Il Muro di Berlino è senza dubbio uno dei simboli più iconici della cosiddetta “Guerra Fredda”. Tale barriera, costituita dapprima da semplice filo spinato e poi da un vero e proprio muro in cemento armato fino ad arrivare alla creazione di due muri paralleli separati da una terra di nessuno (la “striscia della morte”), provvisti di torrette di guardia e riflettori. Per quasi trent’anni, dal 1961 al 1989, il “Muro della vergogna”, come venne chiamato, divise i berlinesi dell”Est dai concittadini dell’Ovest.

Intere famiglie vennero forzatamente separate da quella barriera che divise inesorabilmente quartieri, isolati, linee del tram e della metropolitana e persino edifici. Per chi venne a trovarsi dalla parte opposta divenne quasi impossibile fare visita ai propri congiunti. Ma come si era arrivato a quella situazione a nostri occhi così assurda? Per rispondere a questa domanda dobbiamo tornare ai primi mesi del 1945 quando si palesò in tutta la sua portata la sconfitta della Germania nazista. Mentre Berlino bruciava e del “Reich millenario” vagheggiato da Hitler non rimanevano altro che rovine, il Paese fu diviso in settori assegnati alle quattro potenze occupanti: Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Unione Sovietica. Stessa sorte toccò alla ormai ex capitale tedesca, Berlino, a sua volta divisa in zone di occupazione. Il piano originario degli Alleati per governare la Germania come singola unità attraverso il Consiglio di controllo si ruppe nel 1946-47, a causa delle crescenti tensioni della guerra fredda tra l’Occidente e l’Unione Sovietica.
Constatata l’impossibilità di giungere ad un accordo con i sovietici, gli alleati anglo-franco-americani decisero di procedere autonomamente all’integrazione economica delle rispettive zone di occupazione, introducendo una nuova valuta, il marco tedesco, emessa da una banca centrale appositamente istituita, nel tentativo di combattere l’iperinflazione e il mercato nero che tuttora ostacolavano la ripresa dell’economia tedesca. Nel frattempo una conferenza delle tre potenze occidentali riunita a Londra autorizzò la convocazione di un’assemblea generale di delegati tedeschi allo scopo di redigere di costituzione dell’entità politica che sarebbe sorta entro i confini delle tre zone occidentali riunificate. Questi eventi verificatisi tra la primavera e l’estate del 1948 segnarono la definitiva rottura della cooperazione interalleata in Germania.

Le tre zone occidentali della Germania comprendevano il 75% della popolazione totale del Paese oltre alle regioni industriali più ricche e produttive d’Europa: la Ruhr, la Renania e la Vestfalia. La prospettiva di veder sorgere uno stato tedesco occidentale quindi impensieriva seriamente Stalin, per due motivi: da una parte questa nuova entità politica avrebbe esercitato una fortissima attrazione sui cittadini tedeschi della zona sovietica mentre dall’altra, considerando la volontà degli Stati Uniti di costituire un sistema di sicurezza in Europa, il nuovo stato tedesco-occidentale sarebbe potuto diventare l’avanguardia di una coalizione di potenze capitaliste diretta contro l’Unione Sovietica e i suoi satelliti dell’Europa orientale.
Il dittatore sovietico decise quindi di giocare la sua ultima carta nel tentativo di impedire la creazione di uno Stato tedesco dell’Ovest, facendo pressione sulla postazione più debole dell’Occidente in Germania, ossia i settori occidentali di Berlino, i cui collegamenti stradali e ferroviari passavano giocoforza dalla zona di occupazione sovietica. Il pretesto per fare scoppiare la crisi si presentò nel momento di cui fu necessario decidere quale delle due monete tedesche – il marco occidentale o quello della zona sovietica- sarebbe dovuta diventare la valuta legale nella città di Berlino. Gli occidentali acconsentirono a che la valuta sovietica potesse circolare in tutta la città (che dopotutto si trovava nella zona sovietica) ma insistettero affinché la nuova valuta fosse stampata sotto la supervisione di tutte e quattro le potenze occupanti. Quando i sovietici rifiutarono, gli alleati occidentali reagirono introducendo nei loro settori la propria valuta, destinata a farsi strada anche nel settore russo facendo scomparire la debole e svalutata moneta sovietica.

La risposta di Stalin giunse il 24 giugno 1948, quando le autorità sovietiche bloccarono gli accessi ai tre settori occidentali di Berlino, tagliandone tutti i collegamenti stradali, ferroviari e postali. Berlino Ovest si ritrovò di colpo isolata dal resto del mondo, senza elettricità, viveri né medicinali. Il comandante delle truppe d’occupazione statunitensi, generale Lucius D. Clay, propose a quel punto di inviare in città una colonna corazzata attraverso le strade che la collegavano con la Germania occidentale ma il presidente Truman, giudicando tale proposta troppo rischiosa, diede l’incarico al generale Wedemeyer, comandante dell’aviazione statunitense in Europa, di studiare la fattibilità di un ponte aereo per Berlino, che ebbe inizio già il giorno successivo, 25 giugno e che si sarebbe protratto per i successivi 462 giorni, sino al 30 settembre 1949. In totale vennero effettuati 278.228 voli, trasportando 2.326.406 tonnellate di cibo, carbone e altre forniture, dando vita al più grande trasporto umanitario della storia. All’apice dell’operazione atterravano a Berlino 1.398 aerei al giorno, trasportando 12.940 tonnellate di viveri, carbone e macchinari. Fallito il tentativo di isolare Berlino, l’URSS tolse il blocco il 12 maggio 1949. Il ponte aereo continuò comunque fino al 30 settembre, in quanto era intenzione delle potenze occidentali dotare Berlino di sufficienti scorte per far fronte all’ipotesi di un nuovo blocco alla città.
La vicenda del blocco di Berlino sancì la definitiva divisione della Germania. L’8 maggio 1949, in occasione del quarto anniversario dalla resa nazista, americani, francesi e britannici autorizzarono la promulgazione della Legge Fondamentale della Repubblica Federale Tedesca (nome ufficiale Bundesrepublik Deutschland), la cui nascita venne proclamata ufficialmente il 23 maggio successivo nella capitale provvisoria di Bonn. Sotto la leadership del cancelliere cristiano-democratico Konrad Adenauer, la Germania Ovest risorse dalle proprie ceneri diventando uno straordinario partner commerciale degli Stati Uniti e dei Paesi dell’Europa occidentale. Nella seconda metà degli Anni Cinquanta la Repubblica Federale completò il suo percorso di integrazione nel sistema politico ed economico occidentale con l’adesione al Patto Atlantico (1955) e la sottoscrizione dei Trattati istitutivi della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (1949) e della Comunità Economica Europea (1957).

Mentre gli occidentali davano il via libera alla creazione della Germania Ovest, il 19 marzo 1949 un’Assemblea Costituente appositamente convocata approvò una bozza di costituzione per lo stato tedesco che sarebbe sorto nella zona di occupazione sovietica, la Repubblica Democratica Tedesca, conosciuta anche come Germania Est o DDR (Deutsche Demokratische Republik), la cui capitale fu posta nel sobborgo berlinese di Pankow. La nuova entità politica assunse fin da subito la fisionomia di un regime di stampo sovietico con l’imposizione della pianificazione statale dal punto di vista economico e di una dittatura monopartitica sul piano politico.
Negli anni successivi alla definitiva divisione della Germania, la spettacolare crescita economica della Repubblica Federale, in netto contrasto con la stagnazione industriale e il peggioramento delle condizioni di vita dei cittadini dei Paesi del blocco comunista, rappresentarono non solo un motivo di grande imbarazzo ma anche una fonte di preoccupazione per la Germania Est a causa dello status politico di Berlino. Per il governo tedesco-orientale infatti, Berlino Ovest rappresentava un cancro che doveva essere rimosso al più presto. I cittadini di Berlino Est, liberi di muoversi nella parte occidentale della città, potevano facilmente constatare il divario tra il loro livello di vita e quello offerto dal modello capitalista occidentale. La prospettiva di salari più alti e di un più elevato standard di vita indusse numerosi tedeschi dell’Est a trasferirsi nella Germania occidentale attraverso il varco rappresentato da Berlino Ovest.

Dalla creazione dei due stati tedeschi nel 1949, oltre 2,5 milioni di persone, vale a dire un sesto della popolazione del settore sovietico, aveva lasciato la DDR. Nel 1960 erano emigrate complessivamente 200 mila persone, e le partenze non fecero che aumentare nei primi mesi del 1961, quando migliaia di tedeschi dell’Est ogni giorno si mettevano in coda davanti ai centri per rifugiati di Berlino Ovest chiedendo asilo in Occidente. A trasferirsi erano soprattutto lavoratori specializzati e professionisti, fattore che metteva in serio pericolo la sopravvivenza economica della Germania Est.
Ad una riunione del Patto di Varsavia tra il luglio e l’agosto del 1961 il leader della DDR Walter Ulbricht rinnovò al Segretario del PCUS Nikita Chruščëv la richiesta di fare qualcosa per fermare questo esodo di popolazione una volta per tutte. Poiché i rifugiati potevano lasciare Berlino soltanto per via aerea, Ulbricht propose al leader sovietico di chiudere i corridoi aerei verso la Germania Ovest ma la proposta fu respinta da Chruščëv, che temeva possibili ripercussioni negative nei rapporti con l’Occidente.

Ironia della sorte a ispirare la mossa decisiva del governo della DDR fu probabilmente il senatore americano James William Fulbright, Presidente della Commissione Esteri del Senato, il quale, il 30 luglio 1961, dichiarò nel corso di un’intervista televisiva: “Non capisco perché i tedeschi dell’Est non chiudano semplicemente il loro confine, perché penso che hanno il diritto di chiuderlo”.
Due settimane dopo,elle prime ore del 13 agosto 1961 la Volkpolizei fermò il traffico tra i settori orientale e occidentale di Berlino e iniziò a stendere una barriera di filo spinato lungo il confine. Dalla Casa Bianca non vi fu alcuna reazione, il che rivelava che, se da una parte gli Stati Uniti erano pronti a combattere qualora fosse stato negato a loro e ai loro alleati l’ingresso a Berlino, dall’altra non avrebbero rischiato una guerra per difendere l’unità territoriale della città. Tre giorni dopo, il 16 agosto, squadre di operai, mattone dopo mattone, sostituirono gli sbarramenti di filo spinato e legno con un vero e proprio muro lungo circa 43 km che bloccava ogni accesso tra Berlino Est e Berlino Ovest, ad eccezione di alcuni checkpoints attentamente sorvegliati da guardie di frontiera armate.

Soltanto il mese successivo Kennedy, come gesto simbolico di rassicurazione verso i cittadini di Berlino Ovest, nominò comandante della guarnigione cittadina il generale Lucius Clay. Questi insistette nell’affermare il diritto per il personale militare occidentale di avere libero accesso a Berlino Est e di potervi circolare liberamente. L’atteggiamento aggressivo del comandante americano produsse il primo (e fortunatamente ultimo) confronto diretto tra le truppe delle due superpotenze durante tutta la Guerra Fredda: dalle ore 17 del 27 ottobre alle 11 del 28 ottobre 1961 infatti, soldati delle unità corazzate sovietiche e americane si fronteggiarono presso il famoso “Checkpoint Charlie”. La crisi rientrò con il ritiro dei carri armati da parte dei sovietici ma il muro rimase e per 28 anni assolse il compito per il quale era stato innalzato, ossia impedire ulteriori fughe di cittadini dell’Est verso Berlino Ovest.