Federico da Montefeltro, la luce d’Italia

Chiunque abbia visitato Urbino non può che essere rimasto colpito dalla monumentalità di Palazzo Ducale, che con la sua imponenza sembra troneggiare sulla città. L’immenso edificio, alla cui progettazione e costruzione parteciparono alcuni tra i più famosi architetti dell’epoca, come il dalmata Luciano Laurana e il senese Francesco di Giorgio Martini, è il lascito più tangibile dell’eredità di un uomo che fu signore di Urbino per quasi quarant’anni, dal 1444 al 1482, dapprima come Conte e poi, dal 1474, col titolo di Duca. Parliamo di Federico da Montefeltro, uno dei signori più importanti del Rinascimento italiano, spentosi poco più che sessantenne proprio il 10 settembre di cinquecentoquaranta anni fa, tant’è che quest’anno ricorre anche il sesto centenario dalla nascita.

Palazzo Ducale di Urbino, Facciata dei Torricini. L’edificio venne costruito a partire dalla metà del XV secolo per volontà di Federico da Montefeltro, signore della città.

Federico infatti venne al mondo il 7 giugno 1422 a Gubbio. Secondo la versione ufficiale riguardo la sua nascita, egli sarebbe stato il frutto di una relazione adulterina tra l’allora quarantaquattrenne signore di Urbino Guidantonio da Montefeltro e una giovane “soluta” ossia non sposata la cui identità rimane tuttora incerta. Con ogni probabilità si trattava di Elisabetta degli Accomanducci dei conti di Petreio, dama di corte della moglie di Guidantonio, Rengarda Malatesta. Un’altra versione identifica invece Federico non come figlio bensì come nipote di Guidantonio per via materna: il futuro Duca di Urbino sarebbe stato infatti figlio della diciassettenne Aura da Montefeltro – figlia naturale di Guidantonio – e del di lei marito, Bernardino Ubaldini della Carda, capitano di ventura al servizio del suocero.

Moderna ricostruzione forense del volto di Federico da Montefeltro.

Al di là delle speculazioni Federico si considerò sempre figlio di Guidantonio. Questi, rimasto fino a quel momento privo di eredi, certamente dovette accogliere con gioia la nascita di un figlio maschio, ancorché illegittimo, data la perdurante sterilità del suo matrimonio celebrato nel 1397. La nascita di Federico tuttavia venne inizialmente tenuta segreta e il piccolo rimase a Gubbio per i primi due anni della sua vita, fino a quando non venne legittimato da una bolla appositamente emessa dal Pontefice Martino V. Attraverso il documento papale Federico venne riconosciuto “figlio di Guidantonio e di donna non sposata”, venendo così abilitato a succedere al genitore. Questo naturalmente fatti salvi i diritti di eventuali, successivi, figli legittimi del padre.

Intanto nel febbraio del 1424, in seguito alla morte della prima moglie Rengarda, avvenuta nel settembre precedente, il fresco ed evidentemente non inconsolabile vedovo Guidantonio era convolato a nuove nozze con l’aristocratica romana Caterina Colonna, nipote del Papa.

I tre astanti, dettaglio della Flagellazione di Cristo di Piero della Francesca. Il giovane al centro sarebbe secondo alcune interpretazioni  Oddantonio da Montefeltro, fratellastro e predecessore di Federico.

Divenuto improvvisamente fonte di imbarazzo con l’arrivo a corte delle nuova moglie del padre, Federico venne allontanato da Urbino se non che, vista l’iniziale sterilità della nuova consorte, Guidantonio riuscì a convincerla ad accettare la presenza del figliastro. Le cose si complicarono quando Caterina rimase incinta e il 18 gennaio 1427 diede alla luce un figlio maschio, battezzato con il nome di Oddantonio, unione dei nomi dello zio materno, il Pontefice Martino V (al secolo Oddone Colonna) e del nonno paterno, Antonio da Montefeltro.

Divenuto improvvisamente agli occhi della matrigna un ostacolo per la successione della sua prole, l’appena quattrenne Federico fu affidato nel 1426 da Guidantonio a Giovanna Alidosi, vedova di Bartolomeo Brancaleoni, signora di Sant’Angelo in Vado e Mercatello, nell’alta valle del Metauro. Giovanna si comportò nei confronti di Federico come una madre e assieme a Guidantonio combinò le future nozze del giovane Montefeltro con sua figlia Gentile Brancaleoni. Vista la parentela dei futuri sposi – la nonna paterna di Gentile era prozia di Federico – si dovette ottenere da Papa Martino V una speciale dispensa che fu prontamente concessa. Le nozze sarebbero state celebrate nel 1437 quando Federico aveva quindici anni e la sposa ventuno.

L’umanista Vittorino da Feltre. Fu maestro di Federico da Montefeltro durante il suo soggiorno a Mantova.

Nel 1433 l’undicenne Federico venne inviato a Venezia dal padre rimanendo nella città lagunare per 15 mesi come ostaggio della Serenissima a garanzia di un accordo tra Papa Eugenio IV e il Duca di Milano Filippo Maria Visconti sottoscritto tra gli altri anche da Guidantonio. Successivamente l’ormai adolescente Federico venne trasferito a Mantova, presso la corte del Marchese Gianfrancesco Gonzaga, amico di suo padre. Qui ebbe la possibilità di frequentare la Ca’ Zoiosa (Casa Gioiosa) celebre scuola dell’umanista Vittorino da Feltre, del quale fu allievo prediletto, assieme ai figli del signore di Mantova, Carlo e Ludovico Gonzaga.

Rientrato nelle natie Marche, l’anno successivo alle nozze fu segnato per Federico dal suo battesimo delle armi: spedito a Milano presso la corte di Filippo Maria Visconti, ottenne il comando degli 800 “cavalli” della compagnia militare detta “Feltria” fondata da suo padre, con la quale militò nell’esercito visconteo comandato dal condottiero Niccolò Piccinino. Fu l’inizio di una sfolgorante carriera militare segnata da imprese epiche come la presa della rocca di San Leo, conquistata il 22 ottobre 1441 al termine di una rocambolesca arrampicata notturna.

La Rocca di San Leo, conquistata dai soldati di Federico il 22 ottobre 1441 al termine di una rocambolesca arrampicata notturna.

Nel corso della sua ultra quarantennale carriera di condottiero Federico ebbe diversi “datori di lavoro”: dapprima combatté per il Re di Napoli per poi passare al servizio del Duca di Milano Francesco Sforza e della Repubblica di Firenze. Nel 1458 fu nominato capitano generale dell’esercito dello Stato della Chiesa da Papa Pio II.

Nove anni dopo, nel 1467, lo ritroviamo nuovamente al servizio di Firenze contro Venezia alla battaglia della Riccardina. Nel 1472 fu incaricato da Lorenzo de Medici di prendere possesso di Volterra e delle miniere di allume appena scoperte nelle vicine colline metallifere. Trovandosi di fronte un esercito di popolo, composto anche da contadini, i mercenari di Federico da Montefeltro si abbandonarono a terribili saccheggi e vaste distruzioni. Tuttavia al di là di questo episodio il Duca predilesse in linea di massima ottenere la vittoria facendo ricorso a stratagemmi ed evitando scontri armati. Inoltre si dimostrò magnanimo con coloro che si arrendevano quanto spietato con chi opponeva resistenza.

Niccolò da Tolentino alla testa dei fiorentini nel trittico di Paolo Uccello dedicato alla battaglia di San Romano (1432). Il Rinascimento fu un’epoca d’oro per capitani di ventura spregiudicati come Federico da Montefeltro.

Nonostante i numerosi, e ai nostri occhi clamorosi, “cambi di casacca”, dimentichiamoci il luogo comune che descrive i mercenari come avidi masnadieri pronti a cambiare padrone a seconda della convenienza. La fedeltà al proprio committente era considerata un requisito fondamentale e Federico non fece eccezione. Del resto chi “sgarrava” non trovava ingaggi o, peggio, rischiava di fare la fine del Conte di Carmagnola, Francesco Bussone, giustiziato dai veneziani per sospetto tradimento nel 1432. Il rapporto tra signori e mercenari era regolato da un vero e proprio contratto di appalto, la “condotta” da cui deriva appunto il termine “condottiero”.

L’accordo fissava anche la durata del servizio, la cosiddetta “ferma”, oltre al periodo di “aspetto” nel corso del quale il committente poteva decidere di rinnovare o meno il contratto. In caso di risoluzione del “rapporto di lavoro” il condottiero era libero di legarsi ad un altro signore col solo vincolo di non combattere contro il precedente per i due anni successivi.

L’agguato a Lorenzo e Giuliano de Medici il 26 aprile 1478, culmine della Congiura dei Pazzi. Oggi sappiamo che tra i cospiratori vi fu anche Federico da Montefeltro.

Con questo sistema un comandante risoluto ed esperto poteva ottenere premi straordinari: denaro, certo, ma anche concessioni di titoli e feudi. Grazie alla sua abilità militare e politica Federico fu investito del titolo di Conte di Sant’Angelo in Vado e ottenne diversi castelli della Massa Trabaria. Tuttavia l’ambizioso Montefeltro mirava ancora più in alto, alla signoria di Urbino e a ricoprire un ruolo di primo piano nella politica italiana.

Nella notte del 22 luglio del 1444 un gruppo di congiurati penetrò nel palazzo signorile di Urbino e trucidò il fratellastro diciassettenne di Federico, Oddantonio, divenuto l’anno precedente Duca di Urbino. Poche ore più tardi il Montefeltro fece il suo ingresso in città acclamato dalla folla come nuovo signore, forte di un patto con i maggiorenti del Comune che prevedeva l’amnistia per i congiurati.

Nonostante Federico si fosse dichiarato estraneo ai fatti, già all’epoca si sospettò di un suo possibile coinvolgimento nel complotto. In questo senso è significativo il fatto che il Papato, che annoverava Urbino tra i propri feudi, impiegò trent’anni – il tempo corrispondente alla prescrizione di un reato secondo il diritto romano – per riconoscere a Federico il titolo di Duca.

Stemma di Federico da Montefeltro come Duca di Urbino.

Un altro episodio oscuro della vita di Federico è rappresentato dalla sua partecipazione, in combutta tra gli altri con Papa Sisto IV, alla famigerata Congiura dei Pazzi, organizzata dall’omonima famiglia fiorentina allo scopo di eliminare Lorenzo e Giuliano de Medici. Anche se al tempo non venne accusato, recenti studi hanno dimostrato al di là di ogni dubbio che Federico da Montefeltro fu implicato nel complotto. In effetti quel fatidico 26 aprile 1478, giorno dell’attentato, truppe urbinati erano appostate fuori Firenze pronte a fare irruzione in città per dar man forte ai golpisti ma la feroce reazione del popolo fiorentino contro gli assassini le dissuase dall’intervenire.

Una volta giunto al potere Federico impiegò gli enormi guadagni derivati dalle condotte militari per mantenere una splendida corte, presso la quale ospitò architetti come Francesco di Giorgio Martini, che fu suo consigliere personale, e Luciano Laurana, che progettò il monumentale Palazzo Ducale di Urbino; scienziati come il matematico Luca Pacioli e pittori come Piero della Francesca, suo amico intimo, Paolo Uccello, Giusto di Gand e Pedro Berruguete.

Ritratto di Federico da Montefeltro col figlio Guidobaldo, dipinto da
Pedro Berruguete.

Fece inoltre allestire una delle più celebri biblioteche dell’epoca, che alla sua morte contava 900 manoscritti tra i quali spiccava una rarissima copia miniata della Bibbia commissionata da Federico per uso personale, detta appunto Bibbia Montefeltro, oggi conservata nella Biblioteca Apostolica Vaticana. In un’epoca in cui il prestigio di un signore si misurava non solo in base ai successi militari e diplomatici ma anche sulla base del suo mecenatismo verso intellettuali e artisti, Federico fece di Urbino un importantissimo centro artistico e culturale, vera e propria “città ideale” e luogo di concentrazione di menti illuminate, secondo in Italia solo alla Firenze medicea. Nel Duca di Urbino l’anima del guerriero si accompagnò perfettamente a quella dell’umanista plasmata dal suo maestro Vittorino da Feltre.

Al’inizio degli Anni Cinquanta del XV secolo, giunto ormai “nel mezzo del cammin di sua vita” Federico era però ancora privo di una discendenza legittima. Pur avendo generato almeno quattro figli illegittimi, due maschi, Bonconte e Antonio, e due femmine, Elisabetta e Gentile, il Duca non aveva avuto eredi dalla moglie Gentile. Pertanto, tre anni dopo la morte di quest’ultima, nel 1460, sposò la quattordicenne Battista Sforza, figlia di Alessandro, signore di Pesaro. Da lei, nel 1472 e dopo ben sei figlie femmine, ebbe l’atteso erede Guidobaldo.

Federico da Montefeltro e sua moglie Battista Sforza ritratti da Piero della Francesca nel Dittico di Urbino (Galleria degli Uffizi, Firenze)

I due coniugi vennero raffigurati nel dittico noto col nome di Doppio ritratto dei duchi di Urbino, realizzato da Piero della Francesco tra il 1473 e il 1475 e oggi conservato nella Galleria degli Uffizi di Firenze. Nell’opera Battista Sforza e Federico da Montefeltro sono raffigurati di profilo  in un’immobilità solenne, sospesi in una luce chiarissima davanti a un lontano e profondo paesaggio a perdita d’occhio, che accentua le figure in primo piano. I due dipinti sono oggi separati, ma anticamente collegati da un’unica cornice. Si ipotizza che l’opera sia stata concepita come oggetto privato piuttosto che come ritratto pubblico, magari commissionato da Federico stesso come ricordo dell’amatissima moglie, scomparsa pochi mesi dopo la nascita del figlio Guidobaldo a soli ventisei anni a causa di una polmonite acuta.

Nel dipinto Federico è raffigurato dal lato sinistro del volto. Ciò è dovuto al fatto che il Duca anni prima aveva perso l’uso dell’occhio destro, pare a causa di un colpo di lancia ricevuto, forse, nel 1450 durante un torneo organizzato per celebrare l’ascesa di Francesco Sforza a Duca di Milano. Sebbene si sia ritenuto per un certo periodo che il duca si fosse fatto praticare un taglio sul naso per ampliare la visuale dell’occhio sinistro rimastogli, è molto probabile che il ponte nasale gli fosse stato frantumato dallo stesso colpo di lancia che gli provocò la perdita dell’occhio.

Sacra Conversazione con la Madonna col Bambino, sei santi, quattro angeli e il donatore Federico da Montefeltro, meglio conosciuta come Pala Montefeltro o Pala di Brera, opera di Piero della Francesca.

Il tipico profilo federiciano compare anche in un’altra celebre opera pittorica, la Pala di Brera, il cui titolo completo è Sacra Conversazione con la Madonna col Bambino, sei santi, quattro angeli e il donatore Federico da Montefeltro. Il dipinto costituisce un perfetto esempio di prospettiva molto in voga nel Quattrocento. Al centro compare la Vergine con in braccio Gesù circondata da una schiera di santi e angeli. Ai piedi della Madonna, sulla destra, compare inginocchiato lo stesso Federico, raffigurato in armatura. Fatto rivoluzionario, la figura del Duca è di proporzioni uguali ai personaggi sacri. Inoltre, così come molti dei santi mostrano le ferite del loro martirio, anche Federico, nell’elmo ammaccato, ricorda la sofferenza terrena.

Federico scomparve pochi mesi dopo aver compiuto sessant’anni, proprio nel corso di una campagna militare, la cosiddetta Guerra del Sale, che vide il Duca, in qualità di capitano generale, a capo delle forze della coalizione formata da Ercole I d’Este, da Ferdinando I di Napoli, da Federico I Gonzaga, e dal signore di Bologna Giovanni II Bentivoglio a cui si contrapponevano Venezia, Genova, Papa Sisto IV e il Marchese Bonifacio III del Monferrato. Il 10 settembre 1482, mentre era al comando delle operazioni, Federico si ammalò di malaria e morì venendo successivamente sepolto nella chiesa francescana di San Bernardino a Urbino. Si spense così uno dei maggiori statisti e mecenati del Rinascimento, un uomo la cui grandezza venne riconosciuta già dai contemporanei che lo definirono “la luce dell’Italia”.

Per saperne di più:

  • B. Roeck, A. Tönnesmann – Federico da Montefeltro. Arte, Stato e mestiere delle armi
  • M. Simonetta – L’enigma Montefeltro. Intrighi di corte dalla Congiura dei Pazzi alla Cappella Sistina
  • [sull’arte della guerra nel XV secolo] M. E. Mallett, Signori e mercenari. La guerra nell’Italia del Rinascimento

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...