Caterina Sforza, la “Tigre di Romagna”

[…] la vedete questa?” disse alzandosi la gonna ”…ammazzateli pure i miei figli, che ho gli
strumenti per farne altri!”

Questo famoso aneddoto su Caterina Sforza, contessa di Forlì e Signora di Imola, ci viene narrato da Machiavelli nel libro terzo dei suoi Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio. Quest’atto di coraggio e di sfida risale all’aprile 1488, durante la congiura degli Orsi. I congiurati di Forlì uccisero il marito di Caterina, Girolamo Riario, e la fecero prigioniera assieme ai figli, che erano in tenera età. Caterina però riuscì a persuadere i congiurati che non sarebbero riusciti a prendere la Rocca di Ravaldino, centro militare e politico di Forlì, senza la sua intercessione – essi dunque la liberarono in modo che ella potesse andare alla Rocca per dare l’ordine alle milizie di consegnare la fortezza ai congiurati, lasciando loro in ostaggio i suoi figli.

“La dama dei gelsomini” o “Ritratto di giovane donna”, presunto ritratto di Caterina Sforza, opera di Lorenzo di Credi.

Ma non appena Caterina fu dentro la fortezza, coprì d’insulti i congiurati per l’assassinio del marito e minacciò di ogni sorta di vendetta. Quando i suoi nemici di rimando minacciarono di uccidere i suoi figli, Caterina non avrebbe allora esitato a mostrare i genitali per dimostrare loro che non le importava in quanto avrebbe sempre potuto fare altri figli. Presi alla sprovvista, consci che non avrebbero potuto in alcun modo proseguire il loro piano se Caterina non gli avesse consegnato la città, e timorosi di ancor più gravi ripercussioni, i congiurati si arresero. Il loro piano fallì, ma almeno ebbero salva la vita in quanto Caterina si limitò ad esiliarli.

Lo storico e politico fiorentino riportò questo episodio avendo come fonte una lettera di Giovanni Corbizzi, corrispondente di Lorenzo de Medici, scritta nella primavera del 1488, ossia proprio al periodo a cui risale il fatto. Altri documenti dell’epoca presentano versioni simili dell’azzardo di Caterina, con una differenza sostanziale in quanto essi non fanno alcun cenno al fatto che ella avesse alzato la gonna di fronte ai congiurati. In un documento del 1498 dello storico forlivese Leone Cobelli, è riportato che Caterina avesse fatto il meno esplicito gesto delle fiche – un gesto della mano che viene effettuato inserendo tra l’indice e il medio, il pollice, con le altre dita della stessa chiuse a pugno, simulando l’aspetto dell’organo riproduttore femminile – un gesto volgare simile al contemporaneo dito medio. Comunque sia andata, è assodato che Caterina giocò d’azzardo e, almeno in quell’occasione, vinse. Negli anni successivi, però, nemici assai più determinati le avrebbero fatto perdere ogni cosa, a cominciare dal suo potere.

Ritratto di Galeazzo Maria Sforza, padre di Caterina, dipinto dall’artista fiorentino Piero del Pollaiolo nel 1471 in occasione della visita del Duca di Milano nel capoluogo toscano.

Ma per meglio comprendere lo spirito indomito della “Tigre di Romagna”, come venne soprannominata Caterina, è necessario fare un passo indietro per ricostruirne le vicende biografiche. Nata intorno al 1463 probabilmente a Milano – anche se secondo altre fonti, sarebbe nata a Pavia – era figlia del Duca di Milano, Galeazzo Maria Sforza, e della sua amante Lucrezia Landriani. Riconosciuta e legittimata dal padre, ricevette una ferrea e raffinata educazione insieme ai fratelli Alessandro e Carlo, anch’essi figli che Galeazzo aveva avuto dalla Landriani e che aveva riconosciuto.

Cresciuta nell’ambiente raffinato della corte sforzesca di Milano, nella vita privata Caterina si dedicò a svariate attività, fra le quali primeggiarono gli esperimenti di alchimia e la passione per la caccia e la danza. Caterina in particolare apprese dalla nonna paterna Bianca Maria Visconti i capisaldi delle doti che dimostrerà in seguito di possedere, soprattutto la sua predisposizione per il governo e per l’uso delle armi, oltre alla consapevolezza di appartenere a una stirpe di gloriosi guerrieri. Ragazzina dallo spirito intraprendente e dall’arguta capacità d’osservazione, il padre non disdegnò di portarla con sé nel suo viaggio a Firenze compiuto durante la primavera del 1471  per rinsaldare l’alleanza politica con Lorenzo il Magnifico, e un paio d’anni più tardi concluse per lei un accordo matrimoniale molto vantaggioso promettendola a Girolamo Riario, di vent’anni più anziano di lei, figlio di Paolo Riario e di Bianca della Rovere, sorella del Pontefice Sisto IV. Al Riario venne promessa la signoria di Imola, già città sforzesca.

Papa Sisto IV con i suoi nipoti e cortigiani. 
Girolamo Riario è la seconda figura da sinistra.

Intanto però il 26 dicembre 1476, giorno di Santo Stefano, il Duca di Milano Galeazzo Maria, padre di Caterina, venne brutalmente assassinato nell’atrio della Basilica di Santo Stefano Maggiore a Milano da tre congiurati: Giovanni Andrea Lampugnani, Girolamo Olgiati e Carlo Visconti. Il Duca del resto era noto per il temperamento instabile e sregolato e per la sua condotta politica spregiudicata, che gli avevano procurato molti nemici. Pochi mesi dopo l’attentato, all’inizio di maggio del 1477, Caterina sposò Girolamo Riario per procura per poi raggiungere lo sposo a Roma non prima di essere entrata trionfalmente a Imola. Mentre Girolamo – che era Capitano Generale della Chiesa – era impegnato in campagne militari a dir poco infruttuose, Caterina era impegnata a raffinare ulteriormente la propria educazione e occuparsi dei loro figli, Ottaviano (1479), Cesare (1480) e Bianca (1481).

Intanto, grazie ai maneggi di suo zio, nel 1480 Girolamo divenne signore anche di Forlì, città per la quale sia lui che soprattutto la moglie avrebbero combattuto con le unghie e con i denti. Già da prima che i due sposi avessero potuto entrare in città, il castellano di Forlì aveva infatti ordito una congiura contro di loro assieme alla famiglia Ordelaffi. La risposta di Caterina e Girolamo in seguito alla scoperta del complotto fu veloce e brutale con alcuni congiurati – tra cui due preti – impiccati e altri esiliati. Questa fu solo la prima di una serie di innumerevoli congiure che Caterina dovette affrontare. Nel corso degli anni forlivesi la famiglia si allargò ulteriormente: Il 30 ottobre 1484 nacque Giovanni Livio e il 18 dicembre 1485 nacque Galeazzo Maria, a cui fu dato il nome del nonno materno. Entrambi furono battezzati nell’abbazia di San Mercuriale.

La Rocca di Ravaldino ai tempi di Caterina Sforza.

Il 12 agosto 1484 Papa Sisto IV morì. I Riario-Sforza ne furono informati mentre si trovavano a Paliano, in provincia di Frosinone. Il Sacro Collegio ordinò loro di ritirarsi con l’esercito a Ponte Milvio e Girolamo obbedì giungendovi il 14 agosto. Caterina però non era dello stesso avviso e, benchè incinta di sette mesi cavalcò quella sera stessa fino a Castel Sant’Angelo, occupandolo a nome del marito dopo aver convinto il presidio a farla entrare. A quel punto fece rivolgere i cannoni contro il Vaticano in modo da fare pressione sui Cardinali affinché eleggessero un papa ben disposto verso la sua famiglia. Il coraggio di Caterina comunque non servì: sulla strada del ritorno a Forlì i Riario vennero a conoscenza dell’elezione di un papa a loro avverso, Innocenzo VIII, al secolo Giovanni Battista Cybo.

Nonostante la sua abilità politica e la sua tendenza ad affrontare di petto i nemici, i continui attacchi e congiure cominciarono a logorare Caterina, che nel 1487 diede alla luce il sestogenito Francesco Sforza Riario, detto Sforzino. L’anno successivo suo marito Girolamo rimase vittima di un complotto ordito dalla famiglia forlivese degli Orsi, lasciando alla vedova il governo dei suoi possedimenti in nome del figlio ed erede Ottaviano. Vedova non inconsolabile, Caterina si innamorò di Giacomo Feo, castellano della rocca di Ravaldino, più giovane di lei di quasi dieci anni. Anche questa unione era però destinata a concludersi tragicamente: nel 1495 il Feo cadde vittima di una congiura al termine di una partita di caccia. Due anni dopo, nel 1497 convolò a nuove nozze con l’ambasciatore della Repubblica di Firenze, Giovanni de’ Medici, detto il Popolano, giunto presso di lei l’anno prima. Giovanni, lontano cugino di Lorenzo il Magnifico, apparteneva al ramo collaterale della dinastia medicea. Dalla loro unione, nel 1498, nacque il condottiero Giovanni delle Bande Nere, unico tra gli otto figli della Contessa ad averne ereditato la forte personalità.

Ritratto di Cesare Borgia, detto il Duca Valentino conservato a Palazzo Venezia, Roma.

Dopo la morte improvvisa di Giovanni, Caterina difese i suoi Stati prima dall’assalto delle milizie veneziane e poi dalla ben più grave minaccia costituita da Cesare Borgia, detto il Duca Valentino, il quale con l’appoggio di suo padre, il Pontefice Alessandro VI, intendeva instaurare un dominio personale in Romagna.

Nel 1499 il Papa Borgia la scomunicò dichiarandola decaduta dal suo feudo e il 24 novembre di quello stesso anno Cesare Borgia arrivò davanti a Imola alla testa di un esercito. L’11 dicembre la città gli aprì le porte ed egli poté prenderne possesso, dopo averne espugnato la rocca dove il castellano resistette diversi giorni. Visto quanto era accaduto nella sua città minore, Caterina chiese espressamente al popolo di Forlì se voleva fare altrettanto o se voleva essere difeso e, in questo caso sopportare un assedio. Dato che il popolo tentennava a risponderle Caterina prese la decisione di concentrare tutti gli sforzi per la difesa nella fortezza di Ravaldino, lasciando la città al suo destino.

Il 19 dicembre il Valentino prese possesso anche di Forlì. Dopo un lungo e sanguinoso assedio, durante il quale Caterina stessa prese in mano le armi, il 12 gennaio 1500 il Valentino riuscì ad espugnare la rocca di Ravaldino, e Caterina fu fatta prigioniera con diverse accuse tra cui quella di aver tentato di avvelenare il Papa e far assassinare il Valentino. Imprigionata a Castel Sant’Angelo, fu liberata 30 giugno 1501 proprio da Yves d’Allègre – uno di quei comandanti francesi che aveva partecipato con il Valentino all’assedio di Forlì – giunto a Roma con l’esercito di Luigi XII per conquistare il Regno di Napoli.

Caterina si stabilì allora a Firenze nelle ville appartenute al marito. Dopo la morte di Papa Borgia, nel 1503, tentò di rientrare in possesso dei feudi perduti ma la popolazione delle due città si dichiarò in maggioranza contraria al ritorno di Caterina e favorevole invece al ritorno dei suoi antichi nemici, gli Ordelaffi, e così il progetto sfumò. Negli ultimi anni si dedicò alla crescita dei figli, di cui fu un’attenta e amorevole educatrice, oltre che all’alchimia. Ammalatasi di polmonite nell’aprile del 1509, quella “tygre di la madona di Forlì” si spense il mese successivo. Emblematiche le parole che lasciò per i posteri, semplici ma significative nel riassumere la sua vita quasi da melodramma “Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo”. Fu tumulata nel monastero delle Murate a Firenze, davanti all’altare maggiore: in seguito suo nipote Cosimo I de’ Medici, granduca di Toscana, la volle ricordare facendo apporre una lapide, ma oggi della tomba non rimane traccia.

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