Il Congresso di Vienna

LA DEFINIZIONE DELL’ASSETTO EUROPEO POST-NAPOLEONICO

La sconfitta di Napoleone, sancita dalla sua abdicazione, avvenuta il 6 aprile 1814 a Fontainebleau, sanzionò il definitivo tramonto delle aspirazioni della Francia, rivoluzionaria prima e napoleonica poi, di trasformare la propria preponderanza militare in una vera e propria egemonia politica sul Vecchio Continente che fosse riconosciuta dalle altre grandi potenze europee.

Addii di Napoleone alla Guardia imperiale nel cortile del castello di Fontainebleau, Antoine Alphonse Montfort

Ora, a queste ultime, vale a dire Austria, Gran Bretagna, Prussia e Russia, toccava il delicato compito di assicurare nuovamente la pace e la stabilità ad un’Europa devastata da vent’anni di guerre pressochè ininterrotte. Tale compito si presentava quanto mai arduo; le conquiste napoleoniche avevano infatti inciso profondamente non solo sull’assetto geopolitico del continente, con il rovesciamento di dinastie secolari e la creazione di nuovi troni assegnati ai vari membri del clan Bonaparte, ma anche dal punto di vista dei rapporti tra cittadino e stato, con l’introduzione del concetto di legittimazione popolare del potere, che inevitabilmente andava a cozzare con il tradizionale principio di legittimazione divina dell’autorità statuale.

Riunione dei delegati al Congresso di Vienna (1814-1815).

Le potenze vincitrici della Francia pensarono di ovviare a questi problemi semplicemente riportando indietro le lancette della storia al periodo precedente il 1789. La Rivoluzione francese veniva considerata come il male assoluto, essendo stata all’origine dello sconvolgimento degli equilibri europei oltre che della rottura delle gerarchie sociali tradizionali. Pertanto, dal punto di vista delle potenze vincitrici, era di importanza vitale impedire un nuovo possibile tentativo rivoluzionario, restaurando quell’Antico Regime che proprio la Rivoluzione aveva abbattuto. Nello stesso tempo, oltre a procedere alla restaurazione dei monarchi spodestati dalla tempesta napoleonica, occorreva dare forma ad un nuovo ordine internazionale basato sull’equilibrio tra le principali potenze per impedire che emergesse un nuovo candidato all’egemonia continentale come era accaduto con Bonaparte.

Il bilanciamento dei poteri stabilito a Vienna in una stampa satirica.

Allo scopo di ridisegnare la carta politica dell’Europa venne appositamente convocata una conferenza internazionale, la maggiore assise diplomatica dai tempi della Pace di Vestfalia, alla fine della Guerra dei Trent’anni (1648). Il Congresso di Vienna aprì i suoi battenti nella capitale asburgica il 1° novembre 1814. Accanto ai ministri plenipotenziari delle grandi potenze vennero invitati anche i delegati di numerosi stati minori come Spagna, Portogallo, Svezia, Hannover, Baviera, Württemberg, Sassonia, Svizzera, Stato Pontificio, Regno di Napoli e Regno di Sardegna. A sorpresa partecipò ai lavori del Congresso anche la grande sconfitta, vale a dire la Francia, rappresentata a Vienna dal camaleontico Charles Maurice de Talleyrand, ex vescovo e già ministro degli esteri di Napoleone e successivamente artefice della sua abdicazione.

L’ex Vescovo Charles Maurice de Talleyrand (1754-1838), rappresentante della Francia a Vienna.

Lo scaltro Talleyrand, divenuto Primo Ministro di Francia dopo il ritorno di Luigi XVIII, convinse austriaci, russi, prussiani e britannici della necessità di non punire la Francia con eccessive amputazioni territoriali. In caso contrario, egli argomentò, la recentemente restaurata monarchia borbonica sarebbe stata più facilmente preda di sollevazioni di matrice rivoluzionaria o bonapartista. Talleyrand non aveva poi tutti i torti, come dimostrato dalla fuga di Napoleone dall’isola d’Elba e dal suo fulmineo (per quanto effimero) ritorno al potere in quelli che saranno ricordati come i “Cento Giorni”.

La lungimiranza e la moderazione che caratterizzarono le decisioni delle potenze vincitrici di Napoleone appaiono in stridente contrasto con l’atteggiamento tenuto dagli Alleati dell’Intesa nei confronti della Germania alla Conferenza di Versailles cento anni dopo: per quanto la Storia non vada fatta con i se, non possiamo non domandarci cosa sarebbe successo se i vincitori della Grande Guerra avessero assunto un comportamento più conciliante verso la Germania. Allora forse Hitler e il nazismo non avrebbero potuto far leva sui sentimenti di rivincita del popolo tedesco e magari gli avvenimenti avrebbero preso una piega diversa. La Conferenza di Versailles del 1919, con gli errori che vi furono commessi, non fece quindi che confermare di riflesso l’equilibrio e l’abilità diplomatica dei partecipanti al Congresso di Vienna.  Pertanto a Vienna fu stabilito che la Francia sarebbe stata semplicemente ricondotta entro le frontiere del 1792. Inoltre, allo scopo di frenarne future velleità espansionistiche, ai suoi confini fu creato un “cordone sanitario” di stati cuscinetto, ossia Paesi Bassi, Svizzera, Regno di Sardegna, Württemberg e Lussemburgo.

L’Europa dopo il Congresso di Vienna

I lavori del Congresso di Vienna si concentrarono principalmente sulla ridefinizione dell’assetto territoriale di Germania e Italia. Nella prima, dopo avere sanzionato il definitivo tramonto del Sacro Romano Impero, risalente al 1806, le grandi potenze diedero vita ad una Confederazione Germanica, la cui presidenza venne assegnata all’imperatore d’Austria. La geografia politica della Germania fu fortemente semplificata con la riduzione degli stati tedeschi da 350 a 39, tra cui spiccavano i cinque regni di Prussia, Baviera, Hannover, Sassonia e Württemberg. 

L’Italia uscita dal Congresso di Vienna.

Per quanto riguarda l’Italia, a seguito delle decisioni del Congresso, essa si ritrovò divisa in otto stati posti a vario titolo sotto la sovranità o l’influenza degli Asburgo, che subentrarono alla Francia napoleonica nel controllo della Penisola. Sulle ceneri del Regno napoleonico d’Italia venne creato il Regno Lombardo-Veneto, posto sotto la diretta sovranità di Vienna e che unì i territori della vecchia Lombardia austriaca a quelli della ex Repubblica di Venezia. Nel Ducato di Modena e nel Granducato di Toscana vennero restaurati rispettivamente Francesco IV e Ferdinando III, l’uno cugino e l’altro fratello dell’imperatore Francesco II. Il Ducato di Parma venne assegnato a titolo vitalizio a Maria Luisa d’Asburgo, moglie di Napoleone con la clausola che alla sua morte Parma sarebbe tornata al legittimo titolare  Carlo Ludovico di Borbone, provvisoriamente investito del titolo di Duca di Lucca. Quando infine nel 1847 Maria Luisa morì, Carlo rientrò in possesso di Parma mentre Lucca passò al Granducato di Toscana. Infine nel Mezzogiorno Ferdinando di Borbone (zio di Francesco II d’Austria) riprese possesso del trono di Napoli che nel 1816 unì a quello di Sicilia dando vita al nuovo Regno delle Due Sicilie. In qualche modo indipendenti dal dominio austriaco restavano soltanto lo Stato Pontificio, su cui tornò a regnare Papa Pio VII, e il Regno di Sardegna e Piemonte governato da Vittorio Emanuele I di Savoia, il quale a Vienna ottenne la Liguria, appartenuta alla defunta Repubblica di Genova. Altra area geografica oggetto delle sistemazioni del Congresso fu la Polonia: qui il Ducato di Varsavia creato da Napoleone fu cancellato e i suoi territori assegnati alla Russia. I polacchi passarono quindi sotto il dominio a tratti brutale dello Zar, riconquistando la propria indipendenza soltanto nel 1918. 

Il Regno del Congresso (1815-1918), termine non ufficiale usato per definire la Polonia creato in seguito alla dissoluzione del Ducato napoleonico di Varsavia

Osservando l’Europa uscita dal Congresso di Vienna essa ci appare monarchica, con l’eccezione della repubblicana Confederazione Svizzera, oltre che in gran parte assolutista, se si esclude l’eccezione costituita dal regime monarchico-parlamentare britannico. L’assolutismo della Restaurazione tuttavia differì sotto certi aspetti dal dispotismo “illuminato” in auge nel XVIII secolo. Infatti, per quanto assoluti, i Re del Settecento avevano cercato di legittimare la propria azione di governo ricercando un certo consenso dell’opinione pubblica portando avanti un programma riformatore ispirato almeno in parte alle idee illuministe, combattendo quindi, anche duramente, le prerogative dei ceti privilegiati, a cominciare dal Clero. Ora invece, i sovrani del periodo post napoleonico, spaventati dagli sviluppi rivoluzionari, mostrarono una maggiore inclinazione ad appoggiarsi ai valori tradizionali, a cominciare da quelli religiosi. Monarchia e Chiesa si trovarono dunque solidali nella salvaguardia nel proprio potere e nel contrasto a quella Rivoluzione che aveva minacciato di spazzare via entrambe una volta per tutte. Per questi motivi nell’Età della Restaurazione si parla di una ritrovata “alleanza tra Trono e Altare”.

La fallita carica dei corazzieri francesi alla battaglia di Waterloo (18 giugno 1815) che sanzionò la definiva sconfitta di Napoleone.

Il Congresso di Vienna si chiuse con la firma dei trattati avvenuta il 9 giugno 1815, nove giorni prima della definitiva disfatta di Napoleone nella pianura belga di Waterloo. Nonostante i tentativi del redivivo Imperatore di intavolare trattative allo scopo di mantenere il trono appena riconquistato, i suoi vecchi nemici risposero coalizzandosi ancora una volta contro di lui, il “bandito corso”, che venne anzi dichiarato “nemico pubblico dell’umanità”.

Alcuni mesi dopo la sottoscrizione dei trattati che sancirono l’inizio della Restaurazione, il 26 settembre 1815 su iniziativa dello Zar Alessandro I, Austria, Russia e Prussia firmarono l’accordo che istituiva la Santa Alleanza e che impegnava i componenti a intervenire per impedire ogni tentativo di sovvertimento delle decisioni prese a Vienna.

Caricatura del tempo che raffigura la riunione della potenze della Santa Alleanza al congresso di Verona del 1822.

Non vi aderì invece la Gran Bretagna, che per bocca di Lord Castlereagh, ministro degli esteri britannico, la definì “un esempio di sublime misticismo e di insensatezza”. Nonostante ciò, poco tempo dopo, il governo conservatore di Lord Liverpool finì per sottoscrivere ugualmente una “Quadruplice Alleanza” con Austria, Russia e Prussia, ristabilendo in questo modo il tradizionale schieramento anti napoleonico. Infine, nel 1818, anche la Francia di Luigi XVIII venne ammessa nell’alleanza a riprova per suo pieno reintegro nel sistema politico e diplomatico europeo.

Il tentativo del Congresso di Vienna di riportare indietro di vent’anni le lancette della storia europea si dimostrò tuttavia anacronistico e donchisciottesco a causa della sostanziale impossibilità di cancellare le profonde trasformazioni sociali ed economiche verificatesi nell’età rivoluzionaria prima e napoleonica poi. Ciò appare evidente dalla proliferazione di società segrete nate sul modello della Massoneria e delle quali la più importante e famosa è certamente la Carboneria. Questi gruppi cospiratori, spesso animati da ex ufficiali e funzionari napoleonici messi da parte dai regimi restaurati, si proponevano come obbiettivo la concessione di una Costituzione da parte dei sovrani ma anche, come nel caso italiano, il raggiungimento dell’indipendenza nazionale.

Ritratto di patriota in carcere. Dipinto del 1830 di Vincenzo Niccolini.

Ovviamente le società segrete finirono presto nel mirino della repressione operata regimi assolutisti. La persecuzione poliziesca, unita alla mancanza dell’appoggio popolare, condannò al fallimento le iniziative insurrezionali della Carboneria e i suoi affiliati all’esilio, alla prigionia e al patibolo.

Dal punto di vista degli equilibri di potere e della stabilità complessiva del sistema internazionale. tuttavia non si può che tessere le lodi al lavoro dei delegati di Vienna. a partire dal Congresso si inaugurò la prassi di convocare periodicamente conferenze diplomatiche internazionali nelle quali poter discutere delle questioni più spinose sul tappeto che potevano quindi essere appianate pacificamente.

A partire dal 1815 l’Europa visse un periodo di pace straordinariamente lungo durato quasi quarant’anni, durante il quale non si verificarono conflitti tra le grandi potenze. Esso si interruppe nel 1853 con lo scoppio della Guerra di Crimea che vide Francia, Regno Unito e Impero Ottomano schierati contro la Russia zarista. Successivamente furono combattuti altri conflitti, per l’Unità nazionale italiana (1859-60, 1866, 1870) e tedesca (1866 e 1870-71) ma si trattò di guerre limitate nel tempo, nello spazio e nel numero degli attori coinvolti.

La guerra di Crimea (1853-1856) pose termine alla pace tra le grandi potenze quarant’anni dopo il Congresso di Vienna.

Per cento anni, sino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, nel 1914, il continente europeo fu quindi risparmiato da un conflitto generale, cioè una guerra che coinvolgesse nello stesso tempo tutte le grandi potenze. Questo fatto contribuì a rendere l’Ottocento un secolo molto più pacifico rispetto al Settecento e del Seicento, caratterizzati invece da un susseguirsi di guerre pressochè ininterrotto, rendendo possibile quello spettacolare sviluppo economico e demografico che caratterizzò il XIX secolo.

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