Siamo nel mese di settembre dell’anno 1916 e la Grande Guerra, cominciata nell’estate di due anni prima come un conflitto-lampo, era ancora ben lontana dalla sua conclusione. Proprio in questo periodo sul fronte occidentale, da ormai due mesi infuriava l’offensiva della Somme, progettata dai comandi britannici allo scopo di alleggerire l’assalto tedesco nel settore di Verdun contro gli alleati francesi.

A partire dal 24 giugno ebbe inizio un devastante bombardamento di preparazione: per una settimana piovvero sulle posizioni tedesche qualcosa come 1,6 milioni di proiettili d’artiglieria, sparati da 1.513 cannoni inglesi e 850 francesi. Sabato 1° luglio, alle 7.30 del mattino fu il turno della fanteria: migliaia di soldati sbucarono fuori dalle trincee avanzando spalla a spalla, quasi come in parata, procedendo lentamente in quanto appesantiti dai 35-40 kg di materiale che sarebbe stato necessario per consolidare le posizioni conquistate. Fu allora che i tedeschi uscirono dai loro solidi rifugi, che i numerosi, ma troppo piccoli calibri anglo-francesi, avevano lasciato quasi intatti. In breve nell’aria iniziò a risuonare il funesto gracidio delle mitragliatrici che falciarono migliaia di “Tommies” (come erano chiamati i fanti britannici). Quel primo luglio 1916 l’esercito di Sua Maestà perse in poche ore 57.450 uomini (di cui 30 mila solo nella prima ora), vale a dire il doppio di tutti caduti britannici della guerra boera del 1899-1902. E tutto questo per conquistare appena qualche centinaio di metri di terreno fangoso!

Il 15 settembre 1916, dopo settimane di sanguinosi e inutili assalti alla baionetta, invariabilmente infrantisi contro i reticolati e il fuoco delle mitragliatrici tedesche, le forze del generale Douglas Haig si prepararono ad attaccare nuovamente, nel settore compreso tra i villaggi di Flers e Courcelette. Questa volta però i Tommies avevano in serbo una bella sorpresa per i “Jerries” (soprannome dato ai nemici tedeschi), capace di resistere finalmente al loro fuoco di sbarramento e di travolgere i loro reticolati. Quest’arma, destinata a mutare per sempre il modo di fare la guerra era il carro armato cingolato. I primi carri ad essere impiegati sul campo furono 49 esemplari del modello “Mark I” versione male (ovvero “maschio” distinguibile per i suoi cannoni posti ai lati dello scafo sostituibili con due paia di mitragliatrici nella versione female, ovvero “femmina”). Con un peso di circa 28 tonnellate, essi imbarcavano un equipaggio di otto uomini ed erano dotati di due 2 cannoni QF 6 pounder da 57 mm oltre che di 2 mitragliatrici Hotchkiss da 8 mm.

Il concetto di carro armato, all’epoca un’arma ancora in fase sperimentale, era ben diverso da quello che possediamo oggi: esso sarebbe dovuto servire principalmente come un ariete per sfondare le postazioni nemiche più fortificate fornendo al contempo supporto alla fanteria in avanzata grazie ad una potenza di fuoco ineguagliabile assicurata dalle mitragliatrici e dai cannoni imbarcati. Il suo sviluppo era iniziato, sotto la spinta del Primo lord dell’Ammiragliato Winston Churchill, da parte della Royal Navy. Gli inglesi iniziarono a metter mano al progetto del carro armato nel 1915, con il prototipo Little Willie, evolutosi successivamente nel modello Mother, con sembianze identiche al Mark. Allo scopo di non destare sospetti nel nemico tedesco al progetto era stato assegnato il nome in codice Tank (che significa “Cisterna”) allo scopo di farlo passare per un normale trasferimento di cisterne d’acqua sul fronte. Proprio per questo motivo ancora oggi nei paesi di lingua anglosassone il carro armato è noto appunto come tank.

L’esordio dei tank permise ai britannici di conquistare un bosco e tre villaggi cogliendo di sorpresa i mitraglieri tedeschi, atterriti dall’impossibilità di arrestare l’avanzata dei pachidermi d’acciaio. L’impiego dei carri armati tuttavia non valse a mutare le sorti della battaglia della Somme. In effetti il Mark I ebbe un battesimo del fuoco poco felice: molti carristi rimasero feriti ancor prima di entrare in azione a causa dell’incredibile scomodità del mezzo. Inoltre, non essendo mai stato testato su un vero campo di battaglia svariati mezzi rimasero bloccati nel fango a causa della rottura dei cingoli, della trasmissione o del treno di rotolamento, rendendo l’equipaggio un facile bersaglio per i tiratori tedeschi. La corazza dei Mark I era infatti sufficientemente spessa per fermare i colpi di fucile e mitragliatrice nemiche ma essa presentava dei punti deboli costituiti dalle giunzioni della corazza.

I soldati germanici, superata la prima fase di sbigottimento, trovarono da subito diversi escamotage per contrastare questi giganti con piedi d’argilla, inizialmente tilizzando sistemi artigianali poi sostituiti da equipaggiamenti appositamente sviluppati e prodotti dall’industria bellica del Reich. Il primo, rudimentale sistema impiegato nel tentativo di fermare i carri armati fu quello di rimuovere l’ogiva da una cartuccia di fucile, aggiungendo un quantitativo ulteriore di polvere da sparo per poi reinserire il proiettile al contrario, in modo che la parte piatta della pallottola potesse colpire la debole corazza (5/6 mm di acciaio) del Mark I, causando un maggiore trasferimento di energia cinetica sul bersaglio ed aumentando la possibilità di danneggiare o, nei casi più favorevoli, di penetrare la blindatura del mezzo. Questo metodo tuttavia venne presto abbandonato, in quanto spesso danneggiava il fucile rendendolo inutilizzabile o addirittura lo faceva esplodere tra le mani dello sventurato soldato. Fu così che vennero introdotti i “proiettili K”, con nucleo in acciaio per favorire la penetrazione senza rischiare infortuni nel loro utilizzo e favorire una maggiore distanza dall’obbiettivo. Un altro esempio di soluzione artigianale fu il Geballte Ladung (granate anticarro) ovvero una Stielhandgranate (la tipica bomba a mano tedesca con il manico di legno) con legate attorno quattro o cinque cariche ricavate da altre granate dello stesso modello. In questo modo un soldato poteva creare un ordigno esplosivo in grado di disabilitare facilmente un carro e ferirne gravemente l’equipaggio.

Prima di produrre il loro primo carro armato ed in concomitanza con l’aumento della protezione balistica dei nuovi carri inglesi Mark V, i tedeschi crearono un fucile di alto calibro in grado di penetrare anche le corazze più resistenti, ovvero il Tankgewehr M1918. Dopo i primi risultati sul campo di battaglia, gli ingegneri inglesi perfezionarono e smussarono tutte le imperfezioni dei loro carri armati, producendone diversi modelli, come il Mark II, III, IV e V. La voce del successo che questi mezzi corazzati ebbero con gli inglesi si sparse in tutta Europa, portando svariate nazioni a emulare il tentativo dell’industria inglese di creare un mezzo da sfondamento. Coloro che diedero l’idea del carro armato come lo conosciamo oggi furono i francesi con i loro Renault FT-17, che furono i primissimi modelli con una torretta girevole, dotazione che venne mantenuta da tutte le nazioni in tutti i conflitti successivi alla Grande Guerra sino ad arrivare ai moderni “Main Battle Tanks”.