Salazar, “despota illuminato”?

La figura di Salazar è un qualcosa di unico nel panorama europeo novecentesco. Salazar è qualcosa di molto atipico perché nonostante le sue posizioni conservatrici e di destra, non fu mai un leader di stampo populista, come invece furono i suoi corrispettivi tedeschi e italiani, Hitler e Mussolini. Da professore d’economia qual era, il suo governo e la sua attitudine erano tipiche di quell’altezzosità di stampo accademico la quale tuttavia aveva ragion d’essere nell’ottica del ”duro e serio lavoro”.

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Il professor Antonio de Oliveira Salazar, Primo Ministro del Portogallo, in una foto del 1940.

Quando divenne Ministro all’Economia nel 1928 in soli due anni risanò il debito pubblico tramite una tassazione oculata e una rigida politica di contenimento della spesa statale, specialmente per quanto riguardava l’esercito. D’altro canto, però egli si avvalse di un gran numero «Apparati polizieschi, dunque; controllo rigoroso delle forze armate in funzione di mantenimento dell’ordine interno, anche; stretto legame con una Chiesa Cattolica per lunghi tratti utile ausilio alla conservazione della pace sociale, ancora; fino alla gestione statale dell’economia avvalendosi degli equilibri sociali di un rigido sistema corporativo: elementi, tutti questi, indirizzati a costruire un “uomo nuovo” […]».

Elementi, come s’è detto, per molti aspetti molto simili da quelli propri dei totalitarismi, ma con attenzione – che ne spiega in parte la longevità – a sostituire le forme violente di inquadramento sociale  del fascismo e del nazismo, basate sulle organizzazioni di massa, con il richiamo a forme di condizionamento sociale più tradizionali gestite dalle élite locali civili e religiose secondo antiche e rispettate gerarchie di potere politico, culturale, economico – questa è l’analisi di Alvaro Garrido, autore de Il Portogallo di Salazar – Politica, società, economia insieme allo storico Fernando Rosas.

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Incontro tra Salazar e il collega dittatore spagnolo Franco. I due regimi iberici avevano molti tratti comuni a cominciare dalla stretta alleanza con la Chiesa cattolica.

Dall’analisi del Garrido possiamo quindi notare gli elementi di fascismo nell’opera politica di Salazar, e anche se è pur vero che egli mantenne una certa distanza da Hitler e Mussolini, con quest’ultimo intrattenne una corrispondenza personale dal 1934 al 1936. Difatti, ebbe a dire riferendosi ai tedeschi e agli italiani in un discorso pubblico dopo che l’Italia ebbe promulgato le leggi razziali “A differenza dell’Italia, il nostro Stato si pone dei limiti morali che per loro natura sono invalicabili. Il nostro Stato non è totalitario, al quale tutto viene subordinato ed assoggettato, mentre uno Stato come quello italiano, un cesarismo intriso di simboli pagano – romani e di un’ideologia sempre più affine a quella germanica, è incompatibile con il genio della nostra civiltà cristiana.”

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Il console portoghese a Parigi Aristide de Sousa Mendes. Ignorando gli ordini di Salazar fornì documenti falsi a migliaia di ebrei

Da queste parole è chiara la rottura di Salazar con il fascismo e il nazionalsocialismo. Tuttavia, egli supportò il vicino Franco durante la guerra civile per timore che una vittoria repubblicana potesse mettere in pericolo il suo regime, l’Estado Novo, il Nuovo Stato. Altro esempio della sua natura scaltra e duplice fu che nonostante le frontiere portoghesi fossero chiuse agli emigranti ebrei della Germania, egli chiuse gli occhi e ignorò apertamente i rapporti che la polizia stilò sul console in Francia Aristide de Sousa Mendes, che continuava a fornire visti e documenti agli ebrei e lo fece per tutta la Seconda Guerra Mondiale. Solo nel 1945 ”si accorse” dell’attività di Sousa e si limitò a mandarlo in pensione con una bella villa, ironicamente mentre allo stesso ordine del giorno trasmetteva delle laconiche condoglianze ai popoli italiani e tedeschi sulla morte di Mussolini prima e Hitler dopo. Questo modo d’agire dimostrò che Salazar era prima di tutto un opportunista – non fermò Sousa quando aveva le prove e il movente anche per farlo arrestare, se avesse voluto – perché aveva intravisto che la guerra sarebbe andata male per l’Asse e quindi voleva tenersi ”bilanciato”, per così dire – fare il possibile per non divenire un bersaglio dell’Asse, ma al tempo stesso non risultarne ”complice”.

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L’impero coloniale portoghese nel XX secolo. Convinto assertore della “missione civilizzatrice” del Portogallo, Salazar rifiutò di concedere l’indipendenza alle colonie, impegnandosi in una guerra feroce che sarebbe proseguita oltre la sua morte

Dal 1945 in poi fino al suo ritiro nel 1968, Salazar chiuse il Portogallo in un compartimento stagno anche se accettò d’unirsi alla NATO, il Portogallo andò in completo isolamento. “L’isteria politica che sta avvolgendo il mondo è pura follia, impropria a un buongoverno, che può essere esercitato solo in serenità e con la collaborazione dei dipartimenti statali” – così descrisse con orgoglio ciò che a suo parere non funzionava negli stati socialisti e nelle democrazie occidentali, e non aveva funzionato negli stati sconfitti dell’Asse. Ma anche la sua ”terza via”, lo Stato Nuovo, non si dimostrò immune da difetti e problematiche di vario genere. Uno dei motti lanciati da Salazar era Portugal não é um país pequeno – il Portogallo non è un Paese piccolo – facendo riferimento all’enorme impero coloniale, impero che s’impegnò a difendere dalle minacce dell’indipendenza in ogni modo. Inoltre, molte delle sue promesse non furono mantenute – anche se sotto l’Estado Novo il grado di alfabetizzazione della popolazione aumentò notevolmente, non raggiunse mai il 100% sconfiggendo l’analfabetismo, nonostante le vanterie di Salazar al riguardo.

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Marcelo Caetano, subentrò a Salazar dopo la sua destituzione per motivi di salute nel 1968. Fu esiliato sei anni dopo dalla ribellione dei militari nota come Rivoluzione dei Garofani.

Inoltre nonostante non avesse mai raggiunto il livello di brutalità delle sue controparti franchiste, fasciste e naziste, il dissenso veniva comunque calpestato sul nascere con arresti e azioni di polizia – nonostante la pena di morte fosse già stata abolita nel 1867, non furono pochi i detenuti politici che morirono in carcere per ”problemi di salute”. Dicevano che nel Portogallo di Salazar l’aria era ”talmente pesante, era un’impresa anche solo respirare”. Che lezione trarre dunque, dall’eredità di Salazar? Un uomo schivo, intelligente e dedito unicamente alla sua “missione”, cioè fare del Portogallo una nazione avanzata e industrializzata, ma al tempo stesso freddo calcolatore, doppiogiochista e con una duplicità inquietante?

Fernando Rosas, storico e accademico portoghese di sinistra, traccia Salazar come l’ultimo “despota illuminato” della Storia il quale ha sempre cercato di mantenere un raro equilibrio con tutte le forze interne ed esterne attorno a lui, e a cui il Portogallo, nel bene e nel male, deve la sua industrializzazione e il suo progresso – così come il disastro che furono il tentato mantenimento e le rivolte nelle colonie. Se la politica di Salazar fu oculata nei primi anni ed effettivamente salvò il Portogallo dallo sfacelo economico, la sua testardaggine nel mantenere l’impero coloniale portoghese fu uno dei più grandi errori del suo governo – oramai convinto oltremodo della sua abilità come statista a tutto tondo, non ascoltava i più miti consigli di chi era propenso a concedere l’indipendenza alle colonie, e perseguendo dure repressioni andò incontro a perdite umane, economiche e brutalità contro gli insorti. E allo stesso modo, nel secondo dopoguerra il ”boom” dell’economia e dell’industrializzazione cominciò lentamente ad arrestarsi, e alla caduta del regime di Salazar l’economia era in piena caduta libera.

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Murales commemorativo della Rivoluzione dei Garofani del 1974, a seguito della quale l’ala progressista delle forze armate pose fine a oltre quarant’anni di dittatura.

Per quanto ”illuminato”, l’Estado Novo non poteva durare – quando Salazar cadde dalla sedia durante una visita domiciliare – o secondo alcuni familiari, nella vasca da bagno – e rimase indisposto, non aveva definito né un successore né quale sarebbe dovuta essere la direzione del regime dopo sua morte. Il suo successore, Marcello Caetano, avrebbe retto il regime per soli quattro anni dopo la morte del professore – nel 1974 ci fu la Rivoluzione dei garofani, in cui l’esercito rovesciò pacificamente il regime dando sollievo ai portoghesi, ormai stanchi della dittatura e desiderosi di democrazia e libertà.

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