Gli ultimi giorni di Pompei

Il sito archeologico di Pompei rappresenta una delle mete turistiche più famose e visitate del nostro Paese, secondo soltanto al sistema museale del Colosseo, del Foro romano e del Palatino a Roma. Non stupisce quindi che nell’ormai lontano 1997 l’UNESCO abbia inserito Pompei nella lista dei patrimoni dell’umanità.

Colonne del portico di fronte all’entrata del Macellum (il mercato delle provviste) di Pompei.

Viene però da chiedersi quanti, fra le decine di migliaia di turisti che si aggirano tra le rovine scattando foto e facendosi selfie, si rendano conto di star passeggiando sul teatro di uno peggiori disastri naturali del mondo antico. Se Pompei infatti rappresenta una sorta di istantanea della vita in una città romana nel I secolo d.C. lo dobbiamo essenzialmente al fatto che la sua esistenza e quella dei suoi abitanti furono improvvisamente e brutalmente spazzate via dall’eruzione del Vesuvio che nel 79 d.C. la cancellò dalla faccia della Terra assieme ai vicini centri di Ercolano e Stabia.

Per decenni, fino a tempi relativamente recenti, la data dell’eruzione era stata fissata al 24 agosto del 79 d.C. Tuttavia le più recenti scoperte archeologiche hanno portato a postdatare i fatti di alcuni mesi e più precisamente al 24 ottobre. In effetti dagli scavi sono emersi resti di frutta secca carbonizzata, bracieri usati all’epoca per il riscaldamento, di mosto in fase di invecchiamento trovato ancora sigillato nei contenitori oltre che di mantelli pesanti in lana, tutti elementi che portano a pensare che il disastro si sia consumato durante la stagione autunnale piuttosto che in quella estiva. Un altro indizio è costituito dal ritrovamento di una moneta che testimonia la quindicesima acclamazione di Tito a imperatore avvenuta dopo l’8 settembre 79.

Ricostruzione dell’abitato di Pompei e della campagna circostante nel periodo immediatamente precedente all’eruzione del Vesuvio.

Un’ulteriore prova a supporto di questa tesi è l’iscrizione a carboncino scoperta nel 2018 sul muro di una casa di Pompei che riporta la data del 17 ottobre e che si riferisce con tutta probabilità allo stesso 79, poiché è noto come le scritte a carboncino si cancellino con estrema facilità. Da notare infine che il 23 agosto a Roma erano celebrati i Volcanalia – feste in onore di Vulcano, dio romano del fuoco e dei metalli – e la singolare coincidenza con un’eruzione sarebbe sicuramente stata evidenziata dai cronisti dell’epoca.

Ma è possibile che i pompeiani fossero del tutto all’oscuro di trovarsi a poca distanza da una bomba pronta ad esplodere? Bisogna dire che per secoli se non addirittura per millenni prima dell’eruzione del 79 d.C. il Vesuvio rimase tranquillo, apparendo come e una innocua e verdeggiante montagna. L’ultima eruzione, quella detta delle pomici di Avellino risaliva al II millennio a.C, oltre duemila anni prima. Gli studiosi le hanno attribuito un indice di esplosività vulcanica pari a 6 su una scala da 1 a 8. In altre parole la sua forza distruttiva fu paragonabile a quelle delle più recenti eruzioni del Krakatoa del 1883 e del Pinatubo del 1991.

Ricostruzione della vita in una trafficata strada dell’antica Pompei.

Per secoli quindi gli antenati dei pompeiani poterono dunque prosperare all’ombra del gigante addormentato di cui probabilmente ignoravano la pericolosità. I primi insediamenti nella zona di Pompei sorsero a partire dall’VIII secolo a.C. per opera degli Osci – popolazione italica stanziata in Campania – i quali fondarono cinque villaggi nella zona, i quali, intorno al VI secolo a.C., si unirono in un solo agglomerato cinto di mura. Nei secoli successivi Pompei fu sottoposta all’influenza dapprima dei Greci e poi degli Etruschi. In questo periodo furono realizzati il primo foro e il tempio di Apollo. Con lo scoppio delle guerre tra Sanniti e Romani la città finisce nell’orbita della Res Publica pur continuando a godere di una certa autonomia amministrativa. Nell’89 a.C. Pompei ottiene lo status di municipium e nove anni dopo quello di colonia, diventando a tutti gli effetti una città romana.

Affresco proveniente dal museo archeologico di Napoli che raffigura la rissa tra pompeiani e nocerini. 

Nel corso dei primi decenni dell’impero l’esistenza dei pompeiani scorse tranquilla, perlomeno fino al regno di Nerone e in particolare al 59 d.C. anno in cui l’anfiteatro di Pompei fu teatro di una rissa memorabile tra gli spettatori locali e quelli di Nocera. Dagli insulti si passò presto alla sassaiola finché spuntarono i coltelli. I morti furono decine. Il Senato aprì un’inchiesta al termine della quale fu decretata una vera e propria “squalifica del campo” di ben dieci anni, poi ridotti a due da Nerone per intercessione dell’amante Poppea. La causa dello scontro è da ricercarsi nel fatto che l’imperatore, nel 57, avesse conferito a Nocera lo status di colonia, arrecando danni economici a Pompei. Pochi anni dopo si verificò un’altra disgrazia: il 5 febbraio del 62 d.C. un terremoto di intensità stimata pari al V-VI grado della scala Mercalli – classificato quindi tra “piuttosto forte” e “forte” – si abbatté su Pompei e la piana circostante provocando numerosi danni e crolli.

La colonna di gas si solleva dal Vesuvio nelle prime fasi dell’eruzione del 79 d.C.

L’evento sismico ebbe conseguenze negative per la città e la sua economia: numerosi notabili, preoccupati per la propria sicurezza, preferirono trasferirsi altrove mentre le attività commerciali subirono una brusca battuta d’arresto. La ricostruzione inoltre non fu esente da episodi di speculazione edilizia. Dall’esame degli edifici emersi dagli scavi gli studiosi hanno appurato che all’epoca dell’eruzione, diciassette anni dopo il sisma, la ricostruzione non era completata e Pompei era ancora un cantiere aperto.

L’eruzione del 79 d.C. fu preannunciata da diverse scosse di terremoto che si verificarono nei giorni immediatamente precedenti all’eruzione. Poi nel corso della mattinata del 24 ottobre una nuvola di fumo a forma di pino si levò sopra il vulcano. A quel punto, nel primo pomeriggio si udì un tremendo boato proveniente dal Vesuvio: era il segnale che il “tappo” di lava solidificata che ostruiva il cratere era collassato dando così inizio all’eruzione. Nelle ore successive su Pompei cadde una pioggia infernale di cenere, lapilli e pomici che in circa cinque ore depositò uno strato di circa un metro di detriti che provocò diversi crolli di tetti e le prime vittime. Tuttavia il peggio doveva ancora arrivare.

Mappa raffigurante l’area interessata dall’eruzione.

All’alba del 25 ottobre, quando ormai l’altezza del materiale vulcanico aveva raggiunto i due metri, la caduta di pomici si interruppe bruscamente ma proprio a quel punto la parte più densa della colonna di gas e piroclasti collassò su sè stessa provocando la ricaduta lungo i fianchi del Vesuvio di nubi ardenti di gas tossici – la cui temperatura sfiorava i 400 gradi centigradi – che travolsero, oltre a Pompei, anche Ercolano e Stabia, provocando morte e distruzione su vasta scala. Quanti fra i pompeiani erano rimasti in città o vi avevano fatto ritorno nel tentativo di recuperare i propri averi lasciati incustoditi dopo la fuga nelle prime, concitate, fasi dell’eruzione, non ebbero scampo.

I calchi di alcune vittime nel cosiddetto “Giardino dei Fuggitivi” a Pompei.

I loro corpi rimasero sepolti sotto la spessa coltre di ceneri e lapilli. Una volta che i resti umani e animali si furono decomposti lasciarono comunque un’impronta che diciotto secoli dopo consentì agli archeologi di fissare per sempre gli ultimi drammatici istanti di vita delle vittime.

A Stabia quanti tentarono di fuggire via mare furono respinti verso la terraferma dalle onde provocate dai terremoti. Fu in quella circostanza che perì l’ammiraglio e naturalista Caio Plinio Secondo, meglio conosciuto come Plinio il Vecchio, comandante della flotta romana di stanza a Capo Miseno. La drammatica fine di Plinio ci è stata tramandata dalle lettere che il nipote Plinio il Giovane scrisse all’amico Cornelio Tacito. Ceneri e detriti continuarono a cadere su Pompei per altri quattro giorni dopo l’inizio dell’eruzione fino a seppellirla completamente sotto uno strato di circa sei metri di materiale vulcanico. L’eruzione modificò profondamente anche il paesaggio circostante: la cima del Vesuvio non era più piatta, ma aveva acquisito una forma conica. Questo cono, determinato dalla fortissima spinta del materiale eruttato, aveva sfondato il precedente cratere per circa tre quarti della sua circonferenza. Ciò che resta dell’antico edificio vulcanico prese, in seguito, il nome di Monte Somma.

Calco in gesso di un cane ancora legato alla catena. Nella concitazione della fuga molti animali domestici furono abbandonati o dimenticati dai propri padroni.

Pompei non venne più ricostruita e il sito dell’antica città iniziò a coprirsi di vegetazione. Nel corso dei secoli la terra restituì reperti e resti di edifici ma nonostante ciò non si comprese che si trattava dell’antica città e i contadini continuarono a coltivare i campi. La situazione mutò soltanto all’inizio del XVIII secolo: in seguito alla scoperta dei resti di Ercolano avvenuta trentotto anni prima, nel 1748 Carlo III di Borbone diede inizio ai primi scavi archeologici, condotti dagli ingegneri Roque Joaquín de Alcubierre e Karl Jakob Weber. La fama di Pompei si diffuse presto in tutto il Vecchio Continente tanto che il sito divenne una delle mete irrinunciabili del Grand Tour intrapreso dai giovani aristocratici. Nel 1787 il poeta tedesco Goethe visitò le rovine nel corso del suo celebre viaggio in Italia.

Attività di scavo alla fine del XIX secolo.

Ancora oggi a Pompei si continua a scavare per quanto le attività di studio e ricerca siano ostacolate dalla cronica mancanza di fondi. A questo bisogna aggiungere l’incuria che, unita alle avverse condizioni atmosferiche ha portato negli ultimi anni a diversi danni e crolli come quello della Casa dei Gladiatori e del muro del viridario della casa del Moralista nel 2010 o i danni occorsi al tempio di Giove, al tempio di Venere e nei pressi della necropoli di Porta Nocera nel 2014. Appare quindi quanto mai necessario fare uno sforzo maggiore per tutelare questo straordinario quanto delicato patrimonio, parte di un’eredità millenaria di cui come italiani dovremmo andare fieri ma del quale spesso ci riveliamo custodi negligenti. Il valore di un sito archeologico come quello di Pompei non si misura infatti soltanto dal punto di vista della fruizione turistica – circa 4 milioni di visitatori nel 2023 – che pure è importante ma anche dal punto di vista della possibilità di trasmettere alle prossime generazioni di un insieme di esperienze umane che, data la loro capacità di ripetersi, possano essere utili in futuro.

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