cui è dedicato un grande seggio ligneo. Una posizione rispettata ancora oggi, tanto che i vescovi si fecero fare nel tempo una propria seduta indipendente.

Accanto alla navata, lo scorrere del tempo permise la decorazione delle cappelle, sintomo, con la loro varietà, della ricchezza degli stili artistici che hanno coinvolto il cantiere. Tale profusione, che si rivolge ad affreschi, vetrate, sculture e pale d’altare, spazia tra la cappella tardogotica dei Re Magi, decorata tra 1408 e 1420 dagli affreschi di Giovanni da Modena, le pale rinascimentali di Lorenzo Costa, dei fratelli Francia e alla pala Griffoni, oggi dispersa, di Francesco del Cossa ed Ercole de Roberti, la cappella barocca di San Petronio, realizzata dall’architetto Alfonso Torrigiani per il cardinal Aldrovandi e per papa Benedetto XIV nel 1743 fino ad arrivare alle tombe neoclassiche di primo Ottocento di Elisa Bonaparte e della sua famiglia Baciocchi realizzati dallo scultore Lorenzo Bartolini e dal suo entourage.

Un monumento complesso quindi, la Basilica di San Petronio. Edificio con una lunga storia costruttiva, che l’ha lasciato incompiuto, ma che allo stesso tempo l’ha reso capace di assorbire influssi diversi e di non fargli perdere l’armonia che lo amalgama con il tessuto della città. Un edificio importante, simbolo della comunità che l’ha creato, e che rimane tale ancora oggi con i cittadini moderni. Un luogo che può essere il faro con cui attirare l’attenzione del pubblico su una grande città d’arte e di storia, spesso vista solo di passaggio e oscurata da realtà più blasonate.

Pubblicità

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...