Elisabetta, la Regina Vergine

Il suo regno ha coinciso con uno dei momenti più fulgidi della storia inglese, al pari di quelli di altre due grandi sovrane a lei successive, Vittoria (r. 1837-1901) e la sua omonima Elisabetta II (r. 1952-2022) il cui ricordo continua a vivere nei cuori dei sudditi. Parliamo di Elisabetta I, ultima sovrana della dinastia dei Tudor, conosciuta anche con gli appellativi di “Gloriana” o di “Regina Vergine”, attribuitole per il fatto di non essersi mai sposata.

Elisabetta I con l’ermellino, olio su tela attribuito a William Segar, 1585.

Quella che sarebbe divenuta la “buona Regina Bess” venne al mondo il 7 settembre 1533 nel palazzo di Placentia, Greenwich, figlia unigenita del Re d’Inghilterra Enrico VIII e della sua seconda moglie Anna Bolena, che il sovrano aveva sposato in quello stesso 1533 nella speranza di generare quell’erede maschio che la prima moglie, la spagnola Caterina d’Aragona, – zia dell’Imperatore Carlo V d’Asburgo – non era stata in grado di dargli.

Proprio la vicenda legata all’annullamento del matrimonio con Caterina ed alla successiva unione con Anna Bolena fu alla base della decisione di Enrico VIII di rompere definitivamente con Roma dando inizio a quello che è passato alla Storia come lo “Scisma anglicano”. Caterina d’Aragona aveva sposato l’allora appena incoronato Enrico VIII d’Inghilterra nel 1509, sette anni dopo essere rimasta vedova del fratello maggiore del Re, il Principe di Galles Arturo. Nei successivi nove anni di matrimonio la Regina restò incinta ben sei volte ma dei figli da lei partoriti soltanto una bambina, la principessa Maria, nata nel 1516, riuscì sopravvivere all’infanzia.

Enrico VIII in un ritratto di 
Hans Holbein il Giovane , c. 
1537

Nel 1525 Enrico VIII aveva perso ogni speranza che la consorte, ormai quarantenne, potesse dargli il tanto sospirato figlio maschio. Quello stesso anno il Re aveva intrecciato una relazione con la Bolena, già dama di compagnia di sua moglie. Enrico, che voleva fortemente un erede maschio, incominciò a pensare seriamente alla possibilità di far dichiarare nullo il suo matrimonio con Caterina in base alle precedenti nozze della stessa con il proprio defunto fratello, e ciò malgrado la stessa Caterina avesse ripetutamente giurato che tale unione non fosse mai stata consumata. Enrico pertanto si appellò direttamente alla Santa Sede. Il suo segretario William Knight sostenne, a Roma, che la bolla emanata a suo tempo da Giulio II era stata ottenuta con l’inganno e che, conseguentemente, non fosse valida. Inoltre Enrico chiese a papa Clemente VII anche una dispensa che gli permettesse di sposare Anna Bolena ma il pontefice rifiutò di concederla, probabilmente a causa delle pressioni esercitate dall’Imperatore Carlo V, nipote di Caterina d’Aragona.

Forte dei sentimenti anti-romani diffusi tra la popolazione inglese, Enrico poté approfittare della situazione per affermare una volta per tutte il potere della Corona sulla Chiesa. I più fermi oppositori del sovrano vennero inesorabilmente liquidati, come avvenne a Tommaso Moro, il vecchio Lord Cancelliere che pagò con la vita la propria fedeltà al Papa. Nel 1533 l’Arcivescovo di Canterbury Thomas Cramner dichiarò nullo il matrimonio tra Caterina d’Aragona ed Enrico, che nel frattempo aveva sposato segretamente Anna Bolena. Papa Clemente VII reagì scomunicando il sovrano inglese che a sua volta non esitò a rompere definitivamente con Roma. Nel 1534 il Parlamento votò l’Act of Supremacy, mediante il quale il Re fu dichiarato Capo Supremo della Chiesa Anglicana.

Primo colloquio tra Enrico VIII e Anna Bolena. Daniel Maclise, 1835.

Intanto, come conseguenza della fine del matrimonio tra Enrico VIII e Caterina d’Aragona la diciassettenne principessa Maria fu dichiarata figlia illegittima ed esclusa dalla successione regale in favore della neonata sorellastra Elisabetta. Nei tre anni successivi alla nascita di sua figlia Anna Bolena restò incinta almeno un altro paio di volte ma le gravidanze si conclusero con aborti spontanei o con la nascita di bambini già morti. Così nel gennaio 1536, in seguito all’ennesimo aborto, Anna cadde definitivamente in disgrazia agli occhi di suo marito.

Accusata di stregoneria, alto tradimento, e persino di incesto con il proprio fratello George Boleyn, il 2 maggio Anna venne rinchiusa nella Torre di Londra e poco più di due settimane dopo, il 19, decapitata. Il giorno successivo all’esecuzione Enrico si fidanzò con la nuova compagna Jane Seymour, che era stata dama di compagnia della defunta Anna Bolena. Come già accaduto con Maria, anche Elisabetta venne dichiarata illegittima, esclusa dalla successione e confinata a Hatfield, nell’Hertfordshire.

L’entrata a Londra di Maria nel 1553: alle sue spalle la sorellastra Elisabetta

Intanto, il 12 ottobre 1537 Jane Seymour partorì l’atteso erede maschio, il Principe di Galles Edoardo, ma colta da febbre puerperale si spense il 24 di quello stesso mese ad appena trentun anni. Vedovo evidentemente non inconsolabile, Enrico VIII contrasse un fugace matrimonio con un’aristocratica tedesca, Anna di Cleves, conclusosi dopo pochi mesi con un divorzio. Intanto Elisabetta venne riammessa a corte dove, sotto la protezione della sesta – e ultima – consorte del padre, Catherine Parr, fu educata in un ambiente rigidamente protestante apprendendo tanto il greco e il latino quanto le lingue moderne come il tedesco, il francese e l’italiano.

Grazie alla mediazione della Parr Elisabetta si riconciliò con il suo intrattabile padre, che si spense il 4 febbraio 1547 al termine di un regno durato quasi quarant’anni. La corona andò al giovanissimo fratellastro di Elisabetta, che divenne Re col nome di Edoardo VI. Questi però, già fragile di salute, scomparve appena sedicenne il 6 luglio 1553 lasciando un testamento che annullava le volontà del genitore e dichiarava sua erede la cugina Lady Jane Grey, che tuttavia fu deposta dopo soli nove giorni di regno.

Filippo d’Asburgo, marito di Maria d’Inghilterra e futuro Re di Spagna. Dopo avere tentato di sposare Elisabetta divenne uno dei suoi più implacabili avversari.

Resa forte dal sostegno popolare, Maria d’Inghilterra entrò trionfalmente a Londra con la sorellastra Elisabetta al fianco, ma il suo matrimonio con il figlio di Carlo V, il futuro Filippo II di Spagna, risultò molto sgradito ai sudditi protestanti, tanto che la Regina, temendo di poter essere deposta a sua volta e sostituita dalla sorella, la fece imprigionare nella Torre di Londra per due mesi prima di confinarla agli “arresti domiciliari” a Woodstock, nella contea dell’Oxfordshire.

Devota da sempre alla religione materna, la figlia di Caterina d’Aragona si impegnò fin da subito nel tentativo di restaurare il cattolicesimo Oltremanica agendo con spietatezza contro ogni opposizione religiosa al punto da guadagnarsi il ben poco nobile soprannome di “Sanguinaria”. Giunta al potere all’età relativamente tarda di 37 anni, Maria necessitava di un erede per consolidare la sua posizione. Dopo due gravidanze isteriche, nel 1557 la regina, notando un ingrossamento del ventre e la scomparsa delle mestruazioni credette di essere finalmente in attesa del sospirato erede, la cui nascita fu stimata per il marzo del 1558. Tuttavia, quando i mesi trascorsero e del nascituro non ci fu traccia, fu chiaro che i sintomi erano dovuti a un tumore alle ovaie che condusse la quarantaduenne sovrana alla morte il 17 novembre 1558.

La regina Elisabetta nel giorno della sua incoronazione. Il ritratto è del primo decennio del XVII secolo ed è una copia dell’originale del 1559, andato perduto.

La scomparsa di Maria la Sanguinaria dopo appena quattro anni di regno pose fine al tentativo della Regina di restaurare il cattolicesimo in terra inglese. La disputa successoria si risolse infatti con l’ascesa al trono di Elisabetta, invisa ai cattolici inglesi che la consideravano figlia illegittima di suo padre e che pertanto avevano sperato che la corona andasse alla loro correligionaria Mary Stuart, Regina di Scozia e cugina della stessa Elisabetta in quanto sua nonna, Margherita Tudor, era sorella del Re Enrico VIII. 

Una volta sul trono Elisabetta seppe destreggiarsi tra le varie confessioni in conflitto tra loro, senza prendere apertamente posizione per l’una o per l’altra. Pur essendo personalmente di fede protestante infatti, la Regina non intendeva inimicarsi i sudditi cattolici ancora molto numerosi in Inghilterra oltre che, ovviamente, in Irlanda. Elisabetta – che doveva fare i conti anche con una minoranza puritana molto attiva e influente tra le classi dirigenti inglesi – scelse pertanto di puntare su una Chiesa Anglicana rinnovata ma saldamente controllata dalla Corona. Nel 1559 fu varato l’Atto di uniformità, che rese obbligatorio l’uso del “Book of Common Prayer” per i servizi religiosi, ovvero una sintesi fra tradizione cattolica e innovazioni protestanti pensata per garantire da una parte l’uniformità religiosa e dall’altra un’ampia tolleranza tra le diverse fedi. Nel 1563 fu varato un nuovo “Atto di supremazia” -il secondo dopo quello di Enrico VIII – che abolì il controllo papale sulla Chiesa inglese mentre la regina assunse il titolo di “Supremo Governatore della Chiesa d’Inghilterra”. 

Il teatro elisabettiano è stato uno dei periodi artistici di maggiore splendore del teatro britannico grazie ad autori immortali come William Shakespeare.

Poco dopo la sua ascesa al trono era opinione comune tra i cortigiani come tra il popolo che la sovrana si sarebbe presto sposata anche se non era chiaro chi avrebbe potuto essere il futuro principe consorte. Elisabetta tuttavia deluse tutte le aspettative rifiutando ogni proposta di matrimonio a cominciare da quella del suo ex cognato, il cattolicissimo Filippo II di Spagna. Tale allergia alle nozze fece guadagnare a Elisabetta il soprannome di “Regina Vergine”.

Ma perché la sovrana scelse di restare “single” fino alla fine dei suoi giorni? Su questo argomento sono state fatte diverse speculazioni. Certamente la Regina era decisa a mantenere il suo Paese indipendente da qualsiasi influenza straniera anche se nel corso del tempo sono state avanzate diverse ipotesi. E’ possibile infatti che Elisabetta sia stata in qualche modo condizionata dal tragico ricordo di sua madre, fatta giustiziare dal padre quando lei aveva solo tre anni. Inoltre restando nubile la sovrana avrebbe evitato i rischi connessi alla gravidanza e al parto che certo non le erano ignoti: due delle sue matrigne, Jane Seymour e Catherine Parr, erano infatti morte di febbre puerperale. La sovrana non mutò il proprio atteggiamento nemmeno di fronte agli appelli del Parlamento, che temeva potesse scoppiare una guerra civile nel caso in cui Elisabetta fosse scomparsa senza eredi come quando, tra la fine del 1562 e l’inizio del 1563, la Regina contrasse il virus del vaiolo che minacciò di ucciderla.

Mappa raffigurante la Colonia della Virginia realizzata da 
Willem Blaeu tra il 1609 e il 1638.

Nonostante la politica di tolleranza religiosa, Elisabetta non esitò a usare il pugno di ferro nel reprimere le trame cattoliche volte a spodestarla. Tra il novembre del 1569 e il gennaio del 1570 la sovrana dovette fronteggiare una grande ribellione papista istigata da Thomas Howard, Duca di Norfolk. Il Pontefice Pio V diede il suo appoggio alla ribellione cattolica scomunicando la Regina e dichiarandola deposta la bolla papale Regnans in Excelsis che però fu promulgata solo dopo che l’insurrezione era già stata domata. A quel punto però Elisabetta poteva difficilmente continuare la sua politica di tolleranza religiosa e cominciò a perseguitare i suoi nemici religiosi, provocando così per reazione varie cospirazioni cattoliche volte a rimuoverla dal trono.

Elisabetta nomina il corsaro Francis Drake cavaliere e ammiraglio della flotta inglese.

Un nuovo complotto, promosso questa volta dal banchiere fiorentino Roberto Ridolfi, venne sventato sul nascere l’anno successivo. I congiurati intendevano assassinare Elisabetta e favorire così l’ascesa al trono di Mary Stuart, all’epoca peraltro già prigioniera della cugina dopo essere stata costretta ad abbandonare la Scozia nel 1568 in seguito ad una ribellione della nobiltà locale che la costrinse ad abdicare un favore del figlioletto Giacomo VI.

Con gli Anni Settanta del XVI secolo il regno di Elisabetta assunse la sua forma compiuta. Furono anni di grande sviluppo culturale e civile per l’Inghilterra, caratterizzati da una grande fioritura nel campo della letteratura e soprattutto del teatro, grazie ad autori immortali come Christopher Marlowe, Ben Jonson, John Webster e soprattutto il celeberrimo William Shakespeare, le cui opere continuano ad andare in scena ancora ai nostri giorni sui palcoscenici di tutto il mondo.

L’Invincibile Armada attorniata da navi inglesi nell’agosto del 1588. Dipinto di anonimo inglese.

Elisabetta favorì inoltre il commercio e la produzione laniera inglese: durante il suo regno i tessuti d’Oltremanica iniziarono ad affermarsi sui mercati di tutto il Vecchio Continente scalzando la concorrenza di quelli fiamminghi, italiani e castigliani. Un altro settore che nello stesso periodo conobbe una rapida crescita fu quello delle costruzioni navali con il rafforzamento della Royal Navy, la flotta militare. Di pari passo furono gettate le basi di quello che diventerà l’Impero britannico: Verso la metà degli Anni Ottanta del XVI secolo il navigatore Walter Raleigh esplorò le coste di quella che pochi anni dopo la morte di Elisabetta, nel 1606, divenne ufficialmente la Colonia della Virginia, così battezzata in omaggia alla “Regina Vergine”.

Sul piano interno la figura della sovrana godette di un largo consenso tra i sudditi mentre grazie alla propaganda il mito della “Regina Vergine” acquisì grande popolarità andando a colmare in parte quel vuoto lasciato dalle forme più appariscenti del vecchio culto mariano. Contemporaneamente a livello diplomatico continuò a crescere l’ostilità inglese nei confronti della potenza spagnola. I corsari inglesi – tra i quali il più famoso fu senza dubbio Francis Drake – presero ad aggredire sistematicamente i galeoni spagnoli che tornavano in patria carichi dell’oro e dell’argento delle colonie. Elisabetta inoltre sostenne attivamente la lotta dei protestanti olandesi mediante l’invio di armi e denaro facendo del suo Paese l’alfiere dell’antispagnolismo e dell’anticattolicesimo.

Elisabetta arringa le truppe a Tilbury.

La situazione precipitò nel 1587 allorché, in seguito alla scoperta dell’ennesima congiura cattolica contro di lei, Elisabetta avallò la condanna a morte della cugina Mary Stuart, che fu decapitata. Filippo II, ritenendo inaccettabile l’esecuzione di una regina “unta da Dio”, diede inizio ai preparativi per invadere l’isola di Gran Bretagna. Nell’aprile 1587 Francis Drake riuscì a incendiare le navi spagnole alla fonda nel porto di Cadice, ritardando i piani del Re, ma nel 1588 un’imponente flotta di 130 navi con a bordo 24 mila tra marinai e soldati cui fu assegnato il pomposa appellativo di “Invincibile Armada” salpò ugualmente da Lisbona diretta nelle Fiandre, dove avrebbe imbarcato i tercios spagnoli al comando del Duca di Parma Alessandro Farnese cui era affidato il compito di sbarcare in Inghilterra.

Di fronte al pericolo incombente Elisabetta si portò a Tilbury, nell’Essex, in prossimità dell’estuario del Tamigi dove, indossando l’armatura e cavalcando un destriero bianco si rivolse alle truppe che avrebbero dovuto fermare gli invasori pronunciando un discorso entrato nella leggenda. Nonostante i timori della Regina e dei suoi sudditi, una volta giunta nella Manica la flotta spagnola fu in parte affondata dalle tempeste e in parte dalla più piccola ma meglio organizzata flotta inglese, che dimostrò maggiore manovrabilità e potenza di fuoco.

Ritratto ufficiale di re Giacomo VI e I, opera di Daniel Mytens

La flotta iberica fu infine definitivamente dispersa dalle avverse condizioni atmosferiche nel tentativo pazzesco di rientrare in patria circumnavigando l’arcipelago britannico. La vittoria aumentò molto la popolarità ed il prestigio della Regina, anche se lo scontro non si rivelò decisivo tanto che la guerra con la Spagna continuò ancora per diversi anni, dopo la morte di Filippo ed Elisabetta.

Nel novembre del 1602 la sovrana cadde in un profondo stato depressivo. Non sopportava più i discorsi di governo, sentiva la morte vicina e si lasciava andare. Morì il 24 marzo 1603 nel Palazzo di Richmond, prossima ai settant’anni, poco dopo aver pronunciato la frase “Chiamatemi un prete: ho deciso che devo morire”. Come noto Elisabetta non lasciò discendenti diretti e pertanto alla sua morte si dovette fare riferimento al testamento redatto a suo tempo da Enrico VIII, in base al quale il trono andò, ironia della sorte, al figlio di Mary Stuart, Giacomo VI di Scozia, il quale divenne così anche Giacomo I d’Inghilterra. Da quel momento Scozia e Inghilterra ebbero lo stesso sovrano pur continuando a restare formalmente separati almeno fino all’Atto di Unione del 1707 che sancì la nascita del Regno di Gran Bretagna.

Bibliografia:

  • Carolly Erickson, Elisabetta – La vergine Regina
  • Mariangela Melotti, Elisabetta I
  • Francesco Benigno, L’Età Moderna – Dalla scoperta dell’America alla Restaurazione

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