La storia di oggi ha per protagonista una donna. Di più: parliamo di una figura femminile straordinaria di imprenditrice e finanziera che non solo seppe farsi strada nel tormentato orizzonte euro-mediterraneo del XVI secolo tra due mondi e tre culture giungendo a trattare direttamente con Papi e sovrani spendendosi in difesa dei suoi correligionari perseguitati.

La nostra protagonista infatti era ebrea e come spesso capitava allora agli ebrei nel corso della sua vita ebbe diversi nomi. Alla nascita le fu imposto quello cristiano di Beatriz de Luna ma per i suoi famigliari fu sempre Gracia, traduzione spagnola del nome ebraico Anna. Tra i correligionari invece divenne nota semplicemente come A Senhora”, la Signora. Quanto al suo cognome, “Nāśī’”, nell’ebraico biblico significa letteralmente “Principe” – “Presidente in ebraico moderno- e ancora oggi è il titolo spettante al Capo di Stato in Israele. Come si può facilmente intuire, quindi, tra gli Ebrei della Diaspora chi portava un simile cognome godeva di grande prestigio all’interno della propria comunità.
Quella di Donna Gracia era una delle numerose famiglie ebree sefardite – da Sefarad, nome ebraico della penisola iberica nel Medioevo – che per secoli poté prosperare durante la dominazione moresca su al-Andalus, potendo contare sulla relativa tolleranza delle autorità islamiche nei loro confronti. Tuttavia il Medioevo spagnolo è segnato anche dalla cosiddetta “Reconquista” vale a dire quell’inesorabile processo di espansione dei regni cristiani iberici che nel corso dei secoli condusse alla progressiva estinzione del dominio arabo sulla Spagna. Mentre la Reconquista volgeva al termine, l’aperta ostilità contro gli ebrei nella Spagna cristiana divenne sempre più pronunciata, trovando espressione in brutali episodi di violenza e oppressione.

Una volta sottomessa nel 1492 anche Granada, ultimo baluardo musulmano in terra iberica, i “Re Cattolici” Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona erano fermamente decisi a uniformare i loro domini dal punto di vista religioso: ora che la Spagna era di nuovo un Paese cristiano in essa non poteva più esservi posto per eretici e miscredenti. Dopo avere promosso nel 1478 la creazione della famigerata Inquisizione spagnola – la cui direzione fu affidata al domenicano Tomas de Torquemada – allo scopo di vigilare sull’osservanza dell’ortodossia da parte dei sudditi cristiani, Ferdinando e Isabella rivolsero la loro attenzione ai sudditi ebrei, i quali, in seguito alla pubblicazione del Decreto dell’Alhambra del 31 marzo 1492 si trovarono costretti a scegliere tra la conversione o l’esilio. Una parte degli ebrei spagnoli pur di restare si rassegnò ad accettare il battesimo. Battezzandosi infatti smettevano ufficialmente di essere ebrei e quindi il decreto non li riguardava più.

Tuttavia la vita di questi convertiti fu tutt’altro che facile. Etichettati con disprezzo con l’appellativo di “marrani”, finirono ben presto nel mirino dell’Inquisizione, che riteneva la conversione di questi “cristianos nuevos” soltanto di facciata e dettata tutt’al più da motivi utilitaristici. Quanti invece decisero di lasciare per sempre la propria terra – si calcola che gli esiliati furono circa 100 mila – ebbero tre mesi di tempo per liquidare le rispettive proprietà e andarsene con le famiglie. Potevano portare con sé solo quello che riuscivano a caricare sui carri ma non l’oro e nessun oggetto di valore.

Emilio Sala y Francés (1889).
Tra le famiglie che scelsero di emigrare forzatamente vi fu anche quella dei Nasi, che si trasferì a Lisbona, nell’almeno per quel momento più tollerante Regno del Portogallo. E fu così che proprio a Lisbona Gracia venne al mondo il 20 giugno del 1510. Tuttavia, già pochi anni prima della nascita di Gracia la condizione degli ebrei iniziò a peggiorare anche in Portogallo: in seguito al suo matrimonio con la principessa Isabella di Trastamara, figlia dei Re Cattolici, il sovrano lusitano Manuel I d’Aviz decise di allinearsi alla politica anti-ebraica dei suoceri ordinando ai sudditi ebrei di convertirsi o di lasciare il Paese. A questo punto la famiglia Nasi decise di convertirsi ufficialmente al cristianesimo mutando il proprio cognome ebraico in quello cristiano De Luna.
La conversione dei Nasi era tuttavia soltanto di facciata in quanto essi continuarono a praticare segretamente il giudaismo. Pur essendo stata battezzata alla nascita con il nome cristiano di Beatriz, la nostra protagonista fu chiamata familiarmente Gracia, traduzione spagnola del nome ebraico Anna. In effetti, pur essendosi ufficialmente convertiti al cattolicesimo, i de Luna e numerose altre famiglie della comunità ebraica continuavano a praticare segretamente il giudaismo. Ovviamente la vita per questi “cripto-ebrei”, non era affatto semplice in quanto costantemente a rischio di finire sotto processo presso il tribunale dell’Inquisizione con l’accusa di falsa conversione o di apostasia magari a seguito di una denuncia anonima presentata dagli stessi vicini di casa.

Nel 1528, a diciotto anni contrasse matrimonio con lo zio materno, il ricchissimo mercante di spezie anch’egli ebreo convertito, Don Francisco Mendes – fratello di sua madre – con una cerimonia pubblica cattolica preceduta da una – segretissima – con rito giudaico e con la stipulazione della ketubah – l’accordo nuziale ebraico – che ne fissava anche la dote. L’alto tasso di endogamia di queste nozze non deve stupire: all’epoca infatti erano comuni i matrimoni fra cugini primi o fra zio e nipote – non solo all’interno della comunità ebraica – aventi lo scopo di tenere unito il patrimonio famigliare per non doverlo disperdere attraverso le doti delle figlie. A conferma di quanto affermato il fratello di Francisco, Diogo, sposerà la sorella minore di Gracia, Brianda.
Francisco si spense pochi anni dopo le nozze, nel 1535, lasciando Gracia vedova all’età di appena venticinque anni con una figlia ancora bambina, Anna, detta anche Reina. Tuttavia intuendo le eccezionali doti intellettuali della consorte, morendo Francisco le aveva eccezionalmente affidato per testamento la conduzione della ditta di famiglia assieme al cognato Diogo.

Il 23 maggio 1536 infatti Papa Paolo III diede il suo assenso alla creazione dell’Inquisizione portoghese, tribunale religioso analogo alla famigerata Inquisizione spagnola e istituito per dare la caccia a eretici e marrani, ovvero gli ebrei battezzati sospettati di continuare a praticare segretamente la fede ebraica. Per sfuggire alle persecuzioni Donna Grazia decise di fuggire ad Anversa, dove Diogo gestiva un’importante filiale dell’azienda – riuscendo pur tra notevoli difficoltà a portare con sé tutto il suo ingente patrimonio, salvandolo così dai tentativi delle autorità portoghesi di impadronirsene.
Cinque anni dopo il trasferimento ad Anversa anche Diogo morì lasciando i suoi beni alla vedova Brianda e alla cognata Gracia/Beatriz, nominata amministratrice unica dell’azienda commerciale di famiglia. Quest’ultima creò un’organizzazione per proteggere i suoi correligionari che si trovavano in difficoltà a causa dei vari editti contro gli ebrei. Furono migliaia i cripto-ebrei spagnoli e portoghesi da lei aiutati a fuggire dalla Penisola Iberica a bordo delle navi che trasportavano spezie verso Venezia e da lì nell’Impero Ottomano. La banca Mendes-de Luna si occupava anche di trasferire i beni di questi fuggitivi che altrimenti sarebbero stati sequestrati delle autorità dei due paesi iberici.

Nel tentativo di sottrarre la figlia ad un matrimonio con un aristocratico cristiano, che mirava soltanto a impadronirsi del ricco patrimonio di famiglia, donna Gracia, sua sorella Brianda e le loro figlie dovettero lasciare Anversa per Venezia e da lì nella Ferrara di Ercole II d’Este, principe estremamente tollerante in campo religioso per di più sposato con una protestante, Renata di Francia. Nella capitale estense la famiglia poté esercitare pubblicamente la propria religione frequentando la locale sinagoga. Gracia divenne rapidamente uno dei personaggi più in vista della comunità ebraica cittadina. Arrivò persino a sovvenzionare la pubblicazione della Tanàkh – la Bibbia ebraica – in spagnolo in due edizioni, di cui una venne dedicata al Duca Ercole, grande protettore degli ebrei ferraresi. Tuttavia tre anni dopo Ercole II cedette alle pressioni del Papa e dovette consentire all’Inquisizione di operare nei suoi possedimenti mentre la duchessa Renata finì con l’abiurare pubblicamente la fede riformata per abbracciare quella cattolica. Questi fatti spinsero Gracia Nasi trasferirsi definitivamente assieme a sua figlia a Costantinopoli, dove gli ebrei potevano liberamente prosperare, protetti personalmente dal sultano Solimano il Magnifico.

Brianda – ormai in rotta con la sorella riguardo alla gestione degli affari di famiglia – e sua figlia, omonima della zia, si spostarono da Ferrara nuovamente a Venezia. Durante il loro precedente soggiorno nella città lagunare Gracia, citata in giudizio dalla sorella Brianda, era stata costretta dal tribunale a depositare presso il tesoro veneziano la metà del patrimonio famigliare. In base agli accordi col governo della Serenissima, questa somma sarebbe entrata nella disponibilità della giovane Beatriz – figlia di Brianda – al compimento del quindicesimo anno di età. Era chiaro quindi che la ragazza si presentava come un ottimo partito agli occhi di più di un rampollo della nobiltà veneziana. A rovinare i piani dei giovani patrizi veneziani tuttavia pensò il nipote di Doña Gracia, Don Giuseppe Nasi, alias João Miquez, il quale – senza dubbio con il benevolo consenso dell zia – rapì la cugina da Venezia per condurla a Ravenna dove i due si sposarono. Fu allora che Giuseppe Nasi venne bandito a vita da Venezia sotto pena della testa.

Doña Gracia Nasi era ormai così potente da poter trattare direttamente con Papi e sovrani. Intervenne più volte presso il Pontefice per alleggerire la condizione in cui si trovavano gli ebrei romani e pagò un ingente riscatto al viceré spagnolo di Napoli, Pedro de Toledo, affinché un migliaio di ebrei “conversos”, bloccati dall’Inquisizione e messi sotto accusa quali falsi cristiani, avessero la possibilità trasferirsi indisturbati in territorio ottomano. Nel 1556, subito dopo il suo arrivo a Costantinopoli, un gruppo di ebrei anconetani convertitisi precedentemente al cristianesimo vennero bruciati sul rogo con l’accusa di continuare a praticare segretamente la fede degli antenati per ordine di Papa Pio V. In risposta, Doña Gracia organizzò un embargo commerciale del porto di Ancona. Ormai conosciuta ormai da tutti come la Señora, fondò una casa editrice dedita alla pubblicazione di libri di contenuto ebraico. Inoltre promosse e finanziò la costruzione di numerose sinagoghe. Una di queste, chiamata in suo onore “La Senora”, è rimasta attiva fino ai primi anni del Novecento. Morì a Costantinopoli nel 1569, a cinquantanove anni, circondata dall’affetto della comunità israelitica.
Anche Giuseppe Nasi, erede delle fortune dei ricchi mercanti e banchieri Mendes, si trasferì a Costantinopoli dopo aver risieduto nelle Fiandre e in Italia. Per i suoi servigi come diplomatico Solimano il Magnifico lo nominò Signore di Tiberiade, con l’obiettivo esplicito di re insediare gli ebrei e incoraggiare i commerci. Il figlio e successore di Solimano, Selim II, gli diede il titolo di duca di Nasso e delle Sette Isole. Nasi sfruttò inoltre i suoi contatti tra gli ebrei di Cipro per interferire attivamente nel conflitto diplomatico tra Venezia ed Costantinopoli che sarebbe maturato nella Guerra di Cipro, conclusasi con l’occupazione turca dell’isola. I veneziani svilupparono una vera e propria psicosi nei confronti del Nasi. Fu proprio questa paranoia a enfatizzare quelle che, seppur notevoli, erano in realtà le reali capacità di azione di Giuseppe. Tuttavia dopo la vittoria cristiana nella battaglia di Lepanto Giuseppe venne progressivamente messo da parte, vivendo i suoi ultimi anni ricco ma politicamente ininfluente. Morì nel 1579 a cinquantacinque anni.