Il prossimo 26 luglio a Parigi prenderà il via la XXXIII edizione dei Giochi Olimpici estivi. Da decenni le Olimpiadi costituiscono il più importante palcoscenico sportivo a livello mondiale e prendervi parte – e magari vincere una medaglia – è probabilmente il sogno di ogni atleta. Questa manifestazione nacque dal sogno di Pierre de Fredy, barone di Coubertin, dirigente sportivo e pedagogo francese, il quale nel 1894 fu tra i fondatori del CIO, il Comitato Internazionale Olimpico, del quale fu poi eletto primo presidente.

Due anni dopo, nella primavera del 1896, furono inaugurati i primi Giochi Olimpici dell’era moderna, tenutisi ad Atene. Ma l’iniziativa del barone di Coubertin non nasceva dal nulla. Ad ispirarlo era stato il fascino esercitato dal ricordo dei giochi organizzati nell’Antica Grecia in onore di Zeus. Queste competizioni erano dette Olimpiadi proprio perché si tenevano ogni quattro anni presso il santuario di Olimpia, dedicato appunto al re degli dei. Tra il 1875 e il 1881 il sito di Olimpia era stato oggetto di una missione archeologica tedesca che aveva recuperato numerosi reperti ridestando l’interesse per gli antichi giochi panellenici.
Risalire all’esatta origine dei giochi olimpici è quasi impossibile. Un primo esempio di competizione sportiva si può rintracciare già nell’Iliade e quindi nel contesto della civiltà micenea: al termine delle esequie di Patroclo, Achille organizza solenni giochi funebri in onore dell’amico scomparso invitando i più importanti eroi e condottieri achei a misurarsi in una serie di competizioni di corsa, pugilato, lancio del giavellotto e scherma.

La pratica sportiva nell’antichità è attestata non solo nel mondo greco ma in tutto il Mediterraneo orientale. Essa aveva certamente uno scopo eminentemente pratico – preparare i giovani maschi della comunità a combattere in difesa della stessa in caso di necessità – ma anche ludico e ricreativo. L’origine dei Giochi Olimpici si perde nel mito, anzi nei miti e nelle leggende tramandati dagli antichi greci nel corso delle generazioni. Il poeta Pindaro, vissuto nel V secolo a.C. e autore di 14 odi olimpiche, riferisce alcune delle origini mitiche dei giochi.
Una di queste versioni afferma che essi trassero origine da una corsa con i carri svoltasi tra Pelope – nonno degli eroi Agamennone e Menelao – ed Enomao con in palio la mano della giovane figlia di quest’ultimo, Ippodamia. Per assicurarsi la vittoria Pelope corruppe l’auriga di Enomao, che manomise il carro del suo signore causandone la morte nel corso della gara. Pelope, consapevole di avere vinto con l’inganno cercò allora di ingraziarsi gli dei istituendo i giochi olimpici. Un’altra versione afferma invece che i giochi furono istituiti proprio in onore di Pelope – il quale dopo la sua morte diede il nome alla penisola del Peloponneso – per poi tenersi proprio in prossimità del sepolcro dell’eroe. La terza versione vuole invece che il fondatore dei giochi sia stato nientemeno che Eracle, al termine della quinta delle sue celeberrime Dodici Fatiche, consistente nel ripulire le stalle di Augia. A quella prima edizione avrebbero preso parte gli stessi dei Apollo ed Ares.

Quelli olimpici non erano i soli giochi panellenici, per quanto fossero i più antichi e solenni. Gli altri erano i Giochi pitici, in onore di Apollo Pitio, che si celebravano a Delfi il terzo anno da ciascuna Olimpiade – cioè il periodo tra due Giochi olimpici – i Giochi Nemei, che si celebravano ogni secondo e quarto anno dall’Olimpiade e che si raccontava fossero statti istituiti da Eracle dopo aver ucciso il famoso leone di Nemea, e infine i Giochi istmici, in onore del dio del mare Poseidone, sull’Istmo di Corinto. Vi erano poi manifestazioni di carattere più “regionale” come i giochi panatenaici, celebrati ad Atene in onore di Pallade Atena, o quelli tolemaici, organizzati a partire dal 280 a.C. da Tolomeo II Filadelfo in onore del defunto padre Tolomeo I Sotere.
La tradizione consolidata colloca lo svolgimento delle prime Olimpiadi nel 776 a.C. Mancavano ventitré anni alla fondazione di Roma. E come i Romani contavano gli anni a partire dalla fondazione dell’Urbe, così i Greci presero a fare la stessa cosa collocando il loro “anno zero” dai primi Giochi di Olimpia. In quella prima edizione si tenne solo una gara di corsa, lo stadion (dal nome della distanza per cosa dagli atleti, seicento piedi di Eracle, pari a circa 192 metri odierni).

Il primo olimpionico risultò essere un certo Corebo di Elide, che venne premiato con una corona di fronde di ulivo. La partecipazione ai giochi era aperta a tutti i maschi di condizione libera e di stirpe greca, i quali dovevano inoltre dimostrare di non avere recato offesa agli dei e alle leggi della propria città. Erano quindi esclusi gli stranieri, gli schiavi oltre che, ovviamente, le donne, cui non era soltanto vietato di praticare sport in tutta la Grecia – con la notevole eccezione di Sparta – ma financo di assistere alle competizioni atletiche, pena la morte.
Tuttavia vi fu una donna che osò sfidare questo divieto. Il suo nome era Berenice, nota anche Callipátera (in greco antico Καλλιπάτειρα, “colei il cui padre è bello”). Di famiglia aristocratica, era figlia del possente Diagora di Rodi, famoso olimpionico trionfatore nel pugilato ai giochi del 464 a.C. nonché sorella e moglie di famosi sportivi. Rimasta improvvisamente vedova, si fece carico della preparazione atletica del figlio per poi seguirlo ad Olimpia. Per non farsi scoprire si travestì da uomo mescolandosi al pubblico ma quando suo figlio trionfò nella corsa si abbandonò all’esultanza facendo cadere il travestimento. Condotta dinanzi ai giudici fu comunque perdonata in onore della memoria di suo padre. Dopo questo incidente, si stabilì la norma secondo cui gli allenatori, secondo regolamento, avrebbero dovuto accedere nudi agli agoni a Olimpia

Va detto che, scorrendo l’albo d’oro delle antiche olimpiadi potremo comunque imbatterci in alcuni nomi femminili per quanto riguarda le corse con i carri. Vincitore infatti era considerato non l’auriga ma il proprietario del cocchio e dei cavalli. Fu così che la principessa spartana Cinisca – figlia del re Archidamo II e sorella di Agide II e di Agesilao II – divenne nota per essere stata la prima donna della storia a vincere una gara delle Olimpiadi, nel 396 a.C. Ovviamente non tutti i cittadini potevano permettersi il lusso di dedicarsi con continuità agli allenamenti, circostanza che di fatto restringeva la partecipazione ai giochi olimpici ad una ristretta élite aristocratica, all’interno della quale erano selezionati coloro che avrebbero preso parte alle gare di Olimpia.
A differenza delle moderne Olimpiadi, la cui organizzazione è un onore conteso tra le città e gli stati di tutto il mondo, quelle antiche si tennero sempre e invariabilmente ad Olimpia. Alcuni mesi prima dell’inizio dei giochi dei messaggeri, gli “sphondóroi” partivano da Olimpia per annunciare a tutta l’Ellade l’inizio della tregua sacra.

Durante lo svolgimento delle Olimpiadi infatti le guerre tra le litigiose poleis greche avrebbero dovuto interrompersi anche per consentire ad atleti e pellegrini di raggiungere senza problemi il santuario di Zeus. Va detto che questa nobile tradizione non si estese con ogni probabilità a tutti i conflitti in corso in quel momento ma che avesse effetti più limitati, allora scopo di assicurare il regolare e pacifico svolgimento delle gare. Dopotutto la Grecia era allora una terra divisa tra decine di città-stato in perenne conflitto luna contro l’altra e divise da incancellabili rivalità.
I giochi avevano luogo tra i mesi di Apollonio e Partenio, nel cuore della calda estate ellenica. L’afa quindi doveva costituire indubbiamente un problema non da poco per gli atleti e non mancarono i casi – anche mortali – di insolazione. D’altro canto nella stagione estiva le giornate erano – e sono – decisamente più lunghe e questo era di grande aiuto in un’epoca in cui non era ancora possibile l’organizzazione di gare in notturna.

Il programma dei giochi si arricchì progressivamente nel corso dei secoli, passando da una semplice gara di corsa a una pluralità di discipline. Di pari passo aumentarono quindi il numero degli atleti e delle giornate dedicate alle competizioni. Queste possono essere suddivise in tre grandi macro-categorie: atletica – corsa, salto, lancio – lotta, e sport equestri. È invece singolare osservare come, pur essendo i Greci un popolo fortemente legato al mare, alle Olimpiadi non fossero previste competizioni natatorie.
Erano previste gare destinate agli uomini adulti e altre destinate ai giovani, paragonabili alle attuali categorie Juniores. Dalle fonti iconografiche apprendiamo come gli atleti gareggiassero nudi, probabilmente per una questione di maggiore praticità e scioltezza nei movimenti giacché, come scrisse anche lo storico Pausania «Un atleta nudo corre più agevolmente». A rimarcare il loro carattere sacro, le Olimpiadi erano inaugurate da processioni religiose e sacrifici alle divinità, oltre che dal giuramento degli atleti. Questi erano tenuti a presentarsi ad Olimpia un mese prima dell’inizio dei giochi, pena l’esclusione dalle competizioni. Adempiuti i doveri verso gli dei le gare potevano avere inizio.

La corsa, probabilmente la più antica forma di competizione sportiva della Storia, vantava diverse discipline suddivise in base alla distanza da percorrere: oltre al già citato stadion, il diaulos, o doppio stadio – su una distanza quindi di circa 380 metri – e il dolichos, vera e propria gara di resistenza su un percorso di 24 stadi, pari a circa 4,8 chilometri. Vi era poi l’oplitodromia, la “corsa degli opliti”, pari un singolo stadio da percorrere però indossando l’equipaggiamento militare della fanteria pesante – elmo, scudo, schinieri – il cui peso andava dai venti ai trenta chili.
Particolarmente impressionanti dovevano essere gli incontri di lotta. A differenza di oggi non esistevano riprese nè limiti di tempo: gli atleti si affrontavano finché uno dei due non capitolava, o si arrendeva alzando in aria il dito indice. I pugili non indossavano guantoni ma si bendavano le mani con strisce di cuoio, rinforzate in corrispondenza delle nocche allo scopo di aumentare la potenza di impatto dei colpi. Ancora più cruento era il pancrazio, disciplina che mescolava lotta e pugilato ammessa ufficialmente ai Giochi olimpici a partire dal 648 a.C. Si trattava di uno sport da combattimento totale in cui tutte le tecniche erano ammesse, tranne il mordere e l’accecare: queste infrazioni venivano punite severamente con frustate dall’arbitro o dall’allenatore di turno.
Una menzione a parte meritano infine gli sport equestri. Si trattava di discipline riservate agli aristocratici, gli unici che avessero i mezzi per mantenere carri e cavalli. La gloria era riservata ai proprietari delle quadrighe mentre gli aurighi erano dei semplici professionisti reclutati per l’occasione.

Le celebrazioni si concludevano con la premiazione dei vincitori delle gare svoltesi nei giorni precedenti. A differenza di quanto, secoli e secoli dopo, avrebbe affermato il barone de Coubertin, per gli antichi greci l’importante non era partecipare ma soltanto vincere. Nelle antiche Olimpiadi inoltre non esistevano podi e nemmeno riconoscimenti per il secondo o il terzo classificato. Tutta la gloria spettava unicamente ai vincitori, i quali, una volta rientrati nelle rispettive poleis, erano acclamati dai concittadini come veri e propri “eroi nazionali”.
Le Olimpiadi continuarono a svolgersi ancora per secoli dopo il tramonto della grande civiltà della Grecia classica di cui erano espressione. Con il passaggio dell’Ellade sotto il dominio romano i Giochi si aprirono anche alla partecipazione di atleti non greci: tra gli altri vi si cimentò anche il quinto Imperatore di Roma, Nerone. In epoca romana la manifestazione perse gradualmente importanza ma nonostante problemi legati alla corruzione all’interno delle competizioni ginniche la sua organizzazione non venne mai meno.

A determinare la definitiva scomparsa delle Olimpiadi fu tuttavia la progressiva affermazione del Cristianesimo all’interno dell’impero romano. I Padri della Chiesa avversavano i Giochi non perché fossero contrari alla pratica sportiva in sé ma per il loro intrinseco carattere pagano. La fine delle Olimpiadi fu sancita durante il regno dell’imperatore Teodosio, il quale nel 380 d.C. emanò il famoso editto di Tessalonica per mezzo del quale elevò il Cristianesimo a religione di stato dell’impero. Una decina di anni dopo, con l’emanazione dei cosiddetti “decreti teodosiani” – emanati fra il 391 e il 392 – l’imperatore inasprì ulteriormente la legislazione anti-pagana e nel 393 d.C. ordinò la definitiva interruzione dei Giochi Olimpici che, in quanto agoni di natura religiosa, secondo la nuova fede dominante non avevano più ragione di esistere.
Le olimpiadi sarebbero risorte soltanto un millennio e mezzo dopo la loro soppressione sia pure sotto una luce diversa rispetto alle origini. Mentre infatti gli antichi Giochi erano stati l’espressione dell’orgoglio nazionale di un solo popolo, quello ellenico, quelli moderni divennero uno strumento di promozione dell’amicizia fra tutti i popoli, che nelle intenzioni di Pierre de Coubertin avrebbero così potuto confrontarsi pacificamente nello sport anziché sui campi di battaglia.
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