Martin Bormann, il mastino di Hitler

Nato il 17 Giugno 1900, l’uomo che sarebbe diventato il portavoce unico di Hitler e “fuhrer ufficioso” del Reich, non ebbe un’infanzia particolarmente facile. Venne al mondo in una famiglia e una situazione assai complicate – il padre, un ufficiale postale di nome Theodor Bormann, morì quando Martin aveva appena tre anni; e la madre, una donna dal carattere debole e insicuro, sposò in seconde nozze il cognato. Lo zio e padre adottivo si dimostrò un genitore anaffettivo e capace di educare solo con la cinghia, e si scontrò spesso con Martin – il quale, nonostante lo disprezzasse con tutto se’ stesso, nell’età adulta sviluppò un carattere quasi identico.

Martin Ludwig Bormann (1900-1945) “Eminenza marrone” di Hitler.

Ragazzo tarchiato e dal collo taurino, Martin non eccelse negli studi e spesso marinava la scuola per andare a giocare nei campi, correre dietro alle anatre ed estorcere caramelle e pfenning ai compagni più piccoli e indifesi. Le sue insicurezze, dovute agli abusi ricevuti in casa sotto il silenzio complice della madre, diedero forma a quello che fu essenzialmente un bullo, da ragazzo come da adulto. Allo scoppiare della Prima Guerra Mondiale il giovane Martin si arruolò nella fanteria, ma non vide mai il fronte, cosa che lo accomunò al suo coetaneo e storico rivale, poi amico, poi ancora rivale, Heinrich Himmler.

Congedato e senza né arte né parte, Martin si unì allora ai vari Freikorps (corpi franchi) che imperversavano nella turbolenta Repubblica di Weimar, dove il fisico taurino e una mente acuta gli valsero una buona fama sia come picchiatore, sia come coordinatore e organizzatore. Scontò un anno di prigione per omicidio, e nel 1927 si unì al crescente partito nazista. Anche qui riuscì a farsi riconoscere per le sue doti amministrative, e scalò rapidamente la gerarchia – nel 1928 fu nominato deputato Gauleiter – leader di un Gau, zona geografica amministrativa del partito – e nel 1930 fondò la “Cassa di assistenza” per i picchiatori e gli ufficiali del partito, raccogliendo quote di dieci Reichsmarks mensili dai membri e beneficiandone direttamente. Impiegato anche nelle cosiddette “squadre d’assalto” – le SA – e nelle altre varie organizzazione paramilitari naziste, il giovane Martin colse l’occhio del Fuhrer stesso e del suo vice, Rudolf Hess, che lo nominò suo segretario personale.

Bormann (primo da destra) in divisa ad un raduno del partito nazista a Norimberga nel 1938.

Tutti questi fattori fecero sì che quando i nazisti presero il potere nel 1933, l’allora trentaduenne Bormann fosse già un uomo facoltoso e importante. La madre, che si era sempre tenuta in disparte da lui, vedendone il successo cominciò a scrivergli lettere in cui un po’ lo elogiava, un po’ giustificava le botte che egli aveva ricevuto dal patrigno, un po’ gli chiedeva soldi dato che alla morte di quest’ultimo ella era caduta in miseria. Per tutta risposta, Bormann cestinò tutte le sue lettere e la ripudiò completamente. Sempre nel 1933 Bormann fu promosso alla più alta carica del partito – Reichsleiter, leader nazionale – e messo a capo della Cancelleria del Reich. Questo ufficio, di natura prettamente burocratica, divenne la nuova rampa di lancio per il suo potere personale e presto divenne uno dei punti nevralgici della politica nazista.

Rudolf Hess, vice di Hitler. Dopo il suo volo in Scozia nel 1941, Bormann lo sostituì come Capo della Cancelleria del Partito e segretario del Führer.

In questa posizione Bormann aveva accesso diretto a Hitler e questo fattore fece sì che la sua carriera raggiungesse nuove vette – nel 1935 il Fuhrer lo nominò responsabile dell’Obersalzberg, la sua tenuta privata sulla Alpi bavaresi, e Bormann fece di tutto per impressionarlo. Una domenica Hitler si lamentò che una casa che sorgeva su una collina poco distante guastava la vista della Alpi – la domenica seguente la casa (con annessi proprietari) era sparita e la collina era tornata al suo stato naturale – era come se non ci fosse mai stata. Bormann dirigeva le operazioni con pugno di ferro – bastava un errore da parte di una cameriera per far scattare una sfuriata e persino il licenziamento.

A casa non si comportava in modo tanto diverso, ma forse memore della sua infanzia infelice, faceva del suo meglio per stemperare il suo brutto carattere e quand’era di buon umore sapeva essere un marito e un padre esemplare – “Bambini miei” diceva ai suoi figli, avendone ben dieci – “chi è la nostra regina, quella che si prende sempre cura di noi, a cui dobbiamo tutto? Esatto, la vostra mamma. Amatela e rispettatela sempre, specialmente quando non ci sono!”. La moglie, una bella ragazza bionda di nome Gerda, adorava i figli quanto il marito. Una nazionalsocialista convinta, non si scomponeva minimamente alle scappatelle extraconiugali del marito quando egli era Berlino: “Tu sei un uomo e hai bisogno sempre di una donna al tuo fianco” gli scriveva “e specialmente uomini come te meritano di averne anche più di una.” “Grazie, mia carissima” rispondeva il marito “che comprendi e sopporti questo pazzo pazzo marito che ti ritrovi!”.

Gerda Buch con alcuni dei figli avuti da Bormann.

Uno dei temi che tanto stava a cuore a Bormann, e che fece nascere un’intesa con il Reichsfuhrer delle SS Himmler, era il loro comune avversare la monogamia in favore della poligamia. La Germania aveva bisogno di figli, specialmente con la guerra in vista, e quindi “uomini di stirpe” come loro avevano il “dovere morale” di fornirne quanti più possibile, con l’aiuto di più compagne. Il sodalizio con Himmler, che nei primi tempi lo aveva osteggiato, si solidificò ulteriormente quando quest’ultimo si recò da Bormann chiedendogli un prestito dalla Cassa del Partito per poter accendere un mutuo su una casa in cui intendeva sistemare la sua amante e i figli avuta da essa. Himmler nonostante tutti i suoi difetti campava su un modesto salario e non aveva approfittato della sua carica per arricchirsi – Bormann fu ben felice di concedere il prestito e Himmler lo ricompensò con un’agognata promozione a Obergruppenfuhrer (Generale) delle SS, assieme al diritto di portare decorazioni riservate ai veterani dell’organizzazione.

Bormann (secondo da sinistra) con Hitler, Göring e il capo della Hitlerjugend 
Baldur von Schirach all’Obersalzberg, 1936.

Il rapporto fra i due cominciò a incrinarsi nel 1944, quando la casa che Himmler stava ancora pagando venne distrutta da un bombardamento e Bormann cominciò a manipolare e isolare Hitler. Infatti a partire dal 1943, fino alla fine della guerra, Bormann raggiunse l’apice della sua carriera – nominato segretario personale di Hitler, era l’unica persona che trasmetteva e riceveva messaggi per conto del Fuhrer, rendendolo di fatto uno degli uomini più potenti del Terzo Reich. Inimicarsi Bormann significava perdere l’accesso diretto al Fuhrer, e gli altri gerarchi dovevano stare bene attenti a non fargli saltar la mosca al naso – persino Himmler e Goering, considerati gli intoccabili numeri due del Reich. Alleati e rivali cominciarono ad apostrofarlo come “l’Eminenza Bruna” del Reich – facendo riferimento al titolo di Eminenza Grigia del cardinale Richelieu – ma rigorosamente mai in sua presenza.

Gli imputati di Norimberga alla sbarra. In prima fila, da sinistra: Göring, Hess, von Ribbentrop e Keitel. In seconda fila, da sinistra: Dönitz, Raeder, Schirach e Sauckel. Anche Bormann venne processato e condannato in contumacia.

Bormann era ben conscio della disastrata situazione militare tedesca, eppure fu uno di coloro che preferì far finta di niente e continuare a nutrire le vane speranze di Hitler – e come il suo capo, una volta chiaro che la guerra sarebbe stata persa, cominciò a rifugiarsi nell’irrealtà – invece di dedicarsi a strategie concrete, passava le giornate cavillando sul tipo di carta da usare per le missive ufficiali, sulle tonalità brune delle divise dei funzionari politici e sulle misure delle tende della Cancelleria. Un’altra attività di Bormann era quella di prendere appunti su tutto ciò che il Fuhrer diceva – considerazioni personali, commenti, i suoi lunghi monologhi durante i pasti – trascrisse centinaia di queste conversazioni con l’intenzione di farci un libro – se oggi siamo a conoscenza di molti di questi colloqui privati di Hitler, è grazie agli appunti del suo segretario.

Adolf Martin (1930-2013), figlio primogenito di Bormann. Dopo la guerra divenne sacerdote cattolico e teologo rinnegando le idee paterne.

Il 30 Aprile 1945, poco prima di uccidersi Hitler lo nominò suo esecutore testamentario. Dopo il suicidio del Fuhrer, Bormann scomparve nel nulla. Fu uno dei grandi assenti al processo di Norimberga, assieme al suo Fuhrer, a Himmler e a Goebbels – dato che gli Alleati sospettavano si fosse rifugiato in Sud America, Bormann fu comunque processato in contumacia e condannato a morte per crimini contro l’umanità.

Gli Alleati e anche il “cacciatore di nazisti” Simon Wiesenthal lo cercarono invano per anni, per poi scoprire nel 1972 che il segretario di Hitler non aveva mai lasciato Berlino – i suoi resti furono rinvenuti durante gli scavi per una nuova stazione della metropolitana – le analisi rivelarono che aveva inghiottito del cianuro e il suo corpo era finito sotto le macerie causate da un’esplosione. I figli ormai adulti non si rivelarono sorpresi al riguardo, in quanto se Bormann fosse stato vivo avrebbe quantomeno cercato di entrare in contatto con loro. La moglie Gerda invece era morta di cancro nel 1946 a Merano, a soli trentacinque anni.

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