Un uomo in abiti orientali, fotografato fuori dalla sua tenda. Veste alla maniera dei nomadi del deserto, con un’elegante djellaba e un turbante per proteggere il capo dal sole impietoso. Davanti a lui un tappeto da preghiera, tutto intorno la sconfinata maestosità del deserto.

Al primo sguardo sembra uno sceicco ma se lo si osserva con maggiore attenzione ci si accorge che quello non è un principe arabo ma un occidentale e per la precisione il protagonista della storia di oggi. L’uomo ritratto nella foto è il tenente Thomas Edward Lawrence, protagonista, negli anni della Grande Guerra, della rivolta delle tribù beduine della Penisola arabica contro il dominio ottomano e per questo noto col soprannome di Lawrence d’Arabia. Il nostro eroe, dalla breve quanto movimentata esistenza, venne al mondo a Tremadog, nello Gwynedd (nord-ovest del Galles) il 15 agosto 1888 frutto della relazione adulterina tra il baronetto anglo-irlandese Thomas Chapman, già padre di quattro figlie, e della sua governante Sarah Lawrence. Secondogenito di cinque fratelli, Ned, com’era soprannominato in famiglia, assunse per questo il cognome materno.

Dotato fin dall’adolescenza di un carattere esuberante e avventuroso, nonchè di una grande passione per la storia e l’architettura medievale, nel 1907 Lawrence fu ammesso al prestigioso Jesus College di Oxford, dove tre anni si laureò con una tesi sui castelli crociati. Negli anni dell’università ebbe inoltre modo di viaggiare in Francia e Medio Oriente, visitando la Palestina, la Giordania e l’Egitto. Sempre nel 1910, a Lawrence fu offerta l’opportunità di prendere parte agli scavi nel sito archeologico di Karkemish, fra le attuali Siria e Turchia, sotto la guida di Sir Leonard Woolley per conto del British Museum. In seguito, nel gennaio del 1914 Lawrence venne arruolato nel servizio cartografico dello stato maggiore dell’esercito inglese in Egitto. Di lì a qualche mese l’Europa precipitò nell’abisso della Grande Guerra. Il conflitto avrebbe presto finito per infiammare anche il Medio Oriente cambiando per sempre anche la vita del giovane Lawrence, trasformandolo in un’autentica leggenda vivente.

Ma in che condizioni si trovava il Vicino Oriente alla vigilia della prima guerra mondiale? Fin dal XVI secolo questa regione del mondo si trovava in gran parte sotto il dominio dell’Impero Ottomano, che però nel 1914 appariva ormai sull’orlo del collasso. Definito da decenni come “il Malato d’Europa”, nel corso del XIX secolo l’Impero aveva subito una serie di sconfitte militari perdendo così il controllo di vaste porzioni del suo territorio. Nel 1914 l’Impero ottomano si presentava pertanto come uno stato essenzialmente asiatico: allora infatti restavano sotto il suo controllo soltanto l’Anatolia, il Levante mediterraneo (corrispondente agli odierni Libano, Siria, Giordania, Israele e Palestina), la Mesopotamia (attuale Iraq) oltre alla regione dell’Hegiaz, corrispondente al nord-ovest della Penisola arabica, nella quale si trovano le Città Sante della Mecca e di Medina.

Proprio nel tentativo di arrestare il declino dell’impero, nell’estate del 1908 un gruppo di ufficiali appartenenti al movimento nazionalista dei “Giovani Turchi” marciò sulla capitale Costantinopoli costringendo il Sultano Abdul Hamid a concedere una costituzione e poi, l’anno successivo, ad abdicare a favore del fratello Mehmet V. Una volta al potere i Giovani Turchi cercarono con qualche successo di realizzare un’opera di modernizzazione dello Stato con l’instaurazione di una monarchia costituzionale, la riforma dell’esercito e una centralizzazione del potere statale.
Nello stesso tempo però il nuovo governo avviò una politica fortemente discriminatoria nei confronti delle popolazioni non turche dell’impero con il risultato di accentuare le spinte indipendentiste accelerando la dissoluzione di quanto restava della potenza turca in Europa, che si consumò tra il 1912 e il 1913 quando le piccole nazioni balcaniche, galvanizzate dalla vittoria italiana nella guerra italo-turca per la Libia, si coalizzarono scacciando una volta per tutte i turchi dall’Europa.

Anche le élite arabe, il cui rapporto con i dominatori turchi era sempre stato ambiguo, iniziarono a sentirsi minacciate nei loro interessi, in particolare dalla costruzione della ferrovia Damasco-Medina, che, se da un lato avrebbe senza dubbio agevolato l’afflusso dei pellegrini verso le Città Sante, dall’altro avrebbe rafforzato il controllo ottomano sull’Hegiaz, in quanto la strada ferrata avrebbe facilitato il dispiegamento di truppe turche nella regione.
A seguito dell’inizio della Grande Guerra l’impero ottomano, che da anni aveva firmato importanti accordi politici e militari con la Germania, strinse con essa una formale alleanza militare pur dichiarando in un primo tempo la propria neutralità armata. Tuttavia il 20 ottobre successivo gli incrociatori tedeschi Goeblen e Breslau – passati alla flotta turca – attaccarono le navi russe nel Mar Nero. Così il 2 novembre lo Zar dichiarò ancora una volta guerra al Sultano, a cui tre giorni dopo giunse anche la dichiarazione di guerra del Regno Unito.

Il fatto che il Sultano nella sua veste di Califfo dell’Islam avesse proclamato il Jihad contro le potenze con le quali la Sublime Porta si trovava in stato di belligeranza non ebbe nei fatti alcun effetto di rilievo sui milioni di abitanti di fede musulmana delle colonie di Gran Bretagna e Francia.
L’intervento turco nel conflitto mondiale estese le operazioni militari al Medio Oriente portando all’apertura di tre nuovi fronti: il primo nel Caucaso contro i russi e gli altri due contro i possedimenti coloniali inglesi in Egitto e in Mesopotamia. Nel tentativo di forzare lo stretto dei Dardanelli e costringere l’Impero ottomano alla resa, nella primavera del 1915 i britannici organizzarono lo sbarco di un corpo di spedizione nella Penisola di Gallipoli. L’impresa tuttavia si risolse in un disastro per le forze australiane e neozelandesi impegnate nell’operazione a causa della caparbia resistenza dei soldati turchi, guidati da ufficiali capaci come Mustafa Kemal, il futuro Atatürk.

Superata l’umiliazione di Gallipoli, dopo che i britannici ebbero respinto un’offensiva turca in direzione del Canale di Suez, gli Alleati concepirono una nuova strategia che prevedeva un attacco a tenaglia al cuore dell’impero ottomano: mentre i russi avrebbero dovuto attaccare da nord, attraverso l’Armenia, gli inglesi avrebbero fatto altrettanto da sud, partendo dalle loro basi in Egitto e Mesopotamia, per poi congiungersi nell’Anatolia centrale. I turchi tuttavia, dopo che l’onnipotente Ministro della Guerra Enver Pasha, grande politico ma mediocre stratega, ebbe ceduto il comando delle truppe al suo più fidato consigliere militare, l’ufficiale tedesco Otto Liman von Sanders, riuscirono a fermare i russi e a riconquistare l’Armenia nell’agosto 1916 anche se persero Baghdad nel marzo del 1917. Proprio in concomitanza con la controffensiva turca si consumò il massacro del popolo armeno che produsse un milione di morti e altrettanti esuli.

A quel punto della guerra l’Inghilterra iniziò a guardare con interesse alla possibilità di corrodere la compagine sultaniale dall’interno. Applicando alla perfezione la massima “dividi et impera” i britannici scelsero così di giocare la carta del nazionalismo arabo in funzione anti ottomana. Come abbiamo detto i rapporti tra arabi e turchi erano sempre stati ambigui. Pur accettando l’autorità del Sultano e non contestandone il diritto a ricoprire la carica califfale, gli arabi in fondo consideravano la propria stirpe come la più nobile anche perché all’interno di essa era sorto l’Islam. Ciò che gli inglesi offrivano ai nuovi potenziali alleati era, in caso di vittoria, la liberazione del popolo arabo dal giogo turco facendo balenare la possibilità di costituire, a guerra finita, una “Grande Arabia” che riunisse sotto il dominio di una dinastia locale i territori compresi tra Siria, Mesopotamia e penisola arabica.

Tuttavia all’inizio del XX secolo gli arabi erano ancora poco sensibili all’idea, tipicamente occidentale, dello “stato-nazione” per quanto nella loro lingua esistesse una parola, watan, che esprimesse questo concetto. Nel mondo arabo l’identità di un individuo era ancora in massima parte legata alla kabila, ossia alla famiglia allargata, alla tribù o al massimo, dal punto di vista religioso, alla Umma, la comunità dei credenti musulmani. Per convincere gli arabi sunniti della necessità di affermare la propria identità nazionale e nel contempo indurli a ribellarsi al Sultano-Califfo turco di Costantinopoli occorre proporre loro un’autorità, un leader musulmano che però fosse nel contempo anche un arabo. Costui venne individuato dai servizi segreti di Sua Maestà britannica nello Sharif – titolo principesco riservato ai discendenti del Profeta Muhammad- al-Ḥusayn ibn ʿAlī, della dinastia dei Beni Hashem, o Hashemiti, Emiro dell’Hegiaz e Custode dei Luoghi Santi de La Mecca e di Medina. A lui le autorità britanniche offrirono la leadership della sollevazione indipendentista delle genti arabe contro i turchi.

Le promesse fatte da Londra agli arabi sono contenute nel carteggio intercorso nel biennio 1915-16 tra l’Alto Commissario britannico al Cairo Henry McMahon e il principe Ḥusayn. La prospettiva di costituire a guerra finita uno stato panarabo sia pure sottoposto all’influenza britannica – lo stesso Ḥusayn era del resto apertamente anglofilo e avrebbe persino accettato di entrare a fare parte del Commonwealth – bastò agli arabi per accettare di impugnare le armi contro gli ottomani. Tuttavia le dichiarazioni e le generose promesse fatte dai britannici non erano prive di ambiguità. Per esempio, per quanto riguarda l’estensione del costituendo stato arabo, nella missiva di McMahon a Ḥusayn del 24 ottobre 1915 non si faceva menzione in alcun modo del sangiaccato di Gerusalemme, che era la divisione amministrativa ottomana che copriva la maggior parte della Palestina. Ciò generò non poca confusione in quanto, se da una parte gli inglesi avevano esplicitamente dichiarato come le terre che “non possono dirsi puramente arabe” dovessero considerarsi escluse dall’accordo, dall’altra i nazionalisti arabi considerava come “puramente araba” anche la Palestina.

Poco più di un anno dopo lo scoppio dell’insurrezione araba il Ministro degli Esteri britannico Arthur Balfour in una lettera datata 2 novembre 1917 dichiarò a Lord Rothschild, esponente del movimento sionista, l’intenzione del Governo di Sua Maestà di favorire la creazione di un “focolare nazionale ebraico” (Jewish National Home) proprio in Palestina, dove fin dai decenni finali del XIX secolo la presenza ebraica andava rafforzandosi grazie ai massicci movimenti migratori (aliyah) di coloni ebrei provenienti soprattutto dai territori della Russia zarista. Ma il tradimento maggiore ai danni degli insorti arabi venne compiuto dal Regno Unito in accordo con la Francia. Infatti, mentre erano in corso le trattative con Ḥusayn, i rappresentanti delle potenze occidentali si accordarono per spartirsi il Medio Oriente in sfere di influenza una volta sconfitto l’Impero ottomano. I negoziati che portarono alla firma del patto vennero condotte dai diplomatici François Georges Picot per la Francia e Mark Sykes per la Gran Bretagna tra il novembre del 1915 e il marzo del 1916.

L’accordo divise le province ottomane mediorientali (con l’esclusione della penisola arabica) in aree di controllo e influenza britannica e francese. Più precisamente esso assegnava i territori corrispondenti agli odierni Israele meridionale, Palestina, Giordania e Iraq meridionale, con i porti di Haifa e Acri (per consentire l’accesso al Mediterraneo) al controllo inglese, attribuendo invece ai francesi la Cilicia (Turchia sudorientale), la Siria e il Libano. All’accordo Sykes-Picot fecero da corollario l’intesa tra il ministro degli esteri russo Sazonov e quello francese Paléologue (26 aprile 1916), che assegnava alla Russia l’Armenia occidentale oltre a Costantinopoli e l’area degli Stretti, e l’accordo firmato il 26 aprile 1917 a San Giovanni di Moriana tra il nostro Paese e gli Alleati dell’Intesa, che coinvolsero nella spartizione dell’Impero ottomano con l’assegnazione all’Italia di una “giusta quota” nel distretto di Antalya (Anatolia sud-occidentale).

L’intesa, che smentiva clamorosamente quanto stabilito nello scambio di missive tra Sir Mac Mahon e lo Sharif Ḥusayn venne firmato il 16 maggio 1916 ed era destinata nei piani dei contraenti a rimanere segreta. Ignaro del tradimento anglo-francese, il 10 giugno 1916 al-Husayn sparò un colpo dalla propria finestra, dando inizio alla Rivolta Araba. In pochi giorni, gli insorti arabi giunsero a conquistare La Mecca, e poi la città di Ta’if. Tuttavia il loro slancio offensivo si arrestò nella battaglia di Medina, in settembre, dove le forze ottomane, grazie alla loro artiglieria e alle mitragliatrici riuscirono a respingere e a mandare in rotta i ribelli guidati da Faysal e Abdullah, figli di al-Husayn.

Questa sconfitta fece dubitare gli Inglesi delle effettive capacità delle forze hashemite di poter condurre una guerra parallela contro il Sultano. Fu allora che entrò in scena Thomas Edward Lawrence, sul quale ci siamo soffermati in apertura. Nell’ottobre del 1916 il ventottenne agente dell’intelligence britannica venne inviato sul posto a valutare la situazione. Compito di Lawrence era fungere da ufficiale di collegamento tra i comandi britannici e i leader della rivolta araba. Una volta entrato in contatto con i beduini, Lawrence seppe conquistarsi la loro fiducia grazie all’ottima conoscenza dell’arabo e al profondo rispetto mostrato dall’ufficiale inglese verso gli usi e i costumi degli abitanti del deserto fino al punto di abbandonare la propria divisa cachi per adottare il vestiario locale.

Gli arabi erano abituati da secoli a un tipo di guerra fatta soprattutto di agguati, razzie e colpi di mano, circostanza che faceva di loro degli eccellenti cavallerizzi e degli ottimi tiratori. Grandi guerrieri, i beduini erano però nello stesso tempo dei pessimi soldati, anarchici, individualisti e refrattari a ogni disciplina. Era perciò fondamentale, anche vista la superiorità turca per quanto riguardava l’artiglieria, cercare di evitare qualsiasi scontro campale per concentrarsi su una guerriglia fatta di veloci attacchi “mordi-e-fuggi” contro postazioni e convogli turchi sganciandosi poi il più velocemente possibile per non dare al nemico il tempo di reagire efficacemente. I ribelli arabi agivano in bande composte da 150-200 cavalieri o meharisti (da mehari, termine arabo con cui viene chiamato il dromedario da corsa). Grazie alla loro spiccata conoscenza dell’ambiente desertico, ed in particolare dell’ubicazione dei pozzi, queste unità montate erano in grado di colpire il nemico entro un raggio d’azione di diverse centinaia di chilometri, caratteristica che ne faceva degli avversari estremamente temibili.

Buona parte delle azioni degli irregolari di Lawrence si svolse lungo l’asse della ferrovia dell’Hegiaz. Assieme ai beduini, Lawrence e gli altri ufficiali britannici aggregati alle forze arabe con il ruolo di “consiglieri militari”, compirono numerosi attacchi ai convogli ferroviari turchi o addirittura a sabotare tratti della ferrovia, che rappresentava la sola possibilità di ricevere rifornimenti e comunicazioni per le guarnigioni ottomane sparpagliate sul territorio vastissimo e privo di strade della penisola arabica. Nel luglio del 1917 i ribelli arabi giunsero a piazzare oltre 500 cariche esplosive lungo i binari mentre il mese successivo fecero saltare quattro ponti e distrussero cinque chilometri di ferrovia. Ciò costrinse gli ottomani a inviare sempre maggiori unità militari a protezione della ferrovia e a riparare i danni costantemente apportati dagli arabi.

Lawrence tuttavia non si limitò ad essere un abile stratega della guerriglia ma giunse a pianificare azioni su vasta scala coordinando grandi colonne di beduini. In quella stessa estate del 1917 infatti pianificò un’azione congiunta contro la città portuale di Aqaba tra le sue forze irregolari arabe e quelle sotto il comando di Awda Abu Tayi, shaykh della tribù beduina degli Howeytāt, convinto dallo stesso Lawrence ad abbandonare l’alleanza con gli ottomani e ad abbracciare la causa indipendentista araba. Aqaba costituiva un obbiettivo di grande importanza strategica in quanto costituiva l’unico porto sul Mar Rosso ancora nelle mani dei turchi che da lì potevano minacciare il fianco destro della Egyptian Expeditionary Force in avanzata verso la Palestina. Il 6 luglio, dopo una marcia di 600 miglia attraverso il deserto e un audace attacco a sorpresa condotto dal lato di terra (dal quale non i turchi non temevano azioni militari in quanto affacciata sul deserto), Aqaba cadde nelle mani degli arabi. In quel frangente Lawrence rimase rimase quasi ucciso in azione dopo aver sparato accidentalmente al proprio cammello alla testa con la sua pistola. Awda dal canto suo fu colpito da sei proiettili, che distrussero i suoi occhiali da campo, la fondina e il fodero ma rimase illeso.

Pochi mesi dopo il trionfo di Aqaba, nel novembre del 1917 gli insorti arabi vennero a conoscenza della Dichiarazione Balfour e poi anche dell’accordo Sykes-Picot (in seguito alla Rivoluzione d’Ottobre il nuovo governo bolscevico russo rese pubblici i trattati segreti precedentemente sottoscritti dallo Zar), notizie che suscitarono grande sgomento e costernazione fra gli arabi, che si sentirono usati dagli occidentali in nome delle loro ambizioni imperialistiche. Contrariamente a quanto ci si sarebbe potuto aspettare la disillusione nei confronti degli occidentali non incrinò lo spirito combattivo degli arabi. I guerriglieri seguitarono infatti a fornire aiuto alle truppe del generale inglese Edmund Allenby compiendo attacchi e incursioni dietro le linee nemiche, permettendo così agli anglo-egiziani di conquistare Gerusalemme (9 dicembre 1917) e di sfondare, poco dopo, la linea difensiva tedesco-ottomana a nord della Città Santa.

Nello stesso periodo la guerra si incrudelì: gli ottomani infatti, sempre più in difficoltà, avviarono una campagna di rastrellamenti sistematici, distruggendo villaggi e uccidendo indiscriminatamente migliaia di civili. Dal canto loro gli insorti arabi risposero con altrettanta brutalità, massacrando i soldati turchi prigionieri e sfigurando i cadaveri dei morti.
Nonostante i successi ottenuti nelle campagne militari in Palestina e Mesopotamia, i comandi britannici dovettero rimandare l’attacco finale all’Impero ottomano di diversi mesi a causa dell’Offensiva di primavera lanciata sul fronte francese dai tedeschi a partire dal 21 marzo 1918 il cui obbiettivo avrebbe dovuto essere la conquista di Parigi e delle coste della Manica, allo scopo di tagliar fuori da ogni rifornimento le forze anglo-francesi prima che gli americani, scesi in campo nell’aprile 1917, concentrassero le loro forze in Europa.

La necessità di arrestare la travolgente avanzata tedesca costrinse i comandi alleati a rischierare in Francia gran parte delle divisioni al comando di Allenby sostituendole con unità recentemente reclutate in India. Pertanto le forze alleate trascorsero gran parte dell’estate 1918 ad addestrarsi e riorganizzarsi.
Intanto la guerra tornò a riaccendersi sul fronte siro-palestinese: circa un mese e mezzo dopo avere arrestato l’offensiva tedesca in Francia, il 19 settembre le truppe di Sua Maestà britannica ripresero la loro avanzata: il 1° ottobre 1918 le colonne di cavalleria australiana, indiana e neozelandese entrarono trionfalmente a Damasco assieme agli arabi guidati da Lawrence. Alla fine di quello stesso mese l’intera Siria venne conquistata e il 25 gli alleati entrarono anche ad Aleppo. Il 30 ottobre 1918, ormai impossibilitato a continuare la guerra, il governo ottomano si arrese firmando l’armistizio di Mudros con le Potenze dell’Intesa. Terminava così dopo quattro secoli la dominazione ottomana sul Vicino Oriente.

Nonostante la scoperta del tradimento anglo-francese Faysal e i nazionalisti arabi avevano sperato di trovare un sostegno alla loro causa nell’America del Presidente Thomas Woodrow Wilson, scesa in campo a fianco delle potenze dell’Intesa nell’aprile del 1917. L’8 gennaio 1918 in un intervento di fronte al Senato statunitense l’inquilino della Casa Bianca enunciò i suoi famosi Quattordici Punti su cui avrebbe dovuto basarsi l’ordine internazionale nel dopoguerra. Wilson si faceva sostenitore di principi quali la libertà di navigazione e di commercio, la riduzione degli armamenti, la messa al bando della diplomazia segreta e soprattutto del diritto dei popoli all’autodeterminazione sulla base del principio di nazionalità.

Le rinate speranze degli arabi si rivelarono però presto del tutto illusorie. Nel 1919 infatti Faysal fu sì invitato a partecipare alla conferenza di pace di Versailles – a cui l’emiro prese parte accompagnato dall’amico e consigliere Lawrence – ma una volta giunto a Parigi gli risultò impossibile far valere le promesse fatte a suo padre da McMahon. Francia e Gran Bretagna infatti ignorarono le richieste arabe e procedettero a spartirsi il Medio Oriente sulla base dell’accordo Sykes-Picot con l’avallo della neonata Società delle Nazioni che assegnò loro le ex province ottomane attraverso l’istituto del “mandato”. Faysal, che il 7 marzo 1920 era stato proclamato Re della Grande Siria dal congresso nazionale siriano fu costretto ad abdicare pochi mesi dopo in seguito all’invasione delle truppe inviate dalla Francia, a cui era stato assegnato il mandato sul Paese. Per “indennizzare” lo spodestato Faysal i britannici gli assegnarono la corona di un nuovo stato, l’Iraq, di cui Winston Churchill nelle proprie memorie si sarebbe in seguito improvvidamente vantato di averne disegnato le frontiere con l’aiuto dell’affascinante archeologa Gertrude Bell, amante dello stesso Faysal.

Per capire quanto siano artificiali le frontiere irachene del resto basta consultare una carta geografica. Inoltre al suo interno il Paese riuniva tre comunità etnico-religiose da sempre in conflitto tra loro e che infatti i turchi avevano saggiamente diviso in tre distinti vilayet (distretti): i curdi, iranici e musulmani sunniti, gli arabo-sunniti e gli arabo-sciiti. Proclamato Re dell’Iraq nell’agosto del 1921, Faysal rimase sul trono di questo Paese dalle ricche riserve petrolifere sino alla sua morte, avvenuta a soli quarantotto anni nel 1933, un anno dopo la fine del protettorato britannico. In ogni caso Faysal non poté perdonare l’uomo, da allora in avanti conosciuto come Lawrence d’Arabia, per averlo ingannato rimangiandosi la promessa di restituirgli il vasto regno dei suoi lontani antenati, gli stessi che nel VII secolo avevano conquistato l’intero Vicino Oriente nel nome dell’Islam.

In quello stesso 1921 il fratello maggiore di Faysal, Abdallah, venne creato Emiro (dal 1946 Re) di Giordania dagli inglesi dando origine ad una dinastia che tuttora siede sul trono di quel Paese. Quanto al primogenito dello Sharif Ḥusayn, ʿAli ibn al-Ḥusayn, egli divenne Re dell’Hegiaz nel 1924 in seguito all’abdicazione del padre ma già l’anno successivo venne spodestato dai guerrieri wahabiti del Sultano del Neged ʿAbd al-ʿAzīz ibn Saʿūd, fondatore nel 1932 del Regno dell’Arabia Saudita.
Le vicende che precedettero, accompagnarono e si susseguirono alla rivolta araba ci aiutano a risalire alle radici del caos che ancora oggi regna nel Vicino Oriente. I conflitti che hanno martoriato quest’area del mondo, da quello, interminabile, tra Israele e Palestina fino alla guerra scatenata dall’ISIS a partire dall’estate del 2014 sono in massima parte il frutto (avvelenato) della scarsa lungimiranza per non dire della totale miopia e dell’ingordigia che determinarono le scelte dei leader politici e dei diplomatici occidentali oltre cento anni fa.
Per saperne di piu:
- T. E. Lawrence, I sette pilastri della saggezza
- T. E. Lawrence, Rivolta nel deserto
- C. Boccazzi, Lawrence d’Arabia