Le vicende riguardanti il fronte orientale della Grande Guerra sono state fin troppo spesso purtroppo ignorate rispetto agli scenari di quello occidentale o italiano. Ciò però non significa affatto che il teatro orientale della prima guerra mondiale sia stato meno ricco di fatti eroici, come dimostra l’episodio di cui racconteremo oggi, ossia la battaglia di Osowiec, divenuta celebre con il lugubre appellativo di “Carica dei morti viventi”.
Prima di iniziare, tuttavia, è necessario spendere alcune righe per inquadrare storicamente e geograficamente il fatto d’arme. Attualmente Osowiec si trova nel nord-est Polonia ma agli inizi del Novecento questa località faceva parte dell’Impero Russo. Tra gli anni Ottanta e Novanta del XIX secolo le truppe russe vi edificarono una fortezza per proteggere i propri confini occidentali da una possibile offensiva tedesca, modernizzandola poi a più riprese allo scopo di adeguarla agli sviluppi dell’artiglieria da assedio.
In ogni caso la fortezza si trovò a dover esercitare il suo ruolo di caposaldo difensivo a partire dall’estate del 1914. Il 1° agosto infatti la Germania dichiarò guerra alla Russia e tre giorni dopo le prime truppe zariste iniziarono ad avanzare verso il confine tedesco. Inizialmente però non si verificarono grandi scontri tra i due eserciti anche perché gran parte delle divisioni germaniche erano state concentrate a Occidente. Infatti, allo scopo di evitare un’insostenibile guerra su due fronti, la strategia bellica tedesca, basata sul concetto di guerra-lampo (blitzkrieg) prevedeva innanzitutto una massiccia offensiva ad ovest allo scopo di liquidare l’esercito francese in capo a sei settimane. Una volta piegata la Francia, la Germania avrebbe potuto dispiegare tutte le proprie forze ad est contro la Russia e sconfiggere anch’essa.

Approfittando quindi della temporanea debolezza delle forze nemiche nel settore orientale, il Granduca Nicola, comandante in capo dell’esercito russo, ordinò alla 1° e alla 2° Armata di invadere la Prussia Orientale con un attacco combinato che avrebbe dovuto schiacciare i tedeschi. Il 17 agosto 1914 la Prima Armata di Rennenkampf attraversò la frontiera prussiana, scontrandosi tra il 19 e il 20 nei pressi di Gumbinnen con l’Ottava Armata germanica di von Prittwitz e riportando un primo successo.
Il giorno successivo Prittwitz venne informato che anche la Seconda Armata russa di Samsonov aveva attraversato alle sue spalle la frontiera meridionale della Prussia. Preso dal panico, nel corso di un colloquio telefonico con il comandante in capo, Feldmaresciallo von Moltke, espresse l’intenzione di ritirarsi oltre la Vistola abbandonando in mano ai russi l’intera Prussia Orientale. Per tutta risposta von Moltke lo esonerò seduta stante dal comando, sostituendolo con un ufficiale in pensione, Paul von Hindenburg, il quale era coadiuvato da un capo di stato maggiore di grande talento strategico, Erich Ludendoff, già eroe dell’attacco contro Liegi.

Questi, mettendo a punto un piano già predisposto dal colonnello Hoffmann, dello stato maggiore dell’Ottava Armata, sguarnì temporaneamente il fronte a nord per concentrare le forze a disposizione a sud in un rapido attacco contro le forze di Samsonov. Questa audace mossa fu favorita dalla mancanza di collegamenti fra i due comandanti russi oltre che dalla facilità con cui i tedeschi decifrarono gli ordini che Samsonov trasmetteva ai suoi corpi d’armata. Tra il 26 e il 30 agosto 1914, in quella che è passata alla Storia come la battaglia di Tannenberg, il fianco destro di Samsonov crollò sotto la pressione tedesca mentre le unità al centro vennero accerchiate e la sua armata completamente distrutta. Poi, avendo ricevuto due corpi d’armata dal fronte occidentale, Hindenburg e Ludendorff rivolsero la loro attenzione all’armata di Rennenkampf, tuttora in lenta avanzata, infliggendole tra il 7 e il 14 settembre, una sonora batosta nella battaglia dei Laghi Masuri e costringendola a evacuare la Prussia Orientale. Tra morti e prigionieri i russi persero oltre 250 mila uomini e, cosa ancor più grave, ingenti quantità di materiale bellico.
I successi tedeschi di Tannenberg e dei Laghi Masuri vennero controbilanciati dai successi mietuti dai russi sul fronte meridionale, in Galizia. Infatti, mentre inizialmente l’offensiva della Prima e la Quarta armata austroungariche aveva fatto registrare alcuni successi, essi vennero completamente annullati dall’attacco sferrato dalla Terza e Ottava Armata zariste, che costrinse l’ala destra austriaca a ritirarsi in profondità al di là di Leopoli.

A quel punto i tedeschi si decisero a intervenire in aiuto degli alleati asburgici: raggruppando il grosso delle forze dislocate in Prussia Orientale, venne costituita una nuova Nona Armata che venne successivamente trasferita nel sud-ovest della Polonia dove, di concerto con una nuova offensiva austriaca, iniziò a marciare verso est con obbiettivo Varsavia.Intanto però i russi avevano mobilitato il loro enorme potenziale umano e una volta respinto l’attacco austro-tedesco si prepararono a invadere la Slesia in forze. Il granduca Nicola costituì un’enorme falange di sette armate – tre schierate nel mezzo e due per parte a proteggere i fianchi. Un’altra armata, la Decima, aveva invaso l’estremità più a est della Prussia orientale e stava impegnando le deboli forze tedesche schierate in quel settore. il temuto “rullo compressore” russo si preparava a schiacciare i suoi nemici!
A quel punto la Nona Armata mise in atto una ritirata strategica distruggendo ogni linea di comunicazione davanti a sé allo scopo di rallentare l’avanzata russa. Poi, l’11 novembre 1914, con il fianco sinistro protetto dal corso della Vistola, sferrò un violento attacco verso sud-est, incuneandosi tra la Prima e la Seconda Armata zariste. La Prima Armata si ritirò verso Varsavia mentre la Seconda fu circondata nei pressi di Lodz e rischiò di subire una seconda Tannenberg, prima che in suo aiuto giungesse a tappe forzate la Quinta Armata. I tedeschi rischiavano a loro volta di essere accerchiati, ma il 26 novembre liberarono una via di ritirata, portando con sé migliaia di prigionieri russi e 64 cannoni pesanti. Inoltre il “rullo compressore” russo era stato messo fuori uso e non avrebbe più minacciato il suolo tedesco.

Con il sopraggiungere del dicembre 1914 la linea del fronte finì per stabilizzarsi su linee trincerate invernali. I russi dovettero abbandonare al nemico austro-tedesco l’estremità occidentale della Polonia. Come già ad ovest, anche ad est il conflitto perse il suo carattere di guerra di movimento per trasformarsi in guerra di trincea. Ma rispetto al fronte occidentale, in Polonia la “crosta” era decisamente meno solida senza contare che i russi avevano subito perdite di munizioni e materiali in quantità tale che il loro debole e inadeguato sistema industriale non avrebbe più potuto porvi rimedio.
Con l’arrivo della bella stagione i tedeschi, una volta stabilizzato il fronte occidentale poterono mettere in opera i piani di attacco alla Polonia russa. Il feldmaresciallo Erich von Falkenhayn, capo di stato maggiore tedesco, su proposta del collega austroungarico Franz Conrad von Hötzendorf, predispose un piano per sfondare al centro dello schieramento russo nel settore del fiume Dunajec, tra l’alto corso della Vistola e i Carpazi, punto in cui erano presenti pochi ostacoli naturali. L’operazione fu affidata ad August von Mackensen, il cui capo di stato maggiore era Hans von Seeckt, l’uomo che dopo la guerra avrebbe ricostruito l’esercito tedesco. Questi, investito del comando dell’Undicesima Armata tedesca e della Quarta austriaca, attaccò a partire dal 2 maggio 1915 attaccò nel settore di Gorlice-Tarnow, prendendo i russi di sorpresa. Il 3 giugno le forze degli Imperi Centrali entrarono a Przemyśl, mentre il 22 venne riconquistata Leopoli, capitale della Galizia. I russi furono costretti a evacuare completamente la regione e la loro minaccia verso l’Impero austroungarico fu definitivamente scongiurata.

Visti gli ottimi risultati conseguiti, i tedeschi decisero di proseguire l’avanzata verso Brest-Litovsk, nel Bug e sul fiume Vistola (nella stessa località in cui i polacchi nel 1918, avrebbero scacciato le truppe della repubblica socialista federalista sovietica nella battaglia che passerà alla storia come “il miracolo della Vistola”). Di fronte al disastro il comando supremo russo, la Stavka, optò per un ripiegamento strategico che divenne noto col nome di “Grande ritirata”. In altre parole i russi cedevano al nemico territorio in cambio di tempo prezioso, necessario per mettere il proprio apparato industriale in condizione di sostenere lo sforzo bellico. La ritirata costò all’esercito russo la perdita di 750 mila uomini che vennero fatti prigionieri oltre all’intera Polonia, che venne occupata dai tedeschi.
Fu allora che nella loro avanzata verso il cuore dell’Impero russo i tedeschi trovarono a sbarrare loro il passo i baluardi costituiti dalle fortezze di Osowiec e Novogiorgievsk. La “fortezza” di Osowiec in particolare era un sistema difensivo composto da quattro forti trincerati situati nell’ansa del fiume Biebrza. Fin dal settembre 1914, Osowiec e la sua guarnigione si erano rivelati un osso estremamente duro per i tedeschi: nonostante i ripetuti bombardamenti, infatti, le truppe zariste continuavano a resistere apparentemente senza troppi problemi. Al momento dell’attacco tedesco essa era difesa da 500 soldati del 226° Reggimento di fanteria Zemlyansky e da altri 400 miliziani, comandati dal tenente Vladimir Karpovich Kotlinsky.

L’offensiva tedesca contro la fortezza di Osowiec scattò nel luglio del 1915. Per l’attacco il feldmaresciallo von Hindenburg disponeva di 14 battaglioni di fanteria e uno di genieri, appoggiati da una trentina di cannoni d’assedio pesanti per un totale di 7-8 mila soldati. Conscio della resistenza opposta dai russi nei precedenti assalti tedeschi, alla fine del mese, von Hindenburg decise di adottare misure estreme ricorrendo all’uso dei gas, impiegati per la prima volta su vasta scala proprio dai tedeschi il 22 aprile precedente sul fronte occidentale a Ypres, in Belgio. L’effetto dell’attacco chimico sarebbe stato tanto più devastante visto che i difensori di Osowiec erano pressoché privi di maschere antigas.
Alla fine di luglio dunque i tedeschi piazzarono le loro batterie a gas nella vallata che si stendeva di fronte a Osowiec e lì attesero fino ai primi d’agosto che le condizioni meteo fossero favorevoli al rilascio dei veleni. A quanto pare in questo lasso di tempo i russi parvero rendersi conto delle intenzioni dei tedeschi ma nonostante ciò scelsero ugualmente di non evacuare la fortezza anche se tale decisione significava morte certa per l’intera guarnigione. La decisione del comando russo era dettata dal fatto che ritardare anche solo di pochi giorni l’avanzata germanica avrebbe potuto essere di grande aiuto al resto dell’esercito zarista impegnato nella ritirata a oriente.
Finalmente, alle 4 del mattino del 6 agosto 1915 i tedeschi diedero inizio all’attacco scatenando l’artiglieria contro le postazioni russe e rilasciando nel contempo il cloro o, secondo altre fonti, una miscela micidiale di cloro e bromo. Si stima che la nube tossica avesse una larghezza di 8 km e che abbia raggiunto i 20 km di profondità. In appena dieci minuti la marea verdognola avvolse i difensori russi attestati dietro le linee fortificate.
Dal diario di un soldato sopravvissuto possiamo farci un’idea dello scenario di morte che si presentò di fronte agli attaccanti tedeschi:
“Tutto ciò che viveva all’aria aperta sulla piazza d’armi della fortezza è stato avvelenato a morte. Tutta la vegetazione nella fortezza e nelle vicinanze è stata distrutta, le foglie sugli alberi sono ingiallite, arricciate e cadute, l’erba si è annerita e accasciata per terra, i petali dei fiori sono caduti. Tutti gli oggetti in rame sulla piazza d’armi della fortezza si sono ricoperti di uno spesso strato verde di ossido di cloro; I prodotti alimentari conservati senza sigilli sono stati avvelenati e resi inadatti al consumo”

Abbattutosi sui soldati russi, del tutto privi di dispositivi di protezione adatti a contrastare un attacco chimico, il gas sortì effetti devastanti. Le compagnie IX, X e XI vennero completamente annientate mentre per quanto riguarda la XII compagnia soltanto 40 effettivi rimasero in vita con appena una mitragliatrice ancora in grado di funzionare. Sommati ai superstiti della XIII compagnia, all’interno della piazzaforte di Osowiec i sopravvissuti erano in totale appena un centinaio. Il comandante Kotlinsky fu anch’egli gravemente intossicato e morì la sera stessa di quello stesso 6 agosto.
Appena la nube velenosa si fu diradata i tedeschi si prepararono ad attaccare la fortezza credendo che ormai più nessun russo fosse rimasto in vita. Fu allora che, superate le prime linee di filo spinato, i soldati tedeschi videro sbucare i sopravvissuti che urlando, o più probabilmente rantolando, caricavano gli assalitori alla baionetta. Lo spettacolo che si presentò davanti ai soldati del Kaiser stando ai resoconti deve essere stato raccapricciante: i russi avevano i volti piagati dalle ustioni chimiche, avvolti in stracci bagnati con la loro stessa urina nel tentativo disperato di contenere gli effetti del gas. A malapena in grado di tenere in mano il fucile, avanzavano gemendo e tossendo insistentemente, sputando sangue e pezzi di tessuto polmonare mentre l’acido cloridrico, formatosi per effetto della reazione del cloro con la condensa nei polmoni, li disfacevano dall’interno.

È quindi perfettamente comprensibile come di fronte a una scena del genere il panico si sia rapidamente impadronito dei soldati tedeschi, i quali iniziarono a ritirarsi disordinatamente, finendo intrappolati tra il filo spinato e i russi avanzanti. Moltissimi soldati tedeschi vennero falciati dal fuoco delle batterie russe ancora in grado di sparare mentre quei pochi che tentarono di opporre resistenza vennero abbattuti dalle baionette dei soldati zaristi, assetati di vendetta dopo aver visto centinaia di loro compagni cadere soffocati. Alle 11 del mattino, dopo sette ore infernali, la battaglia era finita.
Anche se dal punto di vista tattico l’episodio di Osowiec non influì più di tanto sull’andamento delle operazioni (già il 18 i russi si ritirarono dopo aver fatto saltare il forte), la notizia di quella che fu presto ribattezzata la “Carica dei morti viventi” venne ampiamente celebrata dalla propaganda nazionale russa.