L’Iran dello Shah

Negli ultimi mesi l’Iran è stato al centro dell’attenzione internazionale a causa delle imponenti dimostrazioni popolari di protesta contro la repressione operata dal governo della Repubblica Islamica, nata nel 1979. Il pubblico occidentale è talmente abituato ad associare l’Iran con il regime degli ayatollah da ignorare generalmente come esso sia invece una delle nazioni più antiche del mondo, erede di una storia e di una civiltà millenaria che affonda le sue radici nei secoli più remoti.

Una mappa dell’Iran sotto la dinastia Qajar nel XIX secolo

Oggi in particolare vogliamo concentrarci su un periodo relativamente breve della storia persiana, tra il 1925 e la vigilia della rivoluzione khomeinista, decenni fondamentali nella formazione dell’Iran come lo conosciamo oggi, durante i quali il Paese venne governato dall’ultima delle dinastie imperiali succedutesi sul trono persiano, quella dei Pahlavi, ossia Reza Shah e suo figlio Mohammad Reza.

Per comprendere le cause che determinarono l’ascesa dei Pahlavi dobbiamo innanzitutto capire cosa fosse la Persia oltre cento anni fa, agli esordi del XX secolo. Allora lo stato persiano era retto dalla dinasta Qajar, al potere dal 1795, che governava in maniera dispotica. In quegli stessi anni, a partire dalla cosiddetta Rivolta del tabacco del 1891, la Persia conobbe i suoi primi “moti costituzionali” che culminarono nella Rivoluzione costituzionale del 1906 nel corso della quale la borghesia dei bazar, l’intellighenzia urbana e il clero sciita più illuminato si allearono per strappare allo Shah – l’Imperatore – il riconoscimento di un parlamento – Majles – e di più ampie libertà politiche.

Riunione del Parlamento iraniano nel 1906.

Il Parlamento si oppose più volte alla politica di arrendevolezza della Corona nei confronti degli interessi delle potenze occidentali, in particolare Gran Bretagna e Russia. Queste ultime, pur impegnandosi a rispettarne l’indipendenza, in seguito all’accordo siglato nel 1907 si spartirono la Persia in sfere di influenza. Ad alimentare l’interesse dei britannici per l’Iran contribuì la scoperta, avvenuta nel 1908, di importanti giacimenti petroliferi per il cui sfruttamento venne fondata la Anglo-Persian Oil Company, che presto assunse il totale controllo delle concessioni.

La subalternità della Persia venne confermata di lì a qualche anno, nel 1914. Pur essendo formalmente neutrale il Paese venne coinvolto nelle operazioni militari durante la prima guerra mondiale data la sua posizione strategica tra l’Impero ottomano e l’India britannica. Poi a partire dal, 1917, in seguito allo scoppio della Rivoluzione Russa, l’intellighenzia persiana venne a contatto con le idee bolsceviche e in molte città nacquero movimenti e partiti di ispirazione marxista. Nel 1920 i sovietici sbarcarono a Bandar Azali, sul Caspio, all’inseguimento dei russi bianchi in fuga. Fu quindi proclamata la Repubblica Socialista del Gilan ed anche la Provincia dell’Azerbaijan proclamò la sua indipendenza.

Brigata cosacca persiana a Tabriz nel 1909.

La svolta giunse nel febbraio del 1921 quando un ufficiale risoluto marciò sulla capitale alla testa di alcune migliaia di soldati a lui fedeli imponendo al sovrano Ahmad Shah la nomina di un esecutivo gradito ai militari. L’autore di questo colpo di mano si chiamava Reza Khan. Classe 1878, originario della provincia settentrionale del Māzandarān e a sua volta figlio di un ufficiale dell’esercito imperiale, dal 1920 Reza era al comando della Brigata Cosacca, ossia l’unico reparto modernamente addestrato dello scalcagnato esercito persiano, creata da ufficiali russi alla fine del XIX secolo. In seguito al successo del colpo di stato Reza Khan venne nominato comandante supremo delle forze armate persiane – Sardār Sepah – nonché Ministro della Guerra, carica che mantenne anche quando, il 28 ottobre 1923, divenne Primo Ministro.

Reżā Pahlavī assiso sul Trono del Pavone con le vesti cerimoniali nel giorno della sua incoronazione.

Ma l’ambizioso ufficiale non era certo intenzionato a fermarsi. Ammiratore del leader turco Mustafà Kemal Atatürk, Reza mirava infatti ancora più in alto, alla conquista di quel potere assoluto che gli avrebbe permesso di imporre il suo modello di Stato. Ottenuto l’appoggio della maggioranza dei deputati della Majles, Reza Khan si impadronì del Trono del Pavone deponendo Ahmad Shah, ultimo sovrano della dinastia Qajar, e facendosi incoronare Shah a sua volta. Era il 12 dicembre 1925 e per la Persia aveva inizio una nuova era, quella dei Pahlavi. Le gerarchie religiose sciite sostennero la sua incoronazione anche per il timore di derive repubblicane sul modello della Turchia, dove Mustafà Kemal aveva abolito il califfato sunnita ottomano. Tuttavia il neo Imperatore non tardò a dimostrare tutto il suo disprezzo per i mullah come quando, nel 1928, fece addirittura irruzione in una moschea – a cavallo e con gli stivali infangati – per frustrare personalmente un chierico reo di avere criticato l’imperatrice Taj al-Moluk per non avere indossato il velo.

L’obbiettivo di Reza era modernizzare il suo Paese e nello stesso tempo laicizzarne i costumi. Venne pertanto proclamata la parità giuridica tra uomini e donne, proibito l’uso del velo e del turbante e imposto l’uso dei cognomi. Seguirono provvedimenti miranti a limitare il ruolo del clero sciita nella società iraniana soprattutto per quanto riguardava l’amministrazione della giustizia e l’istruzione. Lo Shah bandì infatti i tribunali religiosi – sostituiti con un moderno sistema giudiziario basato su codici ispirati a quelli italiano e francese – e istituì una scuola pubblica laica e obbligatoria. Nel 1935 venne fondata l’Università di Teheran mentre per la prima volta decine di giovani iraniani – a cominciare dal figlio dello Shah, il Principe ereditario Mohammad Reza – vennero inviati a studiare all’estero, soprattutto in Europa. 

Convoglio in transito lungo la ferrovia trans-iraniana, costruita tra il 1927 e il 1938 per volere di Reza Shah.

Per quanto riguarda lo sviluppo economico, durante i sedici anni di regno di Reza Shah Pahlavi si assistette ad un primo sviluppo industriale e alla costruzione di nuove vie di comunicazione tra cui la ferrovia trans-iraniana, che andava dal Golfo Persico al Mar Caspio passando per la capitale Teheran. La modernizzazione, anche se favorì il rapido sviluppo di una classe media di professionisti e di un proletariato industriale, non diede tutti i frutti sperati. Inoltre i provvedimenti dello Shah non potevano non provocare la reazione delle gerarchie religiose sciite e dei settori più conservatori della società persiana. Le tensioni esplosero nel 1935, quando gli abitanti dei villaggi bazari insorsero nella città santa Mashhad, nei pressi del santuario Imam Reza, scandendo slogan come “Lo Shah è un nuovo Yazid” paragonando Reza Pahlavi al Califfo omayyade Yazid I, ricordato con odio dai musulmani sciiti in quanto considerato colpevole dell’uccisione dell’Imam al-Husayn b. ʿAlī durante la battaglia di Kerbelāʾ. La reazione governativa non si fece attendere: l’esercito aprì il fuoco sui dimostranti provocando decine di morti e centinaia di feriti.

Lo Shah di Persia – in uniforme – fotografato assieme al leader turco Mustafà Kemal Atatürk durante la sua visita di stato ad Ankara nel 1934.

Il governo di Reza Pahlavi in effetti si rivelò a più riprese autoritario e repressivo. Lo Shah soppresse le fazioni politiche che considerava una minaccia alla sua autorità, vietò la stampa indipendente limitando fortemente la libertà di espressione e proibì la creazione di partiti politici. Suoi modelli politici, oltre al già citato Kemal Atatürk, furono i due maggiori despoti europei al potere tra gli Anni Venti e Trenta, ossia Benito Mussolini e soprattutto Adolf Hitler.

A testimonianza dei legami tra il Terzo Reich e il suo regime, nel 1935 lo Shah emanò un decreto con il quale, strizzando l’occhio alla propaganda nazista, mutò ufficialmente il nome del suo Paese da Persia a Iran, che significa “Paese degli Ariani”. L’amicizia con la Germania nei piani di Reza Shah avrebbe dovuto controbilanciare l’influenza che Inghilterra e Unione Sovietica – erede della Russia imperiale – esercitavano da decenni sull’Iran. Quando nel 1939 scoppiò la seconda guerra mondiale, Reza Pahlavi dichiarò ufficialmente la propria neutralità.

I carri armati sovietici della 6° divisione attraversano le strade di 
Tabriz durante l’occupazione dell’Iran nell’agosto del 1941.

Tuttavia, due anni dopo, con l’inizio dell’invasione tedesca dell’URSS – nome in codice Operazione Barbarossa – britannici e sovietici iniziarono a fare pressioni sullo Shah affinché espellesse i tecnici tedeschi residenti nel suo Paese. al rifiuto di Reza Shah, le forze anglo-sovietiche invasero l’Iran costringendo il sessantatreenne sovrano ad abdicare in favore del figlio Mohammad Reza, che all’epoca aveva solo ventidue anni. Nel gennaio del 1942, il nuovo Shah firmò un trattato di alleanza con Regno Unito ed Unione Sovietica e nel settembre del 1943 dichiarò formalmente guerra alla Germania. L’Iran aderì alla Dichiarazione delle Nazioni Unite ed entrò a pieno titolo tra le potenze Alleate. Dopo la conferenza di Teheran del novembre 1943 gli Alleati si impegnarono a fare dell’Iran monarchia costituzionale.

Mohammad Reza Pahlavi con Roosevelt alla Conferenza di Teheran del 1943.

Tuttavia, una volta terminato il secondo conflitto mondiale, allo scoppio della guerra fredda il governo britannico, deciso a garantirsi il controllo sulle ricche risorse petrolifere iraniane, preferì far finta di nulla di fronte alla progressiva involuzione del regime di Teheran in senso sempre più autoritario e dittatoriale. Un primo giro di vite fu lanciato nel 1949 dopo un fallito attentato a Mohammad Reza: il partito filo-sovietico Tudeh venne messo al bando mentre vennero ampliati i poteri costituzionali dello Shah.

Intanto però la politica apertamente filo-occidentale del monarca non faceva che accrescere l’avversione nei confronti della Anglo-Iranian Oil Company, accusata di sfruttare avidamente le risorse naturali dell’Iran, cui spettavano solo le briciole dei proventi petroliferi. In effetti nel 1947 a fronte dei 112 milioni di dollari incassati dalla compagnia britannica, soltanto 7 erano finiti nelle casse del governo di Teheran. Pertanto nel 1950 la maggioranza dei deputati della Majles si dichiararono a favore della nazionalizzazione dei giacimenti, scelta caldeggiata dai nazionalisti e dal clero sciita militante facente capo all’ayatollah Kashani, all’epoca presidente del Parlamento.

Il Primo Ministro iraniano Mohammed Mossadeq circondato dai suoi sostenitori. Convinto nazionalista, sostenne la necessità di nazionalizzare i giacimenti petroliferi persiani.

In seguito all’assassinio del Primo Ministro filo occidentale Ali Razmara per mano di un fanatico religioso, la Majles elesse al suo posto il nazionalista Mohammad Mossadeq, principale oppositore della Anglo-Iranian Oil Company, il quale avviò immediatamente il programma di nazionalizzazione. Il Regno Unito rispose molto duramente sostenendo che l’azione dell’Iran era illegale secondo il diritto internazionale e ricorse al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ed alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja, ma in entrambi i casi venne riconosciuto il diritto di Teheran a disporre liberamente delle proprie risorse. A questo punto il governo di Londra decretò il boicottaggio del greggio iraniano e intraprese un’offensiva diplomatica su larga scala per indurre i propri alleati a fare altrettanto. I britannici valutarono anche la possibilità di un intervento militare ma ne vennero dissuasi dagli Stati Uniti, che temevano un possibile intervento sovietico nella crisi.

Teheran, agosto 1953: sostenitori dello Shah festeggiano il successo del colpo di stato che ha portato alla rimozione di Mossadeq.

Washington si impegnò affinché Londra ed Teheran trovassero un accordo di compromesso per la ripresa delle esportazioni petrolifere. A causa dell’embargo infatti l’Iran si stava dibattendo in una grave crisi economica e politica e gli USA temevano che ciò aprisse la porta alla penetrazione sovietica. A preoccupare gli americani erano in particolare i rapporti sempre più stretti tra il governo di Mossadeq e i comunisti del Tudeh. Così gli USA si risolsero ad appoggiare il piano inglese per un colpo di stato che rovesciasse Mossadeq per sostituirlo con un leader maggiormente disposto ad assecondare gli interessi occidentali.

La cosiddetta “operazione Ajax” scattò il 15 agosto 1953 orchestrata dalla CIA e dall’MI6 britannico e condusse alla destituzione di Mossadeq e alla sua sostituzione con il generale Fazlollah Zahedi, fedele alleato dello Shah. L’esercito, già largamente ostile a Mossadeq, si schierò con gli insorti eliminando i pochi reparti fedeli al governo legittimo. Mossadeq fu costretto a ritirarsi a vita privata. Mohammed Reza, che al momento del golpe si trovava a Roma, rientrò in patria di lì a poco accolto trionfalmente dal suo popolo.

Lo Shah e la consorte Soraya ricevuti calorosamente dal Presidente americano Dwight Eisenhower alla Casa Bianca nel 1954.

Una volta reintegrato stabilmente alla guida dell’Iran, Mohammed Reza riprese la politica del padre che intendeva fare dell’Iran una potenza regionale. Vennero riallacciate le relazioni diplomatiche con il Regno Unito mentre cominciarono ad affluire ingenti prestiti statunitensi che furono investiti nel rafforzamento delle forze armate. Nel quadro della guerra fredda l’Iran si schierò quindi decisamente nel campo filo occidentale aderendo nel 1955 al Patto di Baghdad, alleanza che riuniva Iran,Iraq, Turchia, Pakistan e Regno Unito con lo scopo di contenere l’influenza sovietica nel Medio Oriente. Per quanto riguarda lo sfruttamento delle risorse petrolifere il governo iraniano stipulò un accordo con un consorzio internazionale di società estere – tra cui l’ENI di Mattei – che avrebbero gestito gli impianti di estrazione e lavorazione del greggio per i successivi 25 anni dividendo i profitti a metà. Tale accordo tuttavia non permetteva all’Iran di controllare i loro conti o avere membri nel loro consiglio di amministrazione.

Giovani donne iraniane di fronte alla vetrina di un negozio nella Teheran degli Anni Settanta. Il regime dello Shah favorì l’adozione di stili di vita occidentali fra la popolazione.

Parallelamente lo Shah continuò l’opera di modernizzazione iniziata dal genitore. Nel 1957 venne sospesa la legge marziale e nel 1961 vennero avviate una serie di riforme economiche, sociali, agrarie e amministrative note complessivamente come “Rivoluzione bianca”. Lo Shah mirava a rigenerare la società persiana e trasformare l’Iran in una moderna potenza industriale. Egli promosse quindi lo sviluppo di un’industria pesante controllata dallo Stato, la nazionalizzazione delle foreste, una campagna di alfabetizzazione e scolarizzazione delle popolazioni rurali, l’emancipazione femminile, lo sviluppo di un sistema sanitario nazionale ma, soprattutto, una riforma agraria mirata ad espropriare terreni detenuti in regime di manomorta dalle gerarchie religiose per redistribuirli fra i contadini.

A quel punto allo Shah mancava soltanto un erede che garantisse la continuità della dinastia Pahlavi. Mohammed Reza si era già sposato due volte, dapprima con la principessa Fawzia – sorella di Fārūq I d’Egitto – nel 1939. L’unione – da cui era nata solo una figlia femmina, Shahnaz Pahlavi – si concluse tuttavia con un divorzio nel 1948.

La cerimonia d’incoronazione di Farah Diba a Imperatrice nel 1967.

Tre anni dopo, nel 1951, lo Shah aveva preso in moglie la diciannovenne Sorāyā Esfandiyāri Bakhtiyāri, figlia dell’ambasciatore iraniano in Germania Ovest. Sorāyā aveva vissuto a lungo in Europa, era bellissima e sognava di fare l’attrice ma rinunciò alle sue ambizioni cinematografiche per amore di Mohammed Reza. Nonostante lo Shah fosse a sua volta sinceramente innamorato della consorte, quando, dopo sette anni di matrimonio, fu chiaro che Sorāyā non avrebbe potuto concepire figli si vide costretto a ripudiarla. Lo stesso Reza diede annuncio della separazione pubblicamente, visibilmente affranto.

L’anno successivo, durante un incontro tenutosi all’ambasciata iraniana a Parigi, lo Shah incontrò la diciannovenne studentessa Farah Diba, figlia di un ufficiale delle forze armate iraniane. I due si sposarono al termine di un breve fidanzamento il 21 dicembre 1959. Ebbero quattro figli, tra cui l’atteso erede al Trono del Pavone, il Principe Reza Ciro Pahlavi. Le fotografie dell’epoca ce lo mostrano poco più che bambino mentre, in uniforme, sfila a fianco dei genitori durante le sontuose celebrazioni dei 2500 anni dell’Impero Persiano.

Mohammed Reza Pahlavi rende omaggio alla tomba di Ciro il Grande durante le celebrazioni dei 2.500 anni dell’Impero Persiano. Accanto a lui la consorte Farah Diba e il figlio ed erede Reza Ciro.

Reza Pahlavi aveva voluto organizzare questo evento allo scopo di glorificare l’antica civiltà e la storia iraniana per mostrare i suoi progressi contemporanei sotto la Dinastia Pahlavi, restauratrice del prestigio e dell’onore della Persia. I festeggiamenti si svolsero tra il 12 e il 16 ottobre 1971 presso l’antica capitale achemenide di Persepoli in un’atmosfera di grande fasto, tra banchetti e parate militari con migliaia di soldati iraniani in costume d’epoca. Decine di Capi di Stato e di Governo parteciparono all’evento contribuendo a migliorare sensibilmente l’immagine internazionale dell’Iran.

La crisi petrolifera scoppiata in seguito alla guerra arabo-israeliana del 1973 consentì all’Iran – che non aderì all’embargo contro l’Occidente – di alzare i prezzi del greggio per poi investire i profitti nel rafforzamento delle forze armate. a metà degli Anni Settanta l’Iran era ormai la maggiore potenza militare del Medio Oriente.

Lo Shah, il presidente algerino Houari Boumedienne e l’allora vicepresidente iracheno Saddam Hussein in occasione della firma degli accordi di Algeri del 1975.

Nello stesso periodo Teheran fu coinvolta in un’aspra contesa di confine con il vicino Iraq per il controllo dell’area strategica dello Shaṭṭ al-ʿArab che minacciò di portare le due nazioni al conflitto aperto. Tuttavia dopo una serie di schermaglie, la controversia venne risolta con la firma degli Accordi di Algeri del 6 marzo 1975.

Tuttavia dietro l’apparente facciata di splendore già si intravedevano le crepe che avrebbero portato di lì a pochi anni al crollo rovinoso della dinastia Pahlavi. A partire dagli Anni Cinquanta infatti il regime dello Shah aveva assunto i tratti di una feroce autocrazia: mentre il Parlamento venne di fatto esautorato, i cittadini furono sottoposti ad un oppressivo controllo da parte della Savak, la polizia segreta fondata nel 1957 e ben presto divenuta tristemente famosa per i suoi metodi brutali nei confronti degli oppositori politici.

Studenti dell’Università di Teheran abbattono una statua dello scià durante la rivoluzione

Tra i principali avversari dello Shah si collocavano i nazionalisti, che accusavano il sovrano di avere svenduto il Paese agli americani, oltre che, ancora una volta, il clero sciita militante che seppe far leva sul malcontento popolare dovuto agli scarsi effetti redistributivi dei provvedimenti adottati da Mohammed Reza: la riforma agraria non contribuì a creare un ceto di piccoli proprietari in quanto la maggior parte delle terre espropriate dallo Shah ai mullah furono comprate a prezzo di favore da pochi, grandi, affaristi legati alla corte; nè gli immensi proventi petroliferi valsero a risollevare il popolo iraniano dalla sua secolare miseria in quanto il denaro che non fu investito nella corsa agli armamenti finì per ingrassare i conti di una ristretta élite dirigente mentre molte zone rurali – dove si concentrava la maggioranza della popolazione – mancavano di luce elettrica e acqua potabile.

Per finire le politiche di laicizzazione della società suscitarono l’ira dei religiosi, i quali giudicavano tali provvedimenti inammissibili e incompatibili con gli insegnamenti coranici. Quando poi il 31 dicembre 1977 durante i festeggiamenti per il Capodanno, Mohammed Reza, ospite del Presidente americano Carter, brindò assieme a quest’ultimo con una coppa di champagne – l’Islam vieta il consumo di bevande alcoliche – ciò fu preso dai musulmani radicali come un vero e proprio affronto, la proverbiale goccia che fa traboccare il vaso.

 31 gennaio 1979: l’Ayatollah Khomeini ritorna in patria dall’esilio parigino.

Nel 1978 iniziarono in Iran una serie di manifestazioni di protesta e scioperi che, a fronte della repressione da parte di Mohammed Reza, continuarono a crescere d’ampiezza fino a diventare un movimento rivoluzionario. Il 19 agosto circa 430 persone persero la vita nella città di Abadan, a causa di un incendio di origine dolosa scoppiato all’interno di un cinema; la strage venne attribuita alla Savak. In tutto l’Iran scoppiarono sommosse e manifestazioni, represse duramente dalla polizia, finché l’8 settembre in Piazza Jaleh a Teheran intervenne l’esercito, che aprì il fuoco sulla folla di manifestanti mietendo numerose vittime. Soltanto verso la fine dell’anno Mohammed Reza cercò di avviare una politica di dialogo che calmasse la marea di proteste ma era ormai troppo tardi.

Dall’esilio in Francia l’ayatollah Khomeini, ormai riconosciuto come leader della rivoluzione, esigeva solo la sua deposizione. Il 16 gennaio del 1979 lo Shah, malato terminale di cancro, decise di lasciare per sempre il Paese rifugiandosi al Cairo, dove morì l’anno seguente. I rivoluzionari si abbandonarono ad un bagno di sangue epurando tutti coloro che fossero in un qualche modo compromessi con il cessato regime imperiale. Poco meno di due settimane dopo la partenza dello Shah, Khomeyni tornò in patria al termine di un esilio che durava quasi da sedici anni, e forte del suo indiscusso prestigio poté instaurare in Iran la Repubblica basata sul principio islamico del velāyat-e faqih (il “governo del giureconsulto”) .

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