I figli delle colonie

La Francia è per molti versi la Nazione prototipo dell’Europa. Con la dominazione romana questo territorio entrò indissolubilmente all’interno della storia del continente. Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente nel 476 d.C. e gli anni bui dell’Alto Medioevo, entrò a far parte dei territori del Sacro Romano Impero. Successivamente si distaccò da quest’ultimo, diventando uno Stato nazionale autonomo con l’incoronazione di Ugo Capeto nel 987 d.C. a primo Re di Francia. Da quel momento in poi la Francia, come Stato nazionale, diventa protagonista della vita europea sia per quanto riguarda il contesto economico, sia per quello artistico-letterario, sia per quanto riguarda il contesto polito/bellico. Gli scontri con la Spagna, l’Inghilterra, l’Austria, la Germania, la Russia e le dominazioni dei territori italiani mostrano come questo Stato sia sempre stato invischiato nelle vicissitudini belliche del continente. Forse non è un caso, del resto, se in entrambi i due conflitti mondiali la Francia fu tra le prime nazioni coinvolte.

L’Impero coloniale francese. In rosso il territorio metropolitano, in verde il primo impero coloniale (XVI-XVIII secolo) e in blu il secondo (XIX-XX secolo)

La Nazione transalpina ebbe anche un ruolo attivo all’interno del panorama coloniale. Dal Cinquecento iniziarono le esplorazioni coloniali francesi verso il Nuovo Mondo, giungendo su tutto il continente americano. Anche l’estremo oriente non fu esente dal passaggio coloniale transalpino: nel 1664 venne fondata la Compagnia francese delle Indie Orientali per controllare i commerci di territori remoti dell’Asia. Con il Seicento fu la volta anche dell’Africa, vero grande baluardo dell’Impero coloniale francese che portò a diversi scontri con le colonie inglesi. I territori delle colonie sono stati per molti anni, sia durante la dominazione diretta che durante l’epoca della decolonizzazione, un campo parecchio prolifico per gli studi antropologici, storici, sociologici e umanistici. Balza subito all’occhio il legame linguistico tra la Francia e gli ormai ex possedimenti coloniali, trovando forti desinenze francofone nelle lingue locali e la presenza di moltissimi cittadini francesi di discendenza berbera, africana e orientale. Questo fil rouge che collegava la Nazione alle colonie (e che in un certo senso prosegue fino a oggi) passa per una tappa rilevante, ovvero quella del contesto della Prima Guerra Mondiale.

Militari senegalesi in un momento di pausa sul fronte occidentale nel 1916. Nel corso della Grande Guerra la Francia arruolò migliaia di sudditi coloniali.

Con l’entrata della Francia nel conflitto, tra i ranghi dell’esercito molti furono i coloni che vennero chiamati a prestare servizio sia in patria che nei territori lontani. Soldati provenienti dai territori dell’Africa francese e dall’Indocina vennero così arruolati tra le fila dell’Esercito Nazionale francese. Dopo gli eventi della rivoluzione haitiana iniziata nel 1791 la Francia corse ai ripari, così come anche le altre potenze coloniali, per timore di perdere il controllo sui territori coloniali ancora posseduti. Frederick Cooper, nell’articolo Imperi, colonie e storia transnazionale, identifica diverse pratiche che furono adottate per evitare una “nuova Haiti” (espressione utilizzata per identificare ipotetiche nuove rivolte dei territori coloniali come successe ad Haiti contro la Francia napoleonica nel 1791), come la distinzione tra “soggetti” e “cittadini”, dove i primi erano incorporati senza scelta, con solamente doveri e nessun diritto e i secondi considerati come membri partecipi a tutti gli effetti alla vita politica. Le ambiguità create da tale pratica portarono le amministrazioni a optare per una nuova strategia. Dopo l’emancipazione degli schiavi datata 1848, essi vennero inglobati della categoria giuridica di “cittadini”, senza essere stanziati in una qualsiasi zona intermedia. Cooper mostra come negli avamposti senegalesi i nativi ottennero la maggior parte dei diritti politici, inclusa la possibilità di nominare assemblee locali. Questi diritti concessi portarono alla possibilità di eleggere un deputato per la legislatura francese (inizialmente un meticcio, per poi giungere alla possibilità di eleggere un africano di pelle più scura). Pur con la concessione dei diritti, la Francia agì sempre nella direzione dello sfruttamento dei soggetti colonizzati assimilandoli sempre di più ai modelli francesi.

Soldati della fanteria coloniale francese in Madagascar, fine XIX secolo.

La cittadinanza concessa coesisteva fianco a fianco con la soggezione imposta dalle autorità. Maggiori diritti venivano concessi ai collaboratori o ai soggetti meglio assimilati in tale contesto. Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, la richiesta di soldati dalle colonie crebbe progressivamente. Fu così che il deputato senegalese Blaise Diagne avanzò la proposta di una dichiarazione chiara e ufficiale di cittadinanza per i coloni a fianco ai diritti già promulgati, in cambio del rifornimento di reclutamento bellico. Venne portata così alla luce in maniera decisa la richiesta di riconoscimento di cittadinanza da parte dei figli delle colonie. Tali richieste e concessioni diventarono sempre più pericolose per l’amministrazione centrale. Negli anni ’20 si arrivò alla produzione del mito alternativo de “l’impero come raccoglitore di differenti culture” tenute assieme dalla pace e dal tentativo di preservarle. Con la Seconda Guerra Mondiale e la seguente de-colonizzazione tali dinamiche mutarono ulteriormente di segno. Restando sul discorso della Prima Guerra Mondiale, diversi furono i contributi delle colonie negli anni del conflitto:

“Un certo numero di reggimenti fu formato con nativi africani e indocinesi. Nel 1914 nell’Africa settentrionale e occidentale erano disponibili 21 battaglioni di senegalesi, più 10 di malgasci, 1 di somali, 2 reggimenti di congolesi in Africa equatoriale e 5 in Indocina.”

E ancora:

“Allo scoppio della guerra cinque battaglioni di senegalesi operativi in Nordafrica furono trasferiti in Francia, andando a formare due reggimenti di marcia senegalesi. Dopo una riorganizzazione […] si ebbero due reggimenti coloniali misti e il Régiment Mixte Colonial du Maroc (Reggimento Coloniale misto del Marocco); l’utilizzo dei reggimenti misti europei/senegalesi diventò la norma, anche nel corso delle campagne dei Dardanelli e di Salonicco.”

Guardando con più attenzione, diversi furono i reparti dell’esercito francese composti da coloni d’Africa che presero parte alla Grande Guerra. Armeé d’Afrique (Armata d’Africa) era il nome non ufficiale assegnato ai reggimenti incaricati di presidiare i possedimenti francesi del Nordafrica:

“I reggimenti erano di vario tipo: quelli reclutatati tra i francesi composti da zuavi (termine originario delle tribù berbere d’Algeria, furono unità di fanteria coloniale nota per il particolare abbigliamento. Essi non furono utilizzati solo dai transalpini, ma quelli francesi furono gli zauvi più famosi), fanteria leggera africana e chasseur d’Afrique (Cavalleria dell’Armata africana), quelli reclutati tra i nativi come Tirailleurs (Tiragliatori), Spahis (Cavalleria composta da coloni) e quelli della Legione Straniera.”

Soldato Zuavi

Questa multiculturalità all’interno dell’esercito esaudiva l’enorme richiesta di uomini per il conflitto oltre ad introdurre tecniche di combattimento e “leggende” utilizzate contro i nemici. Nei primi anni del conflitto, i reggimenti zauvi attaccavano con una ferocia sconosciuta all’esercito metropolitano e per questo venivano considerati come una truppa d’élite. Questa irruenza nello scontro diminuì progressivamente durante gli anni del Conflitto per via delle numerose perdite subite. Il binomio tra rigore e comando dell’esercito regolare e istinto “selvaggio” andò a creare una sorta di ibrido che venne incorporato nella figura del soldato colono a servizio dello Stato francese. Nel suo romanzo Fratelli d’anima, David Diop racconta le vicende di Alfa Ndiaye, colono africano che prende parte alla Prima Guerra Mondiale venendo arruolato assieme ad altri suoi pari. In questo romanzo, viene mostrato come i “cioccolatini dell’Africa nera” (termine usato dal Capitano Armand per identificare i guerrieri africani, i “Negri, selvaggi, cannibali, zulù”, temuti dai nemici) combattevano con ferocia inaudita, brandendo in una mano il fucile regolamentare e nell’altra il machete selvaggio, fondendo l’essenza “civilizzata” a quella “selvaggia”. Tutto ciò era accompagnato dall’invito da parte del comando verso i coloni, ad attaccare durante le offensive urlando, strabuzzando gli occhi, cercando di incutere più timore possibile nei nemici, mostrando la stoffa del guerriero africano. In simili ricostruzioni narrative, vengono spesso rappresentati i toubab (termine africano per identificare i bianchi in maniera dispregiativa) spaventati da questa inedita combinazione. Essi, giungevano persino a considerare il protagonista come un dëmm (demone, stregone, divoratore di interiora) per via del fatto che tornava da ogni incursione con una mano nemica mozzata, come sorta di trofeo di vendetta. Diop ci proietta in questo mondo di trincea elencandoci i sentimenti e le sensazioni provate dai combattenti africani, dai commilitoni bianchi e dai nemici, definiti nel testo come i “nemici dagli occhi azzurri”

Tra i vari militari coloni troviamo gli Spahis, termine già menzionato in precedenza. Essi erano dei membri della cavalleria leggera reclutata tra i nativi. Tutti i reggimenti esistenti, a parte uno autonomo operante nei territori palestinesi, servirono sul Fronte Occidentale portando con l’oro la pratica di utilizzare i cavalli come mezzo di carico, per trasportare pesanti rifornimenti, come le lunghe carovane commerciali. Sumner menziona anche due squadroni di Spahis senegalesi che, durante la guerra, solamente per poco tempo operarono lontano dai possedimenti francesi in Africa.

Vignetta raffigurante soldati Spahis all’assalto

Al fianco delle Compagnies sahariennes (Compagnie sahariane) Tuareg e Chamba, in groppa a dromedari e comandate da Ufficiali francesi, ebbero il compito di difendere le oasi del Sahara dalle incursioni continue dei Senussi, membri della confraternita islamica della Senussia fondata da Muhammad ibn Ali al-Sanusi che, fino al 1915, combatterono ferocemente l’avanzata alleata in Africa. Sumner menziona anche la Infanterie Légère d’Afrique (Fanteria Leggera Africana), reggimento composto da condannati al carcere militare in attesa della fine della pena, da colpevoli di piccoli crimini e da altri operanti prima nei territori dell’Africa Settentrionale e poi sul Fronte Occidentale. Questo insolito reggimento militare veniva mantenuto unito grazie a una ferrea disciplina imposta dai loro comandanti, permettendo così la riuscita delle azioni e il rispetto degli ordini. Un ultimo punto lo dedico ai Chasseurs d’Afrique (Cacciatori d’Africa), che rappresentavano la componente di cavalleria dell’Armée d’Afrique.

“Nel 1914 esistevano sei reggimenti e allo scoppio della guerra uno di marcia venne subito inviato in Francia per combattere come fanteria, per tornare montato nel 1915. Cinque reggimenti, incluso uno di nuova formazione, combatterono sul Fronte Occidentale e tre in Macedonia, mentre uno squadrone autonomo operò in Palestina.”

Sumner, Diop e altri resoconti ci danno come visto una ottima visione della condizione multiculturale in cui l’Esercito francese si è trovato durante la Grande Guerra. Una delle difficoltà incontrate fu certamente il far convivere assieme, fianco a fianco, popoli diversi con tradizioni, cultura, lingua e spinte morali differenti. Merito di ciò va dato a quegli Ufficiali che riuscirono a far coesistere entità culturali differenti all’interno di un panorama ostile come quello della guerra, ottenendo risultati il più possibile soddisfacenti. L’interscambio culturale non fu solamente favorito dall’apporto dei soldati provenienti dalle colonie; vi fu un altro evento che portò alla convivenza di soldati di diversa provenienza, ovvero l’arruolamento dei volontari nella Legione Straniera, corpo militare volontario formato da diversi soldati di nazionalità differenti da quella francese.

Tale utilizzo di truppe coloniali fu essenziale per la formazione dell’odierno sentimento d’identità nazionale fortemente basato sul multiculturalismo transalpino. È possibile notare quanto la presenza di un altissimo numero di discendenti di coloni sia una parte integrante della società francese, ricoprendo così la posizione di una delle Nazioni più multiculturali all’interno del panorama Europeo.

Per saperne di più:

C. Capra, Storia Moderna, Le Monnier Università Mondadori Ecucation, Firenze, 2016.

D. Diop, Fratelli d’anima, Neri Pozza Editore, Vicenza, 2019.

F. Cooper, Contemporanea, Vol. 7, No. 1, pp. 106-114, Il Mulino, Bologna, 2004.

G. J. Ames, L’età delle scoperte geografiche, Il Mulino, Bologna, 2011.

I. Sumner, L’esercito francese nella Prima Guerra Mondiale, Leg edizioni Srl, Gorizia, 2014.

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