La marea nera!

STORIA DELLA GUERRA ANGLO-ZULU

La guerra anglo-zulu costituisce un episodio tutto sommato marginale dal punto di vista militare nel quadro dell’espansione coloniale della Gran Bretagna nell’Africa australe. Probabilmente quasi nessuno oggi si ricorderebbe di questo conflitto combattuto ormai quasi centocinquanta anni fa se non fosse per il fatto che poco dopo l’inizio delle operazioni il 22 gennaio 1879, nei pressi del rilievo di Isandlwana le forze inglesi subirono una delle peggiori sconfitte della loro storia militare e coloniale, paragonabile alla disfatta cui diciassette anni dopo sarebbero andate incontro nella conca di Adua le nostre truppe coloniali per mano dei guerrieri etiopi.

Il monte Isandlwana ripreso nel 2005; il tumulo di pietre bianche indica la collocazione di una delle fosse comuni dove furono seppelliti i caduti britannici dopo la battaglia contro gli zulu del 1879

A rendere ancora più clamorosa la batosta inglese contribuisce il fatto che mentre quasi la metà degli effettivi l’esercito del Negus erano equipaggiati di armi da fuoco moderne ed erano appoggiati da un nutrito contingente di cavalleria, l’esercito zulu a Isandlwana era composto esclusivamente da guerrieri appiedati per di più dotati esclusivamente di zagaglie e scudi di pelle.

Per comprendere i motivi che portarono l’Impero britannico a scontrarsi con il Regno Zulu dobbiamo partire dall’analisi della situazione del Sudafrica nella seconda metà del XIX secolo. A sud gli inglesi controllavano la Colonia del Capo, passata definitivamente sotto il loro dominio in seguito al trattato anglo-olandese del 1814. La dominazione britannica non fu accolta di buon grado dai discendenti dei coloni olandesi – conosciuti anche come “Boeri” o “Afrikaner” – i quali mal sopportavano le politiche di anglicizzazione forzata attuate dai nuovi amministratori inviati da Londra. A esacerbare ulteriormente i rapporti fra autorità inglesi e Boeri contribuì poi il varo del cosiddetto Negro Emancipation Act (1833) con cui il governo britannico bandì definitivamente la schiavitù su tutto il territorio della colonia. Questo provvedimento suscitò la viva opposizione della popolazione afrikaner, la cui economia si basava in larga misura sul lavoro servile.

Mappa raffigurante le direttrici del Grande Trek Boero.

Decisi a sottrarsi al controllo dell’amministrazione coloniale inglese, una parte della popolazione boera – circa 12 mila individui – scelse di trasferirsi verso nord-est in quello che venne ricordato in lingua afrikaner come “Die Groote Trek”, la “Grande Marcia”. Nel corso di varie ondate tra il 1834 e il 1835 centinaia di famiglie di pionieri – detti “Voortrekkers” in lingua afrikaner – si stabilirono nei territori in cui sarebbero sorti la Repubblica di Natalia (1839) – poi annessa alla Colonia del Capo nel 1843 – la Repubblica del Transvaal (1848) e lo Stato Libero dell’Orange (1854).

Ovviamente l’insediamento dei coloni nelle nuove terre fu tutt’altro che indolore. Nel corso della loro marcia, che ricorda sotto taluni aspetti quella per la conquista del Far West da parte dei coloni nordamericani, i boeri incontrarono la fiera resistenza delle popolazioni native dell’Africa australe, primi fra tutti gli Zulu, organizzati in un potente regno esteso tra i fiumi Tugela e Pongola e le coste dell’Oceano Indiano, nell’attuale Sudafrica orientale.

Coloni boeri – detti voortrekkers – in marcia in un’illustrazione di J.S. Skelton (1909).

Le origini della potenza zulu vengono fatte risalire all’ascesa al trono di Shaka (1787-1828), figlio illegittimo del sovrano zulu Senzangakhona. Dopo essere stato bandito dal padre durante l’infanzia, Shaka trovò rifugio assieme alla madre Nandi presso Re Jobe, sovrano di una potente confederazione di popoli Nguni, la Confederazione Mtetwa, e tra le file del suo esercito acquisì fama di valoroso guerriero. Alla morte di Jobe, alla guida della Confederazione Mtetwa gli succedette il figlio Dingiswayo, il quale era stato in precedenza bandito con l’accusa di aver cospirato per impadronirsi del trono.

Dingiswayo nutriva ambizioni e aveva nuove idee per l’organizzazione militare e politica dell’Africa, in particolare concepì una nuova formazione di combattimento – impi – e una nuova struttura della catena di comando, tutte innovazioni che Shaka fece proprie perfezionandole. Se fino a quel momento i conflitti erano stati fortemente ritualizzati e caratterizzati da scontri brevi e poco cruenti, con Shaka il fine ultimo della guerra divenne il totale annientamento del nemico. Le popolazioni sconfitte non ebbero altra scelta che sottomettersi o trasferirsi altrove dando inizio ad un periodo contrassegnato da disordini e spostamenti di massa noto come Mfecane (“schiacciamento” in lingua zulu ma traducibile anche come ” devastazione” o “dispersione”).

Shaka kaSenzangakhona (1787-1828) Re degli Zulu tra il 1816 e il 1828.

Grazie all’appoggio di Dingiswayo, alla morte del padre, nel 1816, Shaka fece ritorno presso il suo popolo, uccise il fratellastro Siguyana e si autoproclamò sovrano di tutti gli Zulu. Forte dell’esperienza di comando maturata nel corso degli anni precedenti, Shaka diede un forte impulso alla militarizzazione della società zulu secondo un sistema paragonabile per certi versi a quello in vigore nell’antica Sparta. A partire dalla pubertà tutti gli uomini abili vennero inquadrati in reggimenti – amabutho – e obbligati a risiedere in appositi insediamenti – amakhanda – tanto in tempo di guerra quanto in tempo di pace.

Inoltre, fintanto che fossero rimasti sotto le armi, gli uomini avrebbero dovuto osservare l’obbligo del celibato. Per sposarsi era infatti necessario ottenere il permesso del sovrano. Shaka intervenne poi per quanto l’armamento dei suoi guerrieri: sotto di lui gli zulu abbandonarono la lunga lancia in favore di una corta zagaglia – iklwa – cui si aggiungeva una mazza di legno – iwisa – usata per finire l’avversario e un grande scudo in pelle bovina – isihlangu – che costituiva il principale strumento difensivo a disposizione del singolo combattente, che non disponeva né di elmo né tanto meno di una corazza. Va detto che al tempo di Shaka cominciarono a diffondersi fra gli Zulu le prime armi di fuoco, in gran parte frutto degli scambi commerciali con i coloni bianchi, ma il loro uso non mutò in modo sostanziale le tattiche di combattimento, che continuarono a basarsi sulla ricerca del corpo a corpo con l’avversario.

Guerrieri zulu. Le riforme militari di Shaka trasformarono il regno zulu nella principale potenza indigena dell’Africa australe.

Inizialmente Shaka riconobbe la supremazia di Dingiswayo, ma appena un anno dopo che l’aveva aiutato nella sua ascesa al trono zulu, il sovrano mtetwa fu ucciso da Zwide, signore del potente clan Ndwandwe, che distrusse la Confederazione Mtetwa. Shaka colse l’occasione per riempire il vuoto di potere così creatosi: raccolse attorno a sé i resti della Confederazione Mtetwa e si preparò a riprendere la guerra contro i Ndwandwe. Le tribù che rifiutarono di sottomettersi furono scacciate dalle loro terre o distrutte. Questa sorte toccò a circa sessanta tribù nel volgere di pochi anni. A lungo andare l’esercizio del potere assoluto trasformò Shaka in un tiranno spietato. Così nel 1828 due suoi fratellastri, Dingane e Mhlangane, organizzarono una congiura e lo tolsero di mezzo. Poco tempo dopo però Dingane liquidò anche Mhlangane restando l’unico Re degli Zulu.

Re Dingane ordina l’uccisione di Piet
Retief e dei suoi rappresentanti boeri

Dingane, che regnò per dodici anni, fino al 1840, entrò in conflitto con i vortrekkers boeri che come abbiamo visto proprio in quegli stessi anni stavano lasciando la Colonia del Capo alla ricerca di nuove terre in cui stabilirsi. Dopo aver negoziato un trattato con il quale si impegnava a cedere ai coloni afrikaner delle terre su cui insediarsi, nel febbraio del 1838 Dingane si rimangiò l’accordo facendo massacrare a tradimento il leader boero Piet Retief e il suo seguito dopo averli attirati nel suo accampamento. La morte di Retief fu vendicata da Andries Pretorius, il quale il 16 dicembre 1838 ottenne una clamorosa vittoria nella battaglia del fiume Ncome, in seguito noto come Blood River per via del sangue degli oltre 3 mila guerrieri Zulu morti nel corso dello scontro. Sembra invece che tra i Boeri ci siano stati appena 3 feriti e nessun morto. Due anni dopo Dingane fu rovesciato e ucciso da suo fratello Mpande appoggiato dai boeri. Il nuovo sovrano favorì la pace tra i bianchi e la sua gente anche se nei suoi trentatré anni di regno non mancarono gli incidenti come quando nel 1853, Mpande invase il vicino Regno dello Swaziland, sotto protettorato inglese.

Cetshwayo kaMpande, ultimo sovrano dello Zululand indipendente.

Mpande morì nel 1872 lasciando il trono al figlio Cetshwayo, rimasto unico erede dopo avere eliminato il fratello Mbulazi, figlio prediletto del padre, in seguito a una cruenta guerra civile terminata nel dicembre del 1856. Appena salito al trono Cetshwayo intraprese immediatamente una politica fortemente militarista, espellendo i missionari europei dalla sua terra e ripristinando molte delle usanze di Shaka. La mossa successiva del sovrano fu quella di schierare i propri guerrieri al confine con la Repubblica del Transvaal, intimando ai Boeri la restituzione delle terre che egli aveva precedentemente concesso loro in cambio della consegna di suo fratello Umtonga, fuggito dallo Zululand per evitare lo stesso sanguinoso destino di Mbulazi, nonchè di quelle cedute ai bianchi dagli Swazi, vassalli degli Zulu. I Boeri si trovarono così presi tra due fuochi, vale a dire la minaccia di un’invasione da parte degli Zulu e il rinnovato espansionismo degli Inglesi, che nel 1870 avevano annesso la regione del Griqualand Occidentale.

I territori della Colonia inglese del Capo e delle repubbliche boere nella seconda metà del XIX secolo.

Il Regno Unito iniziò a mostrare nuovamente interesse interesse verso l’Africa australe intorno alla seconda metà degli Anni Sessanta del XIX secolo. Proprio in quel periodo, e più precisamente nel 1867, quando vennero scoperti importanti giacimenti diamantiferi nei depositi alluvionali dei fiumi Orange e Vaal, entro i confini delle repubbliche boere. Ciò attirò minatori provenienti da tutto il mondo, in quella che divenne una vera e propria “corsa ai diamanti”. A seguito di questi eventi la città di Kimberley giunse a contare fino a 50 mila abitanti nel giro di pochi anni. Si palesò pertanto la necessità da parte britannica di cambio di passo nella conduzione degli affari politici in Sudafrica.

Nel 1874 Sir Henry Bartle Frere venne nominato Alto Commissario per l’Africa meridionale da Lord Carnarvon, all’epoca Segretario di Stato per le Colonie, e inviato in Sudafrica con il compito di implementare lo sviluppo di una confederazione sul modello del Canada. Tale progettò incontrò l’opposizione, fra gli altri, del Primo Ministro della Colonia del Capo John Charles Molteno, il quale ebbe a dire che “le proposte di confederazione dovrebbero provenire dalle comunità interessate, e non essere sollecitate dall’esterno”. Un passo importante nell’attuazione dei piani britannici fu l’annessione – poi rivelatasi temporanea – del Transvaal, compiuta nel 1877 approfittando dello stato di anarchia e dissesto finanziario che agitavano la repubblica boera.

L’Alto Commissario per l’Africa meridionale Sir Henry Bartle Frere (1815-1884). Fu il principale sostenitore della campagna contro gli Zulu.

A quel punto Frere si convinse della necessità di abbattere il Regno Zulu, l’ultimo regno nero indipendente, che l’Alto Commissario considerava come la minaccia più seria al successo della politica britannica nella regione. Egli in particolare era ossessionato dall’idea che Cetshwayo potesse porsi a capo di una ribellione generale della popolazione nera del Sudafrica, e pertanto cominciò una campagna di propaganda per provocare un intervento militare. Il Governo inglese, invischiato in una crisi diplomatica nei Balcani e alle prese con un intervento in Afghanistan, era contrario a una guerra e intimò a Frere di agire con moderazione e buonsenso.

L’Alto Commissario era in ogni caso deciso a scatenare la guerra e approfittando della lentezza del sistema di comunicazione fra Città del Capo e Londra sperava di mettere il Governo davanti al fatto compiuto e si diede da fare per provocare un incidente che portasse allo scontro. Frere in particolare fece leva su alcuni sconfinamenti compiuti da alcune pattuglie di guerrieri zulu, che a suo parere erano la prova delle intenzioni aggressive del regno africano.

Nel febbraio 1878 venne nominata una commissione per deliberare sulla questione dei confini che opponeva Zulu e Boeri. L’arbitrato fu largamente favorevole ai primi, che si videro riconoscere la sovranità sui territori contesi. Frere decise di prendere tempo, conscio che la pubblicazione del contenuto del rapporto della commissione avrebbe certamente portato alla ribellione della popolazione boera, peraltro già maldisposta ad accettare la dominazione britannica.

Il tenente generale Frederic Augustus Thesiger, II barone Chelmsford (1827-1905) comandante del corpo di spedizione inglese durante l’invasione dello Zululand

L’11 dicembre 1878, nel corso di un incontro con i delegati zulu al Lower Drift, sul fiume Thukela, organizzato per annunciare le decisioni della commissione, Frere consegnò loro un ultimatum dai termini improponibili nel quale si intimava a Cetshwayo di consegnare alla giustizia britannica i responsabili delle violazioni di confine, il pagamento di una forte ammenda in capi di bestiame e addirittura lo scioglimento dell’esercito e l’abolizione del sistema militare zulu. Nel finale si precisava che, qualora il sovrano non avesse adempiuto ai termini entro trenta giorni, la guerra sarebbe cominciata. Cetshwayo, forte di un esercito disciplinato di oltre 50 mila guerrieri, non temeva gli Inglesi ed era ben determinato a conservare la propria indipendenza. L’ultimatum fu pertanto respinto.

La parola a quel punto passò alle armi. A conferma delle volontà bellicose di Frere, i preparativi militari avevano avuto inizio ben prima dell’ultimatum e precisamente nell’agosto del 1878. Il comando delle operazioni nello Zululand era stato affidato al generale Sir Frederick Augustus Thesiger, secondo Barone Chelmsford, un ufficiale esperto, distintosi durante la guerra di Crimea (1853-1856) e la repressione del Grande ammutinamento indiano del 1857.

Figurino che ricostruisce l’aspetto di un ufficiale di fanteria inglese nel 1879. Allora i soldati di Sua Maestà vestivano ancora la tradizionale giubba rossa.

Il compito affidatogli da Frere non era dei più semplici: lo Zululand era infatti un territorio immenso, per lo più privo di strade e del quale esistevano poche mappe affidabili. C’era inoltre da considerare il rischio di una possibile offensiva nemica contro la Colonia del Natal, le cui difese di confine erano praticamente inesistenti. Tale preoccupazione si sarebbe in ogni caso rivelata infondata poiché Cetshwayo, dopo aver cercato in ogni modo di evitare la guerra, ordinò alle sue truppe di limitarsi a difendere il regno e di astenersi dal portare la guerra fuori dai suoi confini. Lord Chelmsford si convinse pertanto della necessità di costringere gli zulu ad uno scontro campale. Il comandante divise le sue forze in tre colonne che partendo da altrettanti punti tra il Transvaal e il Natal avrebbero dovuto convergere sulla capitale zulu, Ulundi.

La forza di invasione al comando di Chelmsford assommava a 17.173 effettivi, due terzi dei quali erano truppe indigene e volontari locali non del tutto affidabili. La spina dorsale del contingente erano i circa 5 mila soldati di fanteria inglese. Questi ultimi indossavano ancora la tradizionale giubba rossa che di lì a pochi anni sarebbe stata dismessa in favore di una meno appariscente uniforme color cachi. L’arma standard dei soldati di Sua Maestà era invece il fucile a retrocarica Martini-Henry Mk.II a colpo singolo, un’arma considerata robusta ed affidabile.

Mappa militare del regno zulu risalente al 1879 in uso alle forze britanniche.

L’armata britannica era priva di cavalleria regolare; disponeva di due squadroni di fanteria montata, cui si aggiungevano le unità locali boere volontarie, composte da eccellenti tiratori che potevano vantare un’ottima conoscenza del territorio. L’artiglieria disponibile comprendeva cannoni da sette e nove libbre, mitragliatrici Gatling e alcune batterie di lanciarazzi Hales e Fisher. A supporto del corpo di spedizione erano poi schierati la 5ª Compagnia di Royal Engineers del Genio militare e unità dal corpo sanitario mentre per far fronte alle necessità logistiche era stata predisposta una colonna di circa mille carri da trasporto trainati da diecimila buoi, oltre a ottocento cavalli e quattrocento muli.

L’esercito inglese guada un corso d’acqua durante le prime fasi dell’invasione (gennaio 1879). La mancanza di strade adeguate rallentò di molto la marcia delle truppe.

Le truppe inglesi entrarono in territorio nemico l’11 gennaio 1879. Oltrepassato il Buffalo River il 20 gennaio Chelmsford e i suoi uomini giunsero ai piedi della collina rocciosa di Isandlwana. Il luogo si presentava facile da difendere e il comandante inglese decise così di non ordinare lo scavo di trincee difensive o l’approntamento di una fortezza mobile di carri -laager – come suggerito fra gli altri, anche dal futuro capo della rivolta anti-inglese, Paul Kruger, allora inquadrato nella colonna inglese tra i volontari boeri. Fu il primo di una serie di errori fatali. Il 22 gennaio Chelmsford commise il suo secondo errore: informato di un attacco portato dagli zulu a un’altra delle colonne di invasione e ritenendo – a torto – che si trattasse del grosso delle forze nemiche, lasciò il campo poche ore prima dell’alba per dar manforte agli uomini del colonnello Charles Pearson, assegnando il comando al suo sottoposto  Henry B. Pulleine, il quale pur essendo in servizio da quasi venticinque anni, non aveva mai preso parte ad una battaglia!

Pulleine predispose la difesa stabilendo una linea di sentinelle appiedate circa un chilometro e mezzo a est del campo, mentre esploratori a cavallo furono dispiegati sull’altopiano che correva a nord della montagna. All’accampamento erano rimasti soltanto 1.170 dei 4.709 effettivi della colonna, poi diventati 1.768 con l’arrivo dei rinforzi portati dal colonnello Anthony Durnford. La situazione si mantenne calma fino alle otto del mattino, quando una delle vedette a cavallo rientrò nel campo segnalando una grossa formazione zulu in avvicinamento da nord-est. Si trattava di un impi di ben 22 mila guerrieri comandati dal principe Ntshingwayo kaMahole.

La battaglia di Isandlwana in un celebre quadro di Charles Edwin Fripp.

L’attacco scattò intorno alle 11.30: gli zulu caricarono il nemico lanciando le loro grida di guerra e in capo a poche ore la resistenza britannica venne completamente annientata. Gli inglesi avevano creduto di poter arrestare l’attacco dei guerrieri africani grazie alle scariche di fucileria, all’artiglieria e ai razzi ma l’eccessivo allungamento delle linee difensive e le difficoltà nella distribuzione delle munizioni alla truppa si rivelarono fatali. Caddero 1329 soldati – 858 europei e 471 ausiliari nativi – oltre agli stessi Pulleine e Durnford. Andò inoltre perduta una grande quantità di materiale bellico e la bandiera di guerra del 24° reggimento di fanteria. Gli zulu com’era loro usanza non fecero prigionieri e una volta terminato lo scontro in ossequio alla loro convinzioni religiose sventrarono i cadaveri per permettere agli spiriti dei caduti di raggiungere l’oltretomba.

La difesa di Rorke’s Drift dipinta da Alphonse-Marie-Adolphe de Neuville

Poche ore dopo Isandlwana il fratellastro di Cetshwayo, il principe Dabulamanzi kaMpande, si lanciò alla testa di circa 4 mila guerrieri che non avevano preso alla battaglia contro la base logistica inglese di Rorke’s Drift, dove stazionava un distaccamento di 139 soldati al comando del tenente del genio John Chard. Lo scontro si protrasse dal pomeriggio del 22 all’alba del 23 gennaio 1879 quando gli zulu si ritirarono. L’evento fu molto pubblicizzato all’epoca e divenne estremamente celebre. Vennero distribuite ben 11 Victoria Cross, il più alto numero concesso in un’unica azione in tutta la storia dell’esercito inglese.

La battaglia del fiume Intombe (12 marzo 1879).

La notizia della disfatta di Isandlwana si sparse rapidamente per tutto il Natal, inducendo i coloni ad abbandonare gli insediamenti più isolati per rifugiarsi nei centri maggiori; tutti, a cominciare da Chelmsford, si attendevano a momenti l’inizio di una massiccia invasione della colonia da parte degli zulu, ma nulla di tutto ciò accadde: stremato dalla dura battaglia – caddero circa 2 mila guerrieri e un altro migliaio morì in seguito alle ferite riportate – l’impi era rientrato a Ulundi e si era disperso per riprendersi, con i guerrieri impegnati nei complessi rituali religiosi di purificazione.

Il 12 marzo 69 uomini dell’80º Reggimento Staffordshire Volunteer perirono in un assalto sferrato dagli Swazi, alleati degli Zulu, nei pressi del fiume Intombe mentre il 28 marzo, a Hlobane, gli Zulu misero in rotta la cavalleria britannica, che dovette ripiegare su Kambula. Qui finalmente le forze di Sua Maestà si presero la rivincita arrestando un massiccio attacco degli impi zulu, le cui cariche furono spezzate dal fuoco di 15 compagnie di fucilieri appoggiate da sei cannoni da montagna, e quindi contrattaccate dai 600 cavalleggeri di Buller. I guerrieri africani patirono la loro prima, vera, disfatta, lasciando sul terreno tremila dei loro migliori guerrieri, e subendo un duro colpo morale.

La morte del Principe Imperiale Napoleone Luigi Bonaparte (1856-1879).

Il 2 aprile Chelmsford colse un altro successo a Gingindlovu, dove, questa volta ben riparati dietro ad una fortezza di carri alla boera, le sue truppe inflissero altre mille perdite al nemico. Con questa battaglia terminò la prima fase della campagna d’invasione. Tra maggio e giugno Chelmsford fu impegnato a riorganizzare le sue forze, integrandole con le unità che stavano arrivando dall’Inghilterra e dall’Impero. Purtroppo coi rinforzi giunse in Africa anche il ventitreenne Principe Napoleone Eugenio Luigi Bonaparte, figlio dell’ex Imperatore dei Francesi Napoleone III, allora cadetto all’Accademia militare di Woolwich. La stessa Regina Vittoria aveva acconsentito al suo invio in Africa dopo molte insistenze e soltanto dopo avere ordinato che al giovane Bonaparte fosse impedito di prendere parte alle operazioni.

L’incendio di Ulundi, appiccato dagli inglese il 4 luglio 1879 dopo avere conquistato la capitale zulu.

Nonostante le precauzioni prese , Chelmsford non poté impedire che il principe perdesse la vita nel corso di un’azione di pattugliamento il 1° giugno 1879. La morte di Napoleone Luigi provocò grande impressione e costò l’esonero al comandante inglese. Tuttavia prima di essere sostituito, il 4 luglio 1879 Chelmsford riportò la definitiva vittoria sugli zulu sconfiggendo pesantemente l’esercito di Cetshwayo e incendiando il villaggio reale di Ulundi.

Nonostante la grande profusione di uomini e mezzi, il nuovo governo guidato dal liberale William Gladstone ritenne inopportuno incorporare lo Zululand all’interno dei possedimenti della Corona. L’ex regno di Cetshwayo – che dopo la fuga da Ulundi era stato catturato e condotto prigioniero a Città del Capo – venne diviso in 13 contee affidate ad altrettanti capi locali fedeli agli inglesi. Presto però sullo Zululand si scatenò l’inferno della guerra civile e nel 1883 le autorità britanniche pensarono di porvi rimedio provando a restaurare Cetshwayo sul trono ma il territorio a lui affidato era alquanto ridotto rispetto al regno originale. L’esperimento in ogni caso si rivelò fallimentare e il Re morì l’anno dopo, probabilmente avvelenato. Lo Zululand fu infine annesso dagli inglesi nel 1887 in seguito alla repressione della ribellione di Dinzulu, figlio ed erede di Cetshwayo, e infine, dieci anni dopo, accorpato alla provincia del Natal.

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