IL CORRIDOIO VASARIANO E GLI INTERVENTI EDILIZI SU PALAZZO VECCHIO VOLUTI DAL GRANDUCA COSIMO I DE MEDICI (1519-1574)
Il 2019 non è stato soltanto l’anno di Leonardo. Se da una parte l’anno appena trascorso è stato ricordato per il cinquecentesimo anniversario della morte del maestro di Vinci, dall’altro non possiamo fare a meno di menzionare che nel corso del 2019 è ricorso mezzo millennio, questa volta dalla nascita, di un’altra figura, molto importante per la storia non soltanto toscana, ma anche italiana.

Parliamo di Cosimo de Medici, iniziatore della dinastia granducale medicea che reggerà le sorti della Toscana per un paio di secoli, sino alla sua estinzione nel 1737. Rispetto ai ben più famosi congiunti come il bisnonno Lorenzo il Magnifico e i cugini pontefici Leone X e Clemente VII, il nostro protagonista, figlio del capitano di ventura Giovanni delle Bande Nere, era appollaiato su un ramo cadetto del frondoso albero genealogico mediceo, detto dei Popolani, discendenti da Lorenzo de Medici il Vecchio, figlio cadetto di Giovanni di Bicci e fratello minore di Cosimo il Vecchio. Nel 1537 Cosimo a nemmeno diciotto anni divenne padrone di Firenze dopo l’assassinio del cugino Alessandro. Nominato Granduca di Toscana dal Papa Pio V nel 1570, si dimostrò un politico capace, gettando le basi per una struttura statale che sarebbe sopravvissuta all’estinzione della casata medicea, sino all’Unità d’Italia.
Cosimo, se da una parte si identifica come il padre fondatore e come uno dei motori della cultura fiorentina del Cinquecento, patrono degli artisti del pieno Rinascimento e del Manierismo fiorentino e ideatore di quel museo di sculture antiche che darà origine agli Uffizi, dall’altra rappresenta anche il vero e definitivo artefice di una svolta autoritaria che porterà alla soppressione delle antiche libertà repubblicane. Politico ambiguo, si erse a difensore di esponenti riformati della nobiltà fiorentina dalle persecuzioni dell’Inquisizione ma non esitò a consegnare al Sant’Uffizio il proprio protonotaro Pietro Carnesecchi, quale “contropartita” necessaria a ottenere l’agognata investitura granducale da parte di Papa Pio V.

La complesse personalità di questo principe trova rappresentazione in diverse opere d’arte da lui commissionate. Tra queste quella più significativa è di tipo architettonico, costruito nel corso di tutto il suo regno e tanto importante da coinvolgere tutta la sua dinastia nel suo sviluppo successivo. Un monumento tanto importante soprattutto perché non coinvolge un solo edificio ma l’intera città di Firenze, portandolo ad essere una vera immagine urbanistica del suo ideatore. Tale complesso è l’insieme dei palazzi granducali dei Medici, che divengono corpo unitario attraverso un lungo filo rosso che corre sopra la testa dei cittadini: il Corridoio Vasariano.
Tale progetto trova la sua origine fisica e cronologica in Palazzo Vecchio, o Palazzo della Signoria, luogo dell’antico governo repubblicano e fatto proprio da Cosimo I, sia come luogo di governo che come residenza, almeno in una prima fase. Il palazzo nacque alla fine del ‘200 come sede dei sei priori, magistratura più alta del governo fiorentino, e del gonfaloniere di giustizia. Il progetto dell’edificio originale, che corrisponde al parallelepipedo visibile da Piazza della Signoria, si deve ad Arnolfo di Cambio, architetto e scultore attivo nel Duomo, che lo costruì su palazzi precedenti e su di una torre, che funge da fondamento per l’odierna torre civica detta di Arnolfo. L’aspetto militaresco della struttura, con spalti e merli, si deve alla necessità di proteggere i magistrati, che qui lavoravano e vivevano in isolamento, da rivolte popolari e da possibili interferenze.

Tale nucleo originario venne in seguito ampliato a più riprese, sia durante la repubblica che durante il principato a seconda dell’uso e delle volontà dei signori, venendo completato nelle forme attuali alla fine del ‘500, con gli interventi di Giorgio Vasari e di Bernardo Buontalenti, costituendo oggi un intero isolato. Le strutture esistenti vennero nel corso del tempo modificate a seconda delle necessità, fino agli ultimi interventi postunitari, quando l’edificio divenne sede della Camera dei Deputati. Significativi in questo caso furono il rimodernamento, a metà ‘400, del cortile d’onore ad opera di Michelozzo, attraverso l’interessamento di Cosimo il Vecchio, e la costruzione, alla fine del ‘400, del grande Salone dei Cinquecento, costruito dal secondo governo repubblicano, sotto lo stimolo di Gerolamo Savonarola, come luogo di riunione del consiglio dei Cinquecento, assemblea composta per l’appunto da cinquecento membri e creata allo scopo di imprimere una maggiore democratizzazione del governo cittadino.

La sala venne quindi pensata come l’esaltazione della Repubblica fiorentina e delle sue glorie, con la commissione della “pala della Signoria” a Fra Bartolomeo, nel 1510, e delle notissime battaglie fiorentine di Cascina e Anghiari a Michelangelo e Leonardo, tra il 1503 e il 1504. In questo contesto si inserisce proprio l’intervento di Cosimo, il quale, a partire dagli anni ’40 del XVI secolo, volle trasformare il palazzo nella propria residenza, modificando gli ambienti già esistenti e accrescendoli. Tali pratiche continuarono per tutta la vita di Cosimo, proseguendo con i suoi successori, come ben esemplifica lo Studiolo fatto costruire dal figlio Francesco nel 1570, luogo di studio e di collezione di oggetti e opere d’arte del giovane duca.
Gli interventi di Cosimo riguardano molte parti dell’edificio e costituiscono le più ampie e significative. Tali trasformazioni si devono innanzitutto alla sua fondamentale collaborazione con l’artista più iconico delle fabbriche medicee, ossia Giorgio Vasari, da lui posto a coordinatore generale dei lavori, ma anche ad altri quali Baccio Bandinelli, Bartolomeo Ammannati e Agnolo Bronzino. Tra i vari lavori compiuti si possono ricordare la realizzazione dei due appartamenti ducali, uno per Cosimo e uno per la moglie Eleonora di Toledo. Nel primo il duca volle che fosse realizzato un proprio Studiolo, che prenderà il nome di Tesoretto, mentre quello di Eleonora racchiude un complesso ciclo pittorico, capolavoro del Bronzino. Ma il luogo che più esemplifica tali trasformazioni è la ristrutturazione del Salone dei Cinquecento, o Sala Grande, che si svolgerà lungo tutta la vita del duca e che ne dà una prima immagine.

Il salone venne modificato sin dagli anni’40 prima sotto la guida di Bandinelli e, alla morte di questi, dal Vasari in collaborazione con altri artisti. L’idea di Cosimo era di rendere questo luogo centro della vita di palazzo. Accanto alla funzione assembleare, mantenuta seppur con funzioni consultive, si sarebbe unita quella di tribunale. Il ruolo più importante divenne invece quello di Salone di Rappresentanza, luogo di auto celebrazione del duca e di udienza verso le rappresentanze straniere. A tale scopo sviluppò un vero e proprio programma, in collaborazione sia con lo stesso Vasari che con Vincenzo Borghini, illustre intellettuale di corte.
La sala venne in tal senso modificata cambiandone innanzitutto l’orientamento e valorizzando i lati corti. Il Vasari procedette poi ad accorciare la sala rettificando i lati brevi, estremamente obliqui in origine e alzandola di ben 7 metri, costruendo il grandioso soffitto a cassettoni, sorretto da un complicato sistema di doppie capriate, capaci di sorreggere sia il tetto sia il peso dei cassettoni stessi. Bandinelli intervenne quindi creando un rialzo in pietra sul lato nord, creando una tribuna utile per le udienze. Venne progettato quindi una grandiosa struttura architettonica, in seguito riprodotta sul lato opposto, corrispondente allo spazio della tribuna. Su quello nord erano aperti cinque archi, inquadrati da un ordine di lesene architravate, su cui troneggia un attico con festoni e di un secondo ordine, aperto sulla sala da una balconata. A questa struttura, debitrice alle strutture michelangiolesche della Sacrestia Nuova di San Lorenzo, viene quindi dato un significato politico di esaltazione della casata. La struttura va infatti a formare nel primo ordine cinque archi di trionfo.
Gli archi laterali, aperti da finestre, vennero definiti da serliane, ossia archi sorretti da colonne architravate, simbolo sin dall’antico del potere dei Cesari. Le restanti sono invece chiuse da nicchie, nelle quali troneggiano due gruppi marmorei, uno rappresentante papa Leone X benedicente, l’altro Clemente VII che incorona Carlo V. Tale scelta nacque già qui come esaltazione della casata, sia per i successi ottenuti nella Curia pontificia, sia perché, nel caso di Clemente, l’incoronazione dell’imperatore era vista come materializzazione della fedeltà della famiglia alla causa asburgica e come presupposto per la ripresa di Firenze da parte dei Medici. Concludono la tribuna le quattro sculture nelle nicchie dei pilastri, dove vengono ricordati i membri politici e militari di casa, legati al secondo dominio mediceo sulla città. Ognuno di essi è accompagnato dal proprio animale simbolo e il proprio motto. Vi sono in particolare lo stesso Cosimo I, con una tartaruga con una vela da motto Festina lente (affrettati lentamente), il padre Giovanni dalle Bande Nere con una saetta, il duca Alessandro de’ Medici con un rinoceronte (simbolo di forza), e il figlio Francesco I con una donnola. Le sculture vennero realizzate a più riprese prima dallo scultore Baccio Bandinelli e in seguito da Giovanni Battista Caccini. Sulla parete opposta il progetto del Bandinelli prevedeva un grande apparato scultoreo, opera di Bartolomeo Ammannati. Tale idea non venne però completata e oggi il suo nucleo si trova al museo del Bargello. Anche in questo caso però il messaggio politico è fondamentale.

Al centro della parete, entro una nicchia, si sarebbe dovuto trovare un grande complesso marmoreo e bronzeo, legato da un grande cerchio di marmo. La struttura sarebbe stata realizzata come una fontana, chiusa in basso da una vasca. Al centro si sarebbe collocata la statua della dea Cerere, dea dell’agricoltura e della fertilità, dai cui seni sarebbe sgorgava l’acqua. Al di sopra, seduta sul grande arcobaleno marmoreo sta Giunone, accompagnata da pavoni. Alla base del complesso si trovano invece due personificazioni di fiumi, dai cui vasi sgorgava altra acqua. Essi sono identificati con l’Arno, a sinistra e la Fonte Sacra del Parnaso, legata al santuario di Delfi. Una seconda ipotesi ha identificato questa seconda statua con il fiume Arbia, connesso al territorio senese e alla sua recente conquista da parte del duca. Accompagnano infine la fontana la statua della Prudenza a sinistra e quella di Flora, a destra, simboleggiante la città di Firenze. L’idea di questa costruzione era quindi, da una parte, di esaltazione dell’operato del duca e della ricchezza, sostenuta dagli dei, che stava portando alla Toscana, ma, dall’altra, una possibile esaltazione della Duchessa Eleonora e della sua fecondità o un rimando più diretto alle grandi opere idrauliche che Cosimo stava portando a Firenze, come la costruzione di un grande acquedotto rifornì la città, in precedenza sostenuta solo da un sistema di pozzi.

Il senso politico della sala prosegue sui lati lunghi, con i grandi affreschi di battaglia realizzati dal Vasari. Cosimo volle che vi venisse rappresentata, da una parte, la guerra contro Pisa (tra il 1496 e il 1509), e, dall’altra, la campagna contro Siena, compiuta tra 1552 e il 1559. Per quanto riguarda gli episodi della prima serie (La sconfitta dei pisani alla torre di San Vincenzo, Massimiliano d’Austria tenta la conquista di Livorno e Pisa attaccata dalle truppe fiorentine) esse fanno riferimento alla riconquista compiuta dalla Repubblica di Firenze della città toscana dopo la sua sollevazione nel 1494.Anche se Casa Medici non venne coinvolta direttamente in tali vicende, la scelta del tema potrebbe essere un modo per sottolineare l’ormai definitiva dipendenza di Pisa da Firenze e l’apertura attraverso di essa al commercio mediterraneo. Per quanto riguarda il ciclo senese (La presa di Siena, La conquista di Porto Ercole e La vittoria di Cosimo I a Marciano in Val di Chiana), Cosimo voleva in questo modo ricordare la sua recente conquista della Repubblica, che gli aveva permesso l’investitura ducale anche di quella città. Essa aveva però un ulteriore fondo politico. Infatti, specie nella battaglia di Scannagallo, le truppe fiorentine e imperiali avevano sconfitto quelle senesi e quelle francesi loro alleate, ma avevano anche eliminato la minaccia degli esuli fiorentini repubblicani che, guidati dalla famiglia Strozzi, si erano rifugiati a Siena.

Il famoso “Cerca Trova“, dipinto dal Vasari e attribuito all’affresco di Leonardo, avrebbe infatti un taglio politico direttamente legato al duca: sarebbe una presa in giro (Hai cercato la libertà, hai trovato la morte) del motto scelto dagli esuli in quella battaglie, preso dal canto catoniano della Divina Commedia (libertà va cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta).
Termina il ciclo la decorazione del grande soffitto a cassettoni. Al suo interno, oltre ad episodi collegati alle scene sulle pareti, il tema centrale diventa la vera esaltazione del Duca, a cui diverse personificazioni rendono omaggio. Tali rappresentazioni si identificano sia con le città del dominio ma anche con le istituzioni cittadine di Firenze che il Duca aveva posto sotto di sé, come le corporazioni. Nucleo focale dell’opera è proprio il tondo centrale. Se ne progetto originale vi sarebbe dovuta essere una rappresentazione di Firenze incoronata da un putto, per volontà dello stesso Cosimo si decise infine di rappresentare il Duca nella stessa postura, ponendolo come vero protagonista dello spazio. A quest’ultima decorazione misero mano i più grandi pittori manieristi attivi in città negli anni’60 del’500, tra i quali Giovanni Stradano, Jacopo Zucchi, Santi di Tito e Prospero Fontana.
L’ombra di Cosimo, così importante nel Salone e all’interno di Palazzo Vecchio, si allunga poi dal palazzo all’intera città, proprio attraverso il Corridoio Vasariano. Tale opera architettonica è in realtà l’ultima in ordine di tempo, legato al matrimonio del figlio Francesco con Giovanna d’Austria nel 1565. Tale progetto, assai ambizioso e difficile, nacque per esigenze diverse. Da una parte la volontà di unire con un grande cordone la sede di governo (Palazzo Vecchio e gli Uffizi) e la nuova sede abitativa dei Granduchi a Palazzo Pitti che facilitasse i movimenti della corte tra i due edifici, superando la confusione delle strette strade medioevali della città, ma anche un’esigenza di sicurezza che impedisse la possibilità di attentati e che permettesse facilmente di uscire fuori dalla città in caso di rivolta, magari trovando rifugio nel Forte del Belvedere, nuovo fortilizio fatto costruire da Cosimo come corrispettivo della Fortezza da Basso.

A questi scopi materiali, vi è sicuramente anche un significato simbolico. Il Granduca aveva infatti l’obiettivo di tracciare con esso una propria immagine che potesse manifestare la sua presenza sulla città. Legato a ciò, nasce anche con il progetto mediceo uno degli elementi più simbolici di tutti i governi assoluti dell’età moderna, ossia la netta distinzione fisica tra il luogo del potere (il Palazzo) e la comunità circostante, che vivono, di fatto, isolati gli uni dagli altri. Altro elemento interessante è il fatto che esso non venga pensato come un edificio autonomo, ma che si sostenga letteralmente su altri edifici, di antica o nuova costruzione, spesso per rispondere alle necessità della corte.
Uscendo da Palazzo della Signoria e varcando con un grande arco via della Ninna, il camminamento si sviluppa all’interno di un’altra struttura frutto del sodalizio fra Cosimo e il Vasari, fondamentale per comprendere l’operato del Granduca, sia come politico sia come mecenate. Tale edificio è il palazzo degli Uffizi, oggi uno dei musei più importanti d’Italia. Eppure in originale tale palazzo aveva solo in parte tale scopo. Il progetto, nato a partire dal 1561, voleva la costruzione di un grande edificio porticato ad U destinato ad accogliere tutte le magistrature fiorentine esistenti e che fino a quel momento erano sparse per tutta la città. Cosimo ebbe quindi l’idea di riunirle in un solo luogo, collegato con il palazzo di governo. Tale scelta venne dettata sia dalla volontà di “razionalizzare” la macchina amministrativa, sia da quella di avere il pieno controllo di quelle strutture, direttamente collegate al centro del potere. Vasari creò quindi un palazzo di grandi dimensioni, costruito su tre piani, prendendo a modello le architetture e le modanature in pietra serena che Michelangelo aveva usato nella Sacrestia Nuova e nella Biblioteca Laurenziana. Il lavoro dell’architetto aretino fu particolarmente complesso, in particolare per la grandezza dell’edificio, ma anche poiché il lato più corto, parallelo all’Arno, vi si trovasse direttamente di fonte e fossero necessarie sostruzioni nel terreno sabbioso dell’alveo. Vasari rivoluzionò così l’intero quartiere, demolendo tutte le precedenti case medioevali e mutilando largamente la chiesa medioevale di San Pietro Scheraggio, di cui rimase una sola navata laterale, usata come sostruzione e ancora visibile oggi.

Il risultato finale fu il palazzo attuale, con due lati paralleli, con alla base un porticato voltato a botte e cassettonato, chiuso da colonne alternate a pilastri, cui segue un primo piano a finestre a timpani tondi e triangolari e conclusa da una loggia al terzo piano. Il terzo lato, parallelo al fiume, si sviluppa invece in senso più monumentale. Alla base una grande serliana, sorretta da doppie colonne e aperta sul fiume, al di sopra della quale è costruita una loggia, aperta su entrambi i lati dell’edificio. Tale scelta fu voluta, sia per aprire un balcone panoramico sul fiume e sulle colline sia perché, con questo, Cosimo intendeva porre l’accento sulla ricchezza che il controllo sull’Arno portava alla città e che attraverso di esso la città si aprisse al Mediterraneo attraverso il nuovo porto di Livorno. Si venne a creare quindi una lunga strada, aperta sul fiume, ma che, chiusa dal terzo braccio, ha l’aspetto di una piazza. La visione degli Uffizi come luogo artistico e museale venne data solo parzialmente dal primo granduca, che ospitò solo una parte delle sue collezioni classiche al terzo piano, ma venne invece sviluppata dal figlio Francesco, che la istituzionalizzò e vi creò aree specifiche, come la Tribuna. Al primo Granduca si deve invece la costruzione al suo interno del teatro ducale, una grande struttura scenica tutta in legno, rimasta in funzione fino all’Unità. Prima di venire smontata essa ospitò, durante il periodo di Firenze Capitale, il Senato del Regno d’Italia.
Il corridoio, attraversando gli Uffizi, valicava quindi il Lungarno, proseguendo lungo il fiume sorretto da pilastri, aperti però nella parte bassa, di modo da permettere il passaggio. Attraversa quindi l’Arno, appoggiandosi su Ponte Vecchio. Il rapporto con il ponte è più forte della sua semplice posizione. Il passetto infatti crebbe letteralmente sostenendosi sulle strutture esistenti, in particolare sulle botteghe artigiane costruite sul lato destro del ponte. Il rapporto tra la struttura e gli artigiani di Ponte Vecchio è più forte di questo. Ponte Vecchio infatti era il centro dell’attività dei beccai fiorentini, ossia dei macellai, che usavano le acque per la pulizia. La costruzione del Corridoio e le successive proteste della corte riguardo ai miasmi provocati dalle botteghe sottostanti portarono quindi ad una piccola rivoluzione con il trasferimento dei beccai e la sua successiva sostituzione dei gioiellieri, che sopravvivono ancora oggi.

Il corridoio si appoggia poi ad una torre medioevale, un tempo a guardia del ponte, detta dei Manetti. Superato il ponte, il cordone entra quindi nel quartiere dell’Oltrarno. Qui ha due punti focali fondamentali. Un primo si colloca presso la chiesa di Santa Felicita. Questo edificio, tra i più antichi della città, è infatti collegato al corridoio, che passa nella parte alta della sua facciata. I Medici approntarono anche un palco privato, aperto verso la chiesa, con a fianco palchetti chiusi da grate dorate. Esse avrebbero permesso ai duchi un momento di preghiera o di partecipare alle messe, volendo anche senza volti indiscreti. Interessante è, anche in questo caso, il fatto che siano state usate strutture precedenti come sostruzioni. In Santa Felicita in particolare furono recuperate le prime due cappelle della chiesa, la cappella Canigiani e la Cappella Barbadori (capolavoro di Brunelleschi e decorata dal Pontormo e dal Bronzino), cui vennero amputate le cupole originarie, in seguito ricostruite.
Il Corridoio Vasariano trova la sua conclusione nel palazzo che divenne in un primo tempo sede abitativa dei Medici, ma che già a partire dai diretti successori di Cosimo divenne anche quella di governo, ruolo che mantenne anche sotto i Lorena e con i Savoia nella fase di Firenze Capitale, Palazzo Pitti. Il palazzo nacque in realtà come casa di Luca Pitti, ricco mercante e banchiere cittadino e coinvolto nella politica fiorentina del primo Quattrocento. Pitti scelse come architetto Brunelleschi, richiedendogli un edificio fastoso che potesse dimostrare la propria condizione a tutta la città. Una leggenda racconta inoltre che tale progetto fosse antecedente alla commissione, in quanto proposto a uno dei concorrenti più forti del mercante, ossia Cosimo il Vecchio, che lo avrebbe rifiutato considerandolo troppo magniloquente e foriero di invidie da parte dei suoi concittadini. Strutturalmente però l’edificio presentava un modello comune tra la classe dirigente della città toscana, con un grande blocco su tre piani con cortile interno porticato, decorato all’esterno a bugnato armonicamente discendente salendo i piani.

Il progetto si dimostrò però fin troppo ricco e le vicende politiche che ne coinvolsero il committente lasciarono il cantiere incompiuto, seppur la famiglia risiedette nella parte realizzata fino alla metà del ‘500, quando gli eredi lo vendettero alla duchessa Eleonora di Toledo. Tale scelta sembra dettata sia da ragioni di salubrità del luogo per la giovane duchessa, che soffriva di problemi respiratori, sia dalla sua volontà di un palazzo più aperto e con grande giardino, preferito a Palazzo Vecchio.
Gli interventi compiuti da tutti granduchi su questo palazzo furono moltissimi, e proseguirono anche sotto le successive dinastie. Per quanto riguarda l’intervento di Cosimo esso interessò soprattutto gli esterni, e sono oggi visibili in una delle lunette realizzate da Giusto Utens per una delle ville di famiglia. Mantenne il fronte rivolto verso la città, mentre fece modificare a Bartolomeo Ammannati il retro, portando il vecchio palazzo ad assumere sia il ruolo di palazzo di città sia quello di villa di campagna, a forma ad U e aperto su un vasto giardino e parco. Il lato posteriore, con due avancorpi, fu ricoperto a bugnato, così come tutti e tre gli ordini sovrapposti, comprese le colonne. Il cortile originario non venne eliminato, lasciando il quarto lato ad un solo piano, con alla base un ninfeo e al di sopra una fontana, detta del Carciofo, posta alla stessa quota del giardino e creandovi così una terrazza. Tale terrazza fu usata poi per le rappresentazioni teatrali, sfruttando anche la nuova disposizione che il granduca aveva dato al giardino di Boboli, sotto la supervisione di Niccolò Tribolo. Il Tribolo in particolare creò un giardino a cavea allungata che curvava davanti al cortile cui al centro venne collocata una fontana, composta da una vasca proveniente dalle terme di Caracalla e da un obelisco egizio, già nelle collezioni Medici di Roma e portato qui nel ‘700. In cima al giardino era posta un’altra fontana, dedicata a Nettuno, con una scultura del Gianbologna al centro. La fontana esiste ancora oggi, anche se spostata nel corso della risistemazione seicentesca del giardino.

Dopo la fine del Granducato, il filo rosso non si è eclissato ma è divenuto parte integrante del Museo degli Uffizi. In particolare andò ad ospitare, e ospita ancora oggi, la collezione di ritratti e autoritratti di pittori e artisti, a partire dalla fine del ‘500 a oggi. Il museo aveva sin dall’epoca granducale avviato una consuetudine, ossia quella di invitare gli artisti a lasciare nelle sue collezioni un proprio autoritratto, cui si aggiunsero anche dei precedenti e ritratti gli artisti si facevano tra di loro. I progetti odierni prevedono di aggiungere ad essi anche fotografie dedicate ad eventi avvenuti in città e legate a specifici punti del percorso, come l’alluvione dell’Arno del 1966 e l’attentato mafioso di Via dei Georgofili del 1993. Un grande percorso quindi, che permette di volare idealmente dal nucleo della città alla sua periferia e fino alle colline. Un segno forte di Cosimo su Firenze che fu ereditato dai suoi successori e segno anche di un cambiamento politico fondamentale nato alla sua epoca, dove l’Assolutismo cominciò a distaccarsi fisicamente dalla città, sentito più forte soprattutto nelle realtà comunali italiane. Un luogo importante per capire la città e ancora oggi fonte di dibattiti e discussioni.