Morituri te salutant!

Sono senza dubbio tra i personaggi più popolari dell’Antica Roma. Adorati al pari di campioni come Messi o Cristiano Ronaldo dal loro pubblico, anche ai giorni nostri il loro fascino resiste grazie alla settima arte, basti pensare al successo riscosso dal film del 2000 con Russell Crowe o alla più recente serie televisiva Spartacus, trasmessa tra il 2010 e il 2013. Come avrete capito parleremo dei gladiatori, cercando di spiegare chi fossero e che vita conducessero al di fuori dell’arena.

Condanne a morte - il gioco del Phersu
La scena di combattimento proveniente dalla tomba del phersu di Tarquinia. A partire da essa taluni studiosi avrebbero desunto un’origine etrusca dei giochi gladiatori romani.

Partiamo dunque dalle origini: dove ha inizio la passione tutta romana per gli spettacoli gladiatori? Per rispondere dobbiamo risalire indietro nel tempo, all’epoca in cui l’Urbe era ancora sotto l’influenza degli Etruschi. L’origine dei munera gladiatoria (“munera” significa “dovere, obbligo”) deriverebbe dai giochi funebri che venivano organizzati per commemorare un defunto importante. In queste occasioni uno o più prigionieri di guerra erano fatti combattere in condizioni tali da provocare la morte di uno dei duellanti, che avrebbe così accompagnato il defunto nel suo viaggio verso l’aldilà. Si trattava quindi di una sorta di macabro sacrificio umano.

Simili usanze erano diffuse anche presso i Greci nelle ere più lontane. Ciò trova conferma nell’Iliade. Omero racconta come in occasione dei funerali di Patroclo Achille avesse organizzato solenni giochi funebri in onore dell’amico. Tra le prove di forza e abilità erano previsti anche duelli con la spada che però si interruppero al primo sangue per volere dello stesso Achille. Nei secoli successvi queste gare persero la loro connotazione sanguinosa assumendo la forma di manifestazioni sportive. Tra queste le più famose sono senz’altro le Olimpiadi, organizzate ogni quattro anni in onore di Zeus Olimpio.

La Pintura y la Guerra. Sursumkorda in memoriam.
I combattimenti nell’arena divennero popolarissimi a partire dall’età repubblicana, trasformando i gladiatori in vere e proprie celebrità. 

Nella penisola italica invece i giochi mantennero la loro connotazione cruenta fino a degenerare nelle lotte fra gladiatori nelle arene a partire dall’età repubblicana.

Ma chi erano esattamente i gladiatori? In genere si trattava di prigionieri di guerra o di schiavi selezionati in base alla robustezza fisica tra i rappresentanti di quelle etnie che i romani ritenevano più “bellicose”, come i celti, i germani i traci o i numidi. Non mancavano tuttavia condannati “ad gladium”, prigionieri costretti cioè a diventare gladiatori a causa di una sentenza, o addirittura uomini liberi che arrivavano a vendere sè stessi alle scuole gladiatorie per disperazione o perché attratti dai consistenti guadagni che questo crudele mestiere poteva offrire. In effetti un gladiatore abile nell’uso delle armi aveva buone possibilità non solo di guadagnarsi l’ammirazione del pubblico ma anche di  accumulare ricchi premi. Spesso i vincitori di condizione servile usavano i loro guadagni per comprarsi l’agognata libertà.

Come accade ancora oggi ai campioni dello sport anche i gladiatori godevano di enorme fama presso il pubblico. Gli “amatores”, ovvero gli ultrà di epoca romana, seguivano le competizioni con passione ed entusiasmo incitando i loro combattenti preferiti. A volte i tifosi si facevano però prendere la mano, contagiati dalle violenze a cui assistevano, dando il via a tafferugli tali da far impallidire i moderni hooligans. Lo storico Tacito racconta che nel 59 d.C. (vent’anni prima della fatale eruzione del Vesuvio) esplose una gigantesca rissa all’anfiteatro di Pompei che coinvolse gli spettatori locali e quelli della vicina città di Nocera.

Pittura di pompei con zuffa tra pompeiani e nocerini.jpg
Affresco proveniente dal museo archeologico di Napoli che raffigura la rissa tra pompeiani e nocerini. 

Dagli insulti si passò ai lanci di sassi e alle manganellate sino a quando spuntarono i coltelli. Come si può facilmente immaginare i morti rimasti sulle gradinate e fuori dall’anfiteatro furono decine. Il caso fu portato all’attenzione del Senato di Roma che ordinò l’apertura di un’inchiasta al termine della quale fu decretata una “squalifica del campo” decennale! Lo stadio venne riaperto tuttavia dopo appena due anni per intervento diretto dell’Imperatore Nerone, probabilmente influenzato dalla bellissma moglie Poppea,

Sempre per fare un paragone con i calciatori di oggi, i gladiatori erano considerati degli autentici sex symbol tanto dalle matrone quanto dalle popolane. I gladiatori ricevevano dei soprannomi per la loro fama di amatori e la loro prestanza: un certo Celado era noto come “sospiro delle fanciulle”, mentre un altro, il pompeiano Crescenzo, fu soprannominato “il seduttore notturno”. Tuttavia come accade anche oggi nel mondo del calcio, solo pochissimi gladiatori riuscivano a diventare delle star.

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Ogni gladiatore era tenuto a sottoporsi a intense sessioni quotidiane di allenamento sotto l’occhio vigile del proprio lanista. 

Soldi, fama, belle donne e forse la libertà erano riservate a pochi, mentre per tutti gli altri la vita era estremamente grama, fatta di durissimi allenamenti quotidiani sotto la dura sorveglianza del lanista, l’allenatore, che di solito era stato a sua volta un gladiatore poi affrancato. Accanto agli allenamenti i gladiatori seguivano un regime alimentare particolare, composto principalmente non di carne, come potremmo immaginarci per degli sportivi, bensì di legumi e cereali. La dieta a cui i lanisti sottoponevano i loro gladiatori era tesa naturalmente a rafforzare ossa e muscoli ma nel contempo favoriva la formazione di grasso sottocutaneo. L’adipe infatti “proteggeva” muscoli e tendini senza contare che il sanguinamento delle ferite superficiali rendeva lo scontro più eccitante per il pubblico. Dobbimo quindi immaginarci i gladiatori come degli individui bassetti e pure grassottelli, un’immagine ben lontana da quella dei palestrati a cui ci hanno abituati le produzioni hooliwodiane!

In queste condizioni, quanto potevano durare la vita e la carriera di un gladiatore? Dalle tombe di un cimitero a Efeso sono riemerse ossa appartenute a uomini fra i 20 e i 35 anni, un’età che a noi moderni può apparire relativamente giovane ma che è in linea con l’aspettativa di vita media del periodo romano. Non facciamoci comunque ingannare: gli studiosi hanno calcolato come un gladiatore su tre tra quelli alle prime armi perisse entro il primo anno di combattimenti. I giochi gladiatori quindi non erano una messa in scena anche se non assomigliavano ai massacri che possiamo vedere nel film Il Gladiatore.

A sinistra un mirmillone ha atteratto un trace mentre a destra un reziario attacca un secutor. 

Al’inizio della propria carriera ogni neo gladiatore era assegnato ad una specifica categoria gladiatoria, ciascuna con armi e stile di combattimento differenti. Ottaviano Augusto, tra e sue numerose riforme decise di mettere ordine anche in questo campo dando vita a particolari tipologie di combattenti. Molto popolare era per esempio il reziario, un gladiatore armato alla leggera con rete e tridente, oppure, tra i “pesi massimi” dell’arena, il trace, il secutor o il mirmillone, armati in modo abbastanza simile con una corta spada, uno scudo e con un elmo che copriva interamente il volto. Durante le sfide nell’anfiteatro solitamente al reziario era contrapposto al secutor, il mirmillone al trace.

I lanisti affittavano i loro campioni agli editor, ossia agli organizzatori degli spettacoli, personaggi ambiziosi che miravano ad accrescere il loro consenso presso il popolo offrendo questi spettacoli, secondo la celebre formula latina “panem et circenses”. L’organizzazione dei giochi era una faccenda costosissima per varie ragioni: non solo il costo degli animali da impiegare era esorbitante ma anche l’ingaggio di un gladiatore particolarmente famoso era estremamente elevato.

Una scena di caccia al leone. Affresco provienienta da Merida, in Spagna. 

A questo occorre aggiungere che qualora il gladiatore fosse stato ucciso l’editor era tenuto a risarcire il lanista dell’intero valore del campione perduto!

Gli spettacoli all’anfiteatro duravano solitamente un’intera giornata seguendo un programma che di solito prevedeva al mattino gli spettacoli con le belve, fatte arrivate da ogni angolo dell’impero. Gladiatori chiamati bestiarii si cimentavano nelle venationes dando prova della loro maestria affrontando leoni, tigri, pantere orsi o altre fiere. Finito lo spettacolo, verso mezzogiorno gli addetti pulivano la sabbia del circo dal sangue trascinando fuori carcasse ed eventuali cadaveri. A quel punto, quando di solito la maggior parte degli spettatori si allontanava per il pranzo, avvenivano le esecuzioni capitali durante le quali i condannati erano crocefissi, arsi vivi oppure dati in pasto alle belve (damnatio ad bestias).

Nel pomeriggio la folla tornava ad assieparsi sulle gradinate per assistere al momento clou della giornata, quando toccava ai gladiatori scendere in campo.

Inservienti trascinano fuori dall’arena il corpo di un gladiatore ucciso. 

I campioni facevano il loro ingresso nell’arena fra gli squilli di tromba e gli applausi degli spettatori, sfoggiando fieri i loro cimieri e le loro armi scintillanti. Dopo che i gladiatori avevano compiuto il giro della pista, la cosiddetta pompa triumphalis, si procedeva alla prova delle armi (probatio armorum) per assicurarsi che le stesse non fossero state truccate o manomesse. Una volta sorteggiate le coppie di duellanti, i combattimenti potevano avere inizio. I duelli erano senza esclusione di colpi e si disputavano tra le grida e gli incitamenti della folla che spronava i propri beniamini urlando parole come “verbera!” (“colpisci!”), “iugula!” (“sgozzalo!”), “ure!” (“brucialo!”). La tenzone andava avanti fino a quando uno dei due contendenti restava ucciso o si arrendeva. A quel punto la sorte del perdente era nelle mani di colui che aveva organizzato il combattimento, il quale però era solito rivolgersi al pubblico del quale teneva conto per non alienarsene il consenso. Nel caso in cui la folla giudicava che si fosse comunque battuto bene gridava “missum!” (“lascialo andare!”), ed allora lo sconfitto aveva salva la vita. Ma se al contrario il pubblico urlava “iugula” il destino del perdente era segnato: egli allora era tenuto a morire con dignità offrendo la gola al rivale senza battere ciglio.

Dopo la sua morte entrava nell’arena un inserviente travestito da Caronte, il mitico traghettatore delle anime dei defunti, che con l’aiuto di alcuni assistenti era incaricato di trascinare i cadaveri fuori dall’arena.

A monk named Telemachus (Saint Telemachus), moments before he is killed for protesting Roman gladiatorial games.
San Telemaco interviene per interrompere un combattimento tra gladiatori.

Costui aveva altresì il compito di finire i gladiatori le cui condizioni erano tali da non lasciare presagire alcuna speranza di guarigione, finendoli con una grossa mazza.  Per i vincitori dei duelli erano previsti, come si è detto, ricchi premi in denaro o addirittura la libertà, attraverso il simbolico gesto del conferimento del rudis, una semplice spada di legno simile a quelle usate negli allenamenti.

Gli spettacoli gladiatori conobbero una grande popolarità per tutta l’epoca imperiale, che crebbe di pari passo con il giro di scommesse legate al mondo dei combattimenti. Le cose cominciarono a murare a patire dall’inizio del V secolo, con il diffondersi del cristianesimo. La Chiesa condannò infatti a più riprese l’usanza dei munera gladiatoria di cui denunciava l’insensato spargimento di sangue e il disprezzo per la vita umana. Poi nel 404 un cristiano di nome Telemaco, successivamente canonizzato dalla Chiesa, si lanciò nella pista del Colosseo con la ferma intenzione di impedire lo svolgersi di un combattimento tra gladiatori. La folla reagì inferocita lapidandolo ma sembra che l’episodio impressionò a tal punto l’imperatore Onorio da spingerlo a bandire di lì a poco questi sanguinari spettacoli ponendo fine per sempre a questa crudele tradizione.

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