LA RUSSIA DALLO SCOPPIO DELLA RIVOLUZIONE BOLSCEVICA ALLA NASCITA DELL’UNIONE SOVIETICA
La rivoluzione d’ottobre è senza dubbio uno degli eventi cruciali del XX secolo. Attraverso di essa, per la prima volta nella Storia, sorgeva uno stato che nelle aspirazioni dei suoi fondatori si sarebbe ispirato direttamente ai principi enunciati dal filosofo tedesco Karl Marx nel suo “Manifesto del partito comunista” redatto a metà del XIX secolo. Di quelle giornate tumultuose di centotré anni fa conserviamo la vivida testimonianza del giornalista americano John Reed che li descrisse nel suo celebre reportage intitolato non a caso “I dieci giorni che sconvolsero il mondo”.

La Rivoluzione d’Ottobre, in realtà, ebbe i suoi prodromi nei disordini del febbraio precedente, come risultato del diffuso malcontento della popolazione verso un regime, quello zarista, giudicato retrogrado e oppressivo. La Russia era infatti rimasta la sola monarchia assoluta del continente europeo: al vertice dello stato si trovava lo Zar, il cui potere era di tipo autocratico nel senso che il sovrano non dove a rispondere del proprio operato a nessuno, non essendo presente all’interno delle istituzioni imperiali alcuna forma di parlamentarismo o di rappresentanza popolare. Solo nel 1905, a seguito di grandi manifestazioni contro il regime causati dall’andamento negativo della guerra russo-giapponese, lo Zar aveva consentito all’elezione di un’assemblea con potere legislativo, la Duma di Stato, sciolta però quasi subito dallo stesso imperatore, che la riteneva di sentimenti troppo liberali.
![[COLORIZED] Nicholas II The Last Emperor of Russia - photo by Henry Guttmann - circa 1910 - in Alexander palace - 13242000](https://i.pinimg.com/564x/a5/04/43/a504439aafb45ba043ad50cdc5b8cec8.jpg)
Anche dal punto di vista economico il Paese era affetto da gravi ritardi nel suo sviluppo: fino al 1861 in Russia rimase in vigore l’istituzione medievale della servitù della gleba, che in Occidente era ormai scomparsa da decenni, mentre lo sviluppo industriale, avviato davvero solo a partire dalla fine dell’800 e principalmente con l’apporto di capitali stranieri, non aveva fatto altro che aumentare gli squilibri sociali. In questo quadro nacque nel 1898 il partito operaio socialdemocratico russo, scissosi cinque anni dopo in due fazioni, bolscevichi (maggioritari) e menscevichi (minoritari). L’ala bolscevica criticava infatti ai compagni una eccessiva tendenza alla moderazione. Attorno ai bolscevichi si coagulò il consenso del mondo contadino e della nascente classe operaia con la costituzione dei primi soviet (consigli) dei lavoratori, espressione della democrazia diretta propugnata dal socialismo.
In questo clima di sovversione e feroce repressione che agitavano la Russia, a rendere incandescente la situazione contribuì la partecipazione dell’impero alla prima guerra mondiale. Il conflitto ebbe per l’esercito zarista un esito disastroso. Nonostante l’enorme superiorità numerica i russi furono sconfitti ripetutamente in maniera pesante dalle armate tedesche e austriache, meno numerose ma decisamente più organizzate. Di fronte alle pessime notizie provenienti dal fronte la popolarità dello zar Nicola II Romanov, già scarsa dopo la repressione sanguinosa dei moti scoppiati nel 1905, precipitò definitivamente.

Fu così che, come detto, nel febbraio 1917 scoppiarono spontaneamente scioperi e manifestazioni organizzati dai soviet degli operai delle fabbriche di Pietrogrado (come dal 1914 fu ribattezzata l’allora capitale San Pietroburgo, il cui nome fu ritenuto troppo “tedesco”). Agli operai si unirono i soldati inviati dal governo per reprimere le manifestazioni: I militari rifiutarono di sparare sulla folla.
L’ammutinamento delle truppe a Pietrogrado portò all’abdicazione dello zar Nicola, che fu tratto in arresto insieme a tutta la sua famiglia. Le redini del Paese furono assunte da un governo provvisorio guidato da un aristocratico, il principe Georgij L’vov, tra i cui obbiettivi figurava la prosecuzione della guerra al fianco degli alleati dell’Intesa e la trasformazione delle istituzioni russe in sensi democratico e parlamentare sul modello occidentale. Tale programma raccoglieva il consenso del partito cadetto (liberal-democratico) oltre che dei menscevichi e dei socialisti rivoluzionari mentre era fortemente osteggiato dai bolscevichi, i quali credevano che solo le masse lavoratrici avrebbero potuto e dovuto guidare il processo rivoluzionario.

Fu allora che fece il suo ritorno dall’esilio svizzero il capo della fazione bolscevica, Vladimir Il’ič Ul’janov , meglio noto col nome di battaglia di Lenin, rientrato grazie all’interessamento del governo tedesco che, ben consapevole della volontà del rivoluzionario russo di portare il proprio paese fuori dalla guerra, gli fornì un treno speciale per fare ritorno in patria con la speranza che la sua azione indebolisse quanti in Russia erano favorevoli a proseguire il conflitto. Lenin al suo ritorno espose il suo programma in dieci punti, le cosiddette “Tesi d’aprile” da realizzarsi dopo la presa del potere. Esse si possono riassumere in pace immediata, terra ai contadini, controllo della produzione da parte degli operai e tutto il potere ai soviet. L’insurrezione bolscevica venne però schiacciata da truppe fedeli al governo provvisorio e molti leader bolscevichi tra cui Lenin dovettero fuggire per non essere arrestati. La posizione del governo era però sempre più debole: in agosto L’vov si dimise e nuovo capo del governo divenne il suo ministro della guerra, il social rivoluzionario Aleksandr Kerenskij. Il nuovo leader lanciò una nuova offensiva militare che si risolse in un sanguinoso fallimento. Fu allora che, con gli austro tedeschi che occupavano ampi territori russi, il generale Kornilov marciò su Pietrogrado con l’intenzione di impadronirsi del potere e instaurare la dittatura militare.

Per scongiurare la minaccia rappresentata dal tentativo di golpe militare Kerenskij fece appello a tutte le forze politiche, bolscevichi compresi. Il colpo di stato fallì grazie all’intervento delle Guardie Rosse e all’azione dei ferrovieri, che sabotarono i convogli con i quali le truppe di Kornilov avrebbero dovuto raggiungere la capitale. Il fallimento del putsch di Kornilov rafforzò la posizione dei bolscevichi, i quali poterono presentarsi come gli autentici difensori della rivoluzione. Fu allora che maturò nella dirigenza bolscevica la convinzione che i tempi fossero maturi per la definitiva conquista del potere: il piano insurrezionale, preparato da Lev Trotskij, scattò all’alba del 7 novembre (25 ottobre secondo il calendario giuliano allora vigente in Russia).
In poche ore, le guardie rosse presero il controllo dei punti nevralgici di Pietrogrado per poi dare l’assalto al Palazzo d’Inverno, ex residenza dello zar e in quel momento sede del governo provvisorio. Kerenskij abbandonò in tutta fretta la capitale. Si costituì un nuovo governo rivoluzionario, il consiglio dei commissari del popolo, con Lenin come presidente.

Presi alla sprovvista, gli altri partiti, cadetti, menscevichi e socialisti rivoluzionari, preferirono non opporsi al nuovo esecutivo confidando nei risultati elettorali delle imminenti elezioni per l’assemblea costituente, svoltesi infine tra molti ritardi alla fine di novembre. I risultati furono deludenti per i bolscevichi che ottennero appena 175 deputati su 707 mentre la maggioranza andò ai socialisti rivoluzionari con oltre 400 depurati eletti. Lenin allora ordinò lo scioglimento dell’assemblea da parte delle truppe fedeli ai bolscevichi, asserendo che solo il proletariato aveva il diritto di guidare il processo rivoluzionario attraverso i propri organi di rappresentanza, i soviet. Il governo rivoluzionario doveva comunque gestire una situazione caotica e complessa, aggravata dal fatto che i bolscevichi non potevano fare affidamento tanto sulle altre forze politiche, estromesse dal potere con la violenza, quanto sugli strati sociali più elevati, di cui moltissimi esponenti abbandonarono in massa il Paese.

Per quanto riguardava la guerra i rivoluzionari russi speravano in una sollevazione generale degli eserciti e dei popoli europei contro di essa che però non si verificò. Ad ogni modo, per non venir meno alle promesse di pace fatte al popolo russo, Lenin e il suo governo avviarono negoziati con gli Imperi Centrali che a Occidente avevano occupato ampi territori dell’ex impero russo. Il 3 marzo 1918 fu firmata la pace-capestro di Brest-Litovsk. Un altro pericolo per la sopravvivenza del regime bolscevico era costituito dalle cosiddette armate bianche, comandate da ufficiali di orientamento monarchico e conservatore, le quali ricevettero aiuti cospicui da parte delle potenze occidentali che consideravano la pace di Brest-Litovsk come un tradimento della Russia ed erano spaventate da una possibile espansione del contagio rivoluzionario in Occidente.
La minaccia maggiore proveniva innanzitutto da est, in Siberia, dove l’ammiraglio zarista Aleksandr Kolciak aveva preso il controllo di vasti territori e da lì, nell’estate del 1918 le truppe di Kolciak penetrarono nei territori tra gli Urali e il Volga. Fu allora che per evitare una loro possibile liberazione da parte dei controrivoluzionari, i bolscevichi decisero di giustiziare l’ex zar Nicola II e tutta la sua famiglia, fino a quel momento prigionieri a Ekaterinenburg.

Altre minacce provenivano dal nord del Paese, dove vi era una forte presenza di truppe straniere in appoggio ai bianchi, e dal sud, in cui oltre alle truppe del generale zarista Denikin, era attivo un movimento di guerriglia contadino ostile tanto ai rossi quanto ai bianchi.
Per combattere i nemici della rivoluzione venne organizzata la nuova Armata Rossa, l’esercito rivoluzionario che fu posto sotto il comando di Trotskij. La fedeltà alle direttive del partito veniva garantita dalla figura dei commissari politici, delegati del partito presso le singole unità combattenti. Inoltre, per reprimere ogni forma di dissenso interno fu istituita una spietata polizia politica, la Ceka, incaricata della persecuzione di tutti coloro che non mostrassero apertamente di parteggiare per la rivoluzione. La guerra civile si concluse nel 1920 con la sconfitta delle ultime sacche di resistenza controrivoluzionarie in Crimea. A quel punto, sconfitti i nemici interni, il congresso dei soviet proclamò nel dicembre 1922 nascita dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (U.R.S.S.). Nasceva il primo stato della storia basato sui principi del socialismo. Uno stato che però, in nome di quegli stessi principi rivelò da subito una brutale tirannia al pari di quella zarista che l’aveva preceduta e che per decenni terrà prima la Russia e poi, dal 1945, l’intera Europa orientale, sotto la cappa di piombo dell’oppressione.