Quando si parla degli abusi compiuti dagli Europei in Africa durante il dominio coloniale, si fa quasi sempre riferimento alle malefatte perpetrate da nazioni come Francia, Regno Unito, Germania, o Italia. Quasi mai si fa accenno al Belgio, se non di recente, e su come su iniziativa di un solo uomo, una distesa di oltre due milioni di chilometri quadrati sia diventata il più grande lager della Storia.

L’uomo in questione era Leopoldo II di Sassonia-Coburgo-Gotha, omonimo figlio e successore del primo sovrano del Belgio indipendente, sul trono di Bruxelles dal 1865 alla propria morte nel 1909. Essendo il Belgio una monarchia costituzionale, il Re aveva ben poco potere personale e il suo operato era sottoposto al controllo del Parlamento. Inoltre, egli guardava con invidia agli imperi coloniali degli altri “colleghi” europei, e si rammaricava del fatto che il Belgio non avesse uno proprio. Per questo motivo, stante lo scarso interesse nutrito tanto dal Parlamento e dal popolo belga per le avventure d’oltremare, Leopoldo si attivò per acquisire il controllo di una colonia da privato cittadino. Dopo aver tentato senza successo di ottenere la cessione delle Filippine dalla Spagna, finalmente nel 1885 il Re del Belgio pote coronare il suo sogno acquistando un enorme territorio nell’Africa Centrale che fu chiamato “Stato Libero del Congo”. In realtà questo nuovo Stato era tutto fuorché libero. Leopoldo fu incoronato Sovrano con potere assoluto e nonostante le premesse “umanitarie”, quello dello Stato Libero del Congo sarebbe diventato uno dei capitoli più neri e vergognosi della storia belga.

Il sogno di Leopoldo aveva le sue radici quasi dieci anni prima, nel 1876, quando il Re indisse una conferenza geografica a Bruxelles, alla quale invitò geografi, esploratori e filantropi da tutta Europa esortandoli a esplorare per suo conto larghe distese di terra africane ancora non reclamate per poter “civilizzare”, come si diceva allora, la popolazione locale, migliorandone la qualità di vita. A questa conferenza partecipò anche l’esploratore gallese Henry Morton Stanley, il quale individuò un territorio molto promettente nel bacino del fiume Congo.
Leopoldo passò gli anni successivi ad assicurarsi ingenti prestiti un po’ da tutti – banchieri, industriali, nobili, monarchi – per poter acquistare il territorio a suo nome. Fondò il Comité d’Études du Haut-Congo – Comitato degli Studi per il l’Alto Congo – un organo internazionale sulla carta, ma in realtà presieduto da industriali belgi e francesi legati a Leopoldo che avevano interessi nella regione – e nel novembre 1884 alla Conferenza di Berlino indetta dal cancelliere tedesco Otto von Bismarck le richieste di Leopoldo furono ratificate e approvate dagli altri sovrani europei, ottenendo l’anno successivo anche il riconoscimento degli Stati Uniti d’America.

Il nuovo dominio di Leopoldo non aveva considerevoli giacimenti di oro e diamanti, le materie più ricercate, ma qualcosa di molto ricercato e prezioso all’epoca – la gomma naturale, il caucciù. Le attività di lavorazione ed estrazione della gomma erano uno ”speciale girone dell’inferno” rispetto alle piantagioni e alle fabbriche: oltre al lavoro massacrante, i lavoratori erano regolarmente perquisiti e maltrattati per verificare che non sottraessero alcun materiale prezioso, inoltre era loro ”consigliato” di non muoversi dalle loro baracche le notti in cui era concesso loro di dormire e di non fare movimenti improvvisi, poiché le guardie avevano ordini di sparare a vista su presunti ”ladri” e ”sabotatori”. Le condizioni sanitarie erano naturalmente scarse e le visite mediche servivano solo come pretesto per perquisire i lavoratori. Le epidemie di tifo e altre malattie infettive erano frequenti, e non di rado i caposquadra facevano mettere in quarantena i lavoratori infetti in miniere e cave dismesse, senza alcun tipo di assistenza medica. La gomma era molto preziosa dato l’avvento delle realtà industriali e il fabbisogno per la produzione di copertoni per le auto, guarnizioni, elastici e tanto altro.

Leopoldo non era disposto a tollerare alcuna minaccia ai suoi affari. Istituì un corpo di polizia, la Force publique, costituita da soli ufficiali bianchi – reclutati da altri eserciti europei e vari mercenari – e da truppe indigene arruolate tra i locali del Congo e delle zone attigue. La Force publique si dimostrò un esercito spietato che commise moltissime atrocità sulla popolazione. I suoi membri dovevano assicurare le quote richieste di gomma il mancato raggiungimento delle quali poteva risultare nello sterminio e distruzione di interi villaggi, con l’uccisione di tutti gli uomini e i bambini e lo stupro delle donne.
Una pratica particolarmente efferate per punire i “ladri” era il taglio delle mani. Da questa punizione non erano esenti nemmeno i bambini, i quali erano invece il bersaglio principale – migliaia e migliaia di bambini congolesi furono mutilati in questa maniera, come appurano svariate foto del periodo. La situazione era resa peggiore dal fatto che la pratica di tagliare le mani era applicata anche a “banditi” uccisi dalla Force publique – i proiettili erano contati e le truppe nere raramente ricevevano uno stipendio, dovendo quindi usare le loro armi per cacciare il cibo. Trovandosi poi nella posizione di dover giustificare l’uso dei proiettili, i soldati tagliavano le mani ai primi disgraziati che incontravano sulla via del ritorno, per poter dimostrare di aver “ucciso” dei banditi.

Tra il 1885 e il 1908, mentre in Belgio venivano varate riforme volte a contrastare il lavoro minorile e concesso il suffragio universale maschile, in Congo Leopoldo aveva instaurato un regime di terrore e sfruttamento disumano delle risorse naturali e della manodopera indigena. Non si ha una stima esatta dei congolesi che morirono a causa della tirannia di Leopoldo – nessun documento ufficiale era tenuto riguardo le morti – quindi le stime vanno dai due ai quindici milioni nel corso dei ventitré anni di esistenza dello Stato Libero del Congo.
Soltanto a partire dai primi anni del Novecento svariati missionari e ufficiali militari, sia belgi che di altri Paesi, cominciarono finalmente a documentare e soprattutto denunciare le condizioni disumane in cui viveva la popolazione congolese. Il missionario John Harris, ad esempio, fu così scioccato da ciò che vide in Congo che si fece coraggio per scrivere all’agente di Leopoldo nello stato, riportando:
“Sono appena tornato da un viaggio nella parte interna del paese, diretto al villaggio di Insongo Mboyo. La miseria più abietta e l’abbandono totale di quelle terre sono indescrivibili. Pertanto mi sono rivolto a voi Eccellenza perché vi facciate promotore affinché tali atrocità abbiano fine e mi sono preso la libertà di promettere che in futuro punirete giustamente solo i criminali che abbiano commesso dei crimini”.

Un vivace movimento di protesta prese piede in Belgio come nel resto d’Europa, con riviste che pubblicavano vignette che rappresentavano Leopoldo come un demone che strangolava i bambini congolesi. Lo sdegno e la condanna giunsero a Leopoldo II anche dalle altre teste coronate del Vecchio Continente: ad esempio il Kaiser Guglielmo II di Germania una volta descrisse il suo regale collega come un “uomo completamente cattivo”.
Nel tentativo di mettere una pezza, Leopoldo introdusse restrizioni all’operato della Force Publique e allontanò gli ufficiali più brutali – tra i quali un certo Leon Fielez, uomo talmente crudele che i suoi metodi avrebbero fatto impallidire anche i peggiori comandanti nazisti – ma non ebbe successo. Cercò anche il supporto del Parlamento, il quale però fece notare che dei milioni incassati dal commercio della gomma e dallo sfruttamento dei nativi, nulla era pervenuto alle casse dello Stato – Leopoldo aveva speso tutto in progetti privati e non solo, aveva finito con indebitarsi gravemente. Stanco, vecchio e malato, oramai prossimo alla morte, Leopoldo accettò di cedere il Congo al suo Paese in cambio di ingenti somme e la possibilità di liquidare i suoi debiti, ovviamente dopo aver eliminato tutte le prove e i pochi archivi del misfatto. “Nessuno deve sapere ciò che è successo qui” disse a uno dei suoi aiutanti.
Tuttavia la verità venne comunque a galla, specialmente grazie alle fotografie dei missionari, e anche se Leopoldo riposò indisturbato per oltre cent’anni, nel 2020, a seguito delle proteste per la morte dell’afroamericano George Floyd, diverse statue e targhe commemorative sono state vandalizzate e in seguito rimosse. In quello stesso anno inoltre il Re Filippo ha chiesto ufficialmente scusa per gli “atti di violenza e crudeltà” commessi durante il regno del proprio controverso antenato Leopoldo II in Congo in una lettera al presidente congolese Félix Tshisekedi.