LA GRANDE GUERRA BOERA (1899-1902) E LA NASCITA DELL’UNIONE SUDAFRICANA
La parola “boero” deriva dall’olandese “boer” e significa letteralmente “contadino”. Con questo termine si è soliti riferirsi ai discendenti dei coloni di origine prevalentemente olandese, ma anche francese e tedesca, che a partire dalla metà del XVII secolo si stabilirono nell’area del Capo di Buona Speranza. Queste genti erano accomunate dall’aderenza al credo calvinista e dal fatto di parlare tutte la lingua afrikaans, un idioma derivante dall’olandese.

Quando nel 1815, a seguito delle decisioni del Congresso di Vienna, la Colonia del Capo passò sotto controllo britannico, circa 12 dei 40 mila boeri che formavano allora la comunità afrikaner scelsero di lasciare la loro terra per spostarsi verso settentrione in quello che passò alla Storia come “Die Groot Trek”, la “Grande Marcia”, avvenuta tra gli Anni Trenta e Quaranta del XIX secolo.Alla base della scelta dei pionieri, i cosiddetti “voortrekker”, vi era lo scontento dovuto alle politiche di anglicizzazione forzata imposte dall’amministrazione britannica, assieme alle azioni inglesi volte a limitare la pratica della schiavitù di cui erano vittima le popolazioni di colore, che infatti sarà definitivamente abolita nel 1833.

Nel corso della loro marcia, che ricorda sotto taluni aspetti quella per la conquista del Far West da parte dei coloni nordamericani, i boeri incontrarono la fiera resistenza delle popolazioni native dell’Africa australe, primi fra tutti gli Zulu.
Nonostante il loro coraggio, proprio come accadde agli Indiani del Nord America, anche le popolazioni africane dovettero soccombere di fronte alle armi da fuoco dei bianchi, la cui potenza distruttiva annullava il pur consistente vantaggio numerico su cui guerrieri neri potevano contare nei confronti degli invasori. Significativo in questo senso è l’esempio della battaglia di Blood River, combattuta dagli Zulu contro i Boeri il 16 dicembre 1838. In quell’occasione gli appena 464 bianchi capeggiati da Andries Pretorius ebbero ragione di quasi 20 mila guerrieri africani, che subirono oltre 3 mila perdite mentre risulta che tra i boeri non ci siano state vittime ma soltanto tre feriti.
Le vittorie ottenute consentirono ai bianchi di stabilirsi nell’attuale Sudafrica nordorientale, dove i nuovi venuti fondarono degli stati indipendenti, lontano dalle ingerenze britanniche. Nel 1839 nacque così la Repubblica di Natalia, con capitale Pietermaritzburg, che però dopo appena quattro anni di esistenza fu annessa dagli inglesi alla Colonia del Capo. L’eredità della Repubblica di Natalia fu raccolta dai nuovi stati boeri che sorsero più a settentrione, ovvero lo Stato Libero dell’Orange, sorto nel 1854, e la Repubblica del Transvaal, fondata nel 1848 da Marthinus Wessel Pretorius, figlio del vincitore della battaglia di Blood River, ed al quale fu intitolata la nuova capitale della repubblica, Pretoria, sorta a partire dal 1855.

Gli appetiti inglesi verso le terre dei boeri erano tuttavia destinati a riaccendersi quando, alla fine degli Anni Sessanta del XIX secolo, vennero scoperti importanti giacimenti diamantiferi nel Transvaal. Principale fautore dell’imperialismo britannico nell’Africa meridionale fu il potente magnate Cecil Rhodes, presidente della British South Africa Company nonché Primo Ministro della Colonia del Capo tra il 1890 e il 1898. Politico spregiudicato e ambiziosissimo, Rhodes si fece promotore di un progetto visionario che mirava ad estendere la sovranità inglese “dal Capo al Cairo”. Fu proprio in quegli anni che la Gran Bretagna giunse a incorporare i territori situati a sud del fiume Zambesi, che vennero organizzati in una nuova colonia che proprio da Rhodes prese il nome di Rhodesia.
I rapporti già tesi fra impero britannico e repubbliche boere, ormai circondate dai possedimenti inglesi, peggiorarono ulteriormente tra il 1885 e il 1886 a seguito della scoperta di ricchissimi giacimenti auriferi nel Transvaal e nell’Orange. Ciò determinò un imponente flusso migratorio verso le repubbliche boere da parte di numerosi cercatori d’oro in gran parte di origine inglese. I boeri non gradirono troppo l’arrivo di questi forestieri (chiamati“uitlanders” in afrikaans), in quanto ritennero che l’arrivo massiccio di stranieri avrebbe potuto stravolgere il carattere contadino e patriarcale della loro società, caratterizzata da un calvinismo di stretta osservanza e da un forte sentimento xenofobo, che a sua volta si esprimeva nel vessatorio trattamento riservato alle popolazioni di colore, ridotte in uno stato di semi-schiavitù.

Gli uitlanders, trovandosi duramente discriminati ed emarginati, non mancarono di protestare per il trattamento ricevuto, trovando in Rhodes un autorevole sostenitore della loro causa.
L’atteggiamento del Primo Ministro della Colonia del Capo non fece che aumentare la tensione che sfociò infine in conflitto aperto con la dichiarazione di guerra alla Gran Bretagna da parte del presidente del Transvaal Paul Kruger, l’11 ottobre 1899. Inizialmente parve che le forze boere, le quali ammontavano a circa 88 mila combattenti, potessero avere la meglio sulle truppe coloniali britanniche, che pure godevano di una superiorità numerica schiacciante (circa 500 mila soldati). I boeri misero infatti in atto un’efficace guerriglia fatta di veloci attacchi mordi-e-fuggi condotti da squadroni di irregolari a cavallo (i “commandos”). Le repubbliche boere del Transvaal e dell’Orange disponevano di milizie costituite da tutti gli uomini validi di età compresa tra i 16 e i 60 anni.

I guerriglieri afrikaner impiegavano nelle loro azioni moderni fucili a ripetizione come i Mauser tedeschi al cui uso erano abituati dalla caccia nella boscaglia sudafricana (il Veld) e dalle lotte contro i nativi. Essi agendo in un territorio ben noto misero quindi in difficoltà un esercito regolare come quello britannico, non adeguatamente addestrato a tattiche di guerra non convenzionali e non ancora del tutto preparato ad affrontare gli effetti devastanti delle nuove armi da fuoco. Come conseguenza, negli scontri di Modder River, Colenso, Magerfontein e Spion Kop le forze inglesi, pur preponderanti numericamente, si trovarono inchiodate alle loro posizioni, sottoposte al fuoco devastante di un nemico a loro invisibile, al quale era impossibile avvicinarsi. L’enorme vantaggio conferito alla difesa dalle nuove armi da fuoco a ripetizione non fu colta tuttavia dai comandi britannici come del resto da nessun altro stato maggiore. I risultati si vedranno alcuni anni più tardi, a partire dal 1914, quando l’Europa scivolerà nell’abisso della Grande Guerra.

Le forze inglesi riuscirono a venire a capo della guerriglia boera grazie ai provvedimenti draconiani assunti dal Maresciallo Horatio Herbert Kitchener, comandante in capo dell’esercito britannico dal gennaio 1901. Considerato che i commandos boeri potevano agire grazie al supporto logistico della popolazione, Kitchener ne ordinò la deportazione in massa all’interno di veri e propri campi di concentramento appositamente istituiti. I campi furono 58 e all’interno di essi furono rinchiuse circa 120 mila persone, ossia grosso modo la metà della popolazione boera. Le condizioni di vita nei lager erano estremamente precarie: i prigionieri ricevevano razioni scarse senza contare che la denutrizione, unita alla scarsa igiene, causò vere e proprie epidemie che provocarono migliaia di morti. Dopo la guerra emerse che i decessi tra i prigionieri ammontavano a oltre 26 mila persone, di cui 22 mila bambini e 4 mila donne. Per la prima volta i civili si trovarono coinvolti nel conflitto in maniera “totale” in un conflitto, una condizione purtroppo destinata a ripetersi in diverse occasioni nel corso del XX secolo. Dal canto suo, nonostante lo sdegno della comunità internazionale, Lord Kitchener non cedette e proseguì nella sua strategia che diede i suoi frutti nel maggio del 1902, quando le forze boere, ormai impossibilitate a proseguire la guerra, decisero di gettare le armi e arrendersi.

La guerra si concluse il 31 maggio con la firma del trattato di Vereeniging: Le repubbliche del Transvaal e dell’Orange vennero annesse all’impero britannico. Tuttavia le comunità boere, in cambio della resa e del giuramento di fedeltà alla Corona inglese, ottennero un trattamento estremamente generoso: il Regno Unito garantì infatti un’amnistia generale per tutti i combattenti, la tutela delle loro proprietà oltre alla promessa dell’autogoverno per il Transvaal e l’Orange, che vennero concessi rispettivamente nel 1906 e nel 1907.

L’ultimo atto verso l’integrazione delle ex repubbliche boere all’interno dell’impero britannico fu la nascita, nel 1910 dell’Unione Sudafricana, che nel 1931 ottenne lo status di Dominion all’interno del Commonwealth. Anche in seguito a questo processo, gli afrikaner rimasero una componente etnicamente e culturalmente separata rispetto agli anglofoni. Tuttavia i bianchi si trovarono presto uniti e solidali nella sistematica limitazione dei diritti della popolazione di colore del Sudafrica. Le politiche discriminatorie colpiranno con eguale durezza tanto gli africani quanto gli immigrati indiani, come sperimentato dal futuro Mahatma Gandhi, che soggiornò in Sudafrica fra il 1893 e il 1914. L’apartheid era dunque già una realtà di fatto quando essa divenne legge nel 1948. La segregazione si sarebbe protratta sino al 1994 con l’elezione del primo Presidente nero della storia sudafricana, Nelson Mandela.
Un pensiero riguardo “Per tutto l’oro del mondo”