L’epopea dei Medici – Il potere e la tiara

Ed eccoci giunti alla terza puntata di questa nostra serie sulla storia della famiglia dei Medici. Riprendiamo dunque il filo della narrazione da dove ci eravamo lasciati ovvero al momento della scomparsa di Lorenzo il Magnifico.

Piero di Lorenzo de Medici detto il Fatuo (1472-1503) ritratto da Agnolo Bronzino.

A succedere a Lorenzo – spentosi, ricordiamo, l’8 aprile 1492 a soli quarantatré anni – fu chiamato il figlio primogenito Piero, all’epoca appena ventenne. Nato il 15 febbraio 1472, Piero ricevette fin dall’infanzia un’educazione tale da prepararlo, un giorno, a raccogliere l’eredità del padre e a succedere a questi alla guida della città. Nel 1482, a soli dieci anni, fu aggregato ad una missione diplomatica di maggiorenti fiorentini inviata a Roma per rendere omaggio al neoeletto pontefice Innocenzo VIII Cybo. Sposato nel 1487 alla nobildonna romana Alfonsina Orsini, da lei ebbe due figlie, Clarice (1489) e Luisa (1494) e un unico figlio maschio (1492), chiamato Lorenzo come l’illustre nonno.

Nonostante cercasse di prepararlo alla gestione degli affari pubblici, con ogni probabilità il Magnifico dovette amaramente constatare che questo figlio, troppo amante del lusso e dell’ostentazione e troppo poco attratto dalle responsabilità connesse all’esercizio del potere, difficilmente avrebbe potuto eguagliarlo alla guida di Firenze. In effetti, una volta al governo, Piero – vuoi per inesperienza, vuoi per mancanza di talento – si dimostrò assolutamente inadeguato a sostituire il genitore.

L’ingresso trionfale di Carlo VIII di Francia a Firenze il 17 novembre 1494 in un dipinto di Francesco Granacci.

Il velleitarismo di Piero emerse in tutta la sua evidenza due anni dopo la sua ascesa, in occasione della calata in Italia del sovrano francese Carlo VIII di Valois. Il 26 ottobre del 1494 Piero – senza avere ricevuto alcun mandato ufficiale dalla Signoria – si recò di persona a Sarzana per incontrare il Re di Francia, al quale cedette le fortezze di Sarzana, Sarzanello, Pietrasanta, Pisa e Livorno in cambio dell’incolumità di Firenze. Rientrato in città la Signoria ne sconfessò pubblicamente l’operato tacciandolo di codardia e arrendevolezza. A quel punto, di fronte al rischio di un’insurrezione popolare, il 9 novembre 1494 Piero, che verrà ricordato come “il Fatuo”, lasciò Firenze per l’esilio. Di lì a poco il governo cittadino ne decretò ufficialmente la messa al bando ponendo addirittura una taglia sulla sua testa, più volte rinnovata negli anni seguenti.

Piero passò il resto della sua breve vita a tramare contro Firenze e a tessere alleanze nel tentativo di riconquistare il potere. L’erede di Lorenzo il Magnifico morì poco più che trentenne il 28 dicembre 1503 annegando nel fiume Garigliano, durante la battaglia tra l’esercito spagnolo e francese – a cui si era aggregato -e venendo successivamente sepolto nell’abbazia di Montecassino di cui era abate il fratello minore Giovanni, che dopo la sua scomparsa assunse la guida della famiglia, dimostrando di possedere quelle doti di governo che erano mancate al fratello maggiore.

Particolare della Conferma della regola francescana, affresco di Domenico Ghirlandaio conservato all’interno della Cappella Sassetti a Firenze. Giovanni de Medici (terzo da sinistra) è rappresentato fanciullo dietro suo fratello maggiore Piero.

Nato l’11 dicembre 1475, Giovanni de Medici fu destinato alla carriera ecclesiastica fin da bambino. Nel 1483, a soli otto anni, ricevette la tonsura e gli ordini minori mentre il 9 marzo 1489, non ancora quattordicenne, fu creato cardinale da Papa Innocenzo VIII. Tuttavia, non avendo l’età minima richiesta la sua nomina avrebbe dovuto restare segreta per i successivi tre anni. La promozione del rampollo di casa Medici era però un segreto di pulcinella in quanto non appena la notizia trapelò i fiorentini non poterono trattenersi dal festeggiare la promozione del figlio del loro signore al rango di Principe della Chiesa.

Presunto ritratto di Girolamo Savonarola realizzato da Moretto da Brescia. Dopo la cacciata dei Medici il frate fu a capo di un regime teocratico caratterizzato da austerità e severo rigorismo religioso.

Al tempo della morte del padre Lorenzo Giovanni si trovava a Roma ma rientrò in tutta fretta a Firenze per favorire l’ascesa al potere del fratello maggiore. Di lì a pochi mesi, a nemmeno diciassette anni, il cardinal de Medici prese parte al suo primo conclave che si concluse con l’elezione del cardinale Rodrigo Borgia, divenuto Pontefice col nome di Alessandro VI. Nel 1494 anche Giovanni venne travolto dalla cacciata della sua famiglia da Firenze trovandosi costretto a fuggire, travestito da frate francescano, dapprima a Città di Castello e poi ad Urbino.

Il crollo del potere mediceo condusse all’istituzione di un governo di stampo democratico sotto la guida di fra Girolamo Savonarola, priore del convento domenicano di San Marco. Savonarola, che fin dai tempi di Lorenzo il Magnifico si era scagliato contro il carattere mondano e paganeggiante della corte medicea, fu ispiratore di un regime teocratico caratterizzato da austerità e severo rigorismo religioso: furono vietati i canti, le feste e ogni forma di divertimento, ritenuti peccaminosi, mentre vennero bandite opere letterarie come il Decameron di Boccaccio o dipinti raffiguranti dei nudi o riguardanti temi della mitologia classica, considerati scandalosi.

La massima espressione del puritanesimo di Savonarola e dei suoi seguaci fu raggiunta il 7 febbraio 1497, giorno di Martedì grasso, quando fu organizzato il “Falò delle vanità”, in cui furono dati alle fiamme tutti gli oggetti ritenuti peccaminosi o inducenti alla vanità come cosmetici, vesti lussuose, specchi o strumenti musicali, raccolti in tutta Firenze dalla “polizia religiosa” istituita dal frate. Vennero inoltre distrutti dipinti di notevole valore, opera del Botticelli, che lo stesso artista, in preda al fervore religioso, gettò di persona fra le fiamme. Savonarola nelle sue prediche infuocate contrapponeva Firenze con la Roma di Papa Alessandro VI Borgia, paragonata dal frate ferrarese alle bibliche Sodoma e Gomorra.

Il Falò delle Vanità organizzato da Girolamo Savonarola il 7 febbraio 1497, giorno di Martedì Grasso.

Furono gli stessi eccessi integralisti di Savonarola a condurlo alla rovina: ormai avversato sempre più apertamente tanto dagli “Arrabbiati”, suoi ex sostenitori aristocratici fautori ora di una repubblica oligarchica, quanto dai “palleschi”, ossia i partigiani dei Medici, il 12 maggio 1497 fra Girolamo fu infine scomunicato da Alessandro VI, che minacciò inoltre di gettare l’interdetto sull’intera repubblica fiorentina. Il 7 aprile 1498 il popolo, istigato dai Palleschi, insorse contro il priore, barricatosi nel Convento di San Marco. Savonarola venne arrestato ma i suoi sostenitori, i “Piagnoni”, non mossero un dito per sottrarlo alla cattura. Condannato a morte, fra Girolamo venne impiccato il 23 maggio in Piazza della Signoria assieme a due confratelli, fra Domenico da Pescia e fra Silvestro Maruffi. I corpi dei tre religiosi furono poi bruciati e le loro ceneri gettate nell’Arno. La morte di Savonarola non pose fine al regime repubblicano, che venne riformato in senso oligarchico, con l’istituzione di una nuova Signoria guidata dal Gonfaloniere a vita Pier Soderini, il quale si avvalse della collaborazione di politici di prim’ordine fra i quali spiccava Niccolò Machiavelli, autore del trattato “Il Principe”.

Il rogo del cadavere impiccato di Savonarola avvenuto il 23 maggio1498 in Piazza della Signoria.

Negli stessi anni, impossibilitato a rientrare a Firenze e costretto a restare lontano da Roma a causa dell’ostilità del Papa Borgia, Giovanni vagò per l’Italia e l’Europa in cerca di nuove alleanze. La svolta nella sua vita giunse nel 1503 quando, come abbiamo detto, una volta scomparso prematuramente il fratello Piero, Giovanni ne ereditò le responsabilità quale capo del casato mediceo. Inoltre, morto Alessandro VI, dopo il breve pontificato di Pio III, il cardinale Giuliano Della Rovere – nipote dell’antico avversario di Lorenzo il Magnifico, Sisto IV – fu eletto nuovo pontefice col nome di Giulio II.  Anche il nuovo Papa non fu particolarmente vicino al cardinal de’ Medici. I loro rapporti, sebbene non contrastati, non furono neanche particolarmente amichevoli.

Dati i rapporti di alleanza che Giulio II intrattenne con la Francia lungo la prima parte del suo pontificato, premuto dalla necessità di recuperare la Romagna, il cardinale de Medici dovette rimanere per lunghi anni nell’ombra, un periodo che egli impiegò a rafforzare il proprio ascendente tra le famiglie dei mercanti-banchieri fiorentini attivi nell’Urbe. Intanto, da dentro Firenze, la sua opera di recupero del consenso verso l’autorità dei Medici tra le fila del patriziato cittadino venne attivamente coadiuvata da sua sorella maggiore Lucrezia, moglie di Jacopo Salviati.

Pier Soderini, Gonfaloniere perpetuo della Repubblica fiorentina ritratto da Ridolfo Ghirlandaio

Tuttavia fu proprio la politica antifrancese adottata da Papa Della Rovere negli ultimi anni del suo pontificato a favorire il ritorno dei Medici a Firenze. Verso il 1510 Giulio II decise di operare un rovesciamento dell’alleanza fino ad allora intrattenuta con Luigi XII, che gli aveva fornito un fondamentale aiuto per togliere Bologna ai Bentivoglio e ridimensionare la potenza veneziana ma che minacciava ora di ridurre la Sede apostolica alla subalternità alla Francia.

I propositi di Giulio II, consistenti nel rafforzare la potenza temporale della Chiesa romana, facendone la guida politica di un’Italia liberata dalla presenza di eserciti stranieri, coincidevano ora perfettamente con gli interessi del cardinal de Medici, a sua volta ostile alla Francia, che rappresentava la principale alleata e sostenitrice della Repubblica fiorentina. Il 1° ottobre 1511 Giovanni venne nominato legato pontificio in Romagna, con l’incarico di debellare la potenza francese ed espellerla poi dall’intera Italia settentrionale. Il momento era particolarmente drammatico per la Sede apostolica, in quanto il Re di Francia aveva indetto un concilio a Pisa, dove, con l’avallo dei vescovi francesi, si proponeva di deporre Giulio II.

Giuliano de Medici (1479-1516) Duca di Nemours. Ultimogenito di Lorenzo il Magnifico, divenne Signore di Firenze in seguito all’elezione di suo fratello Giovanni al soglio pontificio.

Nel corso della sua missione in Romagna Giovanni si trovò coinvolto nella sanguinosa battaglia di Ravenna, combattuta l’11 aprile 1512 tra l’armata ispano-imperiale e quella francese, guidata dal condottiero Gastone de Foix, detto la “Folgore d’Italia”, che perì a causa di un colpo di picca ricevuto nelle ultime fasi dello scontro. Nonostante la morte del loro comandante i francesi prevalsero e lo stesso cardinale de Medici venne fatto prigioniero. Giovanni venne allora condotto a Milano dove Re Luigi XII ordinò il suo trasferimento in Francia ma durante il viaggio riuscì rocambolescamente a fuggire. Ritornato in libertà, nell’agosto 1512 Giovanni prese parte al congresso di Mantova, dove ottenne la promessa della restaurazione dei Medici a Firenze. Verso la fine dell’estate dello stesso anno un esercito comandato del condottiero spagnolo Raimondo de Cardona invase la Toscana saccheggiando brutalmente Prato e Campi Bisenzio, costringendo alla resa la Signoria fiorentina guidata dal Gonfaloniere a vita Pier Soderini.

Rientrato nella sua città natale il 14 settembre, il cardinal Giovanni diede avvio alla ricostruzione di un assetto di governo docile all’autorità dei Medici. Si dimostrò clemente con i nemici sconfitti e ricercò, per quanto possibile, un consenso interno che ponesse il nuovo regime in una luce di continuità con le tradizioni costituzionali repubblicane: queste continuarono a sussistere, ma furono da lui piegate al sistema di potere mediceo, secondo uno schema che si rifaceva all’epoca di suo padre.

Leone X tra i cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi realizzato da Raffaello Sanzio.

In ogni caso Giovanni non si fermò a lungo a Firenze. Il 4 marzo del 1513 infatti si aprì a Roma il conclave per eleggere il successore di Giulio II, spentosi il 21 febbraio precedente. Lasciata la città nelle mani del fratello minore Giuliano, Giovanni partì alla volta dell’Urbe per prendere parte alle votazioni. Grazie alle sue doti diplomatiche riuscì a fare convergere su di sé la maggioranza dei voti e il 9 marzo 1513 giunse l’attesa fumata bianca: Giovanni di Lorenzo de Medici fu proclamato nuovo Pontefice assumendo il nome di Leone X.

Cresciuto in una delle corti più splendide d’Italia, Leone fu per tutto il suo regno un umanista colto e raffinato, più a suo agio con i classici latini e greci che con la Bibbia e i Padri della Chiesa. Intenzionato a riportare L’Urbe ai fasti dell’Antichità, Papa Medici avviò una serie di ambiziosi progetti edilizi tra cui spiccava il cantiere della nuova Basilica di San Pietro in Vaticano. Per finanziare tali opere prosciugò le casse della Chiesa e per rimpinguarle non esitò a ricorrere a pratiche simoniache come la messa all’asta di diocesi e soprattutto la vendita delle indulgenze, contro le quali insorse un oscuro monaco tedesco, Martin Lutero, che protestò vivamente contro questa pratica con la pubblicazione, il 31 ottobre 1517, delle sue 95 Tesi. Leone X, sordo a ogni istanza di riforma della Chiesa, innescò così quel sommovimento passato alla storia come Riforma Protestante, destinato a infrangere l’unità religiosa dell’Occidente.

Stemma pontificio di Leone X con lo scudo mediceo contornato dalle chiavi di San Pietro e sormontato dalla tiara papale.

Il Pontefice perseverò inoltre nella politica nepotistica dei suoi predecessori, favorendo gli interessi della sua famiglia. Tra i suoi primi atti vi fu quello di nominare suo fratello minore, Giuliano, succedutogli nella signoria di Firenze, quale Capitano generale della Chiesa, attribuendogli il comando supremo delle armate pontificie. Grazie all’interessamento del fratello Papa, nel 1515 Giuliano ottenne l’investitura a Duca di Nemours da parte di Francesco I di Francia. Leone X non dimenticò nemmeno il nipote Lorenzo, figlio del fratello Piero, al quale, nel 1516, “regalò” il ducato di Urbino dopo aver scacciato dal capoluogo marchigiano i Della Rovere. Deciso infine a rafforzare l’influenza della famiglia in seno alla Chiesa, Leone nominò cardinale suo cugino Giulio, figlio postumo di suo zio Giuliano de Medici, assassinato nella Congiura dei Pazzi. Il pontificato di Leone X ebbe termine improvvisamente il 1° dicembre 1521, quando il Papa, ammalatosi di broncopolmonite, si spense a soli 46 anni colpito da un malore. Gli successe, dopo il breve pontificato di Adriano VI, proprio suo cugino Giulio, che prese il nome di Clemente VII.

Se il pontificato di Leone X è stato giudicato disastroso per la Chiesa a causa dello scoppio della Riforma luterana, quello di Clemente VII non fu molto meglio. Sotto il secondo Papa Medici non solo la Chiesa continuò a perdere pezzi, trovandosi ad assistere all’inarrestabile espansione delle idee luterane in tutto il territorio tedesco, ma dovette anche digerire il divorzio dell’Inghilterra da Roma.

Lorenzo de Medici il Giovane (1492-1519). Unico figlio maschio di Piero de Medici, venne investito nel 1516 del Ducato di Urbino da suo zio Leone X.

Il sovrano inglese Enrico VIII desiderava ottenere l’annullamento del suo matrimonio con Caterina d’Aragona per potersi risposare al più presto con la sua amante Anna Bolena. Enrico desiderava infatti a tutti i costi un erede maschio per poter consolidare la giovane dinastia dei Tudor, ascesa al trono dopo la fine della Guerra delle due Rose.

Clemente si trovò così preso fra due fuochi: la richiesta di annullamento proveniva da un sovrano, Enrico d’Inghilterra, i cui meriti erano stati riconosciuti dalla Chiesa con il conferimento al monarca del titolo di “Difensor Fidei” da parte di Leone X, dall’altra Clemente VII non poteva ignorare chi fosse la consorte dalla quale Enrico intendeva divorziare, Caterina d’Aragona, ovvero la zia paterna dell’imperatore Carlo V, con il quale il Pontefice non intendeva entrare in urto. Di fronte al rifiuto del Papa di concedere l’assenso all’annullamento il monarca inglese reagì emanando l’Atto di Supremazia del 1534 con il quale Enrico VIII proclamò nascita della Chiesa Anglicana della quale egli divenne il capo. La Chiesa d’Inghilterra conservò gran parte degli aspetti teologici e liturgici di quella cattolica, salvo poi, a partire dalla seconda metà del Cinquecento, subire una crescente influenza delle idee riformate, in particolare di quelle calviniste.

Clemente VII (al secolo Giulio di Giuliano de Medici) ritratto da Sebastiano del Piombo.

Sul piano politico e diplomatico, in qualità di sovrano dello Stato pontificio, Clemente VII si inserì nel braccio di ferro tra Francesco I di Francia e l’Imperatore Carlo V per il controllo della penisola italiana. Dopo la sconfitta del suo predecessore Luigi XII ad opera della Lega Santa ispirata da Papa Giulio II, Francesco di Francia era fermamente deciso a riottenere il controllo di Milano e della Lombardia, ragion per cui nel 1515 aveva condotto una nuova spedizione in Italia che culminò con la vittoria nella battaglia di Marignano (l’attuale Melegnano), nella quale sconfisse i mercenari svizzeri del Duca Massimiliano Sforza.

L’anno successivo la pace di Noyon tra Francesco e il futuro imperatore Carlo d’Asburgo confermò Milano alla Francia assegnando Napoli alla Spagna. La tregua si ruppe nel 1521 quando Carlo, asceso due anni prima al trono imperiale, mosse guerra alla Francia con l’appoggio di Papa Leone X e di Enrico VIII d’Inghilterra. La campagna per la conquista del Milanese terminò con uno strepitoso successo ispano-imperiale il 24 febbraio 1525 nella battaglia di Pavia, nel corso della quale lo stesso Francesco I fu catturato e condotto prigioniero a Madrid. Di fronte allo strapotere asburgico nel 1526 Papa Clemente VII si fece promotore di una alleanza anti imperiale, la Lega di Cognac, a cui aderirono la Francia, Venezia, Milano, Genova e Firenze, suscitando come prevedibile l’ira di Carlo V, che infatti inviò in Italia una nuova armata.

Ludovico de Medici meglio conosciuto come Giovanni delle Bande Nere (1498-1526). Appartenente ad un ramo cadetto della dinastia cadde combattendo contro i lanzichenecchi imperiali.

Questo esercito venne messo in piedi arruolando migliaia di lanzichenecchi, soldati mercenari di fanteria la cui efferatezza e crudeltà in battaglia erano note in tutta Europa. Giunti nella Pianura Padana i lanzi cominciarono una marcia decisa verso sud, puntando su Roma, favoriti nella loro avanzata dal Marchese di Mantova Federico II Gonzaga, deciso a non inimicarsi Carlo V. Le forze della Lega di Cognac tentarono vanamente di arrestare i lanzichenecchi nella battaglia di Governolo combattuta alla fine di novembre del 1526. In quello scontro il comandante alleato Giovanni delle Bande Nere, esponente di un ramo cadetto della famiglia dei Medici, riportò una grave ferita ad una gamba a causa di un colpo di artiglieria, morendo poco dopo a causa della cancrena.

I lanzichenecchi poterono così avanzare senza più ostacoli verso Roma, giungendo in vista della città nei primi giorni di maggio del 1527. A difesa dell’Urbe si trovavano solamente 5 mila soldati, comprendendo anche le 189 guardie svizzere del Pontefice. L’assalto alle mura ebbe inizio il 6 maggio nel settore fra i colli del Gianicolo e del Vaticano. Nonostante la disperata resistenza delle truppe pontificie i ventimila lanzichenecchi ebbero presto ragione dei difensori penetrando nel rione di Borgo, dove sorge la Basilica di San Pietro. Papa Clemente VII riuscì a fuggire nell’imprendibile fortezza di Castel Sant’Angelo grazie all’eroico sacrificio dei suoi fedeli svizzeri che si fecero massacrare per coprirne la fuga.

Schema dell’assalto alle Mura Leonine compiuto dai soldati imperiali il 6 maggio 1527.

La Città Eterna cadeva così nelle mani di uomini feroci, frustrati dalla mancata corresponsione della paga e ormai privi di qualunque controllo, avendo perso il comandante nell’assalto alle mura. Per rifarsi diedero il via ad un saccheggio tale da far impallidire quelli dei Goti e dei Vandali avvenuti nell’Antichità: in gran parte luterani, i lanzichenecchi agirono certamente anche animati da un fanatico odio religioso infierendo in modo particolare su San Pietro, distruggendo tutto ciò che non riuscirono ad asportare. Le splendide Stanze di Raffaello furono trasformate in stalle, le chiese in accampamenti e bordelli, numerosi religiosi vennero torturati e trucidati mentre decine di monache furono brutalmente violentate. La ferocia mostrata dai soldati di Carlo V lasciò interdetta l’Europa intera.

Lanzichenecchi a Roma nella primavera del 1527. Il saccheggio compiuto dai soldati imperiali fu uno dei peggiori mai subiti dall’Urbe.

Gli imperiali bivaccarono dentro Roma per dieci mesi, durante i quali sull’Urbe violata si abbatté anche un’epidemia di peste che decimò la già duramente provata popolazione romana: quando a fine febbraio del 1528 finalmente i lanzichenecchi si ritirarono essi si lasciarono alle spalle una città ridotta all’ombra di sè stessa. Oltre a pesanti devastazioni, Roma subì un vero e proprio crollo della sua popolazione: dei 55.035 residenti censiti tra il 1526 e il 1527, dopo la ritirata degli imperiali ne sopravvivevano poco più di 20 mila!

Il Sacco di Roma fu alla base del terremoto politico che sconvolse il gioco delle alleanze che legavano gli staterelli della Penisola a cominciare dalla seconda cacciata dei Medici da Firenze. Il 16 maggio 1527 scoppiò in città una violenta rivolta contro la leadership del casato mediceo, costringendo alla fuga i due giovani signori di Firenze, Ippolito de Medici – figlio illegittimo di Giuliano Duca di Nemours – e suo cugino Alessandro, detto “il Moro”, figlio naturale di Lorenzo Duca di Urbino, o, più probabilmente, dello stesso Papa Clemente VII. Ancora una volta i Medici si trovarono esiliati dalla propria patria ad appena quindici anni dalla restaurazione del loro potere. Deciso a riprendere il controllo di Firenze in nome della propria famiglia, Clemente VII non esiterà a venire a patti con Carlo V. Tuttavia, come e quando i Medici torneranno alla ribalta sulla scena italiana sarà argomento del prossimo capitolo.

Bibliografia:

  • Jacques Heers, La storia dei Medici
  • Claudia Tripodi, I Medici – Ascesa e potere di una grande dinastia

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