L’assedio di Vienna del 1683 sopravvive ancora oggi nel mito. Assieme alla battaglia navale di Lepanto, combattuta centododici anni prima, lo scontro che si consumò davanti alle mura della capitale austriaca viene tuttora celebrato come un episodio decisivo per la salvezza della Cristianità contro il “pericolo” islamico.

Tuttavia sbaglieremmo di grosso se pensassimo al conflitto austro-ottomano del 1683 come ad una guerra di religione anche se certamente la fede religiosa, per coloro che si trovarono a guidare le operazioni militari tanto da parte cristiana quanto da parte turca, giocava un ruolo importante nella propria visione del mondo.
Come già era accaduto al tempo di Lepanto, le motivazioni religiose di una guerra combattuta contro un avversario appartenente a una fede, o ad una confessione, diversa dalla propria erano spesso soltanto un paravento utilizzato dalla propaganda per mascherare ben altri e più concreti interessi di ordine politico e strategico alla base della decisione di innescare il conflitto.

Per ben tre secoli, dalla metà del XV alla fine del XVIII secolo, l’impero ottomano e gli stati cristiani dell’Europa si contesero il dominio dei Balcani e del Mediterraneo. Nel corso della sua espansione nei Balcani il sultano ottomano Solimano il Magnifico assediò una prima volta la città di Vienna tra la fine di settembre e la metà di ottobre del 1529 tuttavia un clima decisamente inclemente e la minaccia di una possibile invasione delle province orientali da parte della Persia degli Scià Safavidi indusse il sultano alla ritirata.
Nonostante il fallimento dell’assedio viennese gli ottomani avevano comunque conseguito in quegli anni successi strepitosi catturando Belgrado e l’intera Serbia (1521) e poi conquistando il Regno d’Ungheria a seguito della vittoria nella battaglia di Mohacs (29 agosto 1526) nella quale morì il sovrano magiaro Luigi II, cognato dell’imperatore Carlo V.
Per i centocinquanta anni successivi all’assedio del 1529 il conflitto tra gli Asburgo (divisi dal 1556 in due rami, spagnolo e austro-imperiale) e gli Ottomani proseguì nel teatro del mediterraneo, dove le flotte turche si confrontarono anche con quelle della Serenissima. Venezia in ogni caso, pur essendo certamente una potenza cristiana, non si fece scrupoli a scendere a patti con il sultano nel tentativo di preservare lo Stato da Mar, ossia il proprio impero marittimo.

D’altro canto tra spagnoli e veneziani non era mai corso buon sangue in quanto Venezia non vedeva di buon occhio lo strapotere iberico sulla Penisola italiana. Solo grazie alla paziente opera di mediazione di Papa Pio V le due potenze misero temporaneamente da parte i propri rancori per allearsi contro i turchi: il risultato fu la vittoria della Lega Santa nella battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571 che comunque non impedì la conquista ottomana di Cipro.
A partire dagli anni Quaranta del Seicento l’impero ottomano ritornò all’offensiva sul fronte mediterraneo strappando a Venezia il controllo dell’Isola di Candia (Creta), decretando di fatto la fine dell’impero marittimo della Serenissima.

Contemporaneamente alla cosiddetta “Guerra di Candia” (1645-1669), l’impero si scontrò nuovamente con le forze asburgiche nella guerra del 1663-1664 al termine della quale, sconfitti dal Montecuccoli, i turchi optarono per la stipulazione di una pace ventennale. La responsabilità della guerra culminata nell’assedio di Vienna è da attribuirsi in larga misura al Gran Visir ottomano Kara Mustafà Pascià. Costui, divenuto Visir nel 1676, viene generalmente descritto dalle fonti europee coeve come un uomo crudele e spietato oltre che assetato di potere. Se le prime due caratteristiche gli sono state probabilmente attribuite dalla propaganda cristiana tesa a demonizzarlo è un fatto certo che il Gran Visir fosse un politico ambiziosissimo e che proprio per mettersi in luce agli occhi del sultano promise a Mehmet IV la conquista di Vienna.
Nell’inverno tra il 1682 e 1683 Kara Mustafà si mise alla testa di un’imponente armata di circa 150 mila guerrieri (di cui almeno 70 mila erano ungheresi cristiani!) appoggiata da altrettanti non combattenti come genieri e addetti alla logistica, giungendo sotto le mura di Vienna nel luglio del 1683.

La lunghezza della manovra di avvicinamento alla capitale nemica era funzionale a due scopi: da un lato “mostrare i muscoli” dando sfoggio della vastità delle forze turche e dall’altro confondere il nemico che non si aspettava un attacco diretto proprio verso Vienna. Con i turchi ormai alle porte della sua capitale l’Imperatore Leopoldo I lasciò la città insieme alla corte affidando la difesa di Vienna al conte Ernst Rüdiger von Starhemberg, comandante della guarnigione cittadina.
Kara Mustafà iniziò le operazioni d’assedio ordinando di bombardare le mura di Vienna con l’artiglieria, di cui il suo esercito disponeva di numerosi pezzi anche se di piccolo calibro. Contemporaneamente, giudicando insufficienti i risultati dei bombardamenti, il Visir diede ordine di scavare una rete di trincee di avvicinamento ai bastioni nemici. A quel punto, giunti sotto le difese avversarie, i suoi genieri avrebbero piazzato grosse quantità di polvere da sparo in fondo a gallerie scavate alla base delle mura che, una volta fatte brillare, avrebbero aperto delle brecce nelle difese viennesi, attraverso le quali i guerrieri turchi avrebbero potuto lanciarsi all’assalto.

Tuttavia alcuni storici si sono detti scettici sul fatto che Kara Mustafà intendesse prendere Vienna con la forza. È invece molto più probabile che il Visir intendesse ottenere la resa dei difensori. Questo per vari motivi: se i suoi soldati avessero conquistato d’assalto Vienna, egli sarebbe stato costretto a concedere loro tre giorni di saccheggio illimitato della città, con conseguenti distruzioni e uccisioni provocando una reazione furiosa degli stati cristiani confinanti. Se invece la città si fosse consegnata spontaneamente egli non solo avrebbe evitato di vedersi piombare addosso una crociata ma ne avrebbe anche guadagnato enormemente in quanto il bottino sarebbe finito direttamente nelle sue tasche e non in quelle dei suoi uomini.

Mentre i turchi erano accampati alle porte di Vienna, l’esercito imperiale si andava organizzando sotto il comando dell’esperto Duca di Lorena, Carlo, cognato dell’Imperatore Leopoldo, e del suo brillante aiutante di campo, il ventenne Eugenio di Savoia, destinato a una brillante carriera nelle file dell’esercito asburgico. Le forze imperiali contavano grosso modo 18.500 uomini comprendendo anche i contingenti inviati da Mantova, Venezia e dal Granducato di Toscana. Ad essi si sommarono i 19.000 soldati inviati a sostegno della causa imperiale dai principati tedeschi come la Sassonia e la Baviera.

La diplomazia imperiale era intanto riuscita a guadagnare l’alleanza del re di Polonia Giovanni III Sobieski. Il sovrano polacco, tradizionalmente filo francese, decise di cambiare schieramento e aiutare l’Imperatore nella guerra in corso innanzitutto perché i turchi erano suoi nemici tanto quanto lo erano per gli austriaci e poi per rafforzare la sua influenza e il suo prestigio presso la nobiltà polacca affinché appoggiasse la candidatura al trono del proprio figlio (la monarchia polacca era infatti elettiva e non ereditaria).
L’11 settembre 1683, quando ormai l’assedio durava da due mesi, Carlo di Lorena ed Eugenio di Savoia congiunsero le loro forze con quelle di Sobieski fuori Vienna, sul Kahlenberg. Il sovrano polacco guidava un contingente di 30 mila combattenti tra cui 3.300 ussari alati, vera élite dell’armata polacca. L’esercito di soccorso aveva quindi una consistenza di circa 67.500 soldati. I comandanti alleati convennero di affidare il comando supremo delle operazioni a Giovanni Sobieski, in virtù della sua esperienza come comandante oltre che per avere radunato il contingente più numeroso.

La battaglia ebbe inizio la mattina del 12 settembre 1683. Prima di gettarsi nella mischia gli alleati assistettero ad una messa celebrata sul campo dal frate cappuccino Marco d’Aviano, confessore personale dell’Imperatore. Durante la funzione Padre Marco incitò i comandanti e i loro uomini alla lotta con un appassionato sermone. A quel punto i contingenti si disposero per la battaglia con i polacchi sull’ala destra, i tedeschi a sinistra e gli imperiali al centro. Il primo attacco fu compiuto dallo schieramento imperiale comandato personalmente da Carlo di Lorena.
Il colpo decisivo ai turchi lo diede però la devastante carica degli ussari polacchi che mandò in rotta i soldati ottomani, i quali non avevano nemmeno disposto adeguate difese al proprio campo contro possibili minacce esterne. Nella fuga precipitosa Kara Mustafà abbandono una quantità immensa di armi, armature e altri tesori che vennero in buona parte prese come bottino bellico dai polacchi di Sobieski. Oggigiorno quelle armi e quelle armature sono conservate a Cracovia.

Similmente al suo predecessore Pio V, che dopo Lepanto aveva dedicato il 7 ottobre alla Madonna del Rosario, così Papa Innocenzo XI fece lo stesso, proclamando il 12 settembre festa del Santissimo Nome di Maria. Il pontefice comasco sostenne inoltre la continuazione della lotta contro i turchi, promuovendo la costituzione di una nuova Lega Santa l’anno successivo alla liberazione di Vienna. La vittoria fu infatti l’inizio di una decisa controffensiva cristiana: il 2 settembre 1686 gli imperiali entravano vittoriosi e Budapest e il 12 agosto 1687 sconfissero gli ottomani a Mohacs, su quello stesso campo di battaglia dove Solimano aveva annientato le forze ungheresi centocinquanta anni prima. La pace fu alfine siglata il 26 gennaio 1699 a Karlowitz (nome tedesco di Sremski Karlovci, oggi in Serbia): la Casa d’Austria strappò alla Sublime Porta il controllo su Ungheria, Croazia e Transilvania assumendo quella fisionomia di potenza danubiana e mitteleuropea che l’avrebbe caratterizzata sino alla disintegrazione del suo potere nel 1918. Dal canto suo, dopo quest’ultima sconfitta, l’impero ottomano passò definitivamente sulla difensiva, imboccando la via di un progressivo declino. Quanto alla sorte di Kara Mustafà, per lui valse la lezione del proverbio che recita “chi troppo in alto sal cade sovente, precipitevolissimevolmente!”. Fu infatti giustiziato per ordine dell’adirato Mehmet IV a Belgrado, il giorno 25 dicembre del 1683.
Bibliografia:
- Franco Cardini, Il Turco a Vienna. Storia del grande assedio del 1683
- John Stoye, L’assedio di Vienna