El Rey Prudente

STORIA DELLA MONARCHIA CATTOLICA DI FILIPPO II D’ASBURGO (1556-1598)

A succedere all’abdicante Carlo V sul trono iberico toccò al suo primogenito, Filippo, Principe delle Asturie, che fin dal 1540 il padre aveva investito del titolo di Duca di Milano. Nato nel 1527 a Valladolid dal matrimonio tra l’Imperatore e la cugina Isabella d’Aviz – figlia di Emanuele I del Portogallo – Filippo non aveva ancora trent’anni quando ascese a quel trono che avrebbe occupato per i successivi quarantadue, fino alla propria morte.

Filippo II d’Asburgo (1527-1598) figlio e successore di Carlo V sul trono spagnolo in un ritratto realizzato da Tiziano oggi conservato al Museo del Prado.

A differenza dell’augusto genitore, che per tutta la vita era stato un sovrano itinerante, Filippo, che era nato, cresciuto ed educato nell’ambiente iberico, fu per tutta la vita un Re spagnolo, o meglio ancora castigliano. Dopo avere trascorso i primi anni di regno nei Paesi Bassi infatti Filippo tornò in Spagna stabilendo la propria residenza a Madrid, allora soltanto una modesta cittadina situata al centro della penisola iberica ma destinata da quel momento in avanti ad assumere il ruolo di nuova capitale. Non lontano dalla città Filippo fece edificare la propria residenza, il monumentale monastero-fortezza dell’Escorial, nel quale avrebbero tra l’altro trovato sepoltura i monarchi di Spagna a cominciare da lui stesso e da suo padre Carlo. 

Dalla sua austera reggia “El Rey prudente” come venne soprannominato, governava il suo sterminato impero sul quale, secondo una celebre espressione di Carlo V, “il Sole non tramontava mai”. Sotto il regno di Filippo II la potenza spagnola raggiunse l’acme della propria espansione. Nel 1565 ai già vasti possedimenti coloniali iberici si aggiunsero le Indie Orientali Spagnole, chiamate “Las Islas Filipinas” in onore del sovrano. Pochi anni prima, nel 1559, Filippo II firmò con la Francia la pace di Cateau-Cambrésis, con cui si chiuse definitivamente il sessantennio di guerre tra le due potenze. In base all’accordo la Spagna vide confermata la sua egemonia sull’Italia, rafforzata dalle solide alleanze con il Duca Emanuele Filiberto di Savoia, il Granduca di Toscana Cosimo I de Medici e la Repubblica di Genova.

La Penisola italiana dopo la pace di Cateau-Cambrésis del 1559 che sancì il predominio spagnolo sull’Italia.

Poi, nel 1580, Filippo portò a termine l’annessione del Portogallo realizzando così la riunificazione di tutte le corone iberiche. Ciò era stato possibile in seguito all’estinzione della dinastia d’Aviz, regnante a Lisbona. Desideroso di rafforzare l’influenza portoghese sul Marocco, nella primavera del 1578 il giovane e ambizioso sovrano Sebastiano I d’Aviz era salpato con un’armata di 20 mila soldati alla volta dell’Africa. Qui però, il 4 agosto di quello stesso anno, l’esercito lusitano era andato incontro ad una tremenda disfatta inflittagli dalle truppe marocchine del sultano Aḥmad al-Manṣūr. L’esercito portoghese fu annientato e lo stesso Re cadde sul campo. Il suo corpo non venne mai ritrovato. A Sebastiano, ancora celibe e privo di eredi, fu chiamato a succedere l’anziano zio Enrico, il quale, data la sua condizione di porporato, venne ricordato come il Cardinale-Re. Papa Gregorio XIII, alleato degli Asburgo, rifiutò di concedere a Enrico l’indispensabile dispensa che gli avrebbe permesso di contrarre matrimonio nel tentativo di generare un erede e salvare la dinastia. Così, quando nel 1580 Enrico calò nella tomba Filippo II, in quanto figlio di una principessa portoghese – peraltro sorella dello stesso Enrico – si impossessò del trono lusitano con la forza. Soltanto nel 1640 il Portogallo avrebbe riconquistato la propria indipendenza.  

Dipinto seicentesco che raffigura l’Escorial, l’imponente monastero fortezza residenza dei sovrani spagnoli da Filippo II

Nella sua azione di governo Filippo II era coadiuvato da una serie di organismi collegiali, i “Consejos” (consigli), organismi formati da aristocratici, ecclesiastici ed esperti di diritto e amministrazione che avevano il compito di fornire pareri sulle questioni poste loro dal monarca. I consigli si differenziavano a seconda della materia o dell’ambito territoriale di competenza. Al primo tipo appartenevano ad esempio il Consejo de Estado o il Consejo de Guerra, aventi il compito di avanzare proposte sui problemi relativi all’intera monarchia cattolica rispettivamente sulle questioni politiche e su quelle militari. Al secondo tipo appartenevano invece organismi come il Consejo de Indias, incaricato di occuparsi degli affari delle colonie americane, o il Consejo de Italia, che si esprimeva sulle questioni riguardanti Napoli, la Sicilia e Milano.  

Autodafé dell’Inquisizione spagnola in Plaza Mayor a Madrid in un dipinto di Francisci Rizi della seconda metà del XVII secolo. Il tribunale inquisitoriale, voluto dai Re Cattolici, fu uno strumento fondamentale per la preservazione dell’ortodossia cattolica da parte di Filippo II.

Punto cardine dell’azione politica di Filippo II fu la promozione e la difesa dell’ortodossia cattolica. Contro la dissidenza religiosa il monarca poté contare sull’opera zelante del Tribunale dell’Inquisizione spagnola, istituito nel 1478 da Papa Sisto IV su pressione dei suoi bisnonni, i Re Cattolici Ferdinando e Isabella. Tale istituzione si differenziò fin dall’inizio dalla “vecchia” inquisizione medievale in quanto agì come strumento di controllo nelle mani dell’autorità regia, da cui del resto dipendeva la nomina dell’inquisitore Generale. 

Storicamente l’Inquisizione spagnola si accanì in modo particolare contro i convertiti al cristianesimo dall’ebraismo – i marrani – e dall’Islam – i moriscos – e contro i loro discendenti, sospettati di continuare a praticare la fede degli avi anche dopo il battesimo. I primi a finire nel mirino della repressione furono gli ebrei: già vittime di veri e propri pogrom fin dalla seconda metà del XIV secolo, nel marzo del 1492 un editto dei Re Cattolici impose loro di scegliere tra il battesimo o l’esilio. Circa tre quarti della comunità israelitica spagnola scelse di abbandonare per sempre la propria terra riparando in Africa settentrionale, nell’impero ottomano o in altri Stati europei disposti ad accoglierli, come il Ducato estense di Ferrara. 

I principali focolai di ribellione musulmana nel regno di Granada.

Per quanto riguarda i musulmani, particolarmente numerosi nei territori dell’ex Regno di Granada, almeno inizialmente i Re Cattolici avevano tenuto fede agli accordi stipulati con il Sultano nasride Boabdil al momento della caduta della città. L’arcivescovo della neocostituita diocesi di Granada, Hernando de Talavera, mirava infatti a convertire i Mori attraverso metodi morbidi e lenti, facendo ricorso più alla persuasione che alla violenza. Tuttavia nel 1499, a seguito di una visita in città di Ferdinando e Isabella, l’intollerante arcivescovo di Toledo Cisneros aveva convinto i sovrani della necessità di ricorrere a sistemi più “energici” per indurre i sudditi musulmani al battesimo. 

La conversione forzata dei musulmani a Granada in un dipinto del 1873 dell’artista inglese Edwin Long.

Nel 1568 il duro atteggiamento di Filippo II – che l’anno prima aveva ufficialmente bandito ogni tolleranza nei confronti della cultura e della lingua araba – condusse i moriscos alla rivolta armata. L’epicentro dell’insurrezione fu la regione montuosa dell’Alpujarra, nell’estremo sud della Spagna. La reazione di Filippo non si fece attendere: El Rey Prudente schierò un esercito di 20 mila soldati al comando del fratellastro, Don Giovanni d’Austria – figlio naturale di Carlo V – che nel 1571 schiacciò definitivamente la rivolta, a seguito della quale decine di migliaia di moriscos vennero deportati e dispersi nei territori della Castiglia. Il “problema” dei moriscos troverà una sua soluzione di lì a quarant’anni, nel 1609, quando Filippo III, omonimo figlio e successore del Rey Prudente, ne ordinerà l’espulsione in massa verso l’Africa settentrionale. 

La decisione di deportare la popolazione moresca nelle regioni interne della Castiglia era motivata dal timore – in ogni caso probabilmente eccessivo – che i Mori spagnoli avrebbero potuto agire da “quinta colonna” nel caso di uno sbarco turco sulla costa andalusa. In effetti negli anni sessanta e settanta del XVI secolo l’Impero ottomano proseguì la sua politica espansionistica nel Mediterraneo, pienamente appoggiato dalle flotte dei corsari barbareschi. 

Le forze ottomane attaccano Forte Sant’Elmo a Malta difeso dai Cavalieri Ospitalieri durante il Grande Assedio del 1565.

Approfittando della pace con la Francia siglata l’anno precedente, Filippo II, deciso a porre un freno alle scorrerie piratesche musulmane, nel 1560 organizzò una spedizione navale allo scopo di occupare l’isola tunisina di Djerba, di notevole importanza strategica per poter procedere alla riconquista di Tripoli, persa nel 1551. L’attacco tuttavia si risolse in un clamoroso fallimento mentre nel 1563 i turchi attaccarono Orano e nel 1565 Malta, valorosamente difesa dai Cavalieri di San Giovanni, a cui Carlo V aveva concesso l’isola dopo la loro cacciata da Rodi nel 1522. Nel 1570 i turchi sbarcarono invece a Cipro, estremo lembo orientale dello Stato da Mar veneziano. Gli isolani, di fede ortodossa e lungamente vessati dai padroni cattolici italiani, assistettero quasi compiaciuti allo sterminio delle guarnigioni veneziane di Nicosia e Famagosta. 

La battaglia di Lepanto in un dipinto di Paolo Veronese

Lo scoppio della guerra di Cipro parve a Papa Pio V la grande occasione per mettere insieme una grande coalizione di stati cattolici capace finalmente di arrestare l’avanzata islamica nel Mediterraneo. Grazie al paziente lavorio diplomatico del pontefice, il 25 maggio 1571 si giunse alla costituzione di una Lega Santa formata da Spagna, Venezia e Stato Pontificio a cui si unirono Genova, Savoia, Toscana e Cavalieri di Malta oltre ad alcuni partner minori come i Ducati di Urbino, Parma, Ferrara e Mantova e la Repubblica di Lucca. Forte di oltre 200 galee, il 7 ottobre 1571 la flotta cristiana al comando di Don Giovanni d’Austria riuscì a infliggere una secca sconfitta a quella ottomana nelle acque di fronte a Lepanto, in Grecia. 

La vittoria nella battaglia di Lepanto ebbe grande risonanza in tutto il mondo cristiano ma gli alleati, divisi da interessi divergenti, non furono in grado di sfruttare a fondo il successo conseguito. Nel 1573 Don Giovanni riuscì a conquistare Tunisi ma poco dopo la città venne ripresa dalla ricostruita flotta ottomana. Questo non sminuì l’importanza di Lepanto, che segnò la fine della minaccia ottomana e il primo segnale di indebolimento dell’impero turco, che nel 1585 firmò un trattato di pace con la Spagna e le altre potenze cristiane.

I Paesi Bassi spagnoli durante la ribellione protestante

Un altro fronte caldo per la Spagna durante il regno di Filippo II fu quello relativo alla lotta contro gli “eretici” protestanti, assimilati agli “infedeli” turchi. L’intransigenza di Filippo portò allo scoppio di un’altra violenta rivolta, questa volta nei Paesi Bassi, dove, già durante il regno di Carlo V, la dottrina calvinista aveva messo profonde radici nelle coscienze degli abitanti. 

Contro gli insorti olandesi, chiamati con disprezzo “gueux” cioè “pezzenti”, dagli spagnoli, il Rey Prudente inviò un esercito al comando dello spietato Fernando Alvarez de Toledo, meglio conosciuto come il Duca d’Alba, il quale instaurò un vero e proprio regime di terrore. La pur feroce repressione non valse a spegnere il fuoco dell’insurrezione olandese, che si trascinerà per ottant’anni, fino ciò a quando nel 1648, al termine della Guerra dei Trent’anni, la Spagna sarà costretta a riconoscere l’indipendenza della Repubblica delle Province Unite. 

La ribellione dei calvinisti olandesi – che trovarono un leader nel Principe d’Orange Guglielmo di Nassau, detto il taciturno – venne attivamente sostenuta dall’Inghilterra protestante di Elisabetta I, figlia di Enrico VIII succeduta nel 1558 alla sorellastra Maria I la Sanguinaria. Quest’ultima, cattolica intransigente, nel 1554 aveva addirittura sposato lo stesso Filippo d’Asburgo, allora Principe delle Asturie, il quale oltretutto era suo cugino di secondo grado essendo Maria figlia di Caterina d’Aragona, zia del padre di Filippo, l’Imperatore Carlo V.

L’Olanda rappresentata come una mucca, sfruttata o accudita dai potenti d’Europa e cavalcata da Filippo II. Lo spietato Duca d’Alba la munge mentre la Regina Elisabetta la nutre. Guglielmo d’Orange la guida tenendola per le corna mentre il Duca d’Angiò tenta di trattenerla per la coda.

Filippo, non avendo intenzione di rinunciare all’Inghilterra, propose a Elisabetta di sposarlo ma la Regina non rispose. Nonostante ciò, almeno inizialmente il sovrano spagnolo mantenne la pace con l’Inghilterra e, allo scopo di mantenere gli equilibri europei si adoperò affinché Elisabetta non venisse scomunicata dal papa, ma ben presto i rapporti fra Londra e Madrid peggiorarono sensibilmente in quanto, oltre a parteggiare apertamente per i ribelli olandesi, la flotta inglese, comandata dal corsaro Francis Drake, prese ad assalire sistematicamente i galeoni spagnoli che tornavano in Europa carichi d’oro e d’argento dalle colonie. 

A far precipitare le relazioni anglo-spagnole verso il conflitto aperto contribuirono altri due avvenimenti. Innanzitutto nel 1585 Elisabetta firmò, in risposta all’appoggio della Spagna alla Lega cattolica, il Trattato di Nonsuch, con il quale i rifornimenti ai ribelli olandesi non solo sarebbero aumentati, con la promessa dell’invio di un contingente militare, ma divennero anche pubblici. Poi, nel 1587 Elisabetta ordinò la decapitazione della cugina cattolica Maria Stuarda, ex Regina di Scozia.

Elisabetta I nomina cavaliere il corsaro Francis Drake per i servigi resi alla Corona nella guerra anglo-spagnola.

A quel punto Filippo si convinse che soltanto attraverso un’invasione dell’Inghilterra e la deposizione della Regina Vergine sarebbe riuscito a restaurare il cattolicesimo oltremanica. D’altro canto fin dal 1570, dopo avere appoggiato la ribellione cattolica guidata dal Duca di Norfolk, Papa Pio V aveva scomunicato Elisabetta, dichiarandola eretica e sciogliendo i suoi sudditi da ogni dovere di fedeltà nei suoi confronti.

Così, il 28 maggio 1588 salpò da Lisbona un’immensa flotta di 130 navi con a bordo 30 mila soldati che nei piani di Filippo avrebbe dovuto invadere l’Inghilterra. Nonostante il pomposo nome di “Invincible Armanda” la flotta spagnola sarà distrutta dai vascelli inglesi guidati dall’ammiraglio Francis Drake e poi definitivamente dispersa dalle tempeste nel tentativo pazzesco di rientrare in patria circumnavigando l’arcipelago britannico.

L’affondamento dell’Invincible Armanda rappresentò probabilmente la disfatta più eclatante subita da Filippo II. La dispendiosissima politica di potenza della Spagna non fece che peggiorare una situazione finanziaria già di per sé precaria: Filippo aveva infatti ereditato dal padre un debito pubblico di 3 milioni di ducati e un deficit di bilancio annuo di un milione. Nonostante gli immensi proventi derivanti dalle tasse e da tutto l’oro e l’argento provenienti dall’America, il sovrano nel corso del suo regno fu costretto, come fosse un privato, a dichiarare per ben tre volte bancarotta nel 1557, nel 1575 e infine nel 1596.

La sconfitta dell’Invincibile Armada da parte della Royal Navy in un dipinto del 1796 di Philippe-Jacques de Loutherbourg.

Dichiarando fallimento il Re dichiarava la sua impossibilità a onorare i propri debiti ma, per quanto i creditori non potessero costringerlo a pagare, questo significava che ogni qualvolta in futuro la monarchia avesse avuto bisogno di prestiti, li avrebbe ottenuti a tassi d’interesse estremamente alti e con l’obbligo di fornire garanzie per esempio sui proventi minerari o sul patrimonio fondiario. Si innescava così un circolo vizioso che a sua volta costrinse la monarchia a dichiarare default per ben sei volte nei successivi 65 anni.

Anche se il Regno di Filippo vide il fiorire della cultura spagnola, dando inizio al cosiddetto Siglo de Oro – in quest’epoca visse ad esempio Miguel de Cervantes, autore del Don Chisciotte della Mancia – esso rappresentò anche l’inizio del declino della potenza spagnola.

Quando El Rey Prudente morì nel 1598 suo figlio e successore Filippo III ereditò un impero ancora potente le cui casse però erano tragicamente vuote. Il peso crescente delle spese militari e la mancanza di investimenti produttivi, Uniti ad un fisco rapace e opprimente furono alla base del declino della Spagna, che appena cinquant’anni dopo la morte del Rey Prudente, sarebbe uscita sconfitta dalla Guerra dei Trent’anni e dal novero delle grandi potenze.

Per saperne di più:

  • J. H. Elliott, La Spagna imperiale 1469-1716
  • F. Benigno, Storia Moderna

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