Nella Terra dei Rus’

STORIA DELLA RUS’ DI KIEV DALLE ORIGINI ALL’INVASIONE MONGOLA (1237-1242)

La storia che racconteremo oggi ci porta ai limiti orientali del continente europeo, dove andremo alla scoperta delle origini della Russia. Si tratta di un capitolo affascinante della storia del nostro continente, anche se bisogna ammettere come generalmente venga trascurato dalla storiografia nostrana.

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Mercato di schiavi e merci nell’Europa orientale altomedievale, dipinto dell’artista russo Sergej Vasil’evič Ivanov (1864-1910).

Il nostro racconto ha inizio oltre dodici secoli fa, tra VIII e IX secolo. In quell’epoca remota la regione compresa tra la Polonia e la catena dei Monti Urali era in gran parte ricoperta da foreste di latifoglie – querce, faggi, betulle e pioppi – che alle latitudini più settentrionali cedevano il posto alle conifere come pini e abeti. Questa terra selvaggia era (ed è tuttora) solcata da grandi fiumi – Dnepr, Donetsk, Don e Volga- vere e proprie arterie vitali per la comunicazione e i commerci. Qui si concentravano gli insediamenti degli antichi abitatori della regione. Si trattava di genti di ceppo slavo, parlanti l’antico idioma slavo orientale, antenato delle moderne lingue russa, ucraina e bielorussa, tuttora parlate dai popoli della regione. 

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Stele votiva slava con offerte alla divinità.

Le scoperte archeologiche hanno rivelato molte informazioni su di loro: sappiamo ad esempio che eressero villaggi e fortificazioni dotate di terrapieni e palizzate lignee. Dalle sepolture sono emerse armi e altri oggetti di vita quotidiana, inumati assieme al defunto nella convinzione che gli sarebbero stati utili nell’aldilà.

Per quanto riguarda le credenze religiose slave disponiamo di scarse informazioni. Per quanto intorno a Kiev siano stati scoperti cerchi di pietre e steli dedicate agli dei che sembrano ricondurre alla presenza di luoghi di culto definiti, nessun testo originale inerente al paganesimo o alla mitologia slava è giunto sino a noi a causa del fatto che queste popolazioni ignoravano l’uso della scrittura, che fu introdotta solo dopo la cristianizzazione. Pertanto le poche notizie in nostro possesso sono in gran parte desumibili dalle cronache e dai resoconti redatti dai missionari cristiani, testi che però risultano deformati dal disprezzo mostrato dagli autori verso le pratiche pagane.

Il pantheon slavo era affollato di numerosi spiriti, mostri e divinità, ritenute espressione delle forze della natura. Su tutti regnava Perun, dio del tuono e signore del cielo, più tardi assimilato al norreno Thor. Tra le deità che godevano di maggiore devozione vi erano poi Veles, protettore degli armenti e del bestiame domestico, Mokoš, dea madre patrona dell’agricoltura paragonabile alla greca Demetra, Stribog, dio del vento, oltre a Chors, Dažbog, Simargl, divinità legate alla fertilità.

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Mappa raffigurante gli insediamenti dei Rus’ (in rosso) e il posizionamento delle tribù slave (in grigio), durante la metà del IX secolo. I territori sotto l’influenza cazara sono quelli ricompresi all’interno della linea blu.

Spostandoci verso meridione, nei territori tra Kiev e il Mar Nero, in quella che è l’Ucraina, davanti ai nostri occhi si sarebbe presentata una grande prateria, punteggiata da pochi alberi e nutrita dalla fertile “terra nera”. Tale pianura era l’estrema propaggine occidentale della sconfinata steppa eurasiatica, che si estendeva intatta sino alle remote regioni della Mongolia e della Manciuria. 

Fin dai tempi più antichi questa “autostrada erbosa” era stata solcata da popolazioni nomadi, dedite all’allevamento del bestiame oltre che alla razzia ai danni delle popolazioni sedentarie. Il motivo per cui menzioniamo queste genti sta nel fatto che i loro spostamenti e incursioni saranno una costante della storia russa, sino alla definitiva affermazione del potere zarista. 

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Ospiti d’oltremare, dipinto del 1901 opera del pittore Nikolaj Konstantinovič Roerich che raffigura navi variaghe in navigazione.

Nel periodo storico che ci interessa, intorno all’anno 750, i Cazari, una confederazione di tribù turche seminomadi, impose la propria egemonia sulla steppa eurasiatica imponendo il pagamento di un tributo agli abitanti delle terre meridionali della Rus’. Proprio verso la metà dell’VIII secolo i sovrani cazari, chiamati con il titolo turco-mongolo di Khan, si convertirono all’ebraismo favorendo la costruzione di sinagoghe e la diffusione di copie della Bibbia tra i loro sudditi. Tuttavia verso il X secolo un altro popolo di lingua turca, i Peceneghi, sostituì i Cazari nel dominio della steppa. Tuttavia cento anni dopo ai Peceneghi subentrarono nuove tribù turco-altaiche, i Qipchack, chiamati Polovcy dagli abitanti della Rus’ e noti a occidente come Comani. Proprio nello scenario della pianura russa, così variegato tanto dal punto di vista ambientale quanto da quello umano, che verso la metà dell’VIII secolo fecero la loro comparsa nuove genti, questa volta provenienti da occidente.

Rus' di Kiev 1
Mappa delle maggiori rotte commerciali e degli insediamenti vichinghi in Europa orientale.

Si trattava di mercanti norreni originari delle regioni svedesi dell’Upland, del Södermanland e dell’Östergotland e stanziati nelle valli fluviali alle spalle della moderna San Pietroburgo. Costoro erano noti agli indigeni Balto-slavi e Finni con gli appellativi di Rus’ o variaghi, entrambi dall’etimologia incerta. Il termine Rus’, che generalmente designa un uomo venuto d’oltre mare, deriverebbe con ogni probabilità dalla parola Root’si, utilizzata nelle lingue finlandese ed estone per indicare gli Svedesi, che a sua volta trarrebbe origine dal vocabolo norreno roðs (o roths), utilizzato in ambito nautico con il significato di “rematori”, in quanto remare era il principale modo di navigare i fiumi dell’Europa orientale.

La più antica testimonianza del nome Rus’, nella variante Rhos, è stata riscontrata negli Annales Bertiniani, cronaca franca redatta nel IX secolo. Il riferimento ai Rus’ risale all’839 quando citano un’ambasceria dell’imperatore bizantino Teofilo a Ludovico il Pio, giunta ad Ingelheim, alla quale si aggregarono alcuni rappresentanti di questo popolo.

Staraja Ladoga
Ricostruzione della fortezza di Staraja Ladoga, importante base variaga in terra russa.

Costoro dichiararono di appartenere a un popolo chiamato Rus’ [Rhos vocari dicebant], di essere sudditi di un chacanus, latinizzazione del turco khagan, e di provenire dalla Russia anche se, aggiunsero, la loro patria originaria era la Svezia [eos gentis esse Sueonum]. L’appellativo di variaghi (o vareghi), impiegato dai bizantini per indicare le genti norrene stanziatesi in Europa orientale, è parimenti di origine oscura. Esso dovrebbe indicare quei mercanti membri di un’organizzazione commerciale tra loro legati da accordi. La validità di questa ipotesi sarebbe suffragata dal significato del termine norreno var, ossia “voto, contratto, accordo”, da cui deriverebbero lo scandinavo varágr e il russo varjag (“commerciante”, “merciaio”).

La presenza di basi commerciali scandinave è databile all’VIII secolo nel caso di Staraja Ladoga (in norreno Aldeigjuborg) e al IX secolo per quanto riguarda Gorodišče (nota anche con il nome scandinavo di Holmgård), dalla quale, nella seconda metà del X secolo, si sarebbe sviluppata la città di Novgorod). Da questi insediamenti sono emersi oggetti di artigianato simili a quelli rinvenuti in siti svedesi coevi come Birka.

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I variaghi tentarono un primo assalto a Costantinopoli nell’860 ma la loro flotta venne distrutta dal fuoco greco dei bizantini.

Partendo dai propri avamposti, i variaghi si lanciarono alla conquista delle rotte commerciali che attraverso i grandi fiumi russi portavano ai grandi centri del mondo mediterraneo e arabo-musulmano come Costantinopoli e Baghdad. I mercanti scandinavi si specializzarono nel traffico di prodotti come pellicce e ambra e presto anche di schiavi che rivendevano in cambio d’argento come dimostrato dal ritrovamento, in Svezia, di un grande quantitativo di monete bizantine e islamiche.

I Rus’ erano gente ambiziosa: presto non si accontentarono di una semplice penetrazione di tipo commerciale ma gettarono le basi per un dominio politico sui territori russi. In ogni caso ignoriamo quando l’acquisto di pellicce si trasformò in un tributo riscosso da una zona sempre più vasta. Tuttavia una simile dinamica doveva essere già una realtà nell’860, quando i variaghi tentarono un assalto alle mura di Costantinopoli, a loro nota con il nome di Miklagard, la “Grande Città” (dai termini norvegesi mikill , “grande”, e garðr , “città”).

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L’approdo di Rurik con i fratelli Sineus e Truvor al Lago Ladoga, dipinto di Apollinarij Michajlovič Vasnecov

Successivamente, impossibilitati ad espandersi verso est a causa della presenza dello stato islamico della Bulgaria del Volga, estesero la loro egemonia anche a sud, nelle aree di lingua slava, dapprima a Gnëzdovo (non lontano dall’odierna Smolensk) e poi, entro il 900, a Kiev, lungo il fiume Dniepr sulla rotta fluviale per Bisanzio, con cui i Rus’ verso il X secolo avrebbero firmato redditizi accordi commerciali. Questi avvenimenti ci sono stati tramandati da un testo noto come la Cronaca degli anni passati (in russo Pověst’ vremęnnych lět), redatta agli inizi del XII secolo dal monaco e cronista Nestore di Pečerska. Leggendola si viene a sapere che i Rus’ avevano imposto tributi a diverse tribù stanziate tra il Mar Baltico e il lago Ladoga ma che in seguito esse si ribellarono al loro dominio:

«859. Anno 6367. Levarono tributo i Variaghi d’oltre mare sui Ciudi e sugli Slavi, sui Meri e sui Vesi e sui Kriviči. Mentre i Cazari lo riscuotevano dai Poliani, e dai Severiani, e dai Vjatiči riscuotevano monete d’argento e pelle di scoiattolo per ogni focolare.»

La Cronaca degli anni passati prosegue narrando che dopo avere scacciato i Rus’ le tribù non riuscirono a governarsi in maniera soddisfacente, a tal punto da arrivare a chiedere loro di tornare nuovamente a governarli. Accogliendo questo appello, nell’anno 862, un condottiero svedese chiamato Rjurik arrivò dal mare assieme ai fratelli Sineus e Truvor, stabilendo il proprio centro di potere a Novgorod mentre i fratelli si installarono rispettivamente a Belozersk e a Izborsk.

«[…] Il più anziano, Rjurik, si insediò a Novgorod; il secondo, Sineus a Belozersk; il terzo, Truvor, a Izborsk. A causa di questi variaghi, la regione di Novgorod divenne nota quale la terra dei Rus’. Gli attuali abitanti di Novgorod sono discendenti della razza variaga, ma in precedenza erano slavi.»

Nonostante la Cronaca degli anni passati attribuisca a Rjurik e ai suoi fratelli la fondazione del primo stato organizzato presso gli Slavi orientali, oggigiorno gli storici sono propensi a considerare i fatti narrati come la classica leggenda sull’istituzione del potere, analoga nelle sue linee generali a quella della fondazione di Roma da parte di Romolo e Remo ma riscontrabile anche in altre culture.

Oleg affigge il suo scudo alle porte di Costantinopoli in segno di sfida.

Dopo la morte di Rjurik, avvenuta intorno all’anno 879 in circostanze oscure, il potere passò a Oleg, il quale esercitò la reggenza in nome del figlio di Rjurik, Igor, all’epoca ancora fanciullo. Come dimostrano i nomi dei suoi primissimi esponenti, la dinastia rjurikide aveva chiare origini scandinave: Oleg deriva chiaramente dall’antico prenome norreno Helge, così come Igor da Ingvar. Tutto lascia pensare che nei territori della Rus’ gli scandinavi devono essere stati poco numerosi e che soltanto pochi membri dell’entourage dei sovrani portassero nomi scandinavi. Inoltre, dopo Igor e sua moglie Olga (dal norreno Helga), a partire dalla seconda metà del X secolo gli stessi principi assumeranno prenomi slavi, a suggello dell’ormai raggiunta integrazione tra le classi dirigenti, di origine norrena, e l’elemento indigeno est-europeo.

Ma torniamo a Oleg. A lui si attribuisce la conquista di Kiev, risalente all’anno 882. Egli dichiarò la città “madre di tutte le città della Rus'”, segnando convenzionalmente la nascita dello stato della Rus’ kievana. Oleg estese i suoi domini guerreggiando con alcune tribù slave che vivevano nei pressi di Kiev, come i drevliani e i poliani. Certe tribù opposero una strenua resistenza, mentre altre vennero sottomesse e sottoposte al tributo più facilmente, o addirittura scelsero esse stesse di pagare tributi a Kiev e allearsi con essa, senza tuttavia riconoscerne la supremazia assoluta. Negli ultimi anni del suo regno Oleg organizzò un’imponente flotta di ben 2 mila navi alla testa della quale nel 907 attaccò Costantinopoli. Dopo avere costeggiato le rive del Mar Nero l’armata dei Rus’ mise a ferro e fuoco i dintorni della città. I bizantini tentarono allora di avvelenare il capo variago ma Oleg, dando prova di poteri che gli valsero il soprannome di “Profeta”, rifiutò di bere dalla coppa avvelenata.

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Oleg pianto dai suoi guerrieri, un dipinto del 1899 di Viktor Vasnetsov. Il rito di seppellimento con i tumuli funerari è tipico delle usanze sia scandinave che delle popolazioni nomadi eurasiatiche.

A quel punto il principe di Kiev guidò l’attacco alle mura limitandosi però ad appendere il proprio scudo alle porte della città in segno di sfida. Il Basileus Leone VI, impressionato dalla potenza dei Rus’, preferì pagare un ingente tributo ad Oleg perché questi si ritirasse e così avvenne. Il successo nella guerra con Bisanzio portò nel 911 alla stipulazione di un vantaggioso accordo che inaugurò le relazioni commerciali tra il giovane principato russo e l’impero bizantino.

Secondo le cronache Oleg morì nel 912 in circostanze che hanno il sapore di leggenda: un indovino infatti aveva predetto al principe che sarebbe morto a causa del suo cavallo. Oleg allora abbandonò il destriero e dimenticò il vaticinio finché anni dopo gli riferirono che il cavallo era morto. Il principe allora volle vederne lo scheletro abbandonato in un campo ma proprio allora, non appena posò il piede sul cranio dell’animale, ne uscì un serpente che lo morse, uccidendolo. La profezia si era avverata.

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Il principe Igor’ esige tributi dai drevliani nel 945, di Klavdij Lebedev.

A Oleg succedette Igor, che regnò sulla Rus’ dal 912 al 945. È proprio a partire dal X secolo che i kagani o knyaz’i di Kiev, titolo con cui sono solitamente indicati i sovrani dei Rus’, iniziano ad essere documentati con maggiore attendibilità dalle coeve cronache bizantine e franche. In quel periodo la Rus’ più che uno stato vero e proprio appare come una confederazione di gruppi tribali soggette al dominio di un principe della dinastia rjurikide che risiede a Kiev circondato da una nutrita schiera di guerrieri a lui fedeli, la družina. Le tribù erano tenute a versare un tributo al principe di Kiev, il quale occasionalmente si recava di persona a riscuoterlo.

Proprio a causa della labilità del suo dominio, Igor fu costretto a ripetute campagne militari per sottomettere le tribù slave riottose ad accettare la sua autorità. Compì inoltre ripetute scorrerie contro i Cazari e poi contro i loro successori nel controllo della steppa, i Peceneghi. Negli ultimi anni del suo regno mosse guerra anche all’impero bizantino, nel 941 e nel 943, anche se ebbe minor fortuna di Oleg. Nel 945 Igor tornò a combattere i drevliani ma in quella spedizione perse la vita in modo terribile: i ribelli massacrarono la sua družina e dopo averlo fatto prigioniero lo uccisero per squartamento.

Olga, moglie di Igor di Kiev. Fu la prima sovrana della Rus’ a farsi battezzare. E’ venerata come santa dalla Chiesa Ortodossa.

A Igor succedette la moglie Olga, la quale fino al 962 fu reggente per il figlio Svjatoslav, ancora minorenne alla morte del padre. Costei, forse a seguito di un soggiorno a Costantinopoli, si convertì al cristianesimo ma non riuscì a trasmettere la propria fede al figlio ed erede, che rimase legato agli antichi culti pagani. Svjatoslav, che regnò dieci anni tra il 962 e il 972, fu l’ultimo grande capo militare della Rus’, perennemente impegnato in campagne militari, abituato a dormire sotto le stelle usando la sella come cuscino e a nutrirsi di strisce di carne di cavallo che lui stesso tagliava e cucinava. Negli anni del regno di Svjatoslav il principato di Rus’ consolidò la propria struttura e il suo ruolo nell’Europa Orientale.

Dapprima Svjatoslav spazzò via i bulgari del Voga, arrivando a saccheggiarne la capitale Bolğar. Poi si volse contro i cazari, a cui tra il 965 e il 967 inflisse colpi durissimi impossessandosi di importanti piazzeforti tra il Caucaso e il Mar Nero. Queste campagne da un lato consentirono a Svjatoslav di unificare le tribù slave sotto il suo scettro e gli assicurarono il controllo della strategica via commerciale costituita dal fiume Volga. D’altra parte l’eccessivo indebolimento del khanato cazaro spianò la strada all’irruzione nella pianura russa di nuove popolazioni asiatiche come i Peceneghi, che giunsero a minacciare da vicino la Rus’ assediando addirittura Kiev nel 969.

L’incontro di Svjatoslav con il Basileus Giovanni Zimisce, in un dipinto di Klavdij Lebedev.

Svjatoslav avviò la sua ultima campagna nel 968 quando su invito del Basileus Niceforo II Foca mosse guerra ai bulgari giungendo a catturare lo Zar Boris II. I successi militati dei Rus’ misero sull’avviso i bizantini, che presero atto della potenza militare dei loro vicini settentrionali; attaccati nei Balcani, i Rus’ reagirono conquistando le città di Filippopoli (l’odierna Plovdiv, in Bulgaria) e minacciando Adrianopoli (l’odierna Edirne, in Turchia) e Costantinopoli. La reazione dei bizantini, comandati dal Basileus Giovanni I Zimisce, portò ad alterne vicende belliche, risolte nel 971 in favore dei bizantini che estromisero i Rus’ dai Balcani.

Svjatoslav morì poco dopo sulla via del ritorno, ucciso nel corso di un’imboscata dai peceneghi, che del suo cranio fecero una coppa. La sua morte diede avvio alla lotta fratricida tra i suoi figli Jaropolk e Vladimir. Quest’ultimo venne costretto a riparare all’estero dal fratello, il quale venne incoronato principe rimanendo al potere sino al 980 quando Vladimir, rientrato dall’esilio, sconfisse Jaropolk conquistando il potere. 

Il Battesimo di Vladimir il Santo, affresco di Viktor Vasnetsov.

Vladimir (r. 980-1015) seguì dapprincipio le orme del padre: fu un valoroso guerriero che contribuì con i suoi successi a stabilizzare e a rafforzare il potere di Kiev sulle regioni soggette: sotto di lui la Rus’ smise di essere un agglomerato di popolazioni tributarie per trasformarsi in uno stato realmente unitario. Dopo aver cercato di onorare la vecchia fede pagana facendo erigere un tempio al dio del tuono Perun, Vladimir si volse alla religione cristiana già professata dalla nonna Olga. A proposito della conversione del principe la Cronaca degli anni passati racconta che Vladimir mandò messaggeri ai popoli vicini che in passato lo avevano invitato ad abbracciare la loro fede, al fine di valutare quale fosse la religione migliore per il proprio regno. Gli inviati riferirono che la religione dei musulmani della Bulgaria del Volga vietava il consumo di alcolici, al che Vladimir declinò l’invito a farsi musulmano dichiarando “Bere è la gioia della Rus’!”. Le fonti descrivono poi l’incontro tra il principe e gli inviati ebrei (probabilmente cazari) ma Vladimir rifiutò anche la conversione al giudaismo in quanto, dopo averli interrogati, affermò che la perdita di Gerusalemme da parte degli israeliti provava che essi avevano perso il favore di Dio. Vladimir domandò allora dei cristiani. I suoi ambasciatori risposero che non c’era bellezza nelle cupe chiese occidentali ma dell’Hagia Sophia di Costantinopoli riferirono: “Noi non sapevamo se fossimo in cielo o sulla terra”.

La cattedrale di Santa Sofia, eretta a Kiev a partire dal 1037 per volere di Jaroslav I il Saggio.

Al di là di quanto Vladimir possa essere stato colpito dalle descrizioni dei suoi ambasciatori è certo che l’adesione da parte sua e del suo popolo al credo ortodosso consolidò i legami geopolitici con Bisanzio, che si saldarono ulteriormente grazie all’invio di 6 mila guerrieri, nucleo della celeberrima Guardia Variaga, in appoggio a Basilio II, impegnato a reprimere un ammutinamento dei suoi generali. La definitiva alleanza tra l’Impero bizantino e la Rus’ fu sancita nel 988 dal matrimonio tra Vladimir e la principessa Anna Porfirogenita, sorella di Basilio. Al battesimo del principe fecero seguito analoghe cerimonie collettive che coinvolsero tutto il popolo russo, officiate dai sacerdoti bizantini. Il processo di conversione alla nuova fede al di fuori della corte fu tuttavia molto lento anche se l’accettazione del credo e della simbologia del Cristianesimo da parte dell’autorità consentì alla Chiesa di mettere radici nella società russa.

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Jaroslav I il Saggio, figlio di Vladimir, Gran Principe di Kiev tra il 1016 e il 1054.

L’apogeo dello stato kievano fu raggiunto sotto il principato di Jaroslav, figlio di Vladimir, che regnò tra il 1016 e il 1054 passando alla storia con l’appellativo di “Saggio”. Il suo governo ebbe inizio dopo un periodo di torbidi che vide l’assassinio dei suoi fratelli Boris e Gleb, poi canonizzati dalla Chiesa russa, per mano del fratello maggiore Svjatopolk, rivale di Jaroslav.

Il regno di Jaroslav rappresentò il periodo di maggiore stabilità per la Rus’. Negli anni trenta dell’XI secolo il principe inflisse ai Peceneghi una sconfitta decisiva che mise in sicurezza le frontiere con la steppa per un’intera generazione. Jaroslav governò un territorio vasto oltre 1,3 milioni di km2 esteso dai Carpazi al Volga e al Mar Baltico, abitato, si stima, da quasi 5 milioni e mezzo di persone. Il prestigio e la potenza della Rus’ furono confermate dalla politica matrimoniale del sovrano: tre delle figlie di Jaroslav sposarono i re di Francia, Norvegia e Ungheria mentre una sua nipote sarebbe divenuta consorte dell’imperatore Enrico IV.

Sul piano interno Jaroslav represse con durezza le reviviscenze dei culti pagani mai del tutto abbandonati da una parte dei suoi sudditi. La sua politica di promozione del cristianesimo di espresse attraverso la fondazione di numerose chiese e monasteri.

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Il territorio della Rus’ kievana sotto Jaroslav il Saggio, quando il principato raggiunse l’apice dell’espansione territoriale.

A Kiev, ormai divenuta una città vera e propria, nel 1037 diede avvio alla costruzione della cattedrale di Santa Sofia, il cui cantiere fu affidato a maestranze bizantine appositamente convocate. Sotto il regno di Jaroslav venne inoltre compilata la Ruska Pravda (la “giustizia russa”), che possiamo considerare il primo codice di leggi della storia russa, nel quale venne introdotta una significativa innovazione rappresentata dal divieto della vendetta privata che fu sostituita con un risarcimento monetario il cui ammontare variava a seconda della condizione sociale della vittima.

La morte di Jaroslav, dopo quasi quarant’anni di governo, segnò l’inizio della decadenza della Rus’. In conformità alle consuetudini slave e in barba a quanto previsto dalla stessa Ruska Pravda, infatti, i suoi figli si spartirono il potere sul principato, considerato alla stregua di un qualsiasi bene patrimoniale. Le lotte scoppiate fra gli eredi di Jaroslav resero insicure le vie commerciali mandando in crisi l’economia mercantile della Rus’ senza contare che l’indebolimento del principato lo espose fatalmente alle incursioni dei popoli della steppa: a partire dalla metà dell’XI secolo fecero la loro comparsa i Comani una nuova stirpe di nomadi asiatici di lingua turca le cui incursioni si fecero sempre più frequenti e violente sino al punto da assalire Kiev nel 1061!

La compagine kievana parve ritrovare una certa unità e stabilità sotto la leadership di Vladimir II (r. 1113-1125), detto il Monomaco (dal greco “colui che combatte da solo”), come pure durante i regni di suo figlio Mstislav (r. 1125-1132) e suo nipote Jaropolk II (r. 1132-1139).

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Vladimir II il Monomaco mentre riposa con il suo seguito dopo una caccia, in un dipinto di Viktor Vasnecov.

Successivamente, a partire dalla seconda metà del XII secolo le tendenze centrifughe presero il sopravvento e iniziarono a emergere numerosi altri centri di potere: nelle regioni nordorientali emerse come grande potenza il principato di Vladimir-Suzdal’, il cui sovrano, Andrej Bogoljubskij, nipote di Vladimir Monomaco, giunse a saccheggiare Kiev nel 1169. Nello stesso periodo a Novgorod, prima leggendaria tappa della dinastia rjurikide, a partire dal 1136 si affermò un sistema politico peculiare in cui il principe non era un sovrano ma un condottiero eletto dalla veče, l’assemblea popolare, tra i boiari della città.

Mentre il principato si disgregava, trasformandosi di fatto in una federazione di signorie pressoché autonome, dalla seconda metà del XII secolo le incursioni dei Comani ripresero con una violenza e una frequenza tali per cui ebbe inizio un esodo della popolazione dalle zone sudorientali verso settentrione mentre l’antica via commerciale lungo il corso del Dnepr divenne talmente malsicura da essere abbandonata.

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Dopo la battaglia di Igor Svjatoslavič contro i Cumani, dipinto di Viktor Vasnecov.

Le ripetute sconfitte delle forze Rus’ contro i Comani vennero immortalate in una delle opere più famose della letteratura russa delle origini, il Canto della schiera di Igor (in russo Slovo o polku Igor’eve), risalente al 1185. A peggiorare la situazione contribuì la conquista crociata di Costantinopoli nel 1204 che danneggiò fortemente i mercanti russi in quanto da quel momento gran parte del traffico commerciale che transitava attraverso la ex capitale bizantina iniziò a prendere la via dell’Italia.

Fu allora che, a partire dagli anni venti del XIII secolo, una minaccia mortale si materializzò da oriente, la più devastante che il popolo russo avrebbe subito fino all’invasione hitleriana del 1941: dalle steppe apparve improvvisamente un nuovo popolo, nomade, selvaggio e pagano, i Mongoli, che riuniti sotto un’unica bandiera da Gengis Khan avevano conquistato l’Asia intera, costruendo un impero esteso dalla Cina alle rive del fiume Don. Il tentativo della coalizione russo-comana di arrestare le orde provenienti da oriente fu schiantato il 31 maggio 1223 sul fiume Kalka, in una battaglia a seguito della quale circa settantamila guerrieri russi rimasero sul campo.

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Cavalleria mongola all’attacco.

La vittoria aprì ai Mongoli la strada verso il saccheggio dell’intera Russia che venne invasa e messa a sacco. Poi, improvvisamente come erano arrivati, gli invasori si ritirarono lasciandosi alle spalle una terra ridotta a un ammasso di rovine fumanti. Le orde tuttavia sarebbero tornate.

Il colpo di grazia alla Rus’ di Kiev fu inferto dai barbari asiatici nel 1237, quando una seconda ondata mongola, ancor più devastante di quella del 1223, tracimò nel Paese provocando distruzioni ancora peggiori rispetto all’invasione di quattordici anni prima. Per il popolo russo si trattò di un’autentica Apocalisse: come demoni, i mongoli dilagarono nel Paese prendendo e bruciando città come Rjazan, Mosca, Vladimir e persino la stessa Kiev. Possiamo immaginare il terrore e lo sgomento suscitati dalla furia mongola rileggendo le parole del vescovo Serapione di Vladimir, il quale, testimone della loro opera devastatrice, nel suo Sermone del 1240 descrive la disgrazia subita dai Russi, additandola come conseguenza della collera divina per i peccati commessi:

“Dio inviò allora contro di noi un popolo spietato, un popolo selvaggio, un popolo che non risparmia né la bellezza della giovinezza, né l’impotenza dei vecchi, né l’infanzia. Noi abbiamo provocato la collera del nostro Dio […]. Le sante chiese sono state distrutte, gli oggetti sacri profanati, i luoghi santi insudiciati […]. I cadaveri dei venerabili monaci gettati sulla neve in pasto agli uccelli; la terra si è abbeverata dei sangue dei nostri padri e dei nostri fratelli [che colava] come un’acqua abbondante; il coraggio dei nostri capi e principi è svanito; i nostri uomini coraggiosi pieni di terrore sono fuggiti, una moltitudine di nostri fratelli e di bambini fu trascinata in schiavitù; i nostri villaggi sono diventati campi di ortiche la nostra grandezza è svanita, la nostra bellezza è stata distrutta […]. I pagani hanno raccolto i frutti del nostro lavoro.”

Bibliografia:

  • P. Bushkovitch, Breve storia della Russia – Dalle origini a Putin
  • C. Wickham, L’eredità di Roma – Storia d’Europa dal 400 al 1000 d.C.
  • A. Marturano, Rus’ di Kiev?
  • Nestor di Pečerska, Cronaca degli anni passati

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