Oggi non parleremo propriamente di Storia ma proveremo a fare un esercizio di “what if”. Cercheremo cioè di rispondere a una domanda che sicuramente molti fra i lettori si saranno posti almeno un volta nella vita: L’Asse, ossia l’alleanza tra Germania nazista, Italia fascista e Giappone imperiale, avrebbe potuto realisticamente prevalere sugli Alleati nella seconda guerra mondiale? A testimonianza di quanto questo interrogativo continui a suscitare nostre inquietudini basta osservare il successo di opere ucroniche tanto letterarie – romanzi come Fatherland, di Robert Harris, o La svastica sul Sole di Philip K. Dick- quanto cinematografiche – come la serie TV L’uomo nell’alto castello andata in onda per la prima volta tra il 2015 e il 2019. Ebbene, al quesito che ci siamo posti in apertura va data risposta affermativa: in effetti vi fu un momento, per quanto breve, nel corso della guerra, durante il quale le potenze dell’Asse sono andate molto vicino dal realizzare i propri propositi di dominio.

Ciò che accomunava i regimi al potere nei tre Paesi che abbiamo menzionato era la volontà di sovvertire con la forza delle armi quell’ordine internazionale scaturito dai trattati che avevano posto fine alla Grande Guerra lasciandosi dietro una lunga scia di rancori e desideri di rivincita. Ciò valeva in modo particolare per la Germania, che a seguito del trattato di Versailles del 1919 si vide addossare in toto la responsabilità di avere scatenato il conflitto. In forza di ciò i vincitori dell’Intesa – e in modo particolare la Francia – insistettero per un trattamento particolarmente punitivo nei confronti degli sconfitti tedeschi.

La Germania si vide così privata di tutti i suoi possedimenti coloniali venendo inoltre colpita da pesanti mutilazioni territoriali a vantaggio dei Paesi confinanti – Francia, Belgio, Danimarca e la ricostituita Polonia. Altre clausole draconiane imposero la riduzione dell’esercito tedesco ad una piccola forza di 100 mila uomini, priva di mezzi corazzati, artiglieria pesante e di un’aviazione militare. Infine, ciliegina sulla torta, la Germania fu condannata a versare ai vincitori uno smisurato indennizzo per i danni di guerra, pari all’astronomica cifra di 132 miliardi di marchi-oro (pari a circa 130 miliardi di euro attuali). La comprensibile volontà di rivalsa di gran parte dei tedeschi unità all’incapacità dei governi della Repubblica di Weimar nel contrastare gli effetti della terribile crisi economica mondiale scoppiata in seguito al crollo della borsa di Wall Street (ottobre 1929) portò all’affermazione sul piano elettorale di un piccolo gruppo di settari fanatici, il partito nazionalsocialista dei lavoratori, guidata da un fino a quel momento semisconosciuto ex caporale di origini austriache, Adolf Hitler.

Una volta fattosi nominare Cancelliere nel gennaio 1933, in poco tempo questi spazzò via ciò che restava della fragile democrazia tedesca instaurando un regime dittatoriale che si sarebbe contraddistinto per ferocia e fanatismo fino al suo sanguinoso crollo dodici anni dopo, nella primavera del 1945.
Per quanto riguarda l’Italia è sorprendente osservare come il nostro Paese all’indomani della Grande Guerra risultasse tra le nazioni vincitrici del conflitto. Nonostante le annessioni territoriali e il raggiungimento delle sospirate “frontiere naturali” la mancata concessione della Dalmazia portò Gabriele D’Annunzio e con lui una parte dell’opinione pubblica nazionalista a parlare di “vittoria mutilata” in riferimento a un’Italia ingiustamente defraudata dai propri alleati di quei “giusti compensi” territoriali dovuti per i sacrifici sopportati. Questo mito fu fatto proprio dal nascente movimento fascista, andato al governo in seguito alla Marcia su Roma dell’ottobre 1922 e alla nomina di Benito Mussolini a Presidente del Consiglio da parte del Re Vittorio Emanuele III. Il proposito del Duce di fare dell’Italia una grande potenza imperiale si concretizzò nell’aggressione ai danni dell’Etiopia (1935-36) e al successivo intervento nella guerra civile spagnola (1936-39) in sostegno dei golpisti nazionalisti guidati dal Generalissimo Francisco Franco.

Parlando invece del Giappone, gli anni successivi alla prima guerra mondiale videro la sua definitiva affermazione quale grande potenza. Dopo avere inglobato i possedimenti tedeschi in Cina, a seguito del trattato di Washington del 1922, l’Impero nipponico si vide riconosciuto il possesso della terza flotta del mondo dopo quelle di Stati Uniti e Gran Bretagna. L’inizio dell Grande Crisi spinse il Paese del Sol Levante sulla via dell’espansione imperialista che a partire dal 1931 si rivolse in modo particolarmente aggressivo verso la Cina, indebolita dalla guerra civile in corso tra nazionalisti e comunisti. Di pari passo si assistette alla militarizzazione della società nipponica:la pervasività dei militari, capaci di condizionare la vita politica nazionale tramite le azioni della polizia segreta (la Tokubetsu Kōtō Keisatsu) e di quella militare (la Kempeitai), divenne esemplare nel campo dell’istruzione delle nuove generazioni, tramite la destinazione come insegnanti nelle scuole pubbliche di numerosi ufficiali dell’esercito rimasti senza incarichi.

Affrontando il tema della responsabilità della prima guerra mondiale parliamo di un argomento che ancora oggi è oggetto di dibattito. La tesi della responsabilità esclusiva della Germania – ed in subordine del suo alleato austroungarico – che fu inserita nei trattati e che fu contestata già nei primi anni Venti oggi non incontra non è più sostenuta dagli studiosi che tendono piuttosto a distribuire le responsabilità dello scoppio del conflitto fra tutti gli attori coinvolti. Diverso è invece il caso della seconda guerra mondiale. In questo caso la responsabilità è da attribuirsi in maniera schiacciante alla Germania e personalmente al suo leader, Adolf Hitler.
Oggi troppo spesso si tende superficialmente a liquidare Hitler come un folle che ha trascinato il suo Paese in un conflitto devastante. Ciò che si ignora è che tutto quello che poi fece, Hitler lo aveva già messo nero su bianco nel suo famigerato “Mein Kampf” (“La mia battaglia”), scritto durante la permanenza nel carcere di Langsberg a seguito del fallimento del putsch di Monaco e pubblicato nel 1925 vale a dire otto anni prima della presa del potere e ben quattordici prima dello scoppio della guerra.

Questo progetto di conquista non era nuovo ma risaliva alle teorie di Karl Haushofer, esponente di spicco della tradizione geopolitica tedesca, le cui idee influenzarono il regime nazista soprattutto grazie a Rudolf Hess, vice di Hitler, che di Haushofer era stato allievo. Questi riteneva che le pianure dell’Europa orientale sino agli Urali ricoprissero un’importanza fondamentale per la Germania. Sulla scorta di queste teorie, una volta riuniti tutti i popoli di stirpe germanica in un unico Grande Reich, la Germania avrebbe potuto dedicarsi alla conquista di quello “spazio vitale” – Lebensraum – necessario a una popolazione tedesca in tumultuosa crescita. Il razzismo radicale dei nazisti avrebbe infine offerto loro la giustificazione morale a sottomettere le popolazioni slave dell’Europa Orientale, ritenute inferiori e “subumane”, in nome del dominio della superiore “razza ariana”.

I metodi di combattimento, basati sulla meccanizzazione degli eserciti, rendevano l’accesso alle fonti di combustibili fossili, primo fra tutti il petrolio, essenziale per sostenere lo sforzo bellico. Le potenze dell’Asse, sostanzialmente prive di queste risorse fondamentali, adattarono di conseguenza la loro strategia puntando a impadronirsene, come nel caso del tentativo tedesco di conquistare i giacimenti sovietici del Caucaso e del Mar Nero e l’invasione giapponese dell’Indonesia.
L’introduzione del motore a scoppio aveva inoltre rivoluzionato i trasporti terrestri permettendo conquiste talmente rapide da consentire, per la prima volta nella storia, l’elaborazione di strategie autenticamente globali. Il più ambizioso di questi piani, che avrebbe potuto consentire alla Germania e ai suoi alleati di volgere le sorti della guerra a proprio vantaggio prevedeva una gigantesca manovra a tenaglia, le cui braccia sarebbero partite dall’Europa orientale e dal Nord Africa sotto controllo italiano per chiudersi in Medio Oriente, A Baghdad. Occorre tenere presente che questo piano venne concepito nel 1940, prima che gli Stati Uniti entrassero nel conflitto, in un momento in cui il continente europeo era, con l’eccezione delle Isole Britanniche, controllato o egemonizzato dalla Germania.

La conquista dell’Europa orientale, concretizzazione delle aspirazioni di conquista dello spazio vitale, scattò il 22 giugno 1941 con l’iniziò dell’Operazione Barbarossa diretta contro l’Unione Sovietica. In uno sforzo logistico gigantesco vennero mobilitati circa tre milioni di soldati e migliaia tra corazzati, pezzi d’artiglieria e aerei. Lo scopo di Barbarossa era piegare l’Unione sovietica attraverso la conquista dei suoi principali centri politici, Mosca, Leningrado e Stalingrado. Quest’ultima, oltre che per l’importanza simbolica, essendo la città che portava il nome di Stalin, era di enorme importanza strategica in quanto, una volta conquistata avrebbe permesso ai tedeschi di dilagare verso sud e di impadronirsi degli impianti petroliferi del Caucaso, il che avrebbe tagliato fuori i centri energetici dai centri politici dell’Unione Sovietica, oltre che sbarrato la strada ai rifornimenti che gli Alleati, in modo particolare gli Stati Uniti, facevano affluire ai sovietici per sostenerne lo sforzo bellico attraverso la Persia.

A Barbarossa, che richiese, come detto, uno sforzo organizzativo e logistico senza precedenti, si aggiungeva, per completare la manovra aggirante, l’offensiva italo – tedesca in Nord Africa che dalla Libia, allora possedimento italiano, avrebbe dovuto muovere verso l’Egitto, procedendo alla conquista dei centri nevralgici del Paese come Alessandria e Il Cairo e da lì avanzare verso il Canale di Suez. La conquista d questa vitale arteria di comunicazione avrebbe tagliato fuori gli inglesi dal Mediterraneo orientale, condizione essenziale per realizzare quel “nuovo ordine mediterraneo” vagheggiato da Mussolini, che sognava inoltre un allargamento dell’impero coloniale italiano tale da congiungerne i due tronconi rappresentati da Libia e Africa Orientale, attraverso la conquista di Egitto e Sudan a spese della Gran Bretagna.
A metà del 1942 parve ancora possibile per l’Asse, all’apice dell’espansione territoriale, realizzare i propri piani e conseguire la vittoria. Dopo un inverno tremendo passato nelle steppe russe, la Wermacht riprese l’offensiva verso il sud-est del territorio sovietico lanciando, il 28 giungo 1942, l’operazione Blau: l’obbiettivo era spingersi il più possibile a sud, verso i pozzi di petrolio del Caucaso, conquistando inoltre l’importante centro manifatturiero di Stalingrado.

Negli stessi mesi i tedeschi e i loro alleati italiani avanzavano dalla Libia verso l’Egitto, guidati dal feldmaresciallo Rommel che, imbaldanzito dall’inaspettata ampiezza della vittoria di Tobruk, che aveva fruttato ingenti quantità di materiali sottratti agli inglesi, non volle attendere che fosse messo in atto l’operazione C3, volta alla conquista di Malta. Rommel chiese ed ottenne dal Fuhrer l’autorizzazione a proseguire l’offensiva verso l’Egitto.
I piani italo – tedeschi prevedevano poi un’ulteriore avanzata nel Medio Oriente: ciò avrebbe permesso all’Asse di impadronirsi dei vasti giacimenti petroliferi dell’area, essenziali per la conduzione di una moderna guerra meccanizzata soprattutto in considerazione del fatto che sia Germania che Italia erano quasi del tutto sprovviste di risorse petrolifere. I successi delle potenze nazifasciste, avrebbero portato, nei piani di Hitler, alla ribellione delle popolazioni arabe sottoposte al dominio coloniale britannico. I legami tra fascismo e religione musulmana risalivano agli Anni ’30, basti pensare all’iniziativa mussoliniana del 1937, quando il Duce, durante una visita in Libia, si proclamò “Protettore dell’Islam”. Una penetrazione dell’Asse in Medio Oriente avrebbe provocato un violento scossone all’Impero britannico.

Le popolazioni arabe mediorientali e i nazisti erano accomunati da un profondo sentimento antisemita, che era stato alla base della Grande Rivolta Araba del 1936-1939 scatenatasi contro l’emigrazione ebraica in Palestina e duramente repressa dalle autorità mandatarie britanniche. Quest’avversione anti-ebraica fu alla base dell’intesa tra Hitler e Amin al-Husseini, Gran Muftì (alta carica religiosa musulmana) di Gerusalemme. Altro alleato della Germania nella regione mediorientale avrebbe potuto essere la Persia di Reza Shah, fondatore della dinastia Pahlavi, andato al potere nel 1925 con un colpo di stato. I legami tra Persia e Germania erano alquanto solidi: la Germania era il maggiore partner commerciale dello scià, che per i suoi programmi di modernizzazione del Paese si era avvalso della collaborazione di numerosi tecnici tedeschi. Nel 1935 il sovrano, in ossequio a questi rapporti, mutò il nome del proprio regno da Persia a Iran, che significa “Paese degli Ariani”.

seconda guerra mondiale (1942)
Obbiettivo ultimo della strategia nazifascista era la congiunzione delle sfere di influenza italo – tedesca e giapponese in Afghanistan, da realizzarsi attraverso la conquista dell’India britannica da parte dei nipponici già penetrati in Indocina, Birmania e ponevano l’assedio alla fortezza di Singapore, estromettendo la Gran Bretagna dall’Oceano Pacifico. Gli stessi giapponesi erano, all’inizio del 1942 ancora all’offensiva su tutti i fronti, nel Pacifico, in Cina e in Birmania anche se ormai avevano ormai raggiunto il limite della loro espansione e presto avrebbero cominciato a loro volta a subire l’iniziativa alleata.

I fallimenti delle ultime grandi offensive dell’Asse alla fine del 1942 furono dovuti essenzialmente alla loro incolmabile inferiorità in termini di mezzi rispetto agli Alleati. Lo dimostra il fatto che, dal 5 novembre, l’ormai logorata armata italo – tedesca di Rommel fu costretta a ripiegare dopo la battaglia di El Alamein, nonostante il valore e il coraggio della resistenza opposta e le gravi perdite inflitte agli inglesi di Montgomery. Ancora prima, a luglio, l’Operazione Blau era sostanzialmente fallita per la mancata conquista degli obbiettivi strategici che i tedeschi si erano prefissi. Non solo: alcuni ordini impartiti da Hitler, come quello di non ripiegare per nessun motivo da Stalingrado fu la premessa per la distruzione dell’intera Sesta Armata del generale Von Paulus di lì a qualche mese.
A partire sostanzialmente dal 1943 per la Germania e i suoi alleati le sorti della guerra iniziarono a volgere al peggio. Se la sconfitta iniziò ad apparire per qualcuno inevitabile, è certo che il tragico epilogo della seconda guerra mondiale si deve alla cieca e irrazionale volontà di uomini come Adolf Hitler che, con la loro scelta di resistere contro ogni logica, trascinarono le loro nazioni nel baratro.