El Alamein – deserto di fuoco

Nella notte del 23 ottobre 1942 tutte le batterie di artiglieria del Commonwealth schierate tra il Mediterraneo e la depressione di Qattara iniziarono a martellare senza tregua le posizioni tenute dai soldati italiani e tedeschi trasformando quell’angolo di deserto egiziano in un autentico inferno di fuoco. Cominciava così la seconda battaglia di El Alamein, principio di quell’offensiva progettata dal generale inglese Bernard Montgomery per spazzare via una volta per tutte le forze dell’Asse che, nell’estate precedente, al termine della loro travolgente avanzata si erano attestate ad El Alamein, località situata un centinaio di chilometri ad ovest di Alessandria d’Egitto.

Gli italini leggono sui giornali la notizia dell’entrata in guerra del Paese il 10 giugno 1940.

Come si era giunti in questa situazione? Quali protagonisti e quali eventi avevano determinato l’andamento della campagna in Nordafrica? Per rispondere a queste domande dobbiamo risalire fino alla fatidica data del 10 giugno 1940, quando il dittatore fascista Benito Mussolini arringando gli italiani dal balcone di Palazzo Venezia annunciò loro l’ingresso in guerra a fianco della Germania hitleriana contro Francia e Gran Bretagna. Fin dall’ingresso nel conflitto Mussolini chiarì che l’Italia avrebbe dovuto combattere una “guerra parallela” con obbiettivi propri e non subordinati a quelli dell’alleato tedesco. Un proposito che tuttavia si rivelò del tutto velleitario come ben dimostrato dall’offensiva lanciata sulle Alpi occidentali contro una Francia ormai in procinto di arrendersi allo strapotere tedesco. Nelle sue direttive del 31 marzo 1940 Mussolini aveva in effetti già delineato la strategia globale che le forze armate italiane avrebbero dovuto seguire nel caso sempre più probabile di un ingresso in guerra a fianco del Terzo Reich contro Francia e Gran Bretagna.

Il Nord Africa e il Mediterraneo allo scoppio della seconda guerra mondiale.

Riguardo al teatro bellico di cui vogliamo raccontare oggi, ossia quello nordafricano, il Duce stabiliva che a causa della difficile situazione geografica della Libia teoricamente minacciata sia dall’Egitto britannico che dal Nordafrica francese, le forze italiane avrebbero dovuto mantenersi sulla difensiva. Le forze italiane schierate in Libia – quattordici divisioni con 236 mila soldati, 1.427 cannoni, 339 carri armati leggeri L3, 8.039 automezzi – erano suddivise in due armate: la 5ª al comando del generale Gariboldi – sei divisioni di fanteria e due di camicie nere – schierata a occidente lungo il confine con la Tunisia e la 10ª del generale Berti – tre divisioni di fanteria, due divisioni libiche e una di camicie nere – posta invece ad oriente lungo la frontiera con l’Egitto.

Numericamente quindi gli italiani potevano contare su una schiacciante superiorità rispetto ai 36 mila soldati britannici, australiani e indiani schierati a difesa dell’Egitto agli ordini del generale Archibald Wavell. Tuttavia le nostre truppe, a differenza del nemico, erano in massima parte appiedate, prive di automezzi e corazzati sufficienti e soprattutto poco addestrate alla guerra nel deserto. Il comando supremo delle nostre forze nel teatro libico era assegnato a Italo Balbo, già quadrumviro della marcia su Roma e governatore della colonia. In seguito al repentino crollo della Francia e la conseguente neutralizzazione della frontiera libico-tunisina il 28 giugno il Comando Supremo diede ordine a Balbo di concentrare tutte le truppe disponibili sul confine orientale e di invadere l’Egitto.

Carri medi M11/39 italiani avanzano verso l’Egitto durante l’offensiva del 1940.

Tuttavia quello stesso girono il Maresciallo dell’Aria uscì tragicamente di scena, in quanto l’apparecchio da lui pilotato fu colpito per errore dalla nostra contraerea nei cieli di Tobruk. Mussolini si premurò di nominare immediatamente un successore del defunto Balbo nella persona del Maresciallo Rodolfo Graziani, giudicato un esperto di guerre coloniali. Il nuovo comandante però si dimostrò poco propenso a passare all’azione, continuando a rimandare l’offensiva adducendo carenze logistiche e tecniche delle sue forze e le difficoltà del clima e del terreno.

Graziani diede inizio all’attacco contro l’Egitto solamente il 13 settembre dopo essere stato tempestato di dispacci da Mussolini che lo spronava a prendere l’iniziativa. Il 16 settembre le truppe italiane entrarono nella città egiziana di Sidi el-Barrani, a un centinaio di chilometri dal confine libico. Le esigue truppe britanniche, australiane e neozelandesi schierate a difesa dell’Egitto si ritirarono ma a quel punto Graziani decise di sospendere l’offensiva per organizzare le strutture logistiche ritenute necessarie per un’ulteriore avanzata nel deserto.

L’avanzata italiana in Egitto.

Approfittando dell’interruzione dell’avanzata nemica, Wavell, dopo avere ricevuto rinforzi dalla madrepatria, decise di organizzare una controffensiva, meglio conosciuta con il nome in codice di Operazione Compass. Essa prevedeva l’impiego della 7ª Divisione Corazzata – i famosi “Topi del deserto” – e della la 4ª Divisione fanteria anglo-indiana, che insieme formavano la Western Desert Force, forte complessivamente di 36 mila uomini e 275 carri armati, tra cui 57 carri pesanti Matilda e 176 carri medi Cruiser e che poteva inoltre fare affidamento sul supporto aereo fornito dagli squadroni del RAF Middle East Command.

A differenza di Graziani, il quale, legato a una concezione antiquata ed ottocentesca della guerra, avanzava quasi fosse un centurione romano, i comandanti inglesi avevano intuito come la guerra nel deserto richiedesse invece che i reparti si muovessero come navi nel mare. L’attacco inglese scattò il 9 dicembre 1940 sotto la direzione del brillante generale Richard O’Connor. Sfruttando la loro maggiore capacità di manovra le forze britanniche aggirarono le nostre truppe attestati a Sidi el-Barrani catturando circa 38 mila prigionieri e provocando un autentico crollo morale tra i soldati italiani.

Colonna di prigionieri italiani catturati dagli inglesi a Sidi el-Barrani (dicembre 1940)

Wavell e O’Connor non avevano previsto di trasformare l’attacco a Sidi el-Barrani in un’offensiva generale ma furono indotti ad avanzare ulteriormente a fronte dei successi conseguiti e dagli evidenti segni di cedimento del nemico. Oltrepassato il confine libico gli inglesi si impadronirono di Tobruk, Derna e Bengasi attestandosi agli inizi di febbraio 1941 a El Agheila, in fondo al golfo della Sirte. L’operazione Compass evidenziò tutte i limiti e le carenze della macchina militare italiana, del tutto impreparata ad affrontare un conflitto come quello in cui Mussolini aveva fatto precipitare il Paese. Oltre all’intera Cirenaica, gli italiani persero 130 mila prigionieri, 845 cannoni e 380 carri armati. La 10ª Armata era stata annientata. Dal canto loro gli inglesi ebbero soltanto 500 morti e 1.373 feriti.

Mappa riepilogativa dell’avanzata britannica durante l’operazione Compass.

La pessima prova offerta dalle nostre armi in terra africana costrinse per una volta Mussolini ad aprire gli occhi e ad accettare, sia pure a malincuore, l’aiuto di Hitler. Il Fuhrer inviò pertanto in Libia la 5ª Divisione Leggera e e la 15. Panzer-Division , raggruppate in quello che diventerà il leggendario Afrikakorps, affidato al non ancora cinquantenne tenente generale Erwin Rommel, una vecchia conoscenza degli italiani contro i quali si era battuto durante la Grande Guerra quando, nel 1917, appena ventiseienne, col grado di tenente aveva preso parte allo sfondamento di Caporetto al comando di una compagnia di truppe da montagna del Württemberg, guadagnandosi l’ordine Pour le Merite, la più alta onorificenza militare tedesca. Dopo essersi distinto nel corso della campagna di Francia, nel febbraio 1941 Rommel fu inviato in Libia. Qui poté dare prova delle sue abilità di “comandante d’assalto” conquistando grande fama oltre che l’appellativo con cui è tuttora ricordato, quello di “Volpe del deserto”.

Il Feldmaresciallo Erwin Rommel (1891-1944) comandante del Deutsches Afrikakorps in Libia.

Come previsto l’arrivo dei tedeschi contribuì a mutare le sorti della guerra in Africa a favore delle forze dell’Asse: alla fine di marzo Rommel diede inizio alla sua controffensiva. i comandi britannici vennero colti completamente alla sprovvista in quanto non si attendevano attacchi da parte del nemico. Inoltre le forze a disposizione di Wavell erano notevolmente indebolite anche a causa della decisione di Churchill di dare priorità alla costituzione di un corpo di spedizione per soccorrere la Grecia, in quel momento sotto attacco da parte delle forze italiane.

Mentre gli inglesi erano costretti ad una precipitosa ritirata verso l’Egitto, gli italo-tedeschi riconquistarono gran parte della Cirenaica e per la metà di aprire raggiunsero nuovamente le posizioni di frontiera a Bardia, Forte Capuzzo e passo di Halfaya anche se l’importante piazzaforte costiera di Tobruk continuava a resistere agli assalti nemici difesa dalla 9ª Divisione di Fanteria australiana. Wavell dal canto suo reagì lanciando tra il maggio e il giugno 1941 due successive offensive – Operazione Brevity e Operazione Battleaxe – nel tentativo di allentare la morsa italo-tedesca sui difensori di Tobruk ma entrambe si infransero contro le fortissime postazioni difensive predisposte da Rommel, informato per tempo dal suo servizio informazioni delle intenzioni del nemico.

Carro armato tedesco Panzerkampfwagen III in Africa del nord nel 1941.

Le vittorie dell’armata italo-tedesca ricevettero grande eco da parte della propaganda nazista ma nonostante il grande prestigio di cui godeva in patria e l’ascendente da lui esercitato su Hitler, Rommel non ottenne l’invio di rinforzi in Libia. Questo si spiega con il fatto che tutte le risorse umane e materiali a disposizione del Reich erano state stanziate per l’imminente attacco con l’Unione Sovietica che ebbe inizio il 22 giugno. Va detto inoltre che Rommel era aspramente criticato dai colleghi che consideravano troppo avventata la sua condotta di guerra. Anche i rapporti con i generali italiani in Libia – dapprima Italo Gariboldi e poi Ettore Bastico – furono sempre difficili per non dire pessimi.

Si giunse così all’autunno del 1941. Gli italo tedeschi continuavano ad assediare Tobruk, all’interno della quale resistevano i soldati australiani della 9ª Divisione. Dopo due tentativi falliti di rompere il blocco alla città il 26 giugno 1941 il Primo Ministro britannico Winston Churchill decise di esautorare il generale Wavell e di sostituirlo con il comandante delle forze inglesi in India, Sir Claude Auchinleck.

Fanti della 9ª Divisione di fanteria australiana a Tobruk durante l’assedio delle forze italo-tedesche nel 1941.

Le forze britanniche in Egitto vennero inoltre rafforzate con la creazione, il 26 settembre 1941, dell’8ª Armata, posta agli ordini del generale Alan Cunningham, fresco vincitore della campagna dell’Africa Orientale, che aveva posto fine all’effimero Impero italiano proclamato da Mussolini soltanto cinque anni prima.

Churchill avrebbe voluto attaccare già alla fine dell’estate ma Auchinleck convinse il Premier ad aspettare ancora qualche mese, necessario a organizzare con cura l’offensiva. Nello stesso periodo Rommel doveva vedersela con l’ostinata resistenza della guarnigione di Tobruk a cui si aggiungeva la sempre maggiori difficoltà di approvvigionamento causata dall’allungamento delle linee di rifornimento. Così il 18 novembre 1941 i britannici diedero il via alla loro offensiva, nome in codice Operazione Crusader. Si trattò della più grande offensiva mai lanciata dai comandi britannici che vi impegnarono circa 118.mila soldati divisi in due corpi d’armata (il XXX e il XIII), con oltre 700 carri armati di prima linea e circa 600 aerei moderni.

Piloti del No.80 Squadron della RAF posano vicino ad un Hawker Hurricane Mark I. Lo squadrone partecipò attivamente all’operazione Crusader con azioni di supporto alle forze di terra e anti-carro.

Inizialmente i carri del XXX Corpo britannico si addentrarono nel deserto favoriti dal cattivo tempo che impediva all’aviazione italo-tedesca di valutare l’esatta disposizione delle forze nemiche. Rommel inizialmente ignorò i rapporti dell’intelligence che avvertivano di un imminente attacco inglese.

Pertanto il generale William Gott, comandante della 7ª Divisione Corazzata, non trovando resistenza, decise di frazionare le sue tre brigate per cercare di individuare il nemico. Mentre la 7ª Brigata riuscì ad avanzare fin quasi a Tobruk, conquistando l’aeroporto di Sidi Rezegh, alle altre due andò decisamente peggio: la 22ª finì per andare a sbattere contro le posizioni tenute dagli italiani, venendo duramente respinta dalla Divisione “Ariete” e dall’8º Reggimento Bersaglieri. La 4ª invece si imbatté nelle unità della 15ª Panzer-Division, perdendo diversi carri. Intanto a Sollum le forze del XIII Corpo britannico si preparavano ad accerchiare la 55ª Divisione di fanteria italiana “Savona”. Soltanto il 20 Rommel capì che era in corso una vasta offensiva e si ridestò improvvisamente dal suo letargo. Dopo tre giorni di combattimenti i carri di Rommel ebbero la meglio sui corazzati inglesi e li costrinsero a evacuare Sidi Rezegh. Il comandante dell’VIII Armata, Cunningham manifestò l’intenzione di ritirarsi venendo per tutta risposta esonerato da Auchinleck e sostituito con il generale Neil Ritchie. Auchinleck era infatti deciso a insistere contando sul supporto dei bombardieri navali della Royal Navy e degli apparecchi della RAF.

Soldati italiani della Divisione corazzata “Ariete” in Cirenaica durante l’operazione Crusader.

Mentre gli italo-tedeschi disperdevano le loro forze nel deserto, i britannici ebbero il tempo per riorganizzare le loro unità corazzate, recuperare molti mezzi fuori uso e far avanzare le cospicue riserve disponibili; inoltre la 2ª Divisione neozelandese, avanzando lungo la strada costiera, il 27 novembre raggiunse la zona di Tobruk e si ricongiunse con la guarnigione britannica della piazzaforte che era a sua volta passata all’attacco. L’Afrikakorps fu ancora in grado entro il 2 dicembre di contrattaccare e battere i neozelandesi a Sidi Rezegh bloccando nuovamente la guarnigione della piazzaforte ma ormai i panzer disponibili erano ridotti a poche decine mentre le forze corazzate britanniche, riorganizzate e rinforzate, erano molto più numerose e si stavano raggruppando nella zona di Bir el Gobi per attaccare da sud. Proprio qui il 3 dicembre l’11ª Brigata venne respinta dal Gruppo Battaglioni Giovani Fascisti, unità formata dai giovanissimi volontari della Gioventù Italiana del Littorio.

Nonostante alcune vittorie tattiche, l’8 dicembre 1941 Rommel si trovò costretto a ordinare la ritirata a causa del grave indebolimento delle sue forze e della carenza di rifornimenti abbandonando al loro destino le guarnigioni italo-tedesche assediate sulla linea di confine – costrette alla resa entro la metà di gennaio del 1942 – per riposizionarsi a El Agheila dopo aver evacuato Bengasi il 25 dicembre.

Bombardmento italiano sul Porto Grande di Malta. L’isola costituì una spina nel fianco costante per i rifornimenti italiani durante l’intero corso della campagna in Nord Africa.

La Volpe era stata sconfitta ma non certo domata e di lì a poco non avrebbe tardato a riprendere l’offensiva. A favore delle forze italo-tedesche giocò senza dubbio l’apertura del fronte del Pacifico, provocata dall’attacco giapponese a Pearl Harbor il 7 dicembre 1941. La minaccia nipponica costrinse i comandi britannici a dirottare una parte delle forze inizialmente destinate al Medio Oriente verso Ceylon, la Birmania, la Malesia e Singapore. Le truppe dell’Asse invece si rafforzarono con l’arrivo in Libia, ai primi di gennaio del 1942, di 55 carri medi tedeschi e due gruppi di cannoni semoventi italiani. Rommel decise quindi di passare al contrattacco già il 21 gennaio dando ordine a due colonne dell’Afrikakorps e al corpo di manovra italiano del generale Zingales di avanzare attraverso il deserto, riconquistando rapidamente Agedabia (22 gennaio), Bengasi (29 gennaio) e Derna (3 febbraio).

L’avanzata di Rommel fu giudicata improvvida e rischiosa da Bastico e dal Comando Supremo italiano. L’opposizione ai piani di Rommel era dovuta al fatto che in quello stesso periodo il Comando Supremo italiano e il feldmaresciallo Kesselring stavano mettendo a punto la cosiddetta “operazione C3” ossia il piano per conquistare la base britannica di Malta, autentica spina nel fianco per i convogli di rifornimento italiani diretti in Libia.

Carri italiani M13/40 nel deserto libico.

Rommel dal canto suo si disinteressava dei rifornimenti e insisteva sul fatto che fosse necessario battere il ferro finché fosse stato caldo attaccando a fondo gli inglesi mentre essi apparivano deboli. Forte del pieno appoggio di Hitler – che lo promosse Generaloberst – Rommel riuscì ad imporre la propri visione strategica e, una volta ri-equipaggiate le proprie truppe, il 26 maggio 1942 ebbe inizio l’attacco italo-tedesco ad Ain el-Gazala, dov’erano attestate le truppe del Commonwealth – appoggiate da unità della “Francia Libera”- che all’inizio si rivelò fallimentare. Fermatosi e rivisti i suoi piani, il comandante tedesco schierò le sue forze meccanizzate al riparo delle batterie di cannoni anticarro ordinando poi di dare l’assalto alle posizione britanniche della linea di Gazala per aprire un varco nei campi minati.

Soldati della “Francia Libera” inquadrati nella Legione straniera all’assalto del nemico a Bir Hacheim (maggio-giugno 1941).

Entro il 6 giugno l’Afrikakorps aveva ripreso il sopravvento, mentre l’8ª Armata britannica era ormai gravemente indebolita. Il 12 e 13 giugno 1942 si combatté la battaglia decisiva tra i carri armati, nella quale i panzer tedeschi inflissero alle forze corazzate britanniche la più pesante sconfitta della loro storia. La vittoria nella battaglia di Ain el-Gazala consentì agli italo-tedeschi di investire Tobruk, la cui guarnigione si arrese la mattina del 21 giugno 1942. La conquista della piazzaforte consegnò alle forze dell’Asse 2 mila veicoli, 5 mila tonnellate di rifornimenti alimentari e 2 mila tonnellate di carburante. Tali riserve tuttavia si rivelarono insufficienti per la pianificata avanzata sull’Egitto.

La sottovalutazione dei problemi logistici da parte di Rommel unita alla mancata conquista di Malta da parte dell’Asse avrebbe finito per rivelarsi fatale nel prosieguo della campagna africana. Convinto della possibilità di poter infliggere agli inglesi una sconfitta decisiva e arrivare ad Alessandria, Rommel superò le obiezioni poste ai suoi progetti dal generale italiano Ugo Cavallero e dal Maresciallo Albert Kesselring appellandosi ancora una volta appello al Führer che non solo gli diede il suo benestare ma anzi lo premiò conferendogli il grado di Feldmaresciallo.

Soldati britannici sulla linea del fronte ad El Alamein nell’estate del 1942.

Varcato il confine le truppe dell’Asse avanzarono spedite verso oriente puntando al cuore dell’Egitto. Il 29 giugno venne occupata Marsa Matrouh e infine, nel pomeriggio del 30 giugno, dopo un’ulteriore avanzata di 150 chilometri sotto gli attacchi degli aerei britannici, le avanguardie dell’Afrikakorps arrivarono a El Alamein, situata a soli 100 km da Alessandria. Convinto che la vittoria finale fosse ormai vicina, in quegli stessi giorni Mussolini giunse in Libia, pronto a fare il suo ingresso trionfale ad Alessandria come un condottiero romano.

I piani del Duce e dello stesso Rommel vennero tuttavia frustrati dalla tenace resistenza alleata che respinse le puntate offensive delle unità corazzate dell’Asse. Nonostante tutto però gli italo-tedeschi non indietreggiarono riuscendo a tenere le posizioni conquistate. Nonostante i successi riportati Churchill riteneva che il maresciallo Auchinleck non si fosse dimostrato all’altezza della situazione e che pertanto dovesse essere sostituito. Il Premier nominò pertanto sir Harold Alexander nuovo comandante generale delle forze del Commonwealth in Africa settentrionale assegnando invece il comando dell’VIII Armata dapprima a William Gott e poi, dopo la morte di questi, all’allora semisconosciuto Bernard Law Montgomery.

Bernard Law Montgomery (1887-1976) comandante dell’VIII armata britannica dall’agosto del 1942. Dopo la vittoria ricevette il titolo di Visconte di Alamein.

Tuttavia la mancata conquista di Malta e l’allungamento eccessivo delle linee di rifornimento finirono per logorare fatalmente le forze dell’Asse. Il 30 agosto Rommel lanciò una nuova offensiva su El Alamein ma già il 3 settembre fu costretto a sospenderla per mancanza di carburante. Montgomery dal canto, consapevole di avere il tempo dalla propria parte, non inseguì il nemico in ritirata.Intanto però tramontava per sempre la possibilità per le forze dell’Asse di raggiungere Alessandria e il Canale di Suez mentre la sfiucia e lo scoramento iniziarono a impadronirsi dei soldati italiani e tedeschi. Anche Rommel ne uscì provato fisicamente e psicologicamente pertanto, chiesto e ottenuto un periodo di congedo, il 23 settembre fece ritorno in Germania lasciando il comando all’esperto generale Georg Stumme.

Churchill insistette con Montgomery affinché questi attaccasse il nemico quanto prima per agevolare la riuscita dell’imminente operazione Torch, ovvero il progetto sbarco delle truppe americane in Marocco, previsto per novembre. Il comandante dell’VIII Armata tuttavia rimase fermo nei suoi propositi fino a quando – anche grazie alla mediazione del Capo di Stato Maggiore sir Alan Brooke – non ottenne la fiducia del Premier. Montgomery era infatti deciso a logorare il nemico per poi attaccarlo a fondo soltanto quando sarebbe stato certo di disporre di una netta superiorità numerica. A settembre il contingente alleato in Egitto venne ri-equipaggiato con i nuovi carri armati Sherman di produzione statunitense.

L’artiglieria campale britannica apre il fuoco nella notte del 23 ottobre 1942 contro le linee dell’Asse a El Alamein.

Per la fine di ottobre Montgomery aveva ai suoi ordini circa 200 mila uomini appoggiati da 348 carri armati, 939 cannoni campali e 1.200 aerei di prima linea. Contro di essi le forze italo-tedesche schieravano 104 mila soldati con 547 carri armati, di cui 249 panzer tedeschi, e 571 cannoni protetti da migliaia di miglia di filo spinato e vasti campi campi minati – i cosiddetti “giardini del diavolo” – mentre l’aviazione disponeva di appena 198 aerei. Ad agosto, causa il definitivo annullamento dell’attacco a Malta erano stati trasferiti in Libia due reparti d’élite, la 185ª Divisione Paracadutisti “Folgore e la 1ª Fallschirmjäger-Brigade “Ramcke”, entrambe molto addestrate e disciplinate ma del tutto prive di artiglieria e mezzi di trasporto.

L’attacco alleato – operazione Lightfoot – ebbe inizio alle 22 del 23 ottobre 1942 con un violento bombardamento di artiglieria durato circa 20 minuti e che inflisse forti perdite alla fanteria italo-tedesca schierata nelle posizioni fortificate. A quel punto, precedute dai reparti di sminatori, le forze britanniche mossero in avanti.

Dispiegamento delle forze il 23 ottobre 1942.

Le notizie relative all’offensiva inglese costrinsero Rommel a rientrare precipitosamente in Libia giungendo sul posto il 25 ottobre, lo stesso giorno in cui il generale Stumme morì a causa di un arresto cardiaco. A nord, verso il mare, il XXX corpo d’armata britannico – 51ª Divisione scozzese, 1ª sudafricana, 9ª australiana, 2ª neozelandese e 4ª indiana- avrebbe dovuto dare l’assalto alle posizioni tenute dai fanti italiani delle divisioni “Bologna” e “Trento” e dai tedeschi della 164ª Divisione di fanteria leggera per aprire la strada ai mezzi corazzati del X Corpo. A sud invece il XIII Corpo – 44ª divisione di fanteria appoggiata dalla 7ª corazzata – avrebbe compiuto un attacco diversivo nel settore tenuto dai paracadutisti italiani della “Folgore” e dai fanti della “Pavia”.

L’offensiva britannica cominciò bene ma venne rallentata dai profondi e fitti campi minati. Dopo aver respinto i contrattacchi italo-tedeschi, il 26 ottobre gli inglesi ripresero ad avanzare ma ormai la possibilità di sfondare il fronte come previsto da Montgomery era svanita. Il comandante britannico, pertanto decise di rivedere la propria strategia: trasferita a nord la 7ª Divisione, il 28 lanciò un nuovo assalto noto come “Operazione Supercharge”.

Fanti italiani durante la battaglia di El Alamein.

Le forze di Rommel resistettero ancora per alcuni giorni infliggendo gravi perdite agli attaccanti ma ormai con l’inizio di novembre le risorse a disposizione degli italo-tedeschi erano ormai agli sgoccioli. Il 2 novembre le truppe alleate sfondarono il fronte avversario e Rommel si vide costretto a ordinare la ritirata, che però venne immediatamente bloccata dall’ordine di Hitler che impose ai soldati italo-tedeschi di resistere sino all’ultimo uomo.

La 9ª Divisione australiana, la 2ª Divisione neozelandese, la 1ª e la 10ª Divisione corazzata britanniche attaccarono ancora all’alba del 4 novembre. Le forze dell’Asse, non più in grado di opporre resistenza organizzata, iniziarono il ripiegamento. Tuttavia mentre le unità tedesche, dotate di una propria dotazione di mezzi motorizzati, riuscirono a sganciarsi, quelle italiane restarono indietro e vennero annientate come accadde alle divisioni Trento e Bologna o all’Ariete, circondata e distrutta dalla 7ª Divisione corazzata britannica.

Prigionieri italo-tedeschi catturati dalle forze del Commonwealth a El Alamein.

Nonostante la pressione delle forze corazzate e dell’aviazione alleata, alcune unità offrirono una caparbia resistenza. Celeberrimo è il caso dei paracadutisti della Folgore, che una volta esaurite le munizioni continuarono a combattere i corazzati britannici con mezzi di fortuna, quali bottiglie incendiarie e cariche di dinamite o nascondesi in buche e attaccando mine anticarro ai mezzi britannici in movimento. Gli ultimi resti della Folgore si arresero solamente il 6 novembre 1942 ricevendo l’onore delle armi da parte dei britannici.

Con il collasso del fronte di El Alamein la caduta delle forze dell’Asse in Africa era ormai solo questione di tempo. Pochi giorni dopo, l’8 novembre le forze americane sbarcarono in Marocco e Algeria, prendendo tra due fuochi gli italo-tedeschi. Il 23 gennaio 1943 i britannici entrarono a Tripoli “bel suol d’amore” e nella prima metà del maggio successivo gli ultimi reparti italiani e tedeschi riparati in Tunisia furono costretti a issare bandiera bianca. Chiusa la campagna nordafricana gli anglo-americani erano finalmente liberi di fare inizio all’assalto alla “Fortezza Europa” attraverso uno sbarco in Italia, il “ventre molle” dell’Asse.

Soldati americani sbarcano nei dintorni di Algeri durante l’Operazione Torch (novembre 1942).

Cosa resta, oggi, del ricordo di Alamein? Ormai a ottant’anni di distanza dai fatti la memoria diretta, di coloro che presero parte ai combattimenti, è quasi del tutto spenta. Molti dei reduci infatti sono da tempo scomparsi. Tuttavia possiamo affermare che il ricordo, mitizzato, di El Alamein sopravviva nella memoria collettiva del popolo italiano. Ciò è dovuto con la singolare tendenza da parte nostra a celebrare ugualmente il valore delle nostre truppe anche nei casi in cui le nostre truppe abbiano dovuto soccombere di fronte alla potenza avversaria. Questo atteggiamento si spiega innanzitutto con il fatto che, a ben guardare, la storia militare nostrana è fatta più da sconfitte che da vittorie.

La lapide con la celebre frase di Paolo Caccia Dominioni situata ai margini della strada litoranea al km 111 da Alessandria d’Egitto posta a ricordo delle migliaia di caduti italiani della battaglia di Alamein.

Tuttavia nel caso della battaglia di El Alamein e più in generale di tutta la seconda guerra mondiale la tendenza a eroicizzare il comportamento dei nostri soldati – fossero essi in Africa come in Russia o in Grecia – ha assunto quasi un valore auto-assolutorio nei confronti del passato. Non bisogna dimenticare che all’indomani della fine del conflitto l’Italia è pur sempre una nazione sconfitta a cui evidentemente non è bastato il repentino cambio di fronte effettuato dopo l’8 settembre 1943 per far dimenticare tre anni di guerra combattuta dalla parte “sbagliata” come alleata della Germania hitleriana. Quest’operazione ha consentito una volta di più di glissare sulla vergognosa pagina dei crimini commessi dalle nostre forze armate tra il 1940 e il 1943. La Storia non andrebbe fatta con i se ma non possiamo non domandarsi cosa sarebbe potuto accadere qualora i nostri soldati fossero riusciti – assieme ai tedeschi non dimentichiamolo – a conquistare l’Egitto. Non possiamo escludere che avremmo finito per divenire complici della deportazione della comunità ebraica alessandrina che avrebbe condiviso il tragico destino delle comunità di Rodi e Salonicco, sterminate nei lager dell’Europa orientale.

È altrettanto vero però che per quanto riguarda i singoli soldati italiani molti di essi probabilmente non sapeva esattamente perchè si trovasse in Libia se non per conseguenza di aver dovuto rispondere alla chiamata alle armi. Quindi pur con tutti questi distinguo è giusto ricordare il valore e l’audacia di quanti furono gettati nella fornace del fronte nordafricano dalle scelte velleitarie e sconsiderate di Mussolini del regime fascista. Pur in uno stato di grave inferiori di mezzi dovuta alle clamorose – e criminali – mancanze dell’apparato industriale quei soldati seppero resistere ad un nemico soverchiante spesso fino al sacrificio della vita dimostrando al mondo che il valore individuale e collettivo delle armi italiane.

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