”L’islam è la nostra fede, la democrazia è il nostro sistema, il socialismo è la nostra economia” – Benazir Bhutto, prima leader donna di una nazione islamica. Le parole in incipit sono di un padre la cui figlia ne fece un mantra, una filosofia di vita che la guidò lungo tutto il suo percorso politico e le sue battaglie. Benazir Bhutto nacque a Karachi, in Pakistan, nel 1953 da un’importante famiglia politica e commerciale – quella dei Bhutto. All’età di sedici anni lasciò la sua terra natale per studiare al Radcliffe College di Harvard. Dopo aver completato la sua laurea alla Radcliffe, studiò all’Università di Oxford, in Inghilterra, dove conseguì una seconda laurea in scienze politiche nel 1977.

Nello stesso anno tornò in Pakistan, dove suo padre, Zulfikar Ali Bhutto, era stato eletto prima Presidente, e poi Primo Ministro – ma alcuni giorni dopo il suo arrivo, i militari presero il potere e suo padre fu imprigionato. Nel 1979 Ali Bhutto fu impiccato per ordine del governo militare del generale Zia-Ul-Haq con accuse di brogli elettorali, omicidi politici e di essere stato troppo vicino alla Cina e all’Unione Sovietica. Anche Benazir fu arrestata più volte negli anni successivi e fu detenuta per tre anni prima di poter lasciare il paese nel 1984. Si stabilì a a Londra e insieme ai suoi due fratelli fondò un’organizzazione clandestina per resistere alla dittatura militare. Quando suo fratello Shahnawaz morì nel 1985, si recò in Pakistan per la sua sepoltura, dove fu nuovamente arrestata per aver partecipato a manifestazioni antigovernative. Il funerale da sè contava come ”manifestazione antigovernativa” agli occhi del dittatore Zia Ul-haq, la quale oramai aveva preso una vita propria e le derive autoritarie stavano sfuggendo di mano anche al suo leader.

Tornò a Londra dopo il suo rilascio e la legge marziale fu finalmente revocata in Pakistan alla fine dell’anno. Le manifestazioni anti-Zia ripresero e Benazir Bhutto tornò in Pakistan nell’aprile 1986. Il suo primo discorso pubblico al suo ritorno fu infuocato e chiese pubblicamente le dimissioni di Zia-Ul-Haq, il cui governo aveva giustiziato suo padre. Nel 1988 il sanguinario generale morì in un incidente aereo – anche se in molti sospettarono che si fosse trattato di un sabotaggio da parte di elementi estremisti dell’esercito. Alle successive elezioni del 16 novembre il PPP – il Partito Popolare Pakistano – ottenne la maggioranza relativa all’Assemblea Nazionale. Bhutto entrò in carica come Prima Ministra il 2 dicembre dopo la formazione della coalizione di governo, divenendo così all’età di trentacinque anni la persona più giovane e anche la prima donna a ricoprire l’incarico in un paese musulmano contemporaneo.
Purtroppo, sorsero ben presto problemi – solo due anni dopo l’inizio del suo primo mandato, il presidente Ghulam Ishaq Khan destituì Bhutto dall’incarico. Lei per tutta risposta avviò una campagna anti-corruzione nella quale furono coinvolti membri della famiglia presidenziale e nel 1993 fu rieletta Primo Ministro.

Mentre era in carica, si prodigò affinché l’elettricità arrivasse anche nelle campagne e costruì scuole in tutto il paese – l’istruzione universale per tutti, anche e soprattutto per le bambine, era un progetto che le stava particolarmente a cuore dopo la dittatura conservatrice di Zia. Fece della lotta alla fame, del diritto alla casa e dell’assistenza sanitaria le sue priorità principali e aveva preparato enormi progetti per modernizzare il Pakistan. Allo stesso tempo, la Bhutto dovette affrontare la costante opposizione del movimento fondamentalista islamico. Suo fratello Mir Murtaza, che si era allontanato da Benazir dalla morte del padre, tornò dall’estero e accusò di corruzione suo cognato Asif Ali Zardari, il marito di Benazir. Mir Murtaza morì in un incidenti dai contorni poco chiari quando la sua guardia del corpo fu coinvolta in uno scontro a fuoco con la polizia a Karachi.
Nel 1996, il presidente del Pakistan Leghari destituì Benazir Bhutto dall’incarico – accusandola di malgoverno – e sciolse l’Assemblea nazionale. Un tentativo di rielezione della Bhutto fallì nel 1997 e il successivo governo eletto, guidato dal più conservatore Nawaz Sharif, fu rovesciato dai militari. Il marito di Bhutto fu imprigionato e ancora una volta Benazir fu costretta a lasciare la sua patria. Trascorse così otto anni in esilio volontario tra Dubai e Londra dove continuò a sostenere il ripristino della democrazia in Pakistan. Nonostante le continue minacce di morte da parte di gruppi estremisti, la Bhutto si risolse a tornare in Pakistan per candidarsi alle elezioni del 2008.

Il 18 ottobre 2007 il suo ritorno in patria fu funestato da un attentato che causò 138 vittime e almeno 600 feriti. Le esplosioni ebbero luogo a Karachi durante un corteo di sostenitori che accoglieva l’entrata dell’ex Prima Ministra nella città, subito dopo il suo arrivo all’aeroporto. Benazir Bhutto, su un camion blindato da cui salutava i cittadini e sostenitori, rimase illesa; gran parte delle vittime era costituita da membri del Partito Popolare Pakistano. Il giorno seguente la ex Premier accusò il governo del Presidente Pervez Musharraf di non aver preso provvedimenti preventivi affinché la strage, preannunciata da un allarme da parte dei servizi segreti prima delle esplosioni, fosse scongiurata.
In mancanza di rivendicazioni da parte dei reali mandanti degli attacchi suicidi, Benazir Bhutto dichiarò di essere certa che questi fossero avvenuti per mano di un gruppo di matrice talebana e sicuramente anche di un gruppo di seguaci dell’ex dittatore Muhammad Zia-ul-Haq. Solo poche settimane prima delle elezioni, gli estremisti colpirono ancora – dopo una manifestazione elettorale a Rawalpindi, mentre Benazir Bhutto salutava la folla affacciata al tettuccio della sua Toyota blindata, un poliziotto si avvicinò e le sparò con la pistola; qualche istante dopo un attentatore si fece esplodere vicino all’auto, che resistette all’urto. L’esplosione fece una strage fra le migliaia di persone radunate per assistere al comizio. Trasportata immediatamente in ospedale, la leader pakistana dell’opposizione morì poco dopo a causa della gravità delle ferite riportate, dovute anche al violento spostamento d’aria causato dall’esplosione.

Dopo la sua morte, in tutto il paese scoppiarono disordini – la perdita della leader democratica più popolare del paese fece precipitare il Pakistan nei tumulti, intensificando la pericolosa instabilità di una nazione dotata di armi nucleari e situata in una regione altamente instabile. Benazir Bhutto ha lasciato un’eredità profondamente polarizzante. La sua carriera è stata celebrata come un trionfo per le donne nel mondo musulmano e per la lotta globale contro l’estremismo islamico – allo stesso tempo, è stata accusata di corruzione e malgoverno. I suoi sforzi e la sua lotta per difendere l democrazia rimangono un’eredità duratura che è profondamente rispettata anche dai suoi rivali politici – diverse università ed edifici pubblici in Pakistan portano il nome di Benazir Bhutto, mentre la sua carriera ha influenzato numerosi attivisti, tra cui il premio Nobel per la pace Malala Yousafzai.